Non costituisce violazione del divieto di ‘bis in idem', stabilito dall'art. 649 c.p.p., l'emissione, per lo stesso fatto, di una sentenza o di un decreto penale di condanna e di un decreto di archiviazione ai sensi dell'art. 131-bis c.p., non essendo quest'ultimo un provvedimento suscettibile di esecuzione o di conseguire la irrevocabilità.
Corte di Cassazione
sez. I penale
ud. 7 giugno 2023 (dep. 28 settembre 2023), n. 39498
Presidente Siani – Relatore Masi
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza emessa in data 08 novembre 2022 il Tribunale di Palermo, quale giudice dell'esecuzione, ha respinto l'istanza con la quale M.F.P. ha chiesto, ai sensi dell'art. 669 c.p.p., ordinarsi l'esecuzione del decreto di archiviazione emesso, ai sensi dell'art. 131-bis c.p., dal Giudice per le indagini preliminari di Palermo in data 25 giugno 2019, per i reati di cui agli artt. 633,639-bis c.p., e per conseguenza revocarsi la sentenza di condanna emessa nei suoi confronti, per tali reati, dal Tribunale di Palermo in data 11 novembre 2019, divenuta irrevocabile il 03 giugno 2020.
Il giudice ha ritenuto non applicabile il disposto dell'art. 669 c.p.p., in quanto il decreto di archiviazione emesso ai sensi dell'art. 131-bis c.p. non è equiparabile alle sentenze e ai decreti penali di condanna, menzionati dalla predetta norma. Inoltre ha rilevato che il periodo di consumazione dei reati non è identico nei due procedimenti, perché il decreto di archiviazione riguarda un'epoca contestata in data anteriore e prossima, al 29 agosto 2018, mentre la sentenza di condanna è relativa ad un fatto accertato in data (omissis) .
2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso M.F.P. , per mezzo del suo difensore avv. IR, articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo censura l'erronea applicazione della legge in relazione agli artt. 649 e 669 c.p.p..
Il giudice ha affermato che il principio del divieto di un secondo giudizio non opera nel caso di provvedimenti decisori aventi una forza preclusiva limitata, come il decreto di archiviazione seguito dalla riapertura delle indagini senza l'autorizzazione del giudice, ma non ha motivato tale sua decisione, che contrasta con il dettato delle Sezioni Unite secondo cui le situazioni di litispendenza devono essere risolte dichiarando, nel secondo processo, l'impromovibilità dell'azione penale per la preclusione esercitata dal divieto stabilito dall'art. 649 c.p.p.. Essendo stato il decreto di archiviazione emesso il 25 giugno 2019, il M. non avrebbe potuto essere condannato per il medesimo reato in data 11 novembre 2019, e il giudice dell'esecuzione avrebbe dovuto revocare la sentenza di condanna e dare esecuzione al solo decreto di archiviazione.
2.2. Con il secondo motivo censura l'illogicità della motivazione nel punto in cui il giudice ha sottolineato la diversità dei periodi di commissione del reato nei due processi. Poiché il decreto di archiviazione è stato emesso in relazione ad un reato commesso in data anteriore e prossima al (omissis) , esso comprende anche il reato per il quale è stata emessa la condanna, in quanto contestato come accertato in epoca anteriore.
3. Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l'inammissibilità ricorso, perché manifestamente infondato.
4. Il ricorrente ha inviato conclusioni scritte solo in data 6 giugno 2023, qualificabili perciò come tardive.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato in entrambi i suoi motivi, e deve essere rigettato. L'ordinanza impugnata è adeguatamente motivata, ed applica correttamente la norma di cui all'art. 669 c.p.p. e i principi giurisprudenziali che richiama, ai quali dimostra di aderire non acriticamente.
