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Attestazione di deposito per il difensore è normale diligenza (Cass. 11440/19)

14 marzo 2019, Cassazione penale

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L’ordinamento attribuisce un potere certificatorio all’autentica della sottoscrizione del proprio assistito in calce all’elezione di domicilio e della procura speciale ai sensi degli artt. 100 e 122 c.p.p., ovvero riconosce uno specifico valore all’attività compiuta dall’avvocato nella redazione dei verbali delle indagini difensive.

Nessuna previsione normativa, di contro, vi è in merito alle diverse attività attraverso le quali il difensore adempie al proprio mandato difensivo come, appunto, la predisposizione, redazione e deposito degli atti difensivi ed anche delle impugnazioni.

Qualora lo stesso ritenga necessario, ovvero anche solo prudente, documentare il corretto adempimento di una specifica attività, quale in particolare il deposito di un atto, è espressamente previsto (per le impugnazioni dall’art. 582 c.p.p.) che lo stesso possa richiedere al funzionario l’attestazione di avvenuto deposito. Attestazione che, peraltro, può essere rilasciata esclusivamente dal pubblico ufficiale a ciò espressamente abilitato, al quale devono essere anche corrisposti i diritti di cancelleria.

Costituisce normale diligenza per il  difensore far certificare il tempestivo deposito dell’atto di appello, pagando i relativi diritti.

L’inesatto adempimento della prestazione professionale da parte del difensore di fiducia, a qualsiasi causa ascrivibile, non è idoneo a realizzare le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore, che si concretano in forze impeditive non altrimenti vincibili, le quali legittimano la restituzione nel termine, poiché consistono in una falsa rappresentazione della realtà, superabile mediante la normale diligenza ed attenzione; nè può essere esclusa, in via presuntiva, la sussistenza di un onere dell’assistito di vigilare sull’esatta osservanza dell’incarico conferito, nei casi in cui il controllo sull’adempimento defensionale non sia impedito al comune cittadino da un complesso quadro normativo.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 8 – 14 marzo 2019, n. 11440
Presidente Gallo – Relatore Besso Monaco

Ritenuto in fatto

La CORTE d’APPELLO di FIRENZE con ordinanza del 12/11/2018 respingeva l’istanza di restituzione nel termine a norma dell’art. 175 c.p.p. per poter proporre impugnazione avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Pistoia il 31/10/2017, divenuta irrevocabile il 16/3/2017, con la quale D.H. veniva condannato per il reato di cui all’art. 628 c.p..
1. D.H. veniva condannato per il reato di rapina con sentenza emessa dal Tribunale di Pistoia.
Avverso la sentenza non risultava essere stato proposto appello e la pronuncia, pertanto, diveniva irrevocabile e la pena posta in esecuzione.
Il ricorrente chiedeva immediatamente spiegazioni al proprio difensore di fiducia che lo rassicurava circa l’avvenuta presentazione dell’appello, anche se dichiarava di non essersi fatto rilasciare l’attestazione di deposito dalla cancelleria e di non poter quindi documentare quanto affermato.
Il D. presentava tempestivamente istanza di restituzione in termini al fine di depositare "nuovamente" i motivi d’appello, probabilmente già depositati.
La Corte territoriale, ritenuto che il mancato adempimento del difensore e la negligenza dello stesso, pur potendo comportare un pregiudizio ai diritti dell’imputato, non costituiscano forza maggiore o causo fortuito, respingeva la richiesta.
1. Avverso l’ordinanza propone ricorso il D. che, a mezzo del difensore, deduce il seguente motivo.
1.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 125 c.p.p. quanto al mancato riconoscimento di caso fortuito e/o della forza maggiore con riferimento alla richiesta di restituzione ai sensi dell’art. 175 c.p.p.. La difesa rileva che il mancato rinvenimento dell’atto di appello nel fascicolo processuale potrebbe essere stata determinata sia dallo smarrimento da parte della cancelleria, sia dalla negligenza del difensore, che, comunque, ne aveva rinvenuto una copia "uso studio" nel proprio fascicolo ed aveva pertanto assicurato al D. di averlo depositato, pur non potendo documentare tale affermazione poiché non aveva fatto apporre sulla copia dell’atto la prevista attestazione. Sotto tali profili il ricorrente, evidenziato che il corretto esercizio del diritto di difesa deve essere garantito in modo effettivo e concreto, così come riconosciuto anche dalla Corte Edu, rileva la necessità di affrontare due diversi profili. Per un aspetto, infatti, considerato che il difensore esercita una funzione pubblica, all’autocertificazione dello stesso rilasciata dovrebbe essere attribuita una rilevanza pari a quella riconosciuta all’attestazione della cancelleria. Per un diverso aspetto, invece, dovrebbe affrontarsi il profilo relativo al dovere dello stato di garantire il diritto di difesa e la libertà dei cittadini, anche qualora la lesione a tali diritti fondamentali sia determinata dall’errore del difensore.
2. In data 15 febbraio 2019 è pervenuta in cancelleria la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa Olga Mignolo, che conclude per l’inammissibilità del ricorso.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile.
1. Le doglianze sono manifestamente infondate.
Per causa di forza maggiore, come correttamente evidenziato dal Procuratore Generale, si intende il fatto umano o naturale al quale il soggetto non può opporre una diversa determinazione e che, per tale motivo, è irresistibile.
Il caso fortuito, invece, consiste in ogni evento inevitabile con la normale diligenza e non imputabile al soggetto a titolo di colpa o dolo.
Ciò che caratterizza dunque il caso fortuito è la sua "imprevedibilità", mentre nota distintiva della forza maggiore è l’elemento della "irresisstibilità" e connotazione comune ad entrambi è la "inevitabilità" del fatto.
Nel caso di specie non vi è una ipotesi di evento inevitabile con la normale diligenza, nè di causa di forza maggiore, cioè di evento irresistibile, giacché, con un comportamento improntato a normale diligenza, il difensore di fiducia avrebbe dovuto depositare l’atto di appello e, sempre che in effetti sia stato depositato, certezza che non può manifestare neanche lo stesso ricorrente, far certificare il tempestivo deposito.
In specifico.
1.1. La rilevata funzione pubblica dell’avvocato non consente di attribuire all’autocertificazione del difensore di avere provveduto a depositare un atto un valore analogo all’attestazione di deposito rilasciata dalla cancelleria.
Le modalità di presentazione dell’impugnazione, infatti, sono tassative ed espressamente previste dall’art. 582 c.p.p. per il quale "il pubblico ufficiale addetto vi appone l’indicazione del giorno in cui riceve l’atto e della persona che lo presenta, lo sottoscrive, lo unisce agli atti del procedimento e rilascia, se richiesto, attestazione della ricezione".
Agli atti, alle dichiarazioni ed alle attestazioni dei soggetti che esercitano una funzione pubblica, d’altro canto, non è attribuito necessariamente il medesimo valore.
Le singole attività, anche svolte dal medesimo soggetto, sono espressione della specifica funzione che di volta in volta le caratterizza ed il rilievo probatorio riconosciuto agli atti in queste compiuti è, nel caso, oggetto di specifica previsione normativa.
Nella peculiare situazione dell’avvocato difensore, ad esempio, l’ordinamento attribuisce un potere certificatorio all’autentica della sottoscrizione del proprio assistito in calce all’elezione di domicilio e della procura speciale ai sensi degli artt. 100 e 122 c.p.p., ovvero riconosce uno specifico valore all’attività compiuta dall’avvocato nella redazione dei verbali delle indagini difensive.
Nessuna previsione normativa, di contro, vi è in merito alle diverse attività attraverso le quali il difensore adempie al proprio mandato difensivo come, appunto, la predisposizione, redazione e deposito degli atti difensivi ed anche delle impugnazioni.
Qualora lo stesso ritenga necessario, ovvero anche solo prudente, documentare il corretto adempimento di una specifica attività, quale in particolare il deposito di un atto, è espressamente previsto (per le impugnazioni dall’art. 582 c.p.p.) che lo stesso possa richiedere al funzionario l’attestazione di avvenuto deposito. Attestazione che, peraltro, può essere rilasciata esclusivamente dal pubblico ufficiale a ciò espressamente abilitato, al quale devono essere anche corrisposti i diritti di cancelleria.

1.2. Le ulteriori critiche secondo le quali, alla luce della giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo, lo stato, e per questo il giudice, avrebbe il dovere di garantire l’effettività del diritto di difesa anche nei casi di negligenza del difensore ovvero dei funzionari della cancelleria, sono manifestamente infondate.

In assenza di attestazione dell’avvenuto deposito dell’impugnazione, l’asserita evenienza che l’atto di appello sia stato smarrito dagli impiegati della cancelleria è ipotetica e non può essere tenuta in alcuna considerazione.

Per quanto attiene al secondo profilo, cioè al dovere del giudice di garantire l’effettività del diritto di difesa in caso di negligenza del difensore, deve evidenziarsi che può ritenersi che tale dovere sorga solo ed esclusivamente nei limitati casi in cui l’omesso adempimento dell’incarico sia stato determinato da una situazione di imprevedibile ignoranza della legge processuale penale tale, nel caso concreto, da configurare un’ipotesi di caso fortuito o forza maggiore (Sez. 2, Sentenza n. 31680 del 14/07/2011, Lan, Rv. 250747; Sez. 6, n. 35149 del 26/06/2009, A., Rv. 244871).

In tutti gli altri casi, come quello di specie, l’inesatto adempimento della prestazione professionale da parte del difensore di fiducia, a qualsiasi causa ascrivibile, non è idoneo a realizzare le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore, che si concretano in forze impeditive non altrimenti vincibili, le quali legittimano la restituzione nel termine, poiché consistono in una falsa rappresentazione della realtà, superabile mediante la normale diligenza ed attenzione; nè può essere esclusa, in via presuntiva, la sussistenza di un onere dell’assistito di vigilare sull’esatta osservanza dell’incarico conferito, nei casi in cui il controllo sull’adempimento defensionale non sia impedito al comune cittadino da un complesso quadro normativo (Sez. U, n. 14991 del 11/04/2006, De Pascalis, Rv. 233419; Sez. 2, n. 48737 del 21/07/2016, Startari, Rv. 268438).
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro duemila a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.