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Respingimenti informali violano diritti fondamentali, Italia condannata (Tr. Roma, 2023)

9 maggio 2023, Tribunale di Roma

La riammissione informale (respingimento) operata dalle autorità italiane è antigiuridica e dunque illegittima per contrasto col diritto interno, anche di rango costituzionale, e internazionale, con valore di fonte sovraordinata ai sensi dell’art 117 Cost.: tale condotta è stata inoltre posta in essere nonostante le autorità responsabili conoscessero, o almeno avrebbero potuto (e dovuto) conoscere, le conseguenze della riammissione stessa, alla luce dei numerosi rapporti già allora esistenti, ciò che vale a configurare l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 2043 c.c. ai fini del riconoscimento di una responsabilità da fatto illecito.

Sono illegittimi – per violazione degli artt. 3 e 13 CEDU e dell’art. 4 del protocollo n. 4 alla CEDU, nonché degli artt. 4 e 19 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea – i respingimenti attuati dallo Stato italiano in mancanza di garanzie in ordine al rispetto dei diritti fondamentali delle persone respinte, a cominciare dal loro diritto a chiedere protezione internazionale, a non subire trattamenti inumani e degradanti e a non essere inviati verso luoghi dove corrano il rischio di subire tali pratiche

N. R.G. 3938/2022

TRIBUNALE ORDINARIO di ROMA

SEZIONE DIRITTI DELLA PERSONA E IMMIGRAZIONE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Damiana Colla, ha pronunciato la seguente

ORDINANZA EX ART. 702 BIS C.P.C.

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3938/2022 promossa da

 nato in, elettivamente domiciliato in Trieste, piazza Giotti n. 1, presso lo studio dell’avv. Caterina Bove, che lo rappresenta e difende, unitamente all’avv. Anna Brambilla, per procura allegata al ricorso introduttivo telematicamente depositato

-  ricorrente -

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege

-  resistente -

Oggetto: risarcimento del danno da riammissione informale in Slovenia.

 Con ricorso depositato il 31.12.2021, il ricorrente ha chiesto il risarcimento del danno non patrimoniale subito a causa della pratica di riammissione informale con cui le autorità italiane lo hanno respinto in Slovenia il                                                                                                ,nonostante egli avesse manifestato la volontà di domandare protezione internazionale, con conseguente respingimento a catena dalla Slovenia in Croazia e dalla Croazia in Bosnia.

In particolare, il ricorrente ha rappresentato di aver lasciato il Paese d’origine nel 2018 dopo esser rimasto ferito in un attacco del gruppo terroristico Tehrik-i-Taliban Pakistan, temendo ritorsioni sia da parte degli estremisti sia da parte dell’esercito pakistano, di cui era membro; di aver trascorso un anno in Turchia, durante il quale ha tentato più volte di fare ingresso in Grecia, riuscendovi solo al terzo tentativo; dalla Grecia, di aver attraversato la Macedonia del Nord e la Serbia e nell’estate del 2019 di essere giunto in Bosnia; da qui di aver tentato di proseguire verso l’Italia, subendo nove respingimenti da parte delle autorità croate e tre da parte di quelle slovene, venendo ogni volta identificato e fotosegnalato; di aver intrapreso un nuovo tentativo il 01.10.2020 e di aver fatto per la prima volta ingresso in Italia, a Trieste, nella mattina del 17.10.2020.

Ha dedotto in ricorso di essere subito stato fermato a Trieste da alcuni militari, trasferito in una stazione di polizia insieme ad altre quattro persone, sottoposto a visita medica e richiesto di fornire informazioni e di firmare dei documenti di cui non gli è stato tradotto né spiegato il contenuto. Infine, nonostante avesse espresso la volontà di chiedere protezione internazionale, ha sostenuto di essere stato affidato alle autorità slovene, trattenuto in una stazione polizia slovena per una notte, l’indomani consegnato alle autorità croate e da queste respinto in Bosnia con metodi violenti, comprese percosse. In Bosnia, il ricorrente ha affermato di avere inizialmente trovato riparo presso l’insediamento informale di Vedro Polje, per poi decidere di affrontare nuovamente il percorso, spinto dalle degradanti condizioni di vita al campo, e giungere in Italia per laseconda volta il 17.04.2021. Spostatosi da Trieste a Brescia, ha

presentato domanda di protezione internazionale, formalizzata il 10.05.2021 e decisa il 22.12.2021 con riconoscimento in suo favore dello status di rifugiato.

