Il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell’art. 2 della Costituzione, che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 della Costituzione, i quali stabiliscono, rispettivamente, che «la libertà personale è inviolabile», e che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge».
CORTE COSTITUZIONALE
SENTENZA N. 438
ANNO 2008
composta dai signori:
- Giovanni Maria FLICK Presidente
- Francesco AMIRANTE Giudice
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Piemonte 6 novembre 2007, n. 21 (Norme in materia di uso di sostanze psicotrope su bambini ed adolescenti), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 7 gennaio 2008, depositato in cancelleria il 15 gennaio 2008 ed iscritto al n. 3 del registro ricorsi 2008.
Visto l’atto di costituzione della Regione Piemonte;
udito nell’udienza pubblica del 18 novembre 2008 il Giudice relatore Maria Rita Saulle;
uditi l’avvocato dello Stato Danilo Del Gaizo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Gabriele Pafundi per la Regione Piemonte.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato il 7 gennaio 2008 e depositato il successivo 15 gennaio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 32 e 117, commi secondo, lettera m), e terzo, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Piemonte 6 novembre 2007, n. 21 (Norme in materia di uso di sostanze psicotrope su bambini ed adolescenti).
L’impugnato art. 3, comma 1, stabilisce che: «Nella Regione il trattamento con sostanze psicotrope, e nello specifico farmaci psicostimolanti, antipsicotici, psicoanalettici, antidepressivi e ipnotici su bambini e adolescenti fino a 18 anni può essere praticato solo quando i genitori o tutori nominati esprimono un consenso scritto, libero, consapevole, attuale e manifesto».
Il successivo comma 2 affida alla Giunta regionale il compito di predisporre un modulo per il consenso informato, attraverso il quale il medico di medicina generale, il pediatra, lo psichiatra o il neuropsichiatra infantile forniscono le informazioni relative ai vantaggi presunti della terapia, agli effetti collaterali del farmaco consigliato, ai possibili trattamenti alternativi ed alle modalità di somministrazione.
Il comma 3 affida, poi, alla stessa Giunta l’individuazione degli strumenti e delle modalità per favorire l’accesso a terapie alternative o integrative ai trattamenti di cui al comma 1.
Il comma 4, infine, stabilisce le modalità con le quali deve essere prestato il consenso alla somministrazione da parte del genitore o del tutore interessato.
A parere del ricorrente le disposizioni sopra riportate, nel subordinare i trattamenti di cui al comma 1 ad un obbligatorio consenso scritto da parte dei genitori o dei tutori del minore, eccedono dalla competenza legislativa concorrente regionale in materia di tutela della salute, in quanto il suddetto consenso non è richiesto dal legislatore statale per la prescrizione di farmaci stupefacenti o psicotropi e, in particolare, non è previsto nel d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza).
Il ricorrente ritiene, infatti, che la necessità di consenso informato sia un principio fondamentale nella materia «tutela della salute» e, pertanto, la previsione delle ipotesi nelle quali tale consenso è richiesto è rimessa al legislatore statale, che lo ha in effetti previsto solo in casi determinati, come, ad esempio, in materia di sperimentazione clinica sull’uomo di medicinali ancora in fase di autorizzazione all’immissione in commercio, o per lo studio di nuove indicazioni terapeutiche di farmaci già commercializzati, ovvero in materia di donazione e ricezione di sangue e di emocomponenti.
Il legislatore regionale, dunque, nel subordinare, in una fattispecie non prevista dalla legge nazionale e in assenza di riscontri fondati sullo stato attuale delle conoscenze scientifiche, l’accesso a determinati trattamenti terapeutici al consenso del paziente, avrebbe introdotto una limitazione alla prescrivibilità di un’ampia gamma di medicinali, sottoponendo la decisione del medico alla discrezionalità di genitori e tutori, con conseguente lesione del diritto alla salute, tutelato dall’art. 32 della Costituzione, e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti tale diritto, la cui determinazione è rimessa in via esclusiva allo Stato per effetto dell’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.
Sul punto, la difesa erariale richiama la sentenza n. 338 del 2003, con la quale la Corte ha affermato che «stabilire il confine fra terapie ammesse e terapie non ammesse, sulla base delle acquisizioni scientifiche e sperimentali, è determinazione che investe direttamente e necessariamente i principi fondamentali della materia, “collocandosi all’incrocio fra due diritti fondamentali della persona malata: quello ad essere curato efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’arte medica; e quello ad essere rispettato come persona, e in particolare nella propria integrità fisica e psichica”, […] la cui tutela non può non darsi in condizioni di fondamentale eguaglianza su tutto il territorio nazionale».
Il ricorrente, dopo aver rilevato che le censure sopra esposte valgono anche per quanto previsto al comma 3 della norma impugnata, quanto al successivo comma 4, ritiene che esso contrasti con l’art. 2, lettera i), del d.lgs. 24 giugno 2003, n. 211 (Attuazione della direttiva 2001/20/CE relativa all'applicazione della buona pratica clinica nell’esecuzione delle sperimentazioni cliniche di medicinali per uso clinico), che indica i soggetti legittimati a prestare il consenso informato.
2. – Con atto del 31 gennaio 2008, si è costituita in giudizio la Regione Piemonte chiedendo il rigetto del ricorso.
In via preliminare, la Regione osserva che nel ricorso non vi è alcuna motivazione in ordine all’asserita violazione dell’art. 2 della Costituzione e che la censura relativa all’art. 3, comma 3, della legge regionale è generica in quanto limitata all’affermazione che detta norma «soggiace alle stesse censure» riferite alle altre disposizioni impugnate.
Nel merito, la Regione osserva, quanto alla presunta violazione dei principi fondamentali in materia di tutela della salute, che le leggi statali che regolano il consenso informato hanno una applicazione limitata, in quanto si riferiscono a specifiche attività mediche. Tali leggi, pertanto, non possono assurgere a principi fondamentali, né da esse è possibile trarre il principio, secondo cui il consenso informato può essere richiesto solo nei casi disciplinati da leggi statali.
La Regione rileva, al contrario, che principi fondamentali in materia di tutela della salute sono quelli «improntati all’attuazione di indirizzi di qualità delle prestazioni sanitarie che soddisfino i requisiti di efficacia ed appropriatezza delle prestazioni nell’effettivo rispetto della dignità e della libertà della persona umana».
In particolare, non vi sarebbe, secondo la difesa regionale, alcuna violazione degli artt. 2 e 32 della Costituzione, in quanto le disposizioni impugnate garantiscono la volontarietà dei trattamenti sanitari nel rispetto della persona umana per mezzo dell’effettivo esercizio del consenso informato su metodi curativi utilizzabili, su possibili scelte alternative di interventi terapeutici differenziati, sui rischi e vantaggi specifici corrispondenti alle varie tecniche e cure praticabili, non comportando ciò alcuna limitazione dell’autonomia e della responsabilità dei medici nella scelta della migliore terapia da somministrare sulla base delle conoscenze scientifiche.
Quanto alla presunta lesione del diritto alla salute, la Regione osserva che la piena conoscenza e la consapevole ed adeguata informazione sulle prestazioni terapeutiche più appropriate si pone proprio a tutela di tale diritto.
Non vi sarebbe, infine, alcuna violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, in quanto la disciplina relativa al consenso informato non attiene alle prestazioni sanitarie da rendersi uniformemente sul territorio nazionale.
3. – In prossimità dell’udienza, la Regione Piemonte ha depositato memoria con la quale, oltre a ribadire le argomentazioni già contenute nell’atto di costituzione, osserva che il ricorrente non tiene conto delle più recenti deliberazioni dell’Agenzia Italiana del Farmaco, con le quali si è suggerito di subordinare la somministrazione di psicofarmaci sui bambini alla previa sottoscrizione obbligatoria di un modulo di consenso informato del tutto simile a quello previsto dalle disposizioni impugnate, nonché da altre leggi regionali in via di approvazione, che prevedono una specifica disciplina sul cennato consenso.
La Regione rileva, poi, che la norma impugnata, nel garantire il diritto alla salute mediante l’accesso informato del minore ai diversi trattamenti terapeutici, opera nel rispetto di quanto previsto dall’art. 5 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite del 1948 e dall’art. 33 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del bambino, ratificata e resa esecutiva dall’Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176.
Considerato in diritto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 3 della legge della Regione Piemonte 6 novembre 2007, n. 21 (Norme in materia di uso di sostanze psicotrope su bambini ed adolescenti), per contrasto con gli artt. 2, 32 e 117, commi secondo, lettera m), e terzo, della Costituzione.
2. – In via preliminare vanno respinte le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla Regione Piemonte.
