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Aggredire non è eccesso colposo di legittima difesa (Cass. 29365/19)

4 luglio 2019, Cassazione penale

L'eccesso colposo nella legittima difesa si verifica quando la giusta proporzione fra offesa e difesa venga meno per colpa, intesa come errore inescusabile, per precipitazione, imprudenza o imperizia nel calcolare il pericolo e i mezzi di salvezza: si fuoriesce dall’eccesso colposo tutte le volte in cui i limiti imposti dalla necessità della difesa vengano superati in conseguenza della scelta deliberata di una condotta reattiva, la quale comporta il superamento, cosciente e volontario, dei suddetti limiti, trasfigurandosi in uno strumento di aggressione.

Il giudizio sulla sussistenza dei caratteri della legittima difesa deve tener conto della situazione di fatto esterna e delle circostanze di accadimento della vicenda, secondo una valutazione di carattere relativo e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, cui spetta esaminare, oltre che le modalità del singolo episodio in sé considerato, anche tutti gli elementi fattuali antecedenti all’azione che possano aver avuto concreta incidenza sull’insorgenza dell’erroneo convincimento di dover difendere sé o altri da un’ingiusta aggressione: non possono considerarsi sufficienti a tale verifica gli stati d’animo ed i timori personali.

Al fine della sussistenza dell’attenuante della provocazione, sebbene non occorra una vera e propria proporzione tra offesa e reazione, è comunque necessario che la risposta sia adeguata alla gravità del fatto ingiusto, in quanto avvinta allo stesso da un nesso causale, che deve escludersi in presenza di un’evidente sproporzione.

Corte di Cassazione

sez. V Penale, sentenza 22 marzo – 4 luglio 2019, n. 29365

Presidente Morelli – Relatore Brancaccio

Ritenuto in fatto

1. Con il provvedimento impugnato, emesso il 11.9.2017, la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del GUP presso il Tribunale di Roma, emessa il 12.1.2016 all’esito di giudizio abbreviato, ha ridotto la pena inflitta nei confronti di B.C. alla misura di anni due di reclusione, concesse le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti e la sospensione condizionale, confermando la condanna nei suoi confronti in relazione al reato di lesioni gravi di cui all’art. 582 c.p., art. 583 c.p., comma 1, nn. 1 e 2 e art. 577 c.p., commesso ai danni di D.T.T. il (omissis).

Il contesto dei fatti è quello di un litigio per futili motivi degenerato nella condotta dell’imputato che, pugile professionista, ha colpito la vittima con due violenti pugni al volto, procurandogli ematomi ed edema cerebrale, nonché la frattura di alcune ossa del volto e delle ossa nasali, che hanno determinato una malattia superiore ai quaranta giorni e l’indebolimento permanente del braccio sinistro e dell’apparato cognitivo-neurologico.

2. Avverso la sentenza della Corte d’appello propone ricorso l’imputato, tramite il proprio difensore avv. B, deducendo due motivi di ricorso.

2.1. Il primo motivo rappresenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla invocata sussistenza dell’eccesso colposo in legittima difesa previsto dall’art. 55 c.p..
Le ragioni addotte dai giudici di secondo grado per escludere la sussistenza dell’eccesso colposo in legittima difesa sono contraddittorie rispetto alle premesse della ricostruzione dei fatti accaduti la notte del delitto: da un lato, si afferma che la vittima, avrebbe immotivatamente minacciato e ingiuriato l’imputato, arrivando anche a colpirlo e mettendogli le mani intorno al collo; dall’altro, si esclude la condotta di aggressione violenta da parte del D.T., ritenendolo, invece, oggetto di una azione senza proporzione e relazione alcuna con la sua provocazione.
Non si è tenuto conto, inoltre, delle circostanze esterne al reato, che hanno potuto influenzare la percezione della sussistenza di un pericolo di un danno grave alla persona: i fatti sono accaduti in piena notte; l’imputato si trovava con la sua fidanzata ed è stato mosso dall’intento di difendere anche costei oltre che sé stesso: entrambi erano molto giovani; la vittima era in evidente stato di alterazione per l’uso di alcol e stupefacenti ed era noto nel quartiere per avere una cattiva reputazione; l’imputato aveva subito comunque un tentativo di aggressione ed era stato colpito al collo dalla persona offesa.
Si evidenzia ancora che le conseguenze lesive gravi riportate dalla vittima sono incorse come conseguenza non già dei colpi subiti, bensì della caduta in terra, come precisato anche dal GUP nella prima sentenza di merito.
Infine, premessi i caratteri di configurabilità dell’eccesso colposo in legittima difesa, il ricorso deduce la sussistenza quanto meno di una delle due ipotesi possibili: l’eccesso conseguente ad una erronea valutazione della situazione di fatto; l’eccesso conseguente ad una corretta valutazione della situazione fatto, ma dovuto alla imprudenza, negligenza o imperizia nell’attività esecutiva della reazione difensiva.

2.2. Il secondo motivo argomenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e) ed all’art. 62 c.p., n. 2, per aver il giudice d’appello escluso la sussistenza dell’attenuante della provocazione, palesemente configurabile nel caso di specie, per come ricostruiti gli eventi dall’istruttoria dibattimentale.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è nel suo complesso infondato e deve essere, pertanto, rigettato.

2. Quanto al primo motivo difensivo, anzitutto è utile ricordare gli approdi ai quali è pervenuta la giurisprudenza di legittimità sul tema della legittima difesa e, successivamente, su quello dell’eccesso colposo previsto dall’art. 55 c.p..

Deve rammentarsi che può parlarsi di eccesso colposo in legittima difesa se, nella necessaria valutazione logica della fattispecie, si sono precedentemente ritenute sussistenti le condizioni per la configurabilità della scriminante di cui all’art. 52 c.p..

Non può essere configurato l’eccesso colposo previsto dall’art. 55 c.p. in mancanza di una situazione di effettiva sussistenza della singola scriminante, di cui si eccedono colposamente i limiti. In altre parole, l’assenza dei presupposti della scriminante della legittima difesa, in specie del bisogno di rimuovere il pericolo di un’aggressione mediante una reazione proporzionata ed adeguata, impedisce di ravvisare l’eccesso colposo nella medesima scriminante, che si caratterizza per l’erronea valutazione di detto pericolo e della adeguatezza dei mezzi usati (Sez. 1, n. 18926 del 10/4/2013, Paoletti, Rv. 256017; Sez. 5, n. 2505 del 14/11/2008, dep. 2009, Olari, Rv. 242349; Sez. 1, n. 45425 del 25/10/2005, Bollardi, Rv. 233352).

Ancor più specificamente, con riferimento all’eccesso colposo, deve ribadirsi che, per stabilire se nel fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della difesa legittima, bisogna prima accertare la inadeguatezza della reazione difensiva, per l’eccesso nell’uso dei mezzi a disposizione dell’aggredito in un preciso contesto spazio temporale e con valutazione ex ante, e occorre poi procedere ad un’ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, dato che solo il primo rientra nello schema dell’eccesso colposo delineato dall’art. 55 c.p., mentre il secondo consiste in una scelta volontaria, la quale comporta il superamento doloso degli schemi della scriminante (cfr. la citata sentenza n. 45425 del 2005).

Detto altrimenti, l’eccesso colposo nella legittima difesa si verifica quando la giusta proporzione fra offesa e difesa venga meno per colpa, intesa come errore inescusabile, per precipitazione, imprudenza o imperizia nel calcolare il pericolo e i mezzi di salvezza, ma invece si fuoriesce dall’eccesso colposo tutte le volte in cui i limiti imposti dalla necessità della difesa vengano superati in conseguenza della scelta deliberata di una condotta reattiva, la quale comporta il superamento, cosciente e volontario, dei suddetti limiti, trasfigurandosi in uno strumento di aggressione (Sez. 1, n. 45407 del 10/11/2004, Podda, Rv. 230393; Sez. 3, n. 30910 del 27/4/2018, L., Rv. 273731).

È pur vero che il giudizio sulla sussistenza dei caratteri della legittima difesa deve tener conto della situazione di fatto esterna e delle circostanze di accadimento della vicenda, secondo una valutazione di carattere relativo e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, cui spetta esaminare, oltre che le modalità del singolo episodio in sé considerato, anche tutti gli elementi fattuali antecedenti all’azione che possano aver avuto concreta incidenza sull’insorgenza dell’erroneo convincimento di dover difendere sé o altri da un’ingiusta aggressione (Sez. 4, n. 24084 del 28/2/2018, Perrone, Rv. 273401).

Tuttavia, non possono considerarsi sufficienti a tale verifica gli stati d’animo ed i timori personali (Sez. 1, n. 13370 del 5/3/2013, R., Rv. 255268).

Sul tema dell’apprezzamento riservato al giudice di merito in materia di scriminante della legittima difesa ed eccesso colposo, deve, infine, ricordarsi che costituisce orientamento condiviso e da ribadirsi in questa sede quello secondo cui il riconoscimento o l’esclusione della legittima difesa, reale o putativa, e dell’eccesso colposo nella stessa costituiscono un giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità quando gli elementi di prova siano stati puntualmente accertati e logicamente valutati dal giudice di merito (Sez. 1, n. 3148 del 19/2/2013, dep. 2014, Mariani, Rv. 258408).

Alla luce della ricostruzione giuridica sin qui operata, deve concludersi senza dubbio, esaminate le pronunce di merito che formano insieme una "doppia statuizione conforme" in ordine alla decisione di insussistenza della scriminante della legittima difesa e, di conseguenza, dell’ipotesi collegata di eccesso colposo ai sensi dell’art. 55 c.p., nel senso della correttezza delle argomentazioni logico giuridiche alla base della opzione decisoria.

In particolare la pronuncia di primo grado, cui quella di secondo grado si richiama, ha messo in evidenza che l’aggressione dell’imputato è stata frutto di una scelta deliberata di tenere una condotta reattiva assolutamente ingiustificata rispetto alla banale e modesta offesa ricevuta - neppure verosimilmente consistita in un contatto fisico inidonea a costituire in alcun modo viatico per un timore per la propria incolumità da parte sua ovvero per quella della sua fidanzata.

Nella stessa linea di insussistenza dei caratteri per individuare, nel caso di specie, una ipotesi di legittima difesa si muovono anche gli argomenti collegati alla violenza ed al numero dei colpi inferti, nonché alla condizione di particolare capacità offensiva del ricorrente, pugile professionista.

La Corte d’Appello ha, poi, adeguatamente motivato sulla insussistenza della legittima difesa facendo riferimento anche ad alcuni indicatori fattuali di contorno: il fatto che l’imputato non ha riportato alcuna lesione per la condotta della persona offesa; la ricostruzione dei fatti e della condotta del D.T. offerta dalle testimonianze dei due soggetti terzi estranei che vi hanno assistito (F.F. e D.R.N. ), i quali hanno rappresentato la condotta della vittima come del tutto inidonea ad assumere le forme di una aggressione, men che meno violenta, ed invece solo connotata da un atteggiamento molesto.

Anche quanto al nesso causale, le motivazioni di merito rispondono alla esigenza di rappresentare l’assenza di qualsiasi interruzione causale tra i colpi inferti alla vittima e la caduta rovinosa in terra cui sono conseguite le lesioni gravi ai suoi danni.

3. La censura che attiene alla mancata concessione della attenuante della provocazione è manifestamente infondata, oltre che parzialmente generica, sicché si rivela inammissibile.
I giudici di merito, in particolare il GUP nella prima sentenza, hanno escluso con ampie argomentazioni la possibilità di configurare a vantaggio del ricorrente una ipotesi di provocazione: la incomparabile differenza tra la banalità delle molestie che la vittima pose in essere nei confronti dell’imputato e la sua spropositata, violenta reazione chiude il cerchio motivazionale della insussistenza della attenuante invocata.

Ed infatti, deve ribadirsi che, al fine della sussistenza dell’attenuante della provocazione, sebbene non occorra una vera e propria proporzione tra offesa e reazione, è comunque necessario che la risposta sia adeguata alla gravità del fatto ingiusto, in quanto avvinta allo stesso da un nesso causale, che deve escludersi in presenza di un’evidente sproporzione (Sez. 1, n. 52766 del 13/6/2017, M C., Rv. 271799; Sez. 1, n. 701 del 3/11/1997, dep. 1998, Caruso, Rv. 209402; sul criterio della adeguatezza in tema di provocazione, cfr. anche Sez. 5, n. 24693 del 273/2004, Vannozzi, Rv. 228861).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.