Il ricorrente ha lamentato che la pratica subita, di riammissione dall’Italia in Slovenia senza alcun provvedimento formale pur in presenza di una manifestazione di volontà di chiedere protezione in Italia, in esecuzione di un accordo intergovernativo (quello tra Italia e Slovenia del 1996) mai ratificato con legge e dunque (se non nullo ai sensi dell’art. 80 Cost., comunque certamente) di rango secondario, abbia violato norme primarie di fondamentale importanza, quali innanzitutto il diritto d’asilo costituzionalmente garantito dall’art. 10, c. 3 Cost., nonché i diritti connessi tutelati alivello interno e internazionale, in particolare dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della Carta UE dei diritti fondamentali, compreso il diritto ad un esame effettivo della domanda di protezione, alla difesa tramite un ricorso effettivo, al controllo giudiziario sulle limitazioni della libertà personale, all’accoglienza secondo standard minimi nelle more dell’esame della domanda di protezione. La pratica di riammissione ha inoltre violato, secondo il ricorrente, il suo diritto al non refoulement, sancito dall’art. 3 CEDU secondo la costante interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, esponendolo ad una catena di respingimenti verso Paesi dove rischiava di subire (e ha subito) violenze sistematiche da parte delle autorità locali (Croazia) e condizioni di accoglienza degradanti (Bosnia), tali da configurare veri trattamenti inumani, secondo quanto ben noto già all’epoca dei fatti – grazie a numerose denunce giornalistiche e di organizzazioni non governative e internazionali – e dunque conoscibile anche da parte delle autorità italiane.

Stante l’illegittimità della condotta delle autorità italiane e la gravità delle violazioni dei diritti fondamentali subite, il ricorrente ha concluso sostenendo la sussistenza di una responsabilità civile dello Stato italiano e chiedendo il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti, da liquidarsi nella misura di 18.200,00 euro, pari alla somma di euro cento al giorno per ogni giorno trascorso tra la riammissione in Slovenia avvenuta il 17.10.2020 e il rientro in Italia il 17.04.2021, alla stregua dei criteri elaborati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale su casi assimilabili.

L’Amministrazione resistente si è costituita in giudizio il 27.09.2022, sostenendo la legittimità della pratica della riammissione informale di cittadini stranieri verso lo Stato membro dal quale hanno fatto ingresso, quando essi siano individuati nell’immediata prossimità spaziale e temporale dell’attraversamento irregolare della frontiera e quando ciò sia previsto da un accordo tra gli Stati interessati. Ha sostenuto la legittimità di tali ultimi accordi sulla base del diritto europeo, in particolare della Direttiva 2008/115/CE, e in ogni caso la legittimità della loro stipula trattandosi di valutazione lasciata alla discrezionalità della volontà politica. Ha negato la configurabilità nella fattispecie di un’espulsione collettiva vietata dal diritto internazionale ed europeo e ha precisato come l’intera procedura si sia svolta nel rispetto dei diritti umani fondamentali delle persone coinvolte. Ha infine rilevato la mancata dimostrazione del danno subito dal ricorrente e concluso chiedendo il rigetto dell’avversa domanda.

Fissata udienza per il giorno 28.09.2022, svoltasi con modalità cartolare, all’esito, è stata ammessa la prova orale chiesta da parte ricorrente nell’atto introduttivo, con escussione degli informatori nella successiva udienza del 12.04.2023, a seguito della quale la causa è stata trattenuta in decisione.

***

Il ricorso deve ritenersi fondato e merita accoglimento, alla luce delle considerazioni che seguono.

 Il trattamento che il ricorrente ha descritto di aver subito da parte delle autorità di frontiera italiane al momento del suo primo ingresso a Trieste il ** è stato pienamente provato in giudizio.

In proposito, parte ricorrente ha allegato in atti la documentazione (ottenuta in data 05.07.2021 a seguito di accesso agli atti) relativa alla presa incarico del ricorrente medesimo da parte della Polizia di frontiera di Trieste in data 17.10.2020, comprensiva – oltre che della scheda di valutazione sanitaria e del verbale di identificazione, elezione/dichiarazione di domicilio e nomina del difensore resa da persona indagata – altresì della scheda identificativa plurilingue, dalla quale si

evince la manifestazione della volontà di chiedere protezione (alla voce “Manifestazione della volontà di richiedere la protezione internazionale” è stata annotata la risposta “sì”), e della domanda “di riammissione senza formalità in base all’Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Slovenia sulla riammissione delle persone alla frontiera, firmato a Roma il 3 settembre 1996”, relativa alla persona del ricorrente in quanto “rintracciato … il giorno 17.10.2020 alle ore 12.00 in località Basovizza, dopo che le stesse hanno varcato irregolarmente la frontiera comune”, con indicazione della presa in consegna da parte delle richieste autorità slovene alle ore 18.00 del 17.10.2020 e firma del funzionario incaricato.