2.1 – Per quanto attiene alla asserita mancanza di motivazione in ordine alla dedotta violazione dell’art. 2 della Costituzione, è sufficiente osservare che il ricorso richiama tale parametro in stretto collegamento con l’art. 32 della Costituzione, nella parte in cui assume che la disciplina impugnata violi il diritto alla salute del paziente inteso quale diritto fondamentale della persona.
2.2 – Quanto alla affermata genericità della censura relativa al comma 3 dell’art. 3, il fatto che il ricorrente richiami, con riferimento a tale disposizione, le motivazioni già utilizzate per gli altri commi dello stesso articolo, appare sufficiente al fine di consentire alla Corte l’individuazione dell’esatta portata delle censure ad esso riferite: e ciò stante l’assoluta omogeneità e consequenzialità delle diverse disposizioni contenute nel citato articolo.
3. – Nel merito la questione è fondata.
La norma impugnata, da un lato, prevede che nella Regione Piemonte il trattamento con sostanze psicotrope su bambini e adolescenti può essere praticato solo quando i genitori o tutori nominati esprimano un consenso scritto, libero, consapevole, attuale e manifesto; dall’altro, affida alla Giunta regionale il compito di regolare le modalità per il rilascio del suddetto consenso.
A parere del ricorrente, la cennata disciplina violerebbe l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto il consenso informato in materia di trattamenti sanitari costituisce un principio fondamentale in materia di tutela della salute e, pertanto, la determinazione di esso sarebbe rimessa al legislatore statale.
La difesa erariale ritiene, poi, che la norma impugnata, nel subordinare al consenso del paziente la possibilità per il medico di somministrare determinati farmaci, ponga un limite al diritto alla salute e, più in generale, alla fruizione delle prestazioni sanitarie, con ciò violando gli artt. 32 e 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.
4. – Al riguardo, occorre rilevare che il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell’art. 2 della Costituzione, che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 della Costituzione, i quali stabiliscono, rispettivamente, che «la libertà personale è inviolabile», e che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge».
Numerose norme internazionali, del resto, prevedono la necessità del consenso informato del paziente nell’ambito dei trattamenti medici.
In particolare, l’art. 24 della Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, premesso che gli Stati «riconoscono il diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione», dispone che «tutti i gruppi della società in particolare i genitori ed i minori ricevano informazioni sulla salute e sulla nutrizione del minore».
L’art. 5 della Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997, ratificata dall’Italia con legge 28 marzo 2001, n. 145 (seppure ancora non risulta depositato lo strumento di ratifica), prevede che «un trattamento sanitario può essere praticato solo se la persona interessata abbia prestato il proprio consenso libero ed informato»; l’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, sancisce, poi, che «ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica» e che nell’ambito della medicina e della biologia deve essere in particolare rispettato, tra gli altri, «il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge».
La necessità che il paziente sia posto in condizione di conoscere il percorso terapeutico si evince, altresì, da diverse leggi nazionali che disciplinano specifiche attività mediche: ad esempio, dall’art. 3 della legge 21 ottobre 2005, n. 219 (Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati), dall’art. 6 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nonché dall’art. 33 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), il quale prevede che le cure sono di norma volontarie e nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se ciò non è previsto da una legge.
La circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32, secondo comma, della Costituzione.
Discende da ciò che il consenso informato deve essere considerato un principio fondamentale in materia di tutela della salute, la cui conformazione è rimessa alla legislazione statale. Le norme oggetto di scrutinio devono essere dichiarate pertanto costituzionalmente illegittime, in quanto con esse la Regione Piemonte non si è limitata a fissare una disciplina di dettaglio in ordine alle procedure di rilascio del suddetto consenso. Invero, l’art. 3, comma 1, impugnato, allorché individua i soggetti legittimati al rilascio del consenso informato (genitori o tutori nominati), nonché le modalità con le quali esso deve essere prestato (scritto, libero, consapevole, attuale e manifesto), disciplina aspetti di primario rilievo dell’istituto nell’ambito considerato, sempre in assenza di analoga previsione da parte del legislatore statale.
Anche i successivi commi dell’art. 3, in quanto strettamente connessi alle previsioni contenute nel comma 1, si pongono in contrasto con i citati parametri costituzionali e vanno, pertanto, dichiarati illegittimi.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge Regione Piemonte 6 novembre 2007, n. 21 (Norme in materia di uso di sostanze psicotrope su bambini ed adolescenti).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2008.
F.to:
Giovanni Maria FLICK, Presidente
Maria Rita SAULLE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2008.