L'assoluzione perchè il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2, ciooè per mancanza, alla insufficienza o alla contraddittorietà della prova - non comporta una minore pregnanza della pronuncia assolutoria nè segnala residue perplessità sull'innocenza dell'imputato: non può pertanto in alcun modo essere equiparata all'assoluzione per insufficienza di prove prevista dal codice di rito in vigore anteriormente alla riforma del 1988.
Cassazione penale
sez. V, Sent., (data ud. 26/09/2014) 27/11/2014, n. 49580
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BEVERE Antonio - Presidente -
Dott. OLDI Paolo - Consigliere -
Dott. FUMO Maurizio - Consigliere -
Dott. SABEONE Gerardo - Consigliere -
Dott. LIGNOLA Ferdinando - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
R.G. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 54/2011 GIUDICE DI PACE di ROVERETO, del 19/04/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/09/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA;
Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Vito D'Ambrosio, ha concluso chiedendo la conversione del ricorso in appello e la conseguente trasmissione degli atti al Tribunale di Rovereto.
Il difensore dell'imputato, avv. FL, ha concluso riportandosi alla memoria in atti e chiedendo l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 19 aprile 2013, il Giudice di pace di Rovereto assolveva R.G. dal reato di lesioni personali lievissime in danno di G.C. perchè il fatto non sussiste. In particolare il Giudice di pace rilevava che la versione della persona offesa non era confermata da molti altri testi che affermavano essere presenti, in contrasto con quanto riferito dal G..
2. Propone ricorso per cassazione personalmente l'imputato, con atto affidato a due censure, chiedendo l'annullamento della sentenza, poichè l'assoluzione non è intervenuta con formula piena ex art. 530 c.p.p., comma 1, ma solo ai sensi del comma 2.
Si sottolinea che dalla vicenda sono sorti ulteriori contenziosi, essendo la persona offesa all'epoca dei fatti un lavoratore dipendente dell'azienda dell'imputato, conseguenti al licenziamento del G.: il licenziamento è stato annullato dal giudice del lavoro, sul presupposto che non fosse dimostrata la sussistenza della giusta causa o giustificato motivo; inoltre due procedimenti penali per calunnia, a seguito di denunce reciproche, sono stati archiviati.
2.1 Con il ricorso si deduce violazione di legge, in relazione all'art. 530 c.p.p. e vizio di motivazione, poichè dalle deposizioni testimoniali emergeva la piena prova che l'imputato non aveva colpito la persona offesa, anche perchè non avrebbe potuto farlo.
Il ricorrente esamina la testimonianza di tale signor R., erroneamente valutata dal giudice del lavoro, le cui dichiarazioni sono state a suo giudizio travisate; quindi sottolinea che tutti i testi della parte civile non erano presenti ai fatti e che si sono limitati a riferire quanto appreso dalla stessa persona offesa; che il certificato del pronto soccorso non ha alcuna valenza probatoria, come sottolineato anche nella sentenza impugnata; che le deposizioni dei testimoni della difesa sono state ritenute pienamente attendibili e coerenti.
Di conseguenza si ritiene illegittima la sentenza impugnata, nella parte in cui ritiene che non possa essere raggiunta la prova del fatto, in presenza invece di una prova negativa.
3. Con memoria depositata in data 8 luglio 2014, il difensore della parte civile chiede la dichiarazione di inammissibilità, o, in subordine, il rigetto del ricorso proposto dall'imputato.
Sotto il primo profilo si evidenzia che l'imputato sollecita una diversa ricostruzione dei fatti ed un accertamento del fatto materiale, che solo in sede di appello egli avrebbe potuto ottenere;
inoltre si deduce la violazione del principio di autosufficienza del ricorso, poichè i vari atti del processo richiamati, ossia le deposizioni testimoniali di primo grado, non sono trascritte nell'atto di impugnazione.
Sotto il secondo profilo, si sottolinea che nessun teste escusso al dibattimento di primo grado ha mai categoricamente escluso che l'imputato possa aver colpito il G.; vengono in proposito riportati ampi stralci delle dichiarazioni dei testi.
4. Con memoria depositata in data 19 settembre 2014, il difensore dell'imputato, avv. Luigi Favino, chiede che il ricorso sia considerato ammissibile, poichè il D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 37, comma 2, ammette solamente il ricorso per cassazione contro la sentenza di proscioglimento del giudice di pace.
L'interesse del ricorrente è dato dalla condanna della Corte d'appello di Trento, sezione lavoro, al risarcimento dei danni per oltre Euro 100.000 in favore della parte civile, ex dipendente, ai sensi dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori. La pronuncia ex art. 530 c.p.p., comma 1, consentirebbe di fornire quella prova della giusta causa/giustificato motivo del licenziamento che la Corte d'appello di Trento ha ritenuto carente.
Nel merito si richiamano le argomentazioni già esposte nel ricorso e si ribadisce che la ricostruzione dei fatti proposta da G. C. è totalmente smentita dall'istruttoria dibattimentale, alla luce delle deposizioni dei testi R.F., R.D. e R., che sono riportate in alcuni passaggi. Anche alcune parole di T. e C. si desume che il pugno sarebbe stato dato alla presenza di tutti testimoni, che però negano.
Il certificato del pronto soccorso non ha alcuna valenza probatoria, poichè attesta esclusivamente un dolore al tatto.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
L'imputato è stato assolto dal reato di lesioni personali lievissime in danno di G.C. perchè il fatto non sussiste, ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2.
Come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, alla quale il Collegio ha aderito, non sussiste l'interesse dell'imputato, assolto perchè il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2, a proporre impugnazione, atteso che tale formulazione - relativa alla mancanza, alla insufficienza o alla contraddittorietà della prova - non comporta una minore pregnanza della pronuncia assolutoria nè segnala residue perplessità sull'innocenza dell'imputato: non può pertanto in alcun modo essere equiparata all'assoluzione per insufficienza di prove prevista dal codice di rito in vigore anteriormente alla riforma del 1988 (Sez. 5, n. 842 del 24/11/2005 - dep. 12/01/2006, Fossatelli, Rv. 233754; Sez. 6, n. 4454 del 13/12/2004 - dep. 08/02/2005, Calabrese, Rv. 230821).
1.1 Il ricorrente richiama l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale l'interesse dell'imputato a impugnare la sentenza di assoluzione emessa ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2 (limitatamente all'ipotesi che manchi, sia insufficiente o contraddittoria la prova che il fatto sussiste o che l'imputato lo ha commesso), va valutato in concreto, sul piano delle conseguenze pratiche e attuali della pronunzia, con riferimento alle potenziali interferenze giuridiche rilevanti per l'imputato (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226091; Sez. 5, n. 45091 del 24/10/2008, Burini, Rv. 242612; Sez. 5, n. 40826 del 21/09/2004, Belluomini, Rv. 230112); in quelle decisioni, però, si fa riferimento all'accertamento positivo di un fatto materiale suscettibile, una volta divenuta irrevocabile la decisione, di pregiudicare, a norma e nei limiti segnati dall'art. 654 c.p.p., le situazioni giuridiche a lui facenti capo, in giudizi civili o amministrativi diversi da quelli di danno e disciplinari regolati dagli artt. 652 e 653 c.p.p.).
Nel caso di specie, invece, quello che il ricorrente contesta è proprio la formula assolutoria, perchè a suo giudizio avente una minore valenza rispetto a quella invocata, il che è pacificamente escluso, con riferimento ai giudizi civili, dal tenore letterale degli articoli 652 e 654 c.p.p..
1.2 Inoltre con riferimento al richiamato indirizzo giurisprudenziale, va detto che si è precisato che laddove si ritenga sussistere l'interesse, essendo già stata pronunziata una decisione di proscioglimento, è condizione comunque necessaria che il ricorso contenga elementi tali da non procrastinare l'esito del procedimento, a fronte del principio generale espresso dall'art. 129 c.p.p. di obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità (Sez. 6, n. 21625 del 16/05/2002, Fortunato, Rv. 222245).
Nel caso di specie, invece, il ricorrente denuncia vizi di motivazione (non potendosi apprezzare autonomamente la doglianza di violazione dell'art. 530 c.p.p., che si risolve nella censura di vizio motivazionale) che, anche data per ammessa la loro fondatezza, condurrebbero ad un annullamento con rinvio, il che evidente non sarebbe possibile, essendo già stata pronunziata una decisione di proscioglimento.
1.3 Peraltro le doglianze del ricorrente appaiono inammissibili anche sotto altri due profili: perchè non consentite dalla legge penale, essendo volte a sollecitare alla Corte una diversa lettura degli atti probatori, inammissibile in sede di legittimità; per carenza del requisito della specificità, poichè segnalano il travisamento di alcune deposizioni - richiamandone anche alcuni brani - senza una completa trascrizione dell'integrale contenuto delle dichiarazioni rese dai testi, il che evidentemente non consente l'effettivo apprezzamento del vizio dedotto (Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, Buzi, Rv. 241023).
1.4 Con riferimento al primo aspetto, va ribadito che gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguenza che sono inammissibili in sede di legittimità le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del materiale probatorio (di recente, v. Sez. 5, n 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168 e, in motivazione, Sez. 5, n. 49362 del 19/12/2012, Consorte).
1.5 riguardo al secondo profilo, è bene ricordare che, in tema di denuncia del vizio di travisamento della prova, la giurisprudenza di legittimità richiede che, quando il detto vizio riguardi una prova testimoniale, questa non solo sia indicata con riferimento alla citazione saliente che ne ha fatto il giudice di merito, ma anche che sia, o allegata in copia al ricorso, o quantomeno riportata, inserendola nel corpo del ricorso stesso, mediante la riproduzione xerografica (ossia riproduzione istantanea del documento) dello stralcio della trascrizione della testimonianza medesima, in modo da consentire l'effettivo apprezzamento del vizio dedotto (Sez. 1, n. 25834 del 4/5/2012, Massaro, Rv. 253017).
2. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.
2.1. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma alla cassa delle ammende che si stima equo liquidare in cinquecento Euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 26 settembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2014