 Altresì documentata risulta la procedura posta in essere dalle autorità slovene, mediante allegazione della documentazione relativa comprensiva della “nota ufficiale sulla dichiarazione di ingresso nella R. di Slovenia”, del conseguente decreto ingiuntivo per il pagamento della sanzione prevista in caso di immigrazione irregolare, del verbale delle dichiarazioni rese dal ricorrente che confermano le vicende da lui vissute nel Paese d’origine e durante il percorso migratorio, della decisione di detenzione amministrativa nel Centro per stranieri di Veliki Otok, Postumia, in attesa dell’espulsione e del verbale “di consegna e riammissione mediante procedimento abbreviato ai sensi dell’art. 2, cc 3 e 4, dell’Accordo tra il Governo della Repubblica di Slovenia e il Governo della Repubblica di Croazia concernente la consegna e la riammissione di persone il cuiingresso o soggiorno sia illegale”. Il complesso di tali documenti dimostra sia la consegna del ricorrente alle autorità slovene da parte delle autorità italiane – laddove nella decisione di trattenimento si legge: “In data 17/10/2020, ore 18:00,                  è stato riconsegnato dalle autorità di sicurezza italiane alla PPIU [Stazione di polizia per le misure compensative] di Capodistria, Krvavi Potok, ai sensi dell’accordo per la riammissione delle persone alla frontiera” – , sia la successiva riammissione in Croazia, attestata nel relativo verbale, in base all’accordo in materia tra Slovenia e Croazia.

La pratica è stata d’altra parte ammessa dall’Amministrazione resistente nella comparsa di costituzione, nelle precise modalità spaziali, temporali e operative rappresentate dal ricorrente. L’Amministrazione ha altresì provveduto a documentare l’intera procedura, mediante la riproposizione in giudizio della documentazione afferente al ricorrente già fornita a quest’ultimo in risposta all’istanza di accesso agli atti.

Oltre a risultare dalla documentazione depositata e ad esser stata espressamente riconosciuta dall’Amministrazione in giudizio, la pratica descritta dal ricorrente trova riscontro nella risposta del Ministero dell’interno all’interpellanza parlamentare del 24.07.2020, relativa all’implementazione delle riammissioni informali in Slovenia, in cui il Ministero ha sottolineato come tali procedure vengano attivate anche quando la persona interessata abbia manifestato volontà di chiedere protezione in Italia. Nel testo di tale risposta (allegata da parte ricorrente in atti), si legge in particolare: “…le procedure informali di riammissione in Slovenia vengono applicate nei confronti dei migranti rintracciati a ridosso della linea confinaria italo-slovena, quando risulti la provenienza dal territorio sloveno, anche qualora sia manifestata l’intenzione di richiedere protezione internazionale … [l]’esecuzione di tale tipologia di riammissione non comporta la redazione di un provvedimento formale, applicandosi per prassi consolidata le speditive procedure previste dal relativo accordo di riammissione, siglato tra l’Italia e la Slovenia il 3 settembre 1996 … Qualora ricorrano i presupposti per la richiesta di riammissione e la stessa venga accolta della Autorità slovene non si provvede all’invito in Questura per la formalizzazione dell’istanza di protezione”.

Altresì provato risulta il restante percorso del ricorrente dopo l’allontanamento dall’Italia, e in particolare l’ulteriore respingimento da questi subito dalla Croazia verso la Bosnia. Il ricorrente si trovava infatti in Bosnia tra gennaio e marzo 2021, precisamente all’interno dell’insediamento informale di Vedro Polje, poco distante da Bihać, dove ha incontrato la giornalista Elisa Oddone e l’operatore sociale Diego Saccora dell’associazione “Lungo la rotta balcanica”.

Ascoltati quali sommari informatori, questi ultimi hanno confermato di aver conosciuto il ricorrente in quella circostanza (cfr. verbale dell’udienza del 12.04.2023). In Particolare, Elisa Oddone ha illustrato quanto ritratto nelle fotografie dell’insediamento allegate in atti, da lei scattate (nelle date del 24 e 27 gennaio e 15 febbraio 2021) per documentare le condizioni di vita al suo interno per le testate Al Jazeera e NPR e confluite in un reportage giornalistico, anch’esso prodotto in atti. Ha riconosciuto la persona del ricorrente nelle fotografie scattate e ha confermato che in tale occasione ha raccolto il giorno in cui si sono conosciuti, ossia il 24.01.2021, la sua testimonianza sull’esperienza alla frontiera italo-slovena. Ha infine testimoniato di essere stata lei ad offrirgli il primo contatto con gli attuali difensori. Diego Saccora, inoltre, ha confermato di aver incontrato il ricorrente più volte nel corso del febbraio 2021 all’interno dell’insediamento di Vedro Polje, dove si recava per portare assistenza e beni di prima necessità. Ha testimoniato altresì di aver accompagnato personalmente il ricorrente presso uno studio notarile di Bihać per conferire mandato agli attuali difensori al fine di esperire ricorso avverso la riammissione in Slovenia (cfr. la procura depositata in atti, tradotta e apostillata, firmata dal ricorrente a Bihać e datata 18.03.2021).

Entrambi gli informatori hanno poi narrato le disagiate condizioni di vita presso l’insediamento informale in cui il ricorrente si era riparato nella zona boschiva attorno a Bihać, insieme ad un piccolo gruppo di connazionali pakistani (tra le 12 e le 15 persone), come lui in viaggio nel tentativo di raggiungere l’Europa. Hanno riferito che la situazione dell’accoglienza nella zona era in quel momento particolarmente critica, a causa della chiusura dei due campi locali più grandi, dell’incapacità delle autorità bosniache di fornire sistemazioni alternative e del conseguente sfollamento delle persone che vi erano state accolte, costrette a trovare rifugio in accampamenti di fortuna. Gli informatori hanno anche descritto le temperature estremamente rigide (sino a venti gradi sotto lo zero), le condizioni meteorologiche caratterizzate da neve e piogge torrenziali, la mancanza di acqua corrente e di acqua potabile, la scarsità di cibo, la totale dipendenza dall’aiuto di organizzazioni internazionali quali l’OIM e della società civile locale, l’insufficienza dei beni di prima necessità comunque forniti, nonché l’insicurezza legata al costante pericolo di smantellamento del campo (formalmente irregolare) da parte delle forze dell’ordine, alle ronde dei cittadini locali ostili e ai possibili furti da partedi altri gruppi di richiedenti asilo, alla ricerca di quanto necessario alla sopravvivenza.

Provato risulta infine il reingresso del ricorrente in Italia ad aprile 2021 e il riconoscimento del suo status di rifugiato da parte della Commissione Territoriale di Brescia riunita il 21.12.2021, come dimostra il relativo certificato prodotto in atti.

Ciò posto quanto alla prova delle circostanze personalmente vissute dal ricorrente, la prassi di riammissione informale da questi subita, adottata dal Ministero dell’Interno in attuazione dell’accordo bilaterale con la Slovenia, risulta illegittima sotto molteplici profili.

Occorre ricordare innanzitutto che, ai sensi dell’art 80 della Costituzione Italiana, l’Accordo bilaterale sulla riammissione delle persone alla frontiera, firmato a Roma il 3 settembre 1996 fra il Governo della Repubblica Italiana e il Governo della Repubblica di Slovenia, non essendo mai stato ratificato dal Parlamento italiano, non può introdurre modifiche o derogare alle leggi italiane o alle norme di derivazione europea o internazionale vigenti nell’ordinamento italiano. Piuttosto, esso deve essere letto alla luce del diritto costituzionale e internazionale. Invece, la prassi delle riammissioni informali attuata in base a tale accordo viola diverse norme di legge.

Occorre considerare innanzitutto come il riaccompagnamento alla frontiera incida inevitabilmente e profondamente sulla sfera giuridica e sulla libertà della persona interessata, atteso che nella fattispecie il ricorrente è stato fermato, trattenuto, trasferito in altro luogo e consegnato alla custodia degli agenti di un Paese straniero sotto il costante controllo delle autorità e senza possibilità di sottrarsi alla procedura.

A nulla rileva la durata di tale restrizione – che l’Amministrazione sottolinea essersi limitata al tempo di alcune ore – tanto più ove si consideri che il ricorrente non ha poi più potuto sottrarsi al controllo delle autorità (europee) sino all’espulsione fuori dei confini dell’Unione (in Bosnia), nel frattempo subendo altresì la detenzione in un centro per rimpatri (in Slovenia) oltre alle violenze che caratterizzano l’operare della polizia croata secondo fonti numerose e attendibili (su cui cfr. di seguito). In proposito, ha ricordato la Corte Costituzionale: “questa Corte, fin dalla sentenza n. 2 del 1956, ha affermato che la traduzione del rimpatriando con foglio di via obbligatorio è misura incidente sulla libertà personale … nella sentenza n. 62 del 1994, l’espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica dello straniero sottoposto a custodia cautelare o in espiazione di una pena detentiva, anche se residua, non superiore a tre anni, è stata ritenuta misura incidente sulla libertà personale … è comunque la forza del precetto costituzionale dell’articolo 13 a imporre una accezione piena del controllo che spetta al giudice della convalida … l’accompagnamento alla frontiera … è causa immediata della limitazione della libertà personale dello straniero” (Corte Cost., sentenza n. 105/2001).

Ebbene, l’illegittimità della prassi subita è dunque evidente innanzitutto per la mancata previa emanazione di un provvedimento amministrativomotivato, notificato al soggetto interessato e impugnabile innanzi all’autorità giudiziaria, quale previsto dagli artt. 2 e 3 della legge n. 241/90, oltre che per l’assenza della preventiva convalida dell’autorità giudiziaria, ai sensi dell’art. 13 della Costituzione e come già previsto per i cittadini stranieri dagli artt. 10, c. 2 bis e 13, c. 5 bis del d.lgs. 286/1998.

Inoltre, la carenza di un provvedimento impugnabile finisce per privare la persona sottoposta a riammissione dei propri diritti alla difesa e ad un ricorso effettivo, in violazione dell’art. 24 della Costituzione Italiana, dell’art. 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dell’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (cfr. anche la giurisprudenza internazionale sul punto, in particolare Corte EDU, Abdolkhani Karmimnia contro Turchia, causa n. 30471/08, sentenza del 22 settembre 2009, che ha rilevato l’illegittimità di un’espulsione senza la notifica di un provvedimento motivato).

La descritta prassi di riammissione informale contraddice, quindi, le richiamate norme di rango primario, costituzionale e sovranazionale, le quali, evidentemente, non possono essere derogate da un accordo bilaterale intergovernativo non ratificato con legge.

In secondo luogo, il diritto al ricorso effettivo e il diritto ad un esame individuale delle propria situazione personale, quale previsto dall’art 19 della Carta del Diritti Fondamentali dell’Unione Europea che vieta le espulsioni collettive, sono strumentali all’effettiva garanzia dell’art 3 CEDU e dell’art 4 CDFUE e dunque del divieto assoluto di trattamenti inumani e degradanti, comprensivo dell’obbligo di non respingimento nel caso in cui lo straniero corra il rischio di subire tali trattamenti nel luogo verso cui è respinto (cfr. Corte Edu Grande Camera, Hirsi Jamaa e altri contro Italia, decisione del 23 febbraio 2012). Tale divieto non ammette deroghe né eccezioni (cfr. art. 15 CEDU e Corte Edu, sentenza Chahal c. Regno Unito, del 7 luglio 1996). La responsabilità per le relative violazioni si configura inoltre anche nell’ipotesi in cui lo Stato membro sia a conoscenza (o possa ragionevolmente esserlo) che il rischio reale e attuale di condotte lesive dell’integrità e dignità della persona si concretizzi non nel primo Paese in cui la persona è respinta (tappa intermedia), bensì in un altro successivo luogo definitivo (cfr. sentenza Abdolkhani e Karimnia c. Turchia cit., Corte EDU M.S.S. c. Belgio e Grecia, grande camera 21 gennaio 2011).

La ricca giurisprudenza delle corti sovranazionali in materia di divieto di respingimenti a catena (cfr. ad esempio: Corte EDU Ilias e Ahmed c. Ungheria del 14 marzo 2017, Corte EDU causa Sharifi e Altri c. Italia E Grecia del 21 ottobre 2014, Corte EDU del 4 novembre 2014 Tarkel c. Svizzera, Corte EDU M.S.S. c. Belgio e Grecia cit, Corte di Giustizia (Grande Sezione) 19 marzo 2019 nella causa C 163/17, CGUE 16 febbraio 2017 causa C 578/16 PPU C.K., H.F., A.S. c. Slovenia) ha indotto il legislatore dell’Unione Europea a prevedere, all’art. 3 del nuovo testo del Regolamento di Dublino (Reg UE n. 604/2013, cd. Regolamento di Dublino III), che “Qualora sia impossibile trasferire un richiedente verso lo Stato membro inizialmente designato come competente in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente prosegue l’esame dei criteri di cui al capo III per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente”.

Nell’ordinamento italiano, gli stessi principi sono sanciti dall’art 19, commi 1 e 1.1. del d.lgs. 286/1998, che esplicitamente vietano il trasferimento verso uno Stato ove la persona rischi di essere rinviata verso altro Stato in cui potrebbe subire persecuzioni, torture o trattamenti inumani e degradanti. In materia di trasferimenti in base al regolamento di Dublino, anche la Corte di Cassazione afferma: “ogni decisione di trasferimento impone all’autorità amministrativa di valutare sia che le procedure di asilo e le condizioni di accoglienza nello Stato designato come competente non soffrano di «carenze sistemiche» (art. 3, par. 2 reg. Dublino III), sia, a prescindere dalla sussistenza di tali criticità generali, che suddetto trasferimento non comporti per il richiedente un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., situazione la cui sussistenza è idonea vincere la presunzione (relativa) di sicurezza e pari rispetto dei diritti fondamentali negli Stati membri” (Cass. SS.UU. n. 8044/2018).

Sono pertanto illegittimi – per violazione degli artt. 3 e 13 CEDU e dell’art. 4 del protocollo n. 4 alla CEDU, nonché degli artt. 4 e 19 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea – i respingimenti attuati dallo Stato italiano in mancanza di garanzie in ordine al rispetto dei diritti fondamentali delle persone respinte, a cominciare dal loro diritto a chiedere protezione internazionale, a non subire trattamenti inumani e degradanti e a non essere inviati verso luoghi dove corrano il rischio di subire tali pratiche. Già nel caso Sharifi e altri c. Italia e Grecia, l’Italia è stata condannata dalla Corte EDU per la riammissione non registrata e indiscriminata di cittadini extraeuropei verso la Grecia, sulla base dell’accordo bilaterale di riammissione concluso nel 1999, in una situazione come si vede del tutto sovrapponibile a quella in esame.

Diversamente, peraltro, da quanto sostenuto dall’Amministrazione resistente (che pretende di individuarvi il fondamento giuridico della propria condotta), la Direttiva 2008/115/CE non legittima affatto, anzi contrasta con la descritta pratica di riammissione informale posta in essere dal governo italiano. Infatti, sebbene tale direttiva (al suo art. 6, par. 3) consenta agli Stati membri di riammettere nello Stato confinante di provenienza senza una specifica decisione di rimpatrio, qualora sussistano accordi bilaterali tra gli Stati interessati già vigenti alla data di entrata in vigore della direttiva stessa (essendo tali accordi invece non più consentiti nella vigenza della stessa), tuttavia, nell’esecuzione dell’accordo, lo Stato italiano è comunque vincolato dalla normativa interna anche costituzionale (art 13 Cost.), nonché dal diritto sovranazionale, alla stregua del quale lo Stato ha il dovere di accertare la situazione concreta nella quale la persona riammessa verrà a trovarsi, con particolare riferimento all’eventualità di una violazione dei suoi diritti fondamentali (che si prospettava nel caso di specie secondo le informazioni largamente disponibili). Soprattutto poi, la riammissione informale non può mai essere applicata nei confronti di una persona che manifesti l’intenzione di chiedere asilo, come nella specie accaduto.

Infatti, ulteriore circostanza dirimente nel caso di specie è la presentazione di una domanda di protezione da parte del ricorrente in Italia, prima della riammissione.

Infatti, sebbene l’obbligo di non refoulement di cui all’art. 3 CEDU valga per chiunque e debba essere rispettato in ogni caso di riammissione informale, il richiedente asilo subisce (e l’odierno ricorrente ha subito nel caso di specie) la lesione di diritti ulteriori collegati al suo status, a partire da quello fondamentale di accedere alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale. 

La prassi, riconosciuta dal governo (cfr. la risposta del Ministero dell’Interno all’interpellanza parlamentare in cui si legge: “Qualora ricorrano i presupposti per la richiesta di riammissione e la stessa venga accolta della Autorità slovene non si provvede all’invito in Questura per la formalizzazione dell’istanza di protezione”) e dimostrata nel caso di specie, viola persino lo stesso Accordo con la Slovenia, il cui art. 2 prevede che ciascuna parte, su richiesta dell’altra, si impegna a riammettere sul proprio territorio il cittadino di uno Stato terzo che non soddisfa le condizioni di ingresso o di soggiorno nel territorio dello Stato richiedente, non potendosi evidentemente considerare in tale situazione chi abbia espresso la volontà di chiedere protezione (come il ricorrente nel caso di specie: cfr. scheda identificativa plurilingue depositata in atti).

Invero, sin dal momento della prima manifestazione di volontà – peraltro già risultante da documenti ufficiali – il ricorrente avrebbe avuto diritto alla relativa pronta registrazione della domanda da parte degli uffici competenti, attività amministrativa per la quale la legge prevede peraltrotermini stringenti (cfr. artt. 3 e 26 del d.lgs. 25/2008), in attuazione dell’art. 6 della direttiva 2013/31/UE (secondo cui: “Gli Stati membri provvedono affinché chiunque abbia presentato una domanda di protezione internazionale abbia un’effettiva possibilità di inoltrarla quanto prima”) e come costantemente ricordato anche dalla Corte di Giustizia UE (cfr. ad esempio CGUE, C- 104/10, Patrick Kelly c. Università statale di Irlanda, University College, Dublino, decisione del 21 luglio 2011). Egli avrebbe di conseguenza avuto accesso a tutti i diritti garantiti ai richiedenti asilo, quali l’accoglienza ai sensi dell’art 1, c. 2 del d.lgs. 142/2015 e, di ancora maggiore importanza, un permesso di soggiorno provvisorio per richiesta asilo (ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. 142/2015), il quale ultimo rende il richiedente regolarmente soggiornante sul territorio del Paese di accoglienza.

Dal medesimo momento di manifestazione della volontà di chiedere protezione, poi, deve trovare applicazione il regolamento n. 604/2013 (c.d. Dublino III, cfr. in particolare art. 20 relativo all’avvio della procedura) per la determinazione dello Stato membro competente all’esame delladomanda, con eventuale trasferimento del richiedente in altro Stato UE solo all’esito del completamento di tale procedura. All’art 13, il regolamento prevede che, quando sia accertato l’ingresso irregolare da uno Stato terzo in uno Stato membro, “lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale”. Ciò non può implicare tuttavia una riammissione senza formalità nello Stato membro di primo ingresso, dal momento che lo stesso Regolamento prevede che il richiedente ottenga in ogni caso la registrazione della propria volontà nel Paese in cui l’ha manifestata. È infatti in tale ultimo Paese che il richiedente deve essere temporaneamente accolto, per il tempo necessario all’espletamento della procedura di individuazione dello Stato competente, con tutte le garanzie di cui è corredata e con l’applicazione di tutti i criteri previsti, anche in deroga a quello sopracitato, a partire dall’art 3 del regolamento, secondo cui il richiedente non può essere trasferito in uno Stato membro ove rischi di subire trattamenti inumani e degradanti. Ai sensi dell’art. 27, contro la decisione di trasferimento deve poi essere sempre garantito il diritto a un ricorso effettivo.

In contrasto con la posizione assunta dal governo italiano (che considera Slovenia e Croazia, in quanto Stati membri dell’Unione Europea, “intrinsecamente Paesi sicuri, sotto il profilo del pieno rispetto dei diritti umani e delle convenzioni internazionali in materia”, cfr. la risposta del Ministero dell’Interno già sopra citata), la Corte di Giustizia UE ha più volte affermato che il diritto europeo osta a qualsiasi presunzione assoluta di rispetto dei diritti fondamentali da parte dello Stato membro designato come competente. Ciò particolarmente alla luce dell’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, da interpretare anche nel senso che, pur in assenza di serie ragioni per ritenere tale Stato sistematicamente carente, il trasferimento può essere effettuato solo ove sia del tutto escluso un rischio reale di trattamenti inumani o degradanti (cfr. CGUE, Grande Sezione, sentenza 21 dicembre 2011 nei procedimenti riuniti C- 411/10 e C-493/10; CGUE, Quinta Sezione, sentenza 16 febbraio 2017 nella causa C-578/16 PPU, ove si specifica che il principio di reciproca fiducia non è assoluto; Corte di Giustizia (Grande Sezione)19 marzo 2019 nella causa C 163/17 Abubacarr Jawo; cfr. nello stesso senso Cass. SS.UU., n. 8044/2018).

Alle descritte violazioni del regolamento Dublino, come visto incidenti su diritti fondamentali della persona, deve aggiungersi che il ricorrente non è stato rinviato in Slovenia in qualità di richiedente asilo, bensì di cittadino extraeuropeo entrato irregolarmente, tanto da essere sottoposto in tale Paese alla relativa sanzione amministrativa e al trattenimento in un centro per rimpatri in attesa dell’allontanamento in Croazia, con ulteriore compressione dei diritti legati al suo status ai sensi del diritto europeo e internazionale.

L’illegittimità della condotta di riammissione informale operata dalle autorità italiane anche nel caso di specie è stata d’altra parte già sancita daquesto Tribunale, con ordinanza cautelare del 18.01.2021, resa nel procedimento iscritto al n.

r.g. 56420/2020.

 

 

Nel caso di specie poi, non solo lo Stato italiano non ha accertato le conseguenze che i respinti (e tra loro l’odierno ricorrente) avrebbero subito a seguito della riammissione, ma ha attuato tale prassi pur avendo perfetta conoscenza (o almeno trovandosi nella condizione di avere perfettaconoscenza) delle violazioni cui i respinti sarebbero stati esposti in Slovenia. Già all’epoca della riammissione dell’odierno ricorrente, erano infatti numerosi e largamente diffusi i reportage giornalistici, i report delle organizzazioni non governative e le posizioni delle organizzazioni internazionali (su cui cfr. la documentazione allegata in atti, nonché quella citata di seguito) che attestavano, in base alle fonti di seguito menzionate, come la riammissione in Slovenia avrebbe comportato a sua volta la riammissione informale in Croazia e il respingimento in Bosnia ecome i migranti sarebbero stati soggetti a trattamenti inumani ed a vere torture da parte della polizia croata, nonché a condizioni di accoglienza non adeguate e spesso degradanti in Bosnia.

Le informazioni a disposizione sulla Slovenia, infatti, attestavano all’epoca e continuano ad attestare un complesso di carenze tale da renderelargamente ineffettivo il diritto d’asilo in tale Paese, in special modo per la ricorrente eventualità del respingimento delle persone intercettate (o riprese in consegna dall’Italia) verso la Croazia, anche indipendentemente dall’espressione della loro volontà di chiedere protezione.

Secondo l’ultimo report del database dell’European Council on Refugees and Exiles (ECRE), “la polizia non effettua l’identificazione delle persone bisognose di protezione nei gruppi migratori che entrano nel territorio sloveno … l’accesso alla procedura di asilo è ancora sistematicamente negato alle persone che si trovano nella procedura di polizia. Dopo la procedura di polizia, le persone vengono rimpatriate, in base all’accordo di riammissione, nel Paese da cui sono entrati in Slovenia … non viene valutato se il principio di non refoulement potrebbe essere violato … La maggior parte, 3860 persone, è stata respinta in Croazia” (Aida, Country Report Slovenia 2021 update, marzo 2022, https://asylumineurope.org/wp-content/uploads/2022/05/AIDA-SI_2021update.pdf).

Ancora oggi, inoltre, “le strutture che ospitano i richiedenti asilo sono spesso sovraffollate. Un aumento significativo del numero di migranti …unito alla mancanza di personale per trattare i richiedenti asilo e alla scarsità di formazione linguistica e culturale, ha esacerbato il sovraffollamento … La mancanza di capacità di gestire un gran numero di arrivi ha causato sovraffollamento, riduzione degli standard igienici e maggiori rischi per la salute … Le ONG locali hanno riferito di limitazioni ingiustificate al movimento dei richiedenti asilo residenti nelle strutture di accoglienza … i richiedenti asilo nelle strutture di accoglienza hanno dovuto affrontare periodi di detenzione fino a due settimane mentre le autorità esaminavano le loro richieste di asilo iniziali” (USDOS – US Department of State, 2022 Country Report on Human Rights Practices: Slovenia, 20 marzo 2023, https://www.state.gov/reports/2022-country-reports-on- human-rights-practices/slovenia/).

Le stesse informazioni sono contenute in attendibili report anteriori e contemporanei all’epoca della riammissione nei confronti dell’odierno ricorrente, secondo i quali “viene negato l’accesso alla procedura di asilo a molti potenziali richiedenti entrati illegalmente in Slovenia: essivengono multati e riportati con la forza - spesso collettivamente - nella

confinante Croazia. Queste espulsioni collettive si verificano senza il rispetto delle appropriate garanzie procedurali contro il refoulement e nonostante informazioni credibili circa le diffuse violenze commesse dalla polizia croata ed il rischio di ulteriori espulsioni verso la Bosnia Erzegovina” (AI – Amnesty International, Human Rights in Europe - Review of 2019 - Slovenia [EUR 01/2098/2020], 16 aprile 2020, https://www.amnesty.org/en/countries/europe-and- central-asia/slovenia/report-slovenia/;  cfr.        anche                                                             EASO,     Asylum       Report           2020, https://www.easo.europa.eu/sites/default/files/EASO-Asylum-Report-2020.pdf; Aida, Country Report Slovenia 2019 update, marzo 2020, https://asylumineurope.org/wp-content/uploads/2020/03/report-download_aida_si_2019update.pdf; USDOS – US Department of State, Country Report on Human Rights Practices 2019 – Slovenia, 11 marzo 2020, https://www.state.gov/reports/2019-country-reports-on-human-rights-practices/slovenia/).

Così dimostrato l’elevato rischio di riammissione informale dalla Slovenia in Croazia senza il rispetto delle garanzie legate al diritto d’asilo, le fonti internazionali attestavano (e attestano) altresì le violenze perpetrate dagli agenti croati ai danni dei migranti, nonché i sistematici respingimenti operati verso la Bosnia; in particolare “Le pratiche di respingimento sono persistite per tutto il 2021 … Secondo il Consiglio Danese per i Rifugiati (DRC), 9.114 persone sono state respinte dalla Croazia in Bosnia-Erzegovina (BiH) nel 2021, comprese le categorie vulnerabili …L’AYