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Abitualità del comportamento: quando i reati hanno la stessa indole (Cass. 53401/18)

28 novembre 2018, Cassazione penale

Ai fini della configurabilità della abitualità del comportamento, ostativa all'applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis cod. pen., l'identità dell'indole dei reati eventualmente commessi deve essere valutata dal giudice in relazione al caso esaminato, verificando se in concreto i reati presentino caratteri fondamentali comuni. Donde la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, affinchè il giudice di merito, con specifica indagine, accerti le circostanze di fatto attestanti che i reati in materia di stupefacenti, per i quali l'imputata è stata condannata, fossero stati commessi a scopo di lucro.

Il profilo dei motivi a delinquere che hanno avuto efficacia causale nella decisione criminosa non può essere esteso sino al punto da qualificare automaticamente come della stessa indole tutti i delitti che siano connotati dalla natura economica della spinta a delinquere, posto che questa costituisce, pur sempre, una delle principali e, anzi, la più frequente motivazione dei comportamenti criminali.

Ai fini di qualificare la indole dei reati, il giudice deve in primo luogo valutare se l'eventuale ulteriore reato commesso nel periodo di osservazione sia formalmente omogeneo al primo, in quanto in violazione della medesima disposizione di legge e, in caso negativo, verificare se sussista comunque una identità di indole sostanziale, in ragione della natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

(ud. 30/05/2018) 28-11-2018, n. 53401

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUMO Maurizio - Presidente -

Dott. DE GREGORIO Eduardo - Consigliere -

Dott. CATENA Rossella - Consigliere -

Dott. SCORDAMAGLIA Irene - rel. Consigliere -

Dott. MOROSINI Elisabetta M. - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M.D., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 12/05/2017 della CORTE APPELLO di GENOVA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. IRENE SCORDAMAGLIA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. SALZANO Francesco;

Il Proc. Gen. conclude per il rigetto.

udito il difensore.

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza resa in data 12 maggio 2017, la Corte di appello di Genova, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa città del 19 maggio 2015, ha condannato M.D. alla pena di giustizia, avendola riconosciuta colpevole del delitto di tentato furto in concorso di prodotti cosmetici del valore di Euro 66,71 asportati dai banchi di vendita di un grande magazzino.

2. Ricorre per cassazione l'imputata, per il tramite del difensore di fiducia, affidando l'impugnativa ad un unico motivo.

2.1. Deduce il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 131-bis e 101 cod. pen., nonchè il vizio argomentativo, rilevando che la Corte territoriale aveva errato nel ritenere che l'accertato delitto di tentato furto e i due reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commessi nel 2012, fossero della stessa indole ed aveva, perciò, illogicamente escluso l'applicazione in favore dell'imputata della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Motivi della decisione
Il ricorso è fondato.

1. La risposta alla quaestio iuris posta dalla ricorrente: "Se il furto e la detenzione o cessione illecite di sostanze stupefacenti possano essere considerate fattispecie criminose della stessa indole tali da integrare l'abitualità del comportamento che costituisce ragione di preclusione dell'applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis cod. pen." esige un'interpretazione della norma di cui all'art. 101 cod. pen. che individua le caratteristiche dei reati aventi la stessa indole - che tenga conto non solo della sua collocazione topografica - nel titolo 4 (Del reo e della persona offesa), capo 2 (Della recidiva, dell'abitualità e della professionalità e della tendenza a delinquere) del codice penale, ma anche - stante l'incipit della disposizione "agli effetti della legge penale" - di tutte le altre disposizioni dell'ordinamento penale, sostanziale (L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 102, 167, 168, 172, 177, artt. 53 e segg.) e processuale (art. 274 cod. proc. civ., lett. c): "reati della medesima specie"; art. 445 cod. proc. pen., comma 2") che evocano il concetto di un agire criminale sostanzialmente omogeneo.

In tal senso si è orientata l'elaborazione nomofilattica che è giunta ad affermare che, in tema di presupposti per l'applicazione di misure coercitive personali, il concetto di "reati della stessa specie" di cui all'art. 274 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), deve riferirsi non solo a reati che offendono il medesimo bene giuridico, ma anche alle fattispecie criminose che, pur non previste dalla stessa disposizione di legge, presentano "uguaglianza di natura" in relazione al bene tutelato ed alle modalità esecutive (Sez. 5, n. 52301 del 14/07/2016, Petroni, Rv. 268444; Sez. 3, n. 36319 del 05/07/2001, Vasiliu, Rv. 220031) e che, ai fini dell'operatività dell'art. 445 cod. proc. pen., comma 2, - secondo cui, in caso di applicazione di pena concordata, il reato è estinto se, nei termini indicati dalla disposizione, l'imputato non commette un delitto o una contravvenzione della "stessa indole" - il giudice deve in primo luogo valutare se l'eventuale ulteriore reato commesso nel periodo di osservazione sia formalmente omogeneo al primo, in quanto in violazione della medesima disposizione di legge e, in caso negativo, verificare se sussista comunque una identità di indole sostanziale, in ragione della natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati (Sez. 1, n. 27906 del 15/04/2014, Stocco, Rv. 260500); ma anche che, ad esempio, ai fini dell'applicazione della recidiva "specifica" ex art. 99 cod. pen., comma 2, n. 1, il falso nummario, che tutela il bene della pubblica fede, non costituisce "reato della stessa indole" rispetto a precedenti penali relativi esclusivamente a delitti contro il patrimonio, posto che la specificità della recidiva non può desumersi dall'analogo movente economico alla base dei diversi reati (Sez. 5, n. 40281 del 13/07/2017, Baratto, Rv. 271014).

2. Questa visione di sistema, se non disconosce la validità di un approccio pragmatico al problema, quale è quello che risulta dalle massime di orientamento secondo cui: "La definizione di reati "della stessa indole", posta dall'art. 101 cod. pen. e rilevante per l'applicazione della recidiva ex art. 99 cod. pen., comma 2, n. 1, prescinde dalla identità della norma incriminatrice e fa riferimento ai criteri del bene giuridico violato o del movente delittuoso, che consentono di accertare, nei casi concreti, i caratteri fondamentali comuni fra i diversi reati (Sez. 6, n. 15439 del 17/03/2016, C, Rv. 266545; Sez. 2, n. 40105 del 21/10/2010, Apostolico, Rv. 248774), e se non intende mettere in discussione il ruolo primario, nella valutazione da compiersi, della discrezionalità del giudice, il cui esercizio se adeguatamente motivato non è censurabile in Cassazione (Sez. 3, n. 11954 del 16/12/2010 - dep. 24/03/2011, L., Rv. 249744; Sez. 3, n. 759 del 06/04/1971, Silva, Rv. 118678), induce a tener conto del fatto che il criterio sostanziale - pur evocato dal legislatore nell'art. 101 cod. pen. per l'accertamento dell'omogeneità fra i reati quando vengano violate diverse disposizioni di legge, mediante il riferimento alla natura dei fatti o ai motivi dell'agire - dilata sensibilmente l'area dei reati della stessa indole, determinando, nelle diverse ipotesi chè tale concetto si richiamano, un trattamento più sfavorevole per il soggetto che ne è attinto (Sez. 1, n. 27906 del 15/04/2014, Stocco, Rv. 260500).

3. Da quanto sin qui riferito deriva, per il caso che ci occupa, che, se è pur vero che la giurisprudenza di questa Corte ammette l'assimilazione per indole tra il furto (o la ricettazione) e la detenzione di stupefacenti (Sez. 6, n. 53590 del 20/11/2014, Genchi, Rv. 261869; Sez. 1, n. 44255 del 17/09/2014, Durdev, Rv. 260800; Sez. 2, n. 10185 del 01/10/1992, P.G. in proc. Canterini, Rv. 192288; Sez. 2, 1.10.1992; Sez. 1, n. 2097 del 12/07/1988 - dep. 29/09/1989, Zuliani, Rv. 182174), in ragione dell'omogeneità dello scopo di lucro, tuttavia il profilo dei motivi a delinquere che hanno avuto efficacia causale nella decisione criminosa non può essere esteso sino al punto da qualificare automaticamente come della stessa indole tutti i delitti che siano connotati dalla natura economica della spinta a delinquere, posto che questa costituisce, pur sempre, una delle principali e, anzi, la più frequente motivazione dei comportamenti criminali.

4. Consegue che, come già affermato dal diritto vivente (Sez. 4, n. 27323 del 04/05/2017, Garbocci, Rv. 270107), ai fini della configurabilità della abitualità del comportamento, ostativa all'applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis cod. pen., l'identità dell'indole dei reati eventualmente commessi deve essere valutata dal giudice in relazione al caso esaminato, verificando se in concreto i reati presentino caratteri fondamentali comuni. Donde la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, affinchè il giudice di merito, con specifica indagine, accerti le circostanze di fatto attestanti che i reati in materia di stupefacenti, per i quali l'imputata è stata condannata, fossero stati commessi a scopo di lucro.

5. S'impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Genova.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Genova.

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2018