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Commette reato l'avvocato che faccia firmare procura ad litem ad amministrato di sostegno? (Cass. 47473/22)

15 dicembre 2022, Cassazione penale

 Non commettere reato l'avvocato che induca un amministrato di sostegno a firmare le procura ad litem funzionale all'attivazione del procedimento per la revoca o sostituzione dell'amministratore di sostegno se non è provato il pregiudizio o il pericolo di pregiudizio. 

Il reato di circonvenzione di incapace ha natura di reato di pericolo e si consuma nel momento in cui viene compiuto l'atto idoneo a procurare un qualsiasi effetto giuridico dannoso per la persona offesa o per altri: quando sia dimostrata induzione, deve anche essere individuato il pregiudizio - o il pericolo di pregiudizio.

L'obbligo di rinnovazione dibattimentale è limitato alle testimonianze (a) relativamente alle quali l'attendibilità intrinseca dei dichiaranti sia oggetto di una precisa richiesta di rivalutazione del pubblico ministero, su cui grava l'onere di proporre motivi specifici nel rispetto delle prescrizioni contenute nel novellato art. 581 c.p.p., (b) siano "decisive" per la valutazione della responsabilità. L'obbligo non si estende, invece, alle testimonianze i cui contenuti siano incontestati, ma in relazione alle quali si invoca una diversa valutazione degli elementi di conferma; in relazione a tali testimonianze la rinnovazione è rimessa alla discrezionalità del giudice, che potrà esercitarla nel rispetto delle regole previste dai primi tre commi dell'art. 603 c.p.p.

 

Corte di Cassazione

sez. II penale, ud. 8 luglio 2022 (dep. 15 dicembre 2022), n. 47473
Presidente Verga – Relatore Recchione

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Torino riformava radicalmente la sentenza assolutoria pronunciata dal Tribunale, condannando (a) tutti i ricorrenti per il reato di circonvenzione di incapace consistita nell'indurre l'anziano D.P. , affidato alle cure di I. e C. a conferire alla A. , avvocato, due procure finalizzate a chiedere la revoca e la sostituzione dell'amministratore di sostegno, avv. B. ; (B) I. e C. per un ulteriore condotta di circonvenzione (l'induzione a redigere testamento olografo a favore della I. e ad aprire un conto corrente con delega ad operare alla stessa I.), e per il reato di appropriazione indebita (consistita nel prelevare la somma di 31.000 Euro dal conto dell'anziano).

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore di A.J. che deduceva:

2.1. violazione di legge (art. 643 c.p.) e vizio di motivazione: mancherebbero gli elementi del reato contestato; non sarebbero stati identificato nè il danno, nè il profitto correlati alla circonvenzione. Segnatamente: si deduceva che ricevere due procure speciali per presentare ricorsi funzionali a revocare un amministratore di sostegno è condotta che non genera alcun danno, dato che la decisione circa la revoca è comunque rimessa alla valutazione dell'autorità giudiziarie, e non produce nessun profitto ingiusto, dato che l'eventuale compenso al mediatore legale, se proporzionato, rappresenta solo l'onorario per l'attività professionale svolta.

Si deduceva che mancherebbe anche il profilo soggettivo della contestata circonvenzione non rinvenibile nella offerta di una prestazione professionale.

Veniva dedotto anche il vizio di travisamento della prova, sia nella parte in cui la sentenza riteneva che la ricorrente avesse ricevuto un compenso per l'attività svolta, circostanza che risulterebbe smentita dagli estratti conto acquisiti, sia nella parte in cui riteneva precarie le condizioni psichiche dell'offeso. Si allegava che la richiesta di visita geriatrica effettuata dall'avv. B. era stata respinta dal giudice ed il consulente del pubblico ministero (Dott. G.) aveva evidenziato solo un lieve decadimento senile, incompatibile con la sussistenza di uno stato di incapacità dell'offeso.

2.2. La difesa della ricorrente depositava documenti attestanti il pagamento - a carico esclusivo della A. - delle spese processuali inflitte in solido agli imputati nei precedenti gradi di giudizio.

3. Ricorrevano con atti omogenei i difensori della I. e del C. che deducevano:

3.1. violazione di legge (art. 603 c.p.p. comma 3 bis e vizio di motivazione: la rinnovazione dibattimentale sarebbe stata "parziale" e limitata ai testi funzionali a supportare l'ipotesi accusatoria;

3.2. vizio di motivazione e travisamento della prova: il ribaltamento della sentenza assolutoria sarebbe stato effettuato senza il necessario confronto con gli argomenti posti dal Tribunale a sostegno della assoluzione; segnatamente si deduceva la omessa analisi delle dichiarazioni dell'offeso e della documentazione riversata in atti dalla difesa; con riguardo al capo a) si deduceva che sarebbero state travisate le prove, dato che queste davano conto della volontà dell'offeso di rimanere a casa e non - come ritenuto dalla Corte di appello - della sua volontà di spostarsi in una struttura per stare insieme alla moglie; inoltre sarebbe emerso che l'anziano era molto legato ai badanti e che era dispiaciuto per il decadimento dei rapporti con gli stessi.

Infine non sarebbe stato considerato (a) che era stato l'avv. B. a contattare D.P. e non viceversa; (b) il sostanziale disinteresse della parte civile per le sorti dell'anziano D.P.; (c) il fatto che il libretto postale era stato aperto per far fronte alle spese che superavano l'importo della pensione.

Quanto al capo b) non sarebbe stata considerata la documentazione delle spese necessarie per il sostentamento dell'anziano (in particolare di quelle necessarie per i lavori di ristrutturazione e per il pagamento, in nero, del C.) ed il fatto che i ricorrenti gestivano somme ingenti, sicché non si comprenderebbe perché avrebbero dovuto appropriarsi "solo" della somma contestata.

Con riguardo al capo c) si deduceva che l'attivazione dell'offeso per cambiare l'amministratore di sostegno era riconducibile al ritardo nei pagamenti da parte dell'avv. B. ed alle conseguenti lamentele dei ricorrenti.

3.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio: questo sarebbe stato determinato in misura eccessiva e le attenuanti generiche non sarebbero state concesse in modo illogico, tenuto conto del fatto che erano state riconosciute in favore della coimputata A.

Considerato in diritto

1.Il ricorso proposto nell'interesse della A. in relazione al capo c) è fondato.

Il suo accoglimento, per l'effetto estensivo previsto dall'art. 587 c.p.p., giova anche agli altri due ricorrenti

1.1. In via generale il collegio ribadisce che il reato di circonvenzione di incapace ha natura di reato di pericolo e si consuma nel momento in cui viene compiuto l'atto idoneo a procurare un qualsiasi effetto giuridico dannoso per la persona offesa o per altri (Sez. 2, Sentenza n. 8103 del 10/02/2016, Raguso, Rv. 266366 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 9481 del 22/10/1992, dep. 1993, Monti, Rv. 195221).

Nel caso di specie, pur essendo stata ampiamente dimostrata la sussistenza dell'induzione, non risulta individuato il pregiudizio - o il pericolo di pregiudizio - che avrebbe generato l'induzione a firmare le procura ad litem funzionali all'attivazione del procedimento per la revoca o sostituzione dell'amministratore di sostegno del D.P.

Invero il presunto "pericolo" di danno, ritenuto sussistente dalla Corte di appello, si profila insussistente nella misura in cui l'azione in ipotesi pregiudizievole, ovvero la revoca dell'amministratore di sostegno, non dipende dai ricorrenti, ma dall'Autorità giudiziaria.

Non è un caso che il procedimento attivato facendo uso delle procure alle liti oggetto di contestazione non ha avuto l'esito sperato, dato che il Giudice ha rigettato la richiesta di revoca.

Poiché il capo di imputazione non indica "altri" pericoli o pregiudizi diversi da quello in ipotesi generato dalle due procure conferite alla A., il collegio ritiene che manchi un elemento costitutivo essenziale per la sussistenza della fattispecie contestata, ovvero la sussistenza di un pregiudizio o pericolo di pregiudizio correlato alle condotte induttiva.

Gli altri profili di doglianza sono assorbiti.

1.2. La sentenza impugnata relativamente al capo c) deve pertanto essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. Devono essere conseguentemente revocate anche le correlate statuizioni civili.

2. I ricorsi di I. e di C. relativamente ai capi a) e b) sono inammissibili.

2.1. È inammissibile il primo motivo di ricorso con il quale si contesta l'illegittimità della rinnovazione parziale del dibattimento.

In materia di ribaltamento della sentenza assolutoria il collegio ribadisce che incombe sul giudice di appello l'onere di offrire una motivazione "rafforzata", che si confronti con gli argomenti posti a sostegno della sentenza di assoluzione. Tale onere è generale e riguarda anche i casi in cui il compendio probatorio non abbia una struttura dichiarativa, ma si fondi su prove di altra natura (prova scientifica, intercettazioni, perquisizioni, sequestri etc).

Sul punto la Cassazione ha affermato, con giurisprudenza che si condivide, che nella sentenza di condanna che ribalta la decisione assolutoria di primo grado devono essere confutate in via specifica tutte le ragioni poste a sostegno della decisione assolutoria di primo grado, "dimostrando puntualmente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti ivi contenuti", questo perché la motivazione, sovrapponendosi a quella della sentenza riformata, deve dare compiuta ragione delle scelte operate e "della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati" (sez. 5, n. 42033 del 17/10/2008,Pappalardo, Rv. 242330, Sez. un, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231674).

Si tratta di un percorso ermeneutico che trova significative conferme nella giurisprudenza della Corte Edu, secondo cui non è rispettoso delle garanzie convenzionali il processo che si risolve in un ribaltamento dell'assoluzione sulla base di un compendio probatorio "deprivato" rispetto a quello disponibile in primo grado, in quanto carente dell'audizione diretta dei testimoni "già" uditi, dei quali si pretende di rivalutare la attendibilità intrinseca e la credibilità dei contenuti accusatori, senza fare ricorso alla percezione diretta dell'evento dichiarativo (Dan v. Moldavia, Corte Edu, 5 luglio 2011; Manolachi v. Romania, Corte EDU, III sez., 5 marzo 2013; Flueras v. Romania, Corte Edu, III sez., 9 aprile 2013; Corte Edu, III Sez., sent. 4 giugno 2013; Hanu v. Romania, ric. 10890/04; più recentemente Moinescu v. Romania, Corte Edu, III sez. 15.9.2015; Nitulescu v. Romania, Corte Edu, III sez. 22.9.2015; Lorefice v. Italia, Corte Edu, 1 sez., 29 giugno 2017).

Il diritto convenzionale emergente dalla consolidata giurisprudenza della Corte Edu valorizza non tanto il diritto dell'imputato ad entrare in contatto con la fonte delle accuse (comunque esercitato nel primo grado di giudizio), quanto il suo il diritto ad una decisione basata su di un percorso valutativo affidabile, che presuppone che il giudice della condanna valuti gli "stessi elementi" a disposizione del giudice dell'assoluzione e, dunque, con specifico riguardo alle prove dichiarative, anche gli elementi di valutazione provenienti dalla comunicazione extraverbale.

Tale panorama giurisprudenziale è stato arricchito da alcuni decisivi arresti delle Sezioni Unite, ma soprattutto dall'intervento legislativo di modifica dell'art. 603 c.p.p., che ha introdotto l-obbligo" della rinnovazione dibattimentale nel caso in cui il giudizio di appello sia promosso dal pubblico ministero ed il proscioglimento deciso in primo grado sia fondato su motivi attinenti la valutazione della prova dichiarativa.

Le Sezioni unite hanno tuttavia, da ultimo, offerto una interpretazione "restrittiva" del nuovo comma 3 bis dell'art. 603 c.p.p. attraverso l'individuazione di precisi limiti all'obbligo di rinnovazione. È stato infatti affermato che "l'espressione utilizzata dal legislatore nella nuova disposizione di cui al comma 3-bis, secondo cui il giudice deve procedere, nell'ipotesi considerata, alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, non equivale infatti alla introduzione di un obbligo di rinnovazione integrale dell'attività istruttoria - che risulterebbe palesemente in contrasto con l'esigenza di evitare un'automatica ed irragionevole dilatazione dei tempi processuali -, ma semplicemente alla previsione di una nuova, mirata, assunzione di prove dichiarative ritenute dal giudice d'appello "decisive" ai fini dell'accertamento della responsabilità, secondo i presupposti già indicati da questa Corte nella sentenza Dasgupta. Coordinando la locuzione impiegata dal legislatore nel comma 3-bis ("il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale") con quelle - del tutto identiche sul piano lessicale - già utilizzate nei primi tre commi della medesima disposizione normativa, deve pertanto ritenersi che il giudice d'appello sia obbligato ad assumere nuovamente non tutte le prove dichiarative, ma solo quelle che - secondo le ragioni puntualmente e specificamente prospettate nell'atto di impugnazione del pubblico ministero - siano state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e vengano considerate decisive ai fini dello scioglimento dell'alternativa "proscioglimento-condanna"" (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 - dep. 03/04/2018, P.G. in proc. Troise, Rv. 272431, § 7.2).

A tale rilevante limitazione si associa quella individuata dalla condivisa giurisprudenza che limita l'obbligo di rinnovazione ai casi in cui si invochi la rivalutazione della attendibilità intrinseca delle testimonianze decisive, senza estenderlo alle prove dichiarative i cui contenuti sono incontestati, sebbene l'appellante invochi una diversa valutazione dei dati di contesto. Si è infatti affermato che non sussiste l'obbligo di procedere alla rinnovazione della prova testimoniale decisiva per la riforma in appello dell'assoluzione, quando l'attendibilità della deposizione sia valutata in maniera del tutto identica dal giudice di appello, che si limita ad effettuare un diverso apprezzamento del complessivo compendio probatorio, ovvero ad offrire una diversa interpretazione della fattispecie incriminatrice (Sez. 5, n. 33272 del 28/03/2017 - dep. 07/07/2017, Carosella, Rv. 270471; Sez. 5, n. 47833 del 21/06/2017 - dep. 17/10/2017, Terry e altro, Rv. 273553; Sez. 6, n. 49067 del 21/09/2017 - dep. 25/10/2017, Bertolini, Rv. 271503)

In conclusione può essere affermato che l'obbligo" di rinnovazione dibattimentale è limitato alle testimonianze (a) relativamente alle quali l'attendibilità intrinseca" dei dichiaranti sia oggetto di una precisa richiesta di rivalutazione del pubblico ministero, su cui grava l'onere di proporre motivi specifici nel rispetto delle prescrizioni contenute nel novellato art. 581 c.p.p., (b) siano "decisive" per la valutazione della responsabilità. L'obbligo non si estende, invece, alle testimonianze i cui contenuti siano incontestati, ma in relazione alle quali si invoca una diversa valutazione degli elementi di conferma; in relazione a tali testimonianze la rinnovazione è rimessa alla discrezionalità del giudice, che potrà esercitarla nel rispetto delle regole previste dai primi tre commi dell'art. 603 c.p.p.

Nel caso in esame, in coerenza con tali indicazioni ermeneutiche, la Corte di appello ha ritenuto non necessario procedere ad una generalizzata rinnovazione delle prove dichiarative, Ma di rinnovare solo le testimonianze decisive ai fini della valutazione in ordine all'invocato ribaltamento della sentenza assolutoria. venivano pertanto assunti solo i testi R., B., R., D. ed il coniuge della D. che non era stato esaminato nel corso del primo grado di giudizio.

Invero il percorso argomentativo tracciato dalla Corte d'appello evidenzia con chiarezza come non fosse affatto necessaria la rinnovazione di tutte le prove dichiarative assunte in primo grado, dato che la revisione della sentenza assolutoria risultava supportata da una motivazione accurata ed esaustiva, sicuramente inquadrabile come "rafforzata" fondata sulla integrale rivalutazione del compendio probatorio disponibile, oltre che sulla valorizzazione dei contenuti delle decisive testimonianze rinnovate.

La motivazione in questione non si presta, pertanto, a nessuna censura in questa sede.

2.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto si risolve nella richiesta di rivalutare la capacità dimostrativa del compendio probatorio ovvero un'attività esclusa dal perimetro che circoscrive la competenza del giudice di legittimità.

In materia di estensione dei poteri della Cassazione in ordine alla valutazione della legittimità della motivazione si riafferma che la Corte di legittimità non può effettuare alcuna valutazione di "merito" in ordine alla capacità dimostrativa delle prove, o degli indizi raccolti, dato che il suo compito è limitato alla valutazione della tenuta logica del percorso argomentativo e della sua aderenza alle fonti di prova che, ove si ritenessero travisate devono essere allegate in ossequio al principio di autosufficienza (tra le altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015,0., Rv. 262965).

Nel caso in esame la Corte di appello ha offerto una motivazione accurata in ordine ad entrambi gli episodi di circonvenzione contestati, rilevando come i due ricorrenti avessero agito in concorso per isolare l'anziano, allontanarlo dal tutore e farlo diventare integralmente succube, al fine di poterne gestire anche le risorse economiche.

Segnatamente, contrariamente a quanto dedotto, con motivazione ineccepibile la Corte di appello rilevava come le prove raccolte indicassero che era stato un repentino cambio d'opinione dell'offeso in ordine all'eventuale trasferimento in una struttura assistenziale e come le testimonianze assunte escludessero che tra la parte civile e l'anziano si fosse verificata una lite avente oggetto tale trasferimento (pagg. 14- 16 della sentenza impugnata).

La Corte di appello rilevava inoltre che la procedura di nomina dell'amministratore di sostegno era stata avviata dal pubblico ministero in seguito alla segnalazione dei servizi sociali che avevano rilevato la condizione di dipendenza dall'assistente familiare. E forniva una dettagliata motivazione anche in ordine alla persistente attività induttiva: questa che emergeva con chiarezza dalla natura degli atti di disposizione patrimoniale contestati; veniva sottolineato, infatti, che l'apertura del libretto postale, cui attingevano i ricorrenti, fosse avvenuto all'insaputa della R. e che l'esistenza della consistente disponibilità economica su tale libretto fosse stata taciuta anche all'avv. B. che ne era venuta a conoscenza solo dopo mesi dall'avvio della propria funzione di amministratore di sostegno.

La Corte d'appello riteneva ampiamente dimostrata anche la condizione di decadimento psichico e fisico del D.P., aggravata dal progressivo isolamento attuato dai ricorrenti: la Corte di appello rilevava infatti che tutti i testi avevano riferito che inizialmente l'anziano manteneva contatti, quantomeno telefonici, con le figure di riferimento e sostegno, ma che successivamente era stato privato di tale possibilità (pag.18 della sentenza impugnata).

Questo isolamento era stato rilevato con preoccupazione degli assistenti sociali, che avevano rilevato la costante e invadente mediazione della I.; emergeva che gli unici soggetti che potevano coltivare un concreto interesse ad isolare l'anziano erano proprio i ricorrenti.

Ferma la responsabilità della I. quale dirette l'immediata fruitrice degli atti dispositivi, emergeva con chiarezza anche quella del C.; infatti costui - formalmente assunto come secondo badante - aveva cominciato ad affiancare la coimputata fin dall'inizio del 2012; lo stesso, secondo quanto emerso e valutato dalla Corte d'appello, aveva coadiuvato la coimputata con riguardo agli atti di disposizione patrimoniale cui era stato indotto l'offeso (pag. 19 della sentenza impugnata). Era stato infatti proprio lui a contattare il notaio presso il quale era stato depositato l'originale del testamento a favore della coimputata ed era emerso che lo stesso si era talmente insinuato nella vita del D.P. tale da indurre in capo allo stesso il convincimento che fosse suo nipote.

In sintesi: la motivazione offerta non si presta ad alcuna censura, dato che si presenta logica e coerente con le emergenze processuali, oltre che "rafforzata" dal confronto non solo con le doglianze difensive, ma anche con gli argomenti posti a sostegno della prima decisione.

2.3. Il terzo motivo non è consentito in quanto si risolve nella richiesta di una nuova valutazione del trattamento sanzionatorio, definito con motivazione che non si presta ad alcuna censura in quanto privo di cesure logiche ed aderente alle linee ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza di legittimità.

Si ribadisce infatti che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 c.p.con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243 - 01; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 25914; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, Gasparri, Rv. 239754).

2.4. Il collegio dichiara inammissibili, pertanto, i ricorsi di I.G.I.M. e C.T. con riguardo ai capi a) e b) e conferma le relative statuizioni civili. Le spese devono essere compensate in ragione del parziale accoglimento dei ricorsi.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo c) nei confronti di tutti gli imputati per insussistenza del fatto e revoca le relative statuizioni civili. Dichiara inammissibili i ricorsi di I.G.I.M. e C.T. con riguardo ai capi a) e b) e conferma le relative statuizioni civili. Spese compensate.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.