2. Il primo motivo è inammissibile. La possibile sussistenza di una situazione di improcedibilità della nuova azione penale, dovuta alla intervenuta emissione di un decreto di archiviazione per fatti che il ricorrente assume essere identici, non risulta essere stata rilevata nel corso del giudizio ordinario, che si è concluso in data 11 novembre 2019 con l'emissione della sentenza di condanna. Su tale decisione si è formato il giudicato che, secondo il costante principio di questa Corte, copre non solo le questioni dedotte ma anche quelle deducibili ma non tempestivamente dedotte, comprese le questioni relative alla procedibilità. Si può ricordare, sul punto, una pronuncia risalente ma ancora attuale, secondo cui "La mancanza di una condizione di procedibilità non configura una ipotesi di inesistenza della sentenza, rientrando tale mancanza (come quella concernente il difetto di querela) nella categoria dei vitia in procedendo, che assurgendo a causa di nullità assoluta, subiscono l'effetto della sanatoria derivante dal giudicato e sono coperti dallo stesso... " (Sez.2, n, 518 del 11/02/1980, Rv. 144984). La questione non può, quindi, essere sollevata oggi, non potendosi travolgere il giudicato ormai formatosi anche in punto di procedibilità dell'azione penale.
3. La questione della contemporanea pendenza, per il medesimo fatto, di un decreto di archiviazione e di una sentenza di condanna, anche se mal posta dal ricorrente, è però rilevante, dovendosi valutare l'applicabilità o meno, in tale situazione, dell'art. 649 c.p.p.
L'accertamento della violazione del divieto di un secondo giudizio impone, infatti, l'intervento del giudice in ogni stato e grado del giudizio, il quale deve emettere una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, ovvero deve rilevare la situazione di litispendenza e dichiarare l'improcedibilità dell'azione penale nuovamente esercitata dal pubblico ministero, nel rispetto del principio secondo cui "Non può essere nuovamente promossa l'azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo già sia pendente (anche se in fase o grado diversi) nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del P.M., di talché nel procedimento eventualmente duplicato dev'essere disposta l'archiviazione oppure, se l'azione sia stata esercitata, dev'essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilità" (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, Rv. 231800; conforme Sez. 3, n. 17917 del 10/03/2016, Rv. 266582 con riferimento alla competenza del giudice dell'esecuzione).
3.1. Dirimente, per valutare se sussista una violazione del divieto di ‘bis in idem' quando il medesimo fatto sia stato, in tutto o in parte, oggetto di una sentenza di condanna e di un decreto di archiviazione, in particolare se emesso ai sensi dell'art. 131-bis c.p., è la natura da attribuire a quest'ultimo.
Gli artt. 649 e 669 c.p.p., infatti, individuano tale violazione solo con riferimento all'avvenuta emissione di ‘sentenzè o ‘decreti penali di condannà. Il tenore letterale di queste norme impone, quindi, di escludere che un decreto di archiviazione possa costituire un provvedimento equiparabile alla sentenza o al decreto penale di condanna, con riferimento al rispetto del divieto di un secondo giudizio stabilito dall'art. 649 c.p.p., e che possa sollevarsi questione di litispendenza tra un decreto di archiviazione e una sentenza o un decreto penale di condanna, salvo il caso della preclusione all'esercizio dell'azione penale derivante dalla violazione dell'art. 414 c.p.p..
Questa Corte ha infatti più volte affermato, sia pure solo con riferimento alla rilevanza del decreto di archiviazione in caso di richiesta di estradizione, che "il principio del "ne bis in idem" Europeo... opera nel diritto interno solo in presenza di un provvedimento definitorio del giudizio con efficacia di giudicato, quale non è il decreto di archiviazione emesso dall'autorità giudiziaria straniera..." (Sez. 2, n. 51221 del 15/06/2018, Rv.275064; vedi anche Sez. 6, n. 6241 del 29/01/2020, Rv. 278709).
3.2. Occorre però valutare se tale principio valga anche con riferimento al decreto di archiviazione emesso ai sensi dell'art. 131-bis c.p., potendo attribuirsi ad esso una natura diversa in quanto, pur non assumendo tale decisione efficacia di giudicato, essa deve essere iscritta nel casellario giudiziario, e può produrre un effetto preclusivo in ordine alla ulteriore concessione dell'assoluzione per il medesimo motivo.
Sul punto, la sentenza Sez. U. n. 30954 del 30/05/2019, De Martino, Rv. 276463, affermativa dell'obbligo di iscrizione nel casellario giudiziario del predetto decreto, nella motivazione ha chiarito i limiti e gli effetti di tale iscrizione, ed ha anche incidentalmente confermato la diversità del decreto di archiviazione rispetto alle sentenze e ai decreti penali di condanna, ribadendo ad esempio che "Deve però escludersi che la valutazione pregiudiziale sulla sussistenza del fatto e sulla sua attribuibilità all'indagato compiuta in sede di archiviazione costituisca un accertamento assimilabile ad una dichiarazione di colpevolezza... avvenendo in una fase anteriore al giudizio".
Risulta quindi confermata la non equiparabilità del decreto di archiviazione, anche se emesso ai sensi dell'art. 131-bis c.p., alla ‘sentenzà e al ‘decreto penale di condannà che rendono possibile la violazione del principio del ‘ne bis in idem', ai sensi degli artt. 649 e 669 c.p.p..
3.3. Deve quindi essere confermato il principio di diritto, già espresso nella sentenza Sez. 1, n. 12025 del 17/02/2022, Tacchi, non massimata, secondo cui "la tesi della equiparazione di tale provvedimento (cioè del decreto di archiviazione ai sensi dell'art. 131-bis c.p., n.d.r.,) alle sentenze e ai decreti penali di condanna, ai fini dell'applicazione delle disposizioni dell'art. 669 c.p.p., risulta infondata sul piano sostanziale, oltre che dell'interpretazione letterale".
4. Tale principio non è in contrasto con la già intervenuta equiparazione alle "sentenze" e ai "decreti penali di condanna", dei provvedimenti adottati dal giudice dell'esecuzione, ai fini della valutazione del rispetto del divieto di ‘bis in idem'.
Questa equiparazione è stata stabilita da Sez. 1, n. 26031 del 05/07/2005, che ha dettato un principio che, recentemente, è stato esteso ai provvedimenti non ancora definitivi emessi dal giudice dell'esecuzione, dalla sentenza Sez. 5, n. 34324 del 07/10/2020, Rv. 280033, secondo cui "Il principio del "ne bis in idem" è applicabile in via analogica con riferimento alle ordinanze del giudice dell'esecuzione nei casi in cui esso costituisca l'unico strumento possibile per eliminare uno dei due provvedimenti emessi per lo stesso fatto contro la stessa persona".
Il predetto principio trova la sua ragione nel fatto che i provvedimenti del giudice dell'esecuzione sono suscettibili di divenire irrevocabili e comportano una successiva attività per la loro esecuzione, creando così un contrasto di giudicati nel caso che, in relazione ad una medesima situazione, vengano emessi due provvedimenti dal contenuto non perfettamente sovrapponibile; si è perciò ritenuto che, anche in tale circostanza, il contrasto debba essere risolto, dal giudice dell'esecuzione, in senso favorevole al condannato.
Anche sotto tale profilo è quindi evidente la diversità tra i provvedimenti emessi dal giudice dell'esecuzione e il decreto di archiviazione emesso ai sensi dell'art. 131-bis c.p.p., dal momento che quest'ultimo non è suscettibile di esecuzione, ed incide su ulteriori procedimenti solo nel senso precisato dalla sentenza Sez. U. n. 30954/2019, sopra citata.
5. Deve quindi essere dettato il seguente principio di diritto: "Non costituisce violazione del divieto di ‘bis in idem', stabilito dall'art. 649 c.p.p., l'emissione, per lo stesso fatto, di una sentenza o di un decreto penale di condanna e di un decreto di archiviazione ai sensi dell'art. 131-bis c.p., non essendo quest'ultimo un provvedimento suscettibile di esecuzione o di conseguire la irrevocabilità".
6. Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve pertanto essere integralmente respinto, essendo il secondo motivo irrilevante alla luce delle ragioni del presente rigetto. Il rigetto comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell'art. 616 c.p.p..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.