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Avvocato delle cause perse non ne risponde professionalmente se .. (Cass.30169/189

20 novembre 2018, Cassazione civile

In tema di responsabilità dell’avvocato verso il cliente, è configurabile imperizia del professionista allorché questi ignori o violi precise disposizioni di legge, ovvero erri nel risolvere questioni giuridiche prive di margine di opinabilità, mentre la scelta di una determinata strategia processuale può essere foriera di responsabilità purché la sua inadeguatezza al raggiungimento del risultato perseguito dal cliente sia valutata (e motivata) dal giudice di merito ex ante e non ex post, sulla base dell’esito del giudizio.

E' esclusa la responsabilità professionale in caso di questioni rispetto alle quali le soluzioni dottrinali e/o giurisprudenziali presentino margini di opinabilità - in astratto o con riferimento al caso concreto - tali da rendere giuridicamente plausibili le scelte difensive compiute dal legale ancorché il giudizio si sia concluso con la soccombenza del cliente.

Costituisce compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell’attività professionale.

Il difensore può non accettare una causa per la quale prevede già dall’inizio la soccombenza del suo assistito, ma ove l’accetti, non può, poi, disinteressarsene del tutto, con il pretesto che si tratta di una "causa persa", senza nemmeno attivarsi per trovare una soluzione transattiva, essendo tale comportamento comunque doveroso ove si accetti di difendere una causa rischiosa per il proprio cliente.

Di responsabilità professionale dell’avvocato per violazione degli obblighi inerenti al mandato alla lite può parlarsi in relazione alle "cause perse" solo in caso di assoluta inerzia del difensore, a prescindere dal pronostico sull’esito della lite, per avere comunque esposto il cliente all’incremento del pregiudizio iniziale, se non altro a causa delle spese processuali cui lo stesso va incontro per la propria difesa e per quella della parte avversa.

La norma deontologica non si spinge a enunciare un obbligo dell’avvocato che accetta il mandato alle liti di formulare un pronostico sull’esito della lite, se non richiesto, bensì un onere di valutare l’interesse del cliente in rapporto alle caratteristiche della lite e di prospettare la prevedibile durata del processo e gli oneri di spesa ipotizzabili, informando il cliente dello svolgimento del mandato a lui affidato.

In un ordinamento ove non vige la regola dello stare decisis, tipica degli ordinamenti appartenenti alla common law, ed è garantito un doppio grado di merito e un giudizio di legittimità, il fatto che i precedenti giurisprudenziali, oramai reperibili su siti Internet comunemente accessibili, siano tesi a garantire un’uniforme applicazione e interpretazione del diritto, e dunque una prevedibilità delle decisioni, non significa che l’avvocato, nella strategia difensiva che discrezionalmente sceglie e assume nell’interesse del cliente, sia tenuto ad avviare controversie solo sulla base di un pronostico di esito favorevole, ma sia bensì obbligato a valutare, prima di accettare il mandato alla lite, l’interesse del cliente a coltivare la lite nonostante la sussistenza di precedenti sfavorevoli e/o di strumenti conciliatori, tenendo una condotta processuale di continua attenzione all’interesse del cliente, al fine di comprimere rischi di attesa, costi inutili e condanne al risarcimento della controparte per lite temeraria, ex art. 96 cod. proc. civ..

 

Corte di Cassazione

sez. III Civile

ordinanza 13 settembre – 22 novembre 2018, n. 30169
Presidente Travaglino – Relatore Fiecconi

Fatto e diritto

Rilevato che:
1. Con ricorso notificato per via telematica il 13 febbraio 2017 N.N. impugna la sentenza della Corte d’appello di Milano, numero 2956 2016, pubblicata in data 13/7/2016, con la quale è stato parzialmente respinta l’impugnazione avverso la sentenza da del 22/1/2015 del Tribunale di Varese in una controversia promossa dal ricorrente avverso l’avvocato B.D. per far valere la sua responsabilità professionale in un’azione di opposizione a decreto ingiuntivo, definita con dichiarazione di improcedibilità per tardività dell’iscrizione a ruolo della citazione. Il ricorso è affidato a quattro motivi. La parte intimata non ha resistito al giudizio.
2. Per quanto qui di interesse, la sentenza della Corte di merito, confermando solo in parte la sentenza di primo grado di respingimento della domanda risarcitoria, ha ritenuto che, da una parte, il compenso per la prestazione non era dovuta alla professionista, stante l’errore commesso nell’espletare la difesa e, quanto all’ulteriore danno lamentato dal cliente, non fosse sufficientemente provato che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo avesse una probabilità di essere accolto; pertanto, la Corte di merito ha ritenuto che dovesse essere restituito all’attore l’anticipo del corrispettivo versato, pari a Euro 590,78, riformando per questa parte la sentenza di primo grado; in relazione all’esito della controversia, l’appellante veniva condannato al pagamento di 2/3 delle spese del giudizio d’appello e, per il resto, veniva compensata la quota di 1/3 delle spese.

Considerato che:

1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’articolo 360, 1 comma, numero 5 cod.proc.civ. - insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia - violazione falsa applicazione degli articoli 2733 e 2734 c.c. e degli articoli 115 e 116 cod.proc.civ., ex articolo 360, 1 comma, n. 3 cod. proc. civ. In merito sostiene che la professionista si è resa colpevole di non aver rappresentato al proprio cliente che l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo "appariva fondato su punti di fatto di diritto che avevano poche, se non nulle, probabilità di essere accolte". Il giudice dell’appello non avrebbe tenuto conto delle risultanze istruttorie, o comunque del fatto che non vi fossero circostanze da cui desumere che la professionista abbia posto in essere una sufficiente opera dissuasiva nei confronti dell’assistito, all’epoca in cui fu conferito il mandato, non essendo rilevante il successivo suggerimento di tentare una transazione, intervenuto in corso di causa, circa sei mesi dopo il conferimento dell’incarico. Tale omessa informazione avrebbe comportato per l’opponente il pagamento di inutili spese giudiziali, ivi incluse le spese legali del giudizio di opposizione.

1.2. Il motivo è infondato.

1.3. Il ricorrente, in particolare, denuncia che non si è dato conto del fatto che il legale, nel rispondere all’interrogatorio formale, ha risposto di avere riferito al cliente che l’opposizione si poteva fare, negando solamente di avere consigliato di continuare il giudizio nonostante la proposta, pervenuta al cliente da parte della controparte, di addivenire a un componimento bonario, ma affermando, invece, di avere tentato in seguito la conciliazione della causa che controparte non ha mai accettato.

1.4. La Corte di merito, dopo aver a lungo argomentato sulla infondatezza dell’opposizione, e dunque sulla improbabilità dell’accoglimento della opposizione a decreto ingiuntivo per fondare un giudizio di condanna al risarcimento dei danni equivalente al pagamento del credito portato nel decreto ingiuntivo emesso dalla controparte, in merito alla denuncia di omissione degli obblighi di informativa sul probabile esito infausto della lite da parte della professionista incaricata ha ritenuto che "nella valutazione complessiva delle dichiarazioni rese in sede di interpello dall’Avvocato (...omissis) si ricava che, se era vero che aveva dichiarato al cliente che l’opposizione si poteva fare, pur tuttavia la stessa sconsigliò di proseguire nel giudizio e tentò invano una conciliazione non accettata dalla controparte" (p.7 della sentenza).

La Corte d’appello, dunque, ha motivato nel senso che non solo la scelta processuale di svolgere un’opposizione al decreto ingiuntivo, nonostante la improbabilità di successo di tale iniziativa, corrispondeva all’interesse del cliente a resistere alla richiesta di pagamento che non era in grado di onorare nell’immediato, contestandone il fondamento giuridico, ma che anche il successivo comportamento di dissuasione tenuto dalla professionista fosse conforme all’obbligo di tutelare gli interessi del cliente che stava affrontando un procedimento ad alto rischio di soccombenza.
1.5. Quanto al giudizio di responsabilità del professionista per l’attività professionale che gli compete, vale il principio generale espresso da Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 11213 del 09/05/2017 secondo cui "la responsabilità del prestatore di opera intellettuale, nei confronti del proprio cliente, per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova, da parte di costui, del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente, formando oggetto di un accertamento che non è sindacabile in sede di legittimità, se correttamente motivato”.

1.6. La sentenza di merito, sotto questo aspetto, si pone in linea con quanto indicato dalla Corte di legittimità circa gli oneri di prova correlati a una responsabilità per inadempimento del mandato alle liti e alla prova del nesso causale della responsabilità professionale dell’avvocato nel gestire il mandato alle liti, quest’ultima gravante sulla parte che agisce. Ora, non vi è dubbio che sia stato provato che l’avvocato è incorso in un errore procedurale imperdonabile nel depositare in ritardo la citazione in opposizione, che ha condotto la Corte di merito a non riconoscergli alcun diritto al compenso.

1.7. Ma è anche vero che in tale caso la parte intende addurre alla professionista una responsabilità per non essere stato preventivamente informato che la lite sarebbe stata inutile e costosa.

1.8. Riguardo agli oneri inerenti al mandato alle liti valgono certamente le norme deontologiche che regolano specificamente l’attività professionale dell’avvocato.

Secondo Cass. Sez. U., Sentenza n. 26810 del 20/12/2007 "le norme del codice disciplinare forense costituiscono fonti normative integrative del precetto legislativo che attribuisce al Consiglio Nazionale Forense il potere disciplinare, con funzione di giurisdizione speciale appartenente all’ordinamento generale dello Stato, e come tali sono interpretabili direttamente dalla Corte di legittimità".

Pertanto, ragionando alla stregua delle norme "secondarie" allora vigenti, che costituiscono un parametro per valutare il grado di diligenza cui è tenuto il professionista allorché riceve il mandato alle liti, rileva osservare che da esse non si evince un generale obbligo di preventiva informativa sul possibile esito della lite, bensì una informativa sulle caratteristiche e sulla importanza della lite per cui accetta il mandato, nonché sulle possibili soluzioni della medesima e, se richiesto, sulle previsioni di massima inerenti alla durata e ai costi presumibili del processo.

1.9. Difatti il codice deontologico degli avvocati Europei allora vigente, all’art. 2.7 dispone: "- Interesse del cliente - Fatto salvo il rigoroso rispetto di tutte le norme di legge e deontologiche, l’avvocato deve sempre difendere nel miglior modo possibile gli interessi del suo cliente e deve anteporli ai propri o a quelli dei suoi colleghi".

Il codice deontologico del Consiglio Nazionale Forense (CNF), vigente al 2007 (applicabile ratione temporis), all’art. 40 Obbligo di informazione - prevedeva che "l’avvocato è tenuto ad informare chiaramente il proprio assistito all’atto dell’incarico delle caratteristiche e dell’importanza della controversia o delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzione possibili. L’avvocato è tenuto altresì ad informare il proprio assistito sullo svolgimento del mandato affidatogli, quando lo reputi opportuno e ogni qualvolta l’assistito ne faccia richiesta.

I. Se richiesto, è obbligo dell’avvocato informare la parte assistita sulle previsioni di massima inerenti alla durata e ai costi presumibili del processo.

II. È obbligo dell’avvocato comunicare alla parte assistita la necessità del compimento di determinati atti al fine di evitare prescrizioni, decadenze o altri effetti pregiudizievoli relativamente agli incarichi in corso di trattazione.

III. Il difensore ha l’obbligo di riferire al proprio assistito il contenuto di quanto appreso nell’esercizio del mandato se utile all’interesse di questi".

1.10. In tale senso, risulta essersi pronunciata anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16023 del 14/11/2002 che ha ritenuto che, "di regola, le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale costituiscono obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, non per conseguirlo. Tuttavia, avuto riguardo all’attività professionale dell’avvocato, nel caso in cui questi accetti l’incarico di svolgere un’attività stragiudiziale consistente nella formulazione di un parere in ordine all’utile esperibilità di un’azione giudiziale, la prestazione oggetto del contratto non costituisce un’obbligazione di mezzi, in quanto egli si obbliga ad offrire tutti gli elementi di valutazione necessari ed i suggerimenti opportuni allo scopo di permettere al cliente di adottare una consapevole decisione, a seguito di un ponderato apprezzamento dei rischi e dei vantaggi insiti nella proposizione dell’azione. Pertanto, in applicazione del parametro della diligenza professionale (art. 1176, secondo comma, cod. civ.), sussiste la responsabilità dell’avvocato che, nell’adempiere siffatta obbligazione, abbia omesso di prospettare al cliente tutte le questioni di diritto e di fatto atte ad impedire l’utile esperimento dell’azione, rinvenendo fondamento detta responsabilità anche nella colpa lieve, qualora la mancata prospettazione di tali questioni sia stata frutto dell’ignoranza di istituti giuridici elementari e fondamentali, ovvero di incuria ed imperizia insuscettibili di giustificazione".

1.11. Pertanto, al di fuori dello specifico incarico (stragiudiziale) di esprimere un parere legale riguardo a una questione posta dal cliente, in riferimento al tema della strategia processuale scelta dal difensore, l’obbligazione dell’avvocato riacquista il normale carattere di obbligazione di mezzi, ove il comportamento diligente si misura in relazione alle caratteristiche della lite e all’interesse del cliente a coltivarla, e non solo in base al prevedibile esito della lite.

Per questo aspetto, rileva il precedente reso da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11906 del 10/06/2016, ove esprime che "in tema di responsabilità dell’avvocato verso il cliente, è configurabile imperizia del professionista allorché questi ignori o violi precise disposizioni di legge, ovvero erri nel risolvere questioni giuridiche prive di margine di opinabilità, mentre la scelta di una determinata strategia processuale può essere foriera di responsabilità purché la sua inadeguatezza al raggiungimento del risultato perseguito dal cliente sia valutata (e motivata) dal giudice di merito ex ante e non ex post, sulla base dell’esito del giudizio, restando comunque esclusa in caso di questioni rispetto alle quali le soluzioni dottrinali e/o giurisprudenziali presentino margini di opinabilità - in astratto o con riferimento al caso concreto - tali da rendere giuridicamente plausibili le scelte difensive compiute dal legale ancorché il giudizio si sia concluso con la soccombenza del cliente" (v. anche Sez. 3, Sentenza n. 10289 del 20/05/2015 che ha sancito che "costituisce compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell’attività professionale").

1.12. Per commisurare la diligenza dovuta dal professionista nell’assumere il mandato alle liti, pertanto, il suo margine di discrezionalità nella scelta della strategia difensiva è dunque segnato dalla natura e dalle caratteristiche della controversia e dall’interesse del cliente ad affrontarla con relativi oneri.

In tal caso, la Corte di merito ha ritenuto che, pur trattandosi di una lite dal sicuro esito sfavorevole, la professionista ha tenuto maggiormente in conto l’interesse del cliente a non pagare nell’immediato l’importo (di Euro 10.881,00) portato nel decreto ingiuntivo emesso con formula di provvisoria esecutività (per una fornitura di caffè e relativa penale calcolata nella misura del 50% del mancato acquisto di caffè).

La Corte di merito, pertanto, in mancanza di allegazione di prove idonee dedotte dall’attore, ha dato credito alla versione della professionista che, nel difendersi ha dichiarato di avere accettato il mandato alle liti, pur avendo sconsigliato di svolgere l’opposizione, solo in quanto l’attore non aveva le disponibilità economiche per far fronte al debito.

La Corte, in ogni caso, ha tenuto conto del comportamento successivo e "proattivo" tenuto dalla professionista nel corso della lite nel tentare una conciliazione che il cliente, tuttavia, non ha accettato.

1.13. Si osserva che in casi simili si è sancito che il difensore può non accettare una causa per la quale prevede già dall’inizio la soccombenza del suo assistito, ma ove l’accetti, non può, poi, disinteressarsene del tutto, con il pretesto che si tratta di una "causa persa", senza nemmeno attivarsi per trovare una soluzione transattiva, essendo tale comportamento comunque doveroso ove si accetti di difendere una causa rischiosa per il proprio cliente (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15717 del 02/07/2010; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 17506 del 26/07/2010).

Viene, in tali casi, conseguentemente a configurarsi una responsabilità professionale dell’avvocato per violazione degli obblighi inerenti al mandato alla lite solo in caso di assoluta inerzia del difensore, a prescindere dal pronostico sull’esito della lite, per avere comunque esposto il cliente all’incremento del pregiudizio iniziale, se non altro a causa delle spese processuali cui lo stesso va incontro per la propria difesa e per quella della parte avversa.

1.14. Né dal testo di deontologia pubblicato di recente dal CNF, nel 2018, è ravvisabile un’evoluzione nella direzione di imporre al professionista oneri d’informazione più stringenti, là ove, all’art. 27 del Codice di deontologia forense, la norma deontologica si limita ancora a indicare che "l’avvocato deve informare chiaramente la parte assistita, all’atto dell’assunzione dell’incarico, delle caratteristiche e dell’importanza di quest’ultimo e delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzione che prevede".

Dunque, anche oggi, la norma deontologica non si spinge a enunciare un obbligo dell’avvocato che accetta il mandato alle liti di formulare un pronostico sull’esito della lite, se non richiesto, bensì un onere di valutare l’interesse del cliente in rapporto alle caratteristiche della lite e di prospettare la prevedibile durata del processo e gli oneri di spesa ipotizzabili, informando il cliente dello svolgimento del mandato a lui affidato. Molta importanza, poi, nel nuovo testo, è data agli oneri informativi relativi alla possibilità per il cliente di accedere a modalità alternative di soluzione della lite (procedimenti di mediazione o di negoziazione assistita), il che ovviamente non presuppone solo un pronostico sul possibile esito della lite, essendo questa una valutazione inerente alla miglior difesa degli interessi del cliente sottesi alla controversia in atto, in relazione ai costi e alla prevedibile durata del processo, a prescindere dalla fondatezza o meno della pretesa del cliente.

1.15. Del resto, in un ordinamento ove non vige la regola dello stare decisis, tipica degli ordinamenti appartenenti alla common law, ed è garantito un doppio grado di merito e un giudizio di legittimità, il fatto che i precedenti giurisprudenziali, oramai reperibili su siti Internet comunemente accessibili, siano tesi a garantire un’uniforme applicazione e interpretazione del diritto, e dunque una prevedibilità delle decisioni, non significa che l’avvocato, nella strategia difensiva che discrezionalmente sceglie e assume nell’interesse del cliente, sia tenuto ad avviare controversie solo sulla base di un pronostico di esito favorevole, ma sia bensì obbligato a valutare, prima di accettare il mandato alla lite, l’interesse del cliente a coltivare la lite nonostante la sussistenza di precedenti sfavorevoli e/o di strumenti conciliatori, tenendo una condotta processuale di continua attenzione all’interesse del cliente, al fine di comprimere rischi di attesa, costi inutili e condanne al risarcimento della controparte per lite temeraria, ex art. 96 cod. proc. civ..

1.16. Nel caso in questione, pertanto, non essendo in discussione che si prospettasse per l’avvocato l’accettazione di un mandato alla lite per una causa rientrante nel novero delle "cause perse ab initio", la strategia processuale assunta dal legale nell’accettare l’incarico e nell’avviare un’opposizione a decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo di sicuro esito sfavorevole per poi coltivare vie conciliatorie, non può solo per questo dirsi pregiudizievole per gli interessi del cliente, e ciò anche in relazione alla mancata preventiva informativa sul probabile insuccesso della lite a un cliente dimostratosi comunque inizialmente interessato a resistere in prima battuta alla richiesta di pagamento e a intavolare vie conciliative, poi non più accettate.

1.17. In definitiva, la Corte di merito, in tale ambito, ha esaurientemente valutato il complessivo comportamento nell’accettare e nell’espletare il mandato alla lite tenuto dall’avvocato, che ha dimostrato di avere valutato prima il concreto interesse del cliente in rapporto alle caratteristiche della lite, e ha coltivato poi possibilità transattive, non più accettate dal cliente, ed è quindi pervenuta alla corretta conclusione che, sotto il profilo della diligenza cui era tenuta la professionista, il comportamento assunto fosse conforme ai parametri di correttezza professionale. Difatti, l’accettazione del mandato a svolgere un’opposizione a decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo riposta su basi giuridiche pressoché inconsistenti, e la successiva iniziativa processuale di tentare una composizione bonaria della controversia in corso, sono tutte scelte professionali di tipo discrezionale che, valutate ex ante - a prescindere dall’errore processuale commesso nell’avviare l’opposizione nelle forme rituali previste e dal contenuto delle difese-, rientrano nello schema di un comportamento professionale rientrante canone di correttezza professionale richiesta e pretendibile, certamente non iscrivibile nell’ambito di un atteggiamento spericolato o di inerzia, contrastante con l’interesse del cliente.

2. Con il secondo motivo si denuncia ex articolo 360 numero 4 cod. proc.civ. motivazione apparente - omessa pronuncia - violazione dell’articolo 132 cod.proc.civ. ovvero, in subordine, erronea o insufficiente motivazione, laddove la Corte d’appello ha ritenuto di non accogliere la domanda di risarcimento del danno da perdita di chance, "malgrado la stessa fosse stata avanzata fin dall’atto di citazione del 2 agosto 2011, atto che la Corte dimostra di non aver neppure letto limitandosi ad adagiarsi, in modo acritico, su quanto asserito dalla difesa dell’appellata in ordine alla novità della domanda".
2.1. Su questo punto la Corte d’appello ha ritenuto che, trattandosi di domanda nuova, essa fosse inammissibile ai sensi dell’articolo 345 cod.proc.civ.. Il motivo, per come è esposto, non soddisfa pienamente il requisito dell’autosufficienza ex articolo 366 numero 6 cod. proc. civ. poiché, pur riportando uno stralcio dell’atto di citazione da cui si dovrebbe cogliere che tale forma di risarcimento è stata oggetto di specifica richiesta, nel ricorso non viene allegato specificamente né l’atto processuale in questione, né le precisazioni delle conclusioni, sì da mettere la Corte di legittimità nella condizione di poter verificare la effettiva pretermissione di tale domanda.
2.2. In ogni caso la questione, non oggetto di gravame in sede di giudizio di legittimità, è assorbita dal rilievo, fatto proprio dalla Corte di merito, di probabile insuccesso della controversia che ha condotto a ritenere non provato il danno conseguente all’errore processuale commesso in sede di deposito di decreto ingiuntivo. Pertanto, essa è rimasta assorbita dal giudicato formatosi sull’assenza di danno conseguente alla condotta tenuta dalla professionista.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di articoli 91 e 92 cod.proc.civ. in relazione all’articolo 360, I co., numero 3 cod.proc.civ. - apparente o insufficiente e contraddittoria motivazione -, deducendo che la Corte ha ritenuto parte appellante sostanzialmente soccombente, in tal modo compensando per 1/3 le spese di lite, mentre gli ulteriori 2/3 sono stati posti a carico dell’appellante, laddove invece l’appello è stato accolto per una minima parte, con una condanna che ha superato il valore del bene conseguito, in contrasto con quanto statuito da questa Corte di legittimità (citando, tra le tante, Cass. 16.704/2015). Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione di articoli 91,92, 336 cod.proc.civ.. in relazione all’articolo 360 numero tre cod.proc.civ. e omessa pronuncia, in quanto la Corte d’appello avrebbe omesso di statuire sulla regolamentazione delle spese processuali di primo grado pur avendo riformato in parte la sentenza.
4. I motivi n.3. e n.4 vanno trattati congiuntamente in quanto connessi.
4.1. I motivi sono infondati.
4.2. Quanto al terzo motivo, vale quanto sancito da Cass., S.U. n. 20598/2008 - nella parte in cui ha statuito che "il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese "per giusti motivi" deve trovare un adeguato supporto motivazionale" (cfr. anche Cass. n. 24531/2010) e che tale supporto risulta meramente apparente ove ci si limiti a dar conto del modesto valore della causa, senza confrontarsi con la necessità di evitare che la parte vittoriosa debba sostenere le spese di lite in misura verosimilmente eccedente lo stesso vantaggio". Nel caso in esame la Corte di merito non ha dato conto di una compensazione parziale in ragione del modesto valore della controversia, ma del fatto che l’appellante è risultato prevalentemente soccombente sulle richieste risarcitorie, costituenti il cuore della controversia, mentre il giudice dell’appello si è limitato a non riconoscere come dovuto il corrispettivo della prestazione resa dall’avvocato, compensando per tale ragione 1/3 delle spese tra le parti (v. anche Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 8346 del 04/04/2018).
4.3. In tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 1572 del 23/01/2018; Sez. 1 -, Ordinanza n. 19613 del 04/08/2017).
4.4. Il quarto motivo è anch’esso infondato, in quanto la Corte ha inteso regolare non solo le spese del secondo grado, ma quelle del primo grado, disponendo per l’intero giudizio una diversa regolamentazione delle spese di lite (con condanna ai due terzi delle spese a carico della parte appellante sostanzialmente soccombente e con compensazione della restante parte) che vale globalmente per entrambi i gradi di giudizio. La giurisprudenza costante di questa Corte è nel senso che, in tema di regolamentazione delle spese processuali, il giudice d’appello è tenuto a sindacare il provvedimento sulle spese processuali adottato dal primo giudice, anche d’ufficio, in quanto il relativo onere è ripartito in relazione all’esito complessivo della lite (vedi Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 9064 del 12/04/2018;Cassazione Sezione lavoro 11423/2016; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17523 del 23/08/2011; Cassazione. numero 4052/2009; Cassazione numero 15.483/2008). Tale potere è diretta conseguenza del cosiddetto "effetto espansivo" della pronuncia in sede di impugnazione di cui all’articolo 336 cod.proc.civ., che prevede che la riforma della sentenza esplichi i suoi effetti anche sulle parti dipendenti da essa.
5. Conclusivamente il ricorso viene rigettato; nulla si dispone per le spese, stante l’assenza di difesa nel procedimento in cassazione da parte della controricorrente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis, dello stesso articolo 13.