Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Automobilista deve prevedere imprudenza del pedone? (Cass. 24837/21)

25 giugno 2021, Cassazione penale

Il conducente del veicolo va esente da responsabilità per l’investimento di un pedone quando la condotta della vittima configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista nè prevedibile, da sola sufficiente a produrre l’evento, circostanza questa configurabile ove il conducente medesimo, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di notare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile.

 

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 27 maggio – 25 giugno 2021, n. 24837
Presidente Fumu – Relatore Pezzella

Ritenuto in fatto

1. Il G.M. del Tribunale di Napoli, in data 16/7/2014, condannava C.G. alla pena di anni 2 e mesi 2 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali avendolo riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 589 c.p., comma 1, 2 e 4, perché alla guida del motociclo Honda Transalp tg. (…) con a bordo quale passeggero R.V. , percorrendo la via (omissis) proveniente da via (omissis) in direzione (omissis) , agendo con colpa consistita in negligenza, imprudenza, nonché in violazione delle norme in materia di circolazione stradale, in particolare impegnando senza autorizzazione la corsia riservata ai mezzi pubblici e procedendo a velocità e con attenzione non adeguata alle condizioni di luogo e tempo (strada centro città con attraversamenti pedonali in orario notturno) ed investendo il pedone L.G. ad attraversare la carreggiata dal lato sinistro a quello destro, cagionava al suddetto L. lesioni personali gravissime da cui derivava il decesso. In (omissis) .
C.G. veniva condannato, poi, in solido con il responsabile civile Assicurazioni Generali s.p.a., al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede, nonché al pagamento di una provvisionale di Euro 20.000. Ancora, C.G. e il responsabile civile Assicurazioni Generali s.p.a. in solido venivano condannati al pagamento delle spese processuali in favore della costituita parte.
Già in primo grado, veniva, invece, dichiarato non doversi procedere nei confronti di C.G. in ordine al delitto di lesioni personali colpose commesso nel medesimo contesto in danno di R.V. , passeggera trasportata del motoveicolo, perché l’azione penale non doveva essere iniziata per mancanza della querela.
Sull’appello proposto dall’imputato, la Corte di Appello di Napoli in data 19/9/2019 confermava la sentenza impugnata.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il C. , deducendo, quale unico motivo, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, la violazione dell’art. 141 C.d.S. e art. 43 c.p., comma 3 e vizio motivazionale in punto di affermazione di responsabilità.
Secondo la tesi proposta in ricorso la Corte territoriale avrebbe confermato la responsabilità del ricorrente "in assenza di un elemento probatorio decisivo per dimostrare la violazione della regola di prudenza imposta ai conducenti di autoveicoli dall’art. 141 C.d.S.". Ciò in quanto, se tale principio normativo impone al conducente di qualsiasi veicolo di regolare la velocità a seconda delle peculiarità del veicolo, dello stato e condizioni della strada, l’accertamento dell’inosservanza di tale regola prudenziale non può farsi conseguire dalla sola "verificazione dell’evento delittuoso", come motiva la Corte alla pag. 6 della sentenza impugnata.
Apparirebbe significativo che, tra le circostanze di fatto apprezzate dalla Corte, venga fatta menzione di un’informazione probatoria decisiva che è in contrasto con le deduzioni poste a base della tesi del superamento del limite di velocità da parte del ricorrente. La Corte territoriale evidenzia, infatti, che il C. "aveva passato da appena 80 metri un attraversamento pedonale con semafori"; ne consegue, pertanto, che l’impatto tra la moto e il pedone, in quanto non avvenuto in prossimità di incroci e/o attraversamenti pedonali e/o segnalazioni semaforiche, avrebbe richiesto l’accertamento della velocità del motoveicolo al fine di verificare, in concreto, la violazione della regola prudenziale imposta dall’art. 141 C.d.S..
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
3. Nei termini di legge ha rassegnato le proprie conclusioni scritte per l’udienza senza discussione orale (D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8), il P.G., che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

Considerato in diritto

1. I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
2. Ed invero, si tratta di profili di doglianza assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi.
Il ricorrente, in poche righe, si limita ad affermare quanto ricordato in premessa, senza che i motivi in questione si coniughino alla enunciazione di specifiche richieste con connesse indicazioni delle ragioni di diritto e dei dati di fatto che le sorreggono o siano scanditi da una critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata.
La motivazione della Corte di appello appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto si palesa immune da vizi di legittimità a fronte, peraltro, di un atto di appello (cfr. atto di appello dell’11/11/2014 a firma dell’Avv. Michele Basile) pure generico ed ai limiti dell’ammissibilità.
Trattandosi di doppia conforme affermazione di responsabilità, occorre riferirsi alle due sentenze di merito che costituiscono un unitario corpo motivazionale atteso anche il richiamo esplicito effettuato dalla Corte territoriale alle considerazioni del primo giudice.
Quanto alla velocità del motoveicolo investitore già il giudice di primo grado aveva dato atto di come l’agente C.A. , della Polizia Municipale di Napoli, avesse riferito in dibattimento di come, tenuto conto della lunghezza della traccia di scarrocciamento che venne rilevata sulla sede stradale, si ritenne che il motoveicolo, nel momento in cui si verificò l’investimento, stesse procedendo a velocità elevata e comunque non adeguata rispetto alle condizioni di tempo e di luogo, sicché fu elevata nei confronti del conducente anche la specifica contravvenzione (così pagg. 5-6 della sentenza di primo grado).
Il giudice di primo grado, inoltre, ha dato conto minuziosamente delle prove acquisite e ha confrontato criticamente risultanze della disposta perizia con i rilievi dei consulenti di parte, giungendo a ricostruire correttamente la dinamica del sinistro nel modo seguente: il motociclo condotto da C.G. investì il pedone, intento ad attraversare via (omissis) da sinistra verso destra rispetto al senso di marcia della motocicletta, all’altezza del punto 2 dello schizzo planimetrico, ovvero in corrispondenza del civico n. XX. L’impatto interessò verosimilmente la parte sinistra del motociclo e della sagoma del motociclista e, in conseguenza di tale turbativa, il C. perse il controllo del mezzo che, dopo alcuni metri, rovinò al suolo sul lato sinistro scarrocciando sull’asfalto per oltre 22 metri, come evidenziato dai numerosi danni riscontrati sul mezzo. Le lesioni riportate dal Ca-passo dislocate prevalentemente sulla parte sinistra del corpo confermano la verosimiglianza di questa dinamica.
Traendone correttamente le conclusioni in punto di diritto, già il primo giudice evidenziava come nella condotta di guida di C.G. si rinvenissero evidenti profili di colpa specifica ricordando come le norme che presiedono il comportamento del conducente del veicolo, oltre a quelle generiche di prudenza, cautela ed attenzione, sono principalmente quelle rinvenibili nell’art. 140 C.d.S., che pone, quale principio generale informatore della circolazione, l’obbligo di comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale e nel successivo art. 141 C.d.S. che impone al conducente di un veicolo di regolare la velocità in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza e prevede inoltre che il conducente deve conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizioni di sicurezza, specialmente l’arresto del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità.
Con quell’articolata e logica motivazione, come detto, già non si confrontava criticamente l’atto di appello che, in punto di responsabilità, incentrava il primo motivo su una tesi già ampiamente e logicamente confutata dal giudice di primo grado (la presenza di un’auto che avrebbe a sua volta impattato contro la moto prima che questa investisse il pedone) per poi virare su quella oggi riproposta di un asserito rapporto tra il fatto che il pedone investito stesse attraversando lontano dalla strada e la necessità di meglio stabilire la velocità cui procedeva la moto.
In realtà la circostanza che il pedone abbia a sua volta posto in essere un comportamento colposo, violando l’art. 190 C.d.S., attraversando la sede stradale ad 80 metri di distanza dalle apposite strisce, è stata da subito valutata dai giudici del merito in termini di concorso di colpa.
3. I giudici del merito, con motivazioni prive di aporie logiche e corrette in punto di diritto, danno atto che risulta dimostrato che C.G. non osservò nella conduzione del motociclo di cui aveva la disponibilità lo specifico obbligo di attenzione posto a suo carico, nei termini ora chiariti, procedendo ad una velocità non adeguata alle specifiche condizioni di tempo e di luogo.
La violazione dell’obbligo di attenzione da parte dell’odierno ricorrente è resa palese per i giudici di merito dall’assenza di qualsiasi traccia di frenata della motocicletta che testimonia come il C. non si avvide affatto, se non al momento dell’investimento, del tentativo di attraversamento del pedone.
L’orario notturno, la presenza, circa 80 metri prima dell’impatto, di un attraversamento pedonale con semafori (come si evince dallo schizzo planimetrico in atti), il carattere riservato della corsia, le caratteristiche della strada nelle cui immediate vicinanze insisteva un esercizio commerciale molto frequentato da giovani ((omissis) , cfr. le dichiarazioni di S. ) avrebbero imposto al C. particolare attenzione, procedendo ad una velocità molto moderata, tale da prevenire possibili e prevedibili ostacoli e turbative.
Coerente con l’accaduto appare anche il rilievo che, trattandosi di una strada ad andamento rettilineo, a visuale completamente libera ed in sufficienti condizioni di illuminazione, il conducente della motocicletta, ove avesse mantenuto una velocità particolarmente contenuta, avrebbe potuto avvedersi in tempo utile del tentativo del pedone di attraversare la strada (peraltro L. aveva già attraversato la corsia di sinistra e parte di quella centrale) ed avrebbe potuto frenare o, comunque, porre in essere manovre di emergenza adeguate, idonee ad evitare l’investimento. E che, ovviamente l’imputato non avrebbe potuto impegnare la corsia riservata ai mezzi pubblici e, come detto, in ogni caso tale impegno, proprio perché vietato, avrebbe dovuto indurlo ad una ulteriore maggiore cautela nella conduzione del veicolo.
La perdita del controllo del motociclo e la lunghezza dello scarrocciamento (oltre 22 metri) confermano inoltre che la velocità della Honda Transalp non era affatto moderata.
Una siffatta ricostruzione dei fatti porta alla logica conclusione che non si sia di fronte al caso di un conducente del veicolo investitore che si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di "avvistare" il pedone e di osservarne, comunque, tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso, imprevedibile, potendo solo in tal caso, invero, l’incidente ricondursi eziologicamente proprio esclusivamente alla condotta del pedone, avulsa totalmente dalla condotta del conducente ed operante in assoluta autonomia rispetto a quest’ultima (conferente in tal senso è il richiamo a Sez. 4, n. 10635 del 20/02/2013, Rv. 255288).
4. La sentenza impugnata appare, pertanto, collocarsi correttamente nell’alveo della consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità in relazione al cosiddetto principio di affidamento -complessa questione teorica, ricca di implicazioni applicative- evocato in ricorso a favore dell’imputato assumendosi la non prevedibilità del comportamento tenuto dalla persona offesa, che avrebbe attraversato la strada imprudentemente lontano dalle apposite strisce.
Ebbene, va ricordato che il principio di affidamento, in tema di circolazione stradale, trova un temperamento, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché questo rientri nel limite della prevedibilità (cfr. ex multis le recenti Sez. 4 n. 51747 del 27/11/2019, Ripepi e 10062 del 14/2/2019, Nostrani, non massimate e le conformi Sez. 4, n. 27513 del 10/05/2017, Mulas, Rv. 269997 (alla cui articolata e condivisibile motivazione si rimanda, in un caso in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza con la quale era stata ritenuta la responsabilità per lesioni del conducente di un ciclomotore che aveva investito un pedone mentre attraversava al di fuori delle strisce pedonali, in un tratto rettilineo ed in condizioni di piena visibilità, per la condotta di guida non idonea a prevenire la situazione di pericolo derivante dal comportamento scorretto del pedone, rischio tipico e ragionevolmente prevedibile della circolazione stradale) e Sez. 4, n. 5691 del 2/2/2016, Tettamanti, Rv. 265981).
Nell’affermare il medesimo principio, con altra condivisibile pronuncia (Sez. 4, n. 12260 del 9/1/2015, Moccia ed altro, Rv. 263010), questa Corte di legittimità aveva annullato la sentenza con la quale era esclusa la responsabilità del guidatore per omicidio colposo di un pedone, il quale, sceso dalla portiera anteriore dell’autobus in sosta lungo il lato destro della carreggiata, era passato davanti all’automezzo ed era stato investito dall’imputato, che aveva rispettato il limite di velocità ma non aveva provveduto a moderarla in ragione delle condizioni spazio-temporali di guida e, segnatamente, della presenza in sosta del pullman).
Peraltro, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha condivisibilmente statuito, fin da tempo risalente, che il conducente che noti sul percorso la presenza di pedoni che tardano a scansarsi, deve rallentare la velocità e, occorrendo, anche fermarsi; e ciò allo scopo di prevenire inavvertenze e indecisioni pericolose dei pedoni stessi che si presentino ragionevolmente prevedibili e probabili" (così questa Sez. 4 sent. 8859/1988), in quanto la circostanza che i pedoni attraversino la strada improvvisamente o si attardino nell’attraversare costituisce un rischio tipico e quindi prevedibile della circolazione stradale.
Sempre in tema di pedoni, questa Corte ha più volte affermato che, in tema di reati colposi (omicidio o lesioni) posti in essere nell’ambito della circolazione stradale, per escludere la responsabilità del conducente per l’investimento del pedone è necessario che la condotta di quest’ultimo si ponga come causa eccezionale ed atipica, imprevista e imprevedibile dell’evento, che sia stata da sola sufficiente a produrlo (così questa Sez. 4, sent. n. 10635/2013 e, nello stesso senso sent. 33207/2013 secondo cui "il conducente del veicolo va esente da responsabilità per l’investimento di un pedone quando la condotta della vittima configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista nè prevedibile, da sola sufficiente a produrre l’evento, circostanza questa configurabile ove il conducente medesimo, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di notare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile").
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.