Nessun reato di omissione di soccorso per il conducente che rimasto coinvolto in un incidente stradale non si sia reso conto della presenza di persone ferite.
Il reato di mancata prestazione dell’assistenza occorrente in caso di incidente implica una condotta ulteriore e diversa rispetto a quella del reato di fuga, non essendo sufficiente la consapevolezza che dall’incidente possano essere derivate conseguenze per le persone, occorrendo invece che un tale pericolo appaia essersi concretizzato, almeno sotto il profilo del dolo eventuale, in effettive lesioni dell’integrità fisica.
Il Codice della strada punisce il conducente che, a seguito di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, non ottempera all’obbligo di prestare l’assistenza occorrente alle persone ferite come riunisce anche il conducente che, nelle stesse condizioni, non ottempera all’obbligo di fermarsi.
Corte di Cassazione
sez. IV Penale, sentenza 23 gennaio – 7 febbraio 2019, n. 5914
Presidente Ciampi – Relatore Pavich
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Napoli, in data 31 marzo 2017, ha confermato la sentenza con la quale, l’8 gennaio 2015, il Tribunale di Torre Annunziata, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato C.C.G. alla pena ritenuta di giustizia in relazione ai reati a lui ascritti ex art. 590 cod. pen. (lesioni personali colpose in danno di Ca.Co. ) e art. 189 C.d.S., comma 7 (omissione di soccorso alla stessa Ca. ), contestati come commessi in (omissis) .
Secondo i giudici di merito il C. , diversamente da quanto dallo stesso asserito, si diede alla fuga pur avendo provocato l’incidente nel quale la Ca. riportò le lesioni di cui in rubrica: ciò sulla base delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e dalla madre dello stesso imputato, D.M.F. . Quest’ultima, proprietaria del veicolo condotto dal C. , avendo appreso dal figlio della causazione del sinistro e della sua fuga, denunciò l’incidente alla propria compagnia assicuratrice allegando copia di un modulo di composizione amichevole non sottoscritto dalla Ca. , che pure vi era generalizzata: costei, avendo ricevuto dalla propria compagnia una richiesta di informazioni relativa all’incidente ed essendosi accorta della falsità del modulo di composizione amichevole, ha sporto querela contro il C. anche per il delitto di tentata truffa.
2. Avverso la prefata sentenza d’appello ricorre il C. , articolando tre motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge, lamentando che la Corte di merito non abbia considerato che la Ca. si recò in realtà il giorno dopo l’incidente al Pronto soccorso, ove le fu diagnosticata una distorsione e distrazione al collo (il che prova che il C. non poteva rendersi conto del fatto che la persona offesa avesse riportato lesioni); e che il modulo di constatazione amichevole, contenendo le generalità della Ca. (la quale era trasportata e non conducente), comprovava che necessariamente il C. si era fermato in occasione del sinistro e che quindi non si era dato alla fuga, ma si era semplicemente allontanato ritenendo che non vi fossero danni alle persone in conseguenza dell’incidente.
2.2. Con il secondo motivo l’esponente lamenta violazione di legge (ma, di fatto, anche vizio di motivazione) in relazione alla mancata risposta della Corte di merito alle doglianze articolate in appello dal C. circa la dosimetria della pena.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla pena applicatagli, determinata in termini eccessivi muovendo dalla violazione più grave (art. 189 C.d.S., comma 7) in misura superiore al minimo edittale per quanto riguarda sia la pena principale, sia la sanzione accessoria della sospensione della patente.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è fondato e assorbente.
Nella specie, oltre al delitto di lesioni colpose, è contestato l’art. 189 C.d.S., comma 7, che punisce il conducente che, a seguito di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, non ottempera all’obbligo di prestare l’assistenza occorrente alle persone ferite (mentre il precedente comma 6 punisce - con pena più mite - il conducente che, nelle stesse condizioni, non ottempera all’obbligo di fermarsi).
La distinzione è importante perché, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, il reato di mancata prestazione dell’assistenza occorrente in caso di incidente, di cui all’art. 189 C.d.S., comma 7, implica una condotta ulteriore e diversa rispetto a quella del reato di fuga, previsto dal comma 6 del predetto art. 189, non essendo sufficiente la consapevolezza che dall’incidente possano essere derivate conseguenze per le persone, occorrendo invece che un tale pericolo appaia essersi concretizzato, almeno sotto il profilo del dolo eventuale, in effettive lesioni dell’integrità fisica (Sez. 4, n. 23177 del 15/03/2016, Trinche, Rv. 266969).
Pur dando ipoteticamente per acquisito che il C. non si sia fermato in seguito all’incidente, ma sia invece fuggito (ciò che peraltro parrebbe smentito dal fatto che egli avrebbe in realtà appreso in quell’occasione le generalità della Ca. , riportate sul modello di constatazione amichevole dalla madre), nondimeno la sentenza impugnata non si pone il problema dell’accertamento della consapevolezza, da parte dell’imputato, di avere verosimilmente cagionato lesioni ad alcuno degli occupanti dell’altro veicolo coinvolto nell’incidente.
Non può, in sostanza, porsi univocamente a carico dell’imputato - come la Corte di merito pare aver fatto - il reato di omissione di soccorso senza un approfondimento della effettiva percepibilità delle lesioni cagionate, ma sulla sola base della circostanza oggettiva delle lesioni successivamente diagnosticate alla persona offesa: lesioni che, per la loro tipologia e per la stessa condotta della persona offesa (recatasi in ospedale solo il giorno dopo), ben potevano non essere riconoscibili ictu oculi da parte del C. . Non è, quindi, sufficiente ravvisare una posizione di garanzia in capo al conducente alla cui condotta alla guida il sinistro sia ricollegabile, occorrendo anche che egli abbia commesso il fatto nella consapevolezza di avere verosimilmente cagionato lesioni a persone coinvolte nell’incidente.
In proposito, è erroneo il riferimento operato dalla Corte distrettuale alla giurisprudenza di legittimità e, in specie, a Sez. 4, Sentenza n. 3982 del 12/11/2002, dep. 2003, ric. Mancini, n.m.: in quest’ultima sentenza, infatti, il principio richiamato nella sentenza impugnata era stato affermato in relazione alla diversa fattispecie di cui all’art. 189 C.d.S., comma 6, la cui disciplina, come si è detto, va tenuta distinta da quella di cui al comma 7, oggi contestato al C. .
All’evidenza la fondatezza del primo motivo di ricorso ha valore assorbente con riguardo ai motivi successivi, attinenti al trattamento sanzionatorio (commisurato, fra l’altro, sulla base della pena edittale dell’art. 189 C.d.S., comma 7, indicato come violazione più grave).
2. La sentenza impugnata va perciò annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Napoli, per nuovo giudizio, nel quale saranno osservati i principi dianzi richiamati ai fini di un corretto inquadramento della fattispecie e delle conseguenti statuizioni sanzionatorie.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Napoli.