Risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio che non impedisca i continui schiamazzi provocati degli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne, poiché al gestore è imposto l’obbligo giuridico di controllare, anche con ricorso allo ius excludendi o all’autorità, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica.
La qualità di titolare della gestione dell’esercizio pubblico comporta l’assunzione dell’obbligo giuridico di controllare che la frequentazione del locale da parte dei clienti non sfoci in condotte contrastanti con le norme concernenti la polizia di sicurezza.
La contravvenzione di cui all’art. 659 c.p., comma 1, è reato solo eventualmente permanente, che si può consumare anche con un’unica condotta rumorosa o di schiamazzo recante, in determinate circostanze, un effettivo disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone, in quanto non è necessaria la prova che il rumore abbia concretamente molestato una platea più diffusa di persone, essendo sufficiente l’idoneità del fatto a disturbare un numero indeterminato di individui. In definitiva, quindi, per l’integrazione del reato è sufficiente l’idoneità della condotta ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone, non occorrendo l’effettivo disturbo alle stesse (in specie è stata così ritenuta integrata la fattispecie a carico del proprietario di cani, tenuti in un giardino recintato, che non aveva impedito il loro continuo abbaiare, tale da arrecare disturbo al riposo delle persone dimoranti in abitazioni contigue). Sì che la ricerca di una platea più diffusa di persone che possano essere state effettivamente disturbate riguarda l’intensità e la diffusività del danno, non la sussistenza del reato.
Corte di Cassazione
sez. III Penale, sentenza 9 maggio – 2 luglio 2019, n. 28570
Presidente Lapalorcia – Relatore Cerroni
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 3 luglio 2018 il Tribunale di Firenze ha condannato B.S. e T.D. alla pena di Euro 309 di ammenda, altresì condannando gli imputati al risarcimento del danno ed al pagamento delle spese di lite in favore della parte civile costituita, per il reato di cui all’art. 110 c.p., art. 81 cpv. c.p. e art. 659 c.p., comma 1.
2. Avverso il predetto provvedimento sono stati proposti ricorsi per cassazione con quattro motivi di impugnazione.
2.1. Col primo motivo i ricorrenti hanno censurato la decisione del Tribunale circa la dichiarata tardività della richiesta di oblazione a norma dell’art. 162-bis c.p., atteso che detta istanza, già presentata in corso di giudizio, avrebbe potuto essere ripresentata, come era avvenuto, in sede di discussione finale.
2.2. Col secondo motivo, invocando violazione di legge e vizio motivazionale, i ricorrenti hanno osservato che agli stessi era contestata tanto la diffusione di musica in mancanza di adeguata insonorizzazione quanto il mancato impedimento di assembramenti rumorosi di persone.
Ciò posto, dalla compiuta istruttoria era emersa l’insussistenza del turbamento della tranquillità pubblica, atteso che dall’esterno del locale non si percepiva la musica, nè erano state riscontrate anomalie degne di rilievo, se non proprio per coloro che, come la denunciante, si trovavano immediatamente al di sopra del locale.
2.3. Col terzo motivo è stato rilevato che, quanto al contestato omesso impedimento degli schiamazzi all’esterno del locale, non vi era in merito alcun potere di vigilanza nè di intervento, per cui semmai avrebbero dovuto essere puntualmente individuati gli eventi idonei a scongiurare l’evento costituito, appunto, da tali intemperanze degli avventori.
2.4. Col quarto motivo infine è stata censurata la mancata motivazione in ordine alla quantificazione del danno aii fini della determinazione della provvisionale.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità dei ricorsi.
Considerato in diritto
4. I ricorsi sono inammissibili.
4.1. In relazione al primo motivo di censura, questa Corte condivide quanto è già stato osservato, secondo cui l’istanza di oblazione già respinta può essere riproposta sino all’inizio della discussione finale del dibattimento di primo grado, sicché è tardiva la richiesta formulata dall’imputato successivamente alle conclusioni del pubblico ministero (Sez. 3, n. 43770 del 11/10/2012, Bua e altri, Rv. 253608).
Va infatti ribadito che la lettura dell’art. 523 c.p.p., comma 1, e dell’intero articolo di legge rende evidente che la discussione inizia con l’intervento del Pubblico ministero e prosegue con l’intervento delle altre parti processuali. Del resto, la disposizione di legge nel prevedere che la richiesta di obiezione debba essere avanzata prima dell’inizio dell’intervento del Pubblico ministero risponde alla logica del sistema processuale e a ragioni di buona gestione dell’udienza e di economia processuale, non essendovi ragione di concludere che il Pubblico ministero al termine dell’istruzione dibattimentale possa prendere la parola e concludere nel merito senza avere contezza di una richiesta dell’imputato potenzialmente decisiva.
Nè può negarsi la stessa evidente copertura costituzionale di cui all’art. 111 Cost., comma 2, quanto alla durata ragionevole del processo.
4.2. Per quanto riguarda il secondo motivo di impugnazione, esso è palesemente infondato.
Contrariamente ai rilievi contenuti nei ricorsi, è stato dato conto degli accertamenti compiuti dagli operanti, che nel mese di novembre 2013 davano atto che l’esito delle rilevazioni, contro il limite previsto di 3 decibel, registravano un andamento da 6 a 8 decibel, con sorgenti rumorose individuate di pari livello tra la musica prodotta dal locale, il parlato degli avventori e quello proveniente dalle persone presenti davanti all’esercizio, e con un picco di 30,05 decibel alle 23,45. Mentre nei mesi successivi il rientro nei limiti avveniva indicativamente dopo il mese di maggio 2014, laddove il disturbo era stato nel frattempo arrecato dagli avventori nell’orario immediatamente successivo alla mezzanotte.
4.2.1. Ciò posto, la contravvenzione di cui all’art. 659 c.p., comma 1, è reato solo eventualmente permanente, che si può consumare anche con un’unica condotta rumorosa o di schiamazzo recante, in determinate circostanze, un effettivo disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone, in quanto non è necessaria la prova che il rumore abbia concretamente molestato una platea più diffusa di persone, essendo sufficiente l’idoneità del fatto a disturbare un numero indeterminato di individui (Sez. 3, n. 8351 del 24/06/2014, dep. 2015, Calvarese, Rv. 262510). In definitiva, quindi, per l’integrazione del reato è sufficiente l’idoneità della condotta ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone, non occorrendo l’effettivo disturbo alle stesse (in specie è stata così ritenuta integrata la fattispecie a carico del proprietario di cani, tenuti in un giardino recintato, che non aveva impedito il loro continuo abbaiare, tale da arrecare disturbo al riposo delle persone dimoranti in abitazioni contigue)(Sez. 1, n. 7748 del 24/01/2012, Giacomasso e altro, Rv. 252075). Sì che la ricerca di una platea più diffusa di persone che possano essere state effettivamente disturbate riguarda l’intensità e la diffusività del danno, non la sussistenza del reato (così, in motivazione, Sez. 3, n. 8351 cit.).
In proposito la sentenza ha così correttamente osservato che i rumori avevano una potenzialità diffusa, ancorché solamente alcune persone se ne potessero lamentare in concreto, anche a prescindere comunque dal fatto che la sussistenza degli elementi costitutivi del reato era fornita dalla stessa costituzione di un comitato di cittadini della zona e dalle segnalazioni degli abitanti.
4.3. In ordine al terzo motivo di censura, vero è che risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio (in specie, un locale di intrattenimento) che non impedisca i continui schiamazzi provocati degli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne, poiché al gestore è imposto l’obbligo giuridico di controllare, anche con ricorso allo ius excludendi o all’autorità, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica (Sez. F, n. 34283 del 28/07/2015, Gallo, Rv. 264501; Sez. 1, n. 48122 del 03/12/2008, Baruffaldi, Rv. 242808). Infatti la qualità di titolare della gestione dell’esercizio pubblico comporta l’assunzione dell’obbligo giuridico di controllare che la frequentazione del locale da parte dei clienti non sfoci in condotte contrastanti con le norme concernenti la polizia di sicurezza (Sez. 1, n. 16686 del 28/03/2003, Massazza, Rv. 224802).
Non può pertanto essere censurato il provvedimento, laddove in effetti è stato fatto carico ai gestori dell’esercizio commerciale di non avere fatto alcunché (o quantomeno nulla è stato neppure allegato in tal senso) per eliminare le fonti di disturbo, mai risultando ad es. una richiesta di intervento delle Autorità di polizia per limitare coloro che, in definitiva, colà si riunivano solamente per la presenza del locale pubblico. I cui gestori, per i quali la presenza degli avventori rappresentava ovviamente un guadagno, erano comunque tenuti appunto quantomeno in ossequio alla regola generalissima, in forza della quale cuius commoda, eius et incommoda.
4.4. In relazione infine all’ultimo motivo di censura, il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, G., Rv. 261536). In proposito, anzi, non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata (Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D.G., Rv. 263486).
- 4.4.1. L’omessa motivazione, quindi, non assume in specie i connotati del vizio rilevante in sede di legittimità.
5. La complessiva manifesta infondatezza dei ricorsi ne comporta inevitabilmente la loro inammissibilità.
Tenuto infine conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p. ed a carico di ciascun ricorrente, l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.