I reati in materia di accesso abusivo a un sistema informatico, quando riguardano condotte penalmente rilevanti tenute da pubblici ufficiali nell'esercizio delle proprie funzioni, implicano di per sé un forte disvalore sociale e - unitamente al clamore mediatico - sono in grado di ledere l'immagine di imparzialità della Pubblica Amministrazione per il fatto stesso del loro compimento.
Corte dei Conti
sez. giurisdizionale Regione Veneto, sent., 19 marzo 2025, n. 75
Fatto e diritto
1. Con atto di citazione depositato in data 2 ottobre 2024 la Procura erariale - dopo aver richiamato le complesse vicende dei procedimenti penali n. 10763/17 R.G. e n.12212/14 R.G.N.R. della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia in relazione a fattispecie di corruzione, collusione, accesso abusivo ai sistemi informativi e diffusione di notizie coperte dal segreto d'ufficio, finalizzati a favorire imprese private venete interessate da accertamenti fiscali o comunque attenzionate dalla suddetta Agenzia - conveniva in giudizio il Tenente colonnello C.V., all'epoca dei fatti in servizio presso il Comando regionale Veneto della Guardia di finanza, per vederlo condannare al risarcimento del danno all'immagine cagionato al proprio Corpo di appartenenza nella misura di euro 20.000,00.
La domanda veniva proposta dal requirente in conseguenza della condanna penale del convenuto, passata in giudicato, disposta dalla Corte d'Appello di Venezia con sentenza n. 4177/2021 per il reato di cui all'art. 615-ter c.p. per accesso abusivo, a fini personali, alla banca dati telematica dell'Anagrafe Tributaria, in uso ai militari della G.d.F.; tali accessi avvenivano allo scopo di effettuare interrogazioni su soggetti privati, non connessi in alcun modo ad attività di servizio, con diffusione delle stesse.
2. Riferiva in particolare il Pubblico Ministero che nell'ambito del procedimento penale che era scaturito dall'attività di indagine, la ridetta sentenza d'appello - che aveva confermato la precedente condanna in primo grado dell'odierno convenuto a 4 anni di reclusione per i reati di cui agli artt. 110,346 c.p., all'art. 3 della L. n. 1383/1941, e 615 ter c.p., (mentre aveva disposto assoluzione per i reati di cui agli artt. 319,326,479 e 640, c.p.) era stata impugnata con esito favorevole limitatamente ai reati di cui agli artt. 346 c.p. bis e 3 della L. n. 1383/1941. Era invece passata in giudicato, per omessa impugnazione, relativamente al reato di accesso abusivo ai sistemi informatici di cui all'art. 615 ter c.p.
Richiamato l'indirizzo interpretativo secondo il quale, a seguito dell'abrogazione dell'art. 7 della L. n. 97/2001, il danno all'immagine sarebbe azionabile in tutte le ipotesi di reati commessi “a danno della P.A.” (e, dunque, non soltanto per i reati c.d. “propri”) - intendendosi per tali tutti i reati che abbiano pregiudicato l'immagine pubblica - il requirente evidenziava che nel caso di specie ricorrevano i presupposti per l'attivazione dell'azione risarcitoria, essendo stata emessa una sentenza passata in giudicato per il reato di accesso abusivo a banche dati informatiche, commesso in occasione dell'attività d'ufficio e abusando della pubblica funzione svolta (oltre che della qualifica rivestita all'interno del Corpo della G.d.F.) ed essendosi verificato ampio clamore mediatico della vicenda che aveva gettato discredito sull'amministrazione, minandone la credibilità, come dimostrerebbero i numerosi articoli apparsi sulla stampa.
Non potendo operare nel caso di specie il criterio legale del duplum, il danno veniva quantificato in via equitativa in ragione: a) dell'intensità del clamor mediatico (interno ed esterno) del reato accettato, della gravità del comportamento illecito tenuto dal pubblico dipendente nonché dell'entità del suo scostamento rispetto ai canoni ai quali egli avrebbe dovuto ispirarsi (criterio oggettivo); b) della tipologia di amministrazione interessata, del grado rivestito ed del ruolo svolto dal dipendente pubblico e della valenza rappresentativa che tale soggetto esercitava nell'ambito della collettività territoriale presso cui operava (criterio soggettivo); c) dell'ampiezza della diffusione, nell'ambiente sociale (clamor fori interno ed esterno), dell'immagine negativa della P.A. interessata derivante dal comportamento illecito posto in essere dal proprio dipendente, in un significativo arco temporale (criterio sociale).
Sulla base di tali criteri, e anche considerato che la vicenda si inseriva in un contesto più ampio – pur non potendosi comunque accogliere integralmente le deduzioni della difesa formulate nel corso dell'istruttoria erariale - l'iniziale contestazione di danno per l'importo di euro 50.000,00 effettuata con l'invito a fornire deduzioni, veniva ridotta dall'inquirente ad euro 20.000,00.
3. Con memoria del 23 gennaio 2025, a mezzo dell'Avv. G.T. del foro di Treviso, si costituiva in giudizio il convenuto C.V., il quale contestava l'ammissibilità e la fondatezza della domanda della Procura erariale e concludeva per il rigetto della domanda. Evidenziando che la condotta di cui all'art. 615 ter c.p. era l'unica penalmente rilevante posta in essere dal dottor C.V. tra le molteplici contestate nel procedimento penale che lo aveva coinvolto, il convenuto eccepiva, anche attraverso richiami giurisprudenziali di segno opposto, la non condivisibilità dell'orientamento giurisprudenziale secondo il quale, con l'introduzione dell'art. 51, comma 7 c.p.c. e con l'abrogazione dell'art. 7 della L. 27 marzo 2001, n. 97, l'azione risarcitoria per danno d'immagine della pubblica amministrazione sarebbe stata estesa a tutte le ipotesi di reato commesse in danno della P.A. e non più soltanto limitata ai casi di condanna per i delitti commessi dai pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione di cui al Libro II, Titolo II, Capo I, del Codice penale.
Nel merito, veniva eccepita l'insussistenza di un danno all'immagine della P.A. riconducibile al convenuto, dovendosi considerare che nel caso di specie l'attenzione mediatica della vicenda derivava dalla rilevanza delle persone coinvolte nelle indagini e dalla gravità dei fatti contestati, essenzialmente di corruzione, tuttavia diversi da quelli per le quali era intervenuta la condanna del convenuto, posto che nessuno degli articoli pubblicati a mezzo stampa e online aveva mai fatto riferimento a questi ultimi.
In ogni caso veniva contestata la quantificazione del danno effettuata dall'atto di citazione in considerazione dell'estrema genericità nell'allegazione dei criteri utilizzati, mancando un'analisi in concreto delle singole fattispecie del comportamento illecito posto in essere dal convenuto.
4. All'udienza odierna la Procura erariale insisteva nelle domande formulate evidenziando che anche reati non formalmente ricompresi tra quelli di cui al Libro II, Titolo II, Capo I, del Codice penale potevano ugualmente ledere l'immagine della P.A. ogni qualvolta il fatto fosse commesso nell'esercizio di funzioni pubbliche.
L'Avv. G.T., nell'interesse del convenuto ribadiva le eccezioni preliminari e di merito già sollevate con la memoria di costituzione in giudizio ed insisteva per il rigetto delle domande formulate dalla Procura regionale, sia per l'assenza di clamor fori (non rinvenendosi articoli di stampa che riguardassero il reato di accesso abusivo), sia anche alla luce della carente descrizione dell'atto di citazione in ordine alle funzioni svolte ed alla lesione asseritamente portata all'immagine dell'Amministrazione.
5. L'azione della Procura regionale è parzialmente fondata, potendo trovare accoglimento nei limiti quantificatori che seguono a seguito della condanna del convenuto, passata in giudicato, per il reato di accesso abusivo alla banca dati dell'Anagrafe Tributaria in uso al Corpo della Guardia di Finanza ai sensi dell'art.615 ter c.p., in riferimento alle quali sussistono i presupposti di legge di cui all'art.1, comma 1 sexies della legge n. 20/1994.
6. Dandosi continuità all'indirizzo interpretativo di questa Sezione (Corte dei conti Sez. Veneto n.15/2023 e, da ultimo, proprio con riferimento ad ipotesi di reato di accesso abusivo ex art. 615 ter, Corte dei conti, Sez. Veneto n.257/2024) - qui richiamato anche ai sensi dell'art.17, comma 1, dell'allegato 2 al D.lgs. n.176/2016 - il Collegio ritiene infatti che sussistano tutti gli elementi previsti dalla legge per potersi addivenire ad una sentenza di condanna secondo quanto previsto dall'art. 17, comma 30-ter, del D.L. n. 78/2009, conv. nella L. n. 102/2009 (da leggersi in uno con l'art.1, comma 1 sexies, della legge n.20/1994), essendo stata allegata in atti la sentenza penale di condanna del convenuto, munita dell'attestazione di irrevocabilità, per un reato commesso in danno della Pubblica Amministrazione (e nell'esercizio di pubbliche funzioni) ed essendo comprovato in atti, mediante l'allegazione di articoli di stampa, anche l'ulteriore elemento del clamor fori, (concretizzato al contempo anche dalla propalazione della notizia anche all'interno dello stesso Corpo della Guardia di Finanza).
6.1 Quanto al rilievo del reato di cui all'art. 615 ter c.p. ai fini della risarcibilità del danno all'immagine cagionato alla P.A. davanti al Giudice contabile, la sua rilevanza deve ritenersi conclamata alla luce delle previsioni dell'art.1 comma 1 sexies, della legge n. 20/1994, il quale prevede la risarcibilità del danno all'immagine della pubblica amministrazione “derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione” e soprattutto, dell'art. 51, comma 7, del d.lgs. n.174/2016 ai sensi del quale “La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché degli organismi e degli enti da esse controllati, per i delitti commessi a danno delle stesse, è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova l'eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall'articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271”.
Orbene, dal tenore testuale delle richiamate disposizioni - essendo stata al contempo abrogata dalle stesse norme transitorie del codice di giustizia contabile (art. 4, lett. g ed h), la previsione dell'art.7 della legge n. 97/2001 (richiamato dall'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge n. 78/2009, con effetti, in passato, implicitamente limitativi dell'ambito di esercizio dell'azione di responsabilità per il risarcimento del danno all'immagine ai soli reati propri dei pubblici ufficiali di cui al capo I del titolo II del libro II del codice penale) - deriva la perseguibilità del danno all'immagine della pubblica amministrazione ogni qual volta la commissione di un reato commesso “a danno” dell'Amministrazione (accertato con sentenza di condanna passata in giudicato) abbia leso il prestigio e l'imparzialità dell'Amministrazione stessa.
Ed è appunto questo il caso di specie, poiché il convenuto si è reso responsabile di un fatto di reato con condotte di accesso abusivo, per fini privati, ad una banca dati riservata della Pubblica Amministrazione in un settore cruciale quale quello dell'Anagrafe Tributaria.
7. Al riguardo le deduzioni della difesa del convenuto, il quale ha eccepito l'indeterminatezza e la genericità dell'atto di citazione, non colgono nel segno: l'oggetto della domanda è infatti compiutamente definito da un lato dalla sentenza di condanna passata in giudicato - nell'ambito della quale trova descrizione, anche ai fini della valutazione della gravità del fatto, la fattispecie di reato compiuto dal dott. C.V., peraltro già sufficientemente richiamata nell'atto di citazione e che tra l'altro verrà qui di seguito valorizzata allo scopo di consentire la corretta quantificazione del danno - e, dall'altro, nei diffusi ragionamenti sottesi alla quantificazione del danno effettuati dalla Procura erariale con ampio richiamo ai criteri oggettivo, soggettivo e sociale (citazione, pagg. 8-9-10).
Deve, inoltre, essere puntualizzato che non sussistendo alcuna contestazione in ordine alla commissione dei fatti che hanno costituito oggetto dell'accertamento penale, è la stessa sentenza n.4177/2021 della Corte d'Appello di Venezia, passata in giudicato il 22.2.2023, a dare conto della sostanziale confessione dell'odierno convenuto in merito agli stessi fatti e della proposizione in sede penale di un atto di appello ai limiti dell'ammissibilità.
8. Ciò premesso, nonostante effettivamente gli articoli di stampa allegati al fascicolo abbiano avuto in maniera preponderante ad oggetto anche le vicende di altri compartecipi alla vicenda criminosa - e, per quanto attiene all'odierno convenuto, abbiano dato risalto principalmente alla commissione di fatti materiali astrattamente rilevanti in sede penale per i quali è intervenuta la sua assoluzione - la vicenda dell'accesso abusivo al sistema informatico per il quale egli è stato condannato ha nondimeno avuto, ad avviso del Collegio, un suo proprio rilievo mediatico in grado di determinare pregiudizio alla funzione svolta da convenuto e di gettare discredito sull'intero Corpo della Guardia di Finanza e dei suoi componenti.
8.1 A tal fine occorre considerare, anzitutto, che gli articoli di stampa allegati dal requirente, indubbiamente incentrati principalmente sulla descrizione di fatti corruttivi, hanno comunque riportato il coinvolgimento del convenuto nel complesso della vicenda penale oggetto di attenzione mediatica (vedi ad es. trafiletto del Gazzettino di Treviso dell'1.12.2007, pag.155 del file rassegna stampa GDF) e, quindi nell'insieme delle contestazioni effettuate davanti al giudice penale (ivi compreso dunque anche il reato di accesso abusivo ex art. 615 ter c.p.); ma, soprattutto, che alcuni articoli di stampa - contrariamente a quanto dedotto dalla difesa del C.V. - hanno avuto ad oggetto proprio le indagini e la condanna per il reato di accesso abusivo, propalando così nell'opinione pubblica la notizia dello specifico comportamento illecito tenuto dal convenuto e della sua condanna penale (vedi La Nuova di Venezia e Mestre 21 febbraio 2021, pag.135 e pag.159 del file rassegna stampa scansionata; Il Gazzettino del Nordest 1.12.2007, pag.150 e 154 del file rassegna stampa GDF; Corriere del Veneto 1.12.2017, pag. 152-154-156 del file rassegna stampa GDF).
A tale propalazione, per così dire esterna, si accompagna poi la diffusione della notizia all'interno dello stesso Corpo della Guardia di Finanza, certamente edotto della grave compromissione dell'imparzialità ad esso attribuita nell'esercizio delle sue funzioni istituzionali in ambito tributario avendo altri componenti dello stesso Corpo tra l'altro provveduto allo svolgimento dell'indagine penale ed alle relative segnalazioni alle autorità procedenti (sul rilievo interno della lesione all'immagine della P.A. vedi da ultimo Corte dei conti, Sez. I App n.10/2025; Sez. Toscana n.97/2024, Sez. Lombardia n.148/2024), dovendosi tra l'altro tenere presente che secondo condivisibile indirizzo interpretativo “la lesione dell'immagine della p.a., determinata dalla dolosa violazione degli obblighi di correttezza e di fedeltà posta in essere mediante comportamenti illeciti aventi rilievo penale, può verificarsi anche senza alcuna eco mediatica dei medesimi (ex multis, Sez. II app. n. 250/2019, n.178/2020, n. 183/2020, n.290/2020, n. 181/2019, n. 563/2018, n. 271/2017; Sez. I app. n. 376/2023, n.490/2021, n.283/2023). Ciò in quanto, “il clamore e la risonanza non integrano la lesione ma ne indicano la dimensione” dal momento che essa può sostanziarsi “sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell'agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell'ente e, quindi, nell'agire dell'ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l'ente di norma interagisca” (Sez.riun.10/2003/QM cit.)” (in tal senso Corte dei conti, Seconda Sez. App. n.127/2024).
8.2 Sotto altro profilo non può poi ignorarsi che i reati sanzionati dall'art. 615 ter, comma 1, comma 2, n.1) e comma 3, c.p., riguardano condotte penalmente rilevanti tenute da pubblici ufficiali nell'esercizio delle proprie funzioni, implicanti di per sé un forte disvalore sociale ed in grado di ledere l'immagine di imparzialità della Pubblica Amministrazione per il fatto stesso del loro compimento.
Nel caso di specie, il convenuto in giudizio - in posizione di assoluto rilievo per il grado rivestito di tenente colonnello e la posizione assunta all'interno del Corpo con la sua assegnazione presso il Comando Regionale del Veneto - si è reso responsabile di una condotta suscettibile di ledere gravemente l'imparzialità dell'attività amministrativa (valore giuridico, posto a presidio della stessa credibilità delle strutture pubbliche, atteso che in assenza della fiducia dei cittadini le stesse non sarebbero in grado di conseguire in maniera adeguata, come loro precipuo dovere, gli obiettivi prefissati dal legislatore), oltre che la stessa reputazione della Pubblica Amministrazione (da intendersi come vulnus alla percezione che i cittadini devono avere circa l'operare della stessa con il massimo rispetto delle regole poste a tutela degli interessi pubblici e del corretto svolgimento della funzione pubblica).
9. Per quanto concerne la quantificazione del danno, ritiene il Collegio che, pur nella gravità del fatto, occorra considerare la portata concreta della vicenda di rilievo erariale al fine di poter effettuare un'equa valutazione delle conseguenze risarcitorie della lesione cagionata all'immagine dell'Amministrazione.
Al riguardo occorre considerare, prima di tutto, la limitata portata dell'azione criminosa accertata con il giudicato penale, come descritta al capo d'imputazione n.9 della sentenza n.4177/2021 della Corte d'Appello di Venezia, di fatto consistita in plurime interrogazioni della banca dati dell'Anagrafe Tributaria in tre distinte occasioni del tutto sganciate rispetto ai fatti oggetto delle ulteriori contestazioni penali e per le quali è intervenuta l'assoluzione del convenuto in sede penale.
Inoltre, in parziale accoglimento delle deduzioni difensive del C.V., non può essere sottaciuta la minor diffusione mediatica del fatto specifico rispetto a quanto è stato prospettato dal requirente alla luce della rassegna stampa allegata in atti, la quale, come già sopra indicato, è principalmente riferibile a fatti e persone che nulla hanno a che vedere con il reato di accesso abusivo accertato a carico dell'odierno convenuto.
Ciò considerato, alla stregua di quello stesso criterio sociale che il requirente ha richiamato nell'atto di citazione e pur tenendosi presente (dal punto di vista soggettivo e oggettivo) della gravità del compiuto accesso abusivo alla banca dati riservata dell'Anagrafe Tributaria in uso al Corpo per fini privati, il Collegio ritiene che si debba addivenire ad una quantificazione equitativa del danno contenuta nella misura di euro 5.000,00.
10. Le spese legali seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Veneto, definitivamente pronunciando:
- Condanna C.V. al pagamento a favore del pubblico erario e segnatamente alla Guardia di Finanza della soma di euro 5.000,00 per il danno all'immagine conseguente alla condanna per fatti di accesso abusivo alle banche dati in uso al Corpo della Guardia di Finanza.
Sulla somma come sopra indicata sono dovuti gli interessi legali dalla data del deposito della sentenza sino al saldo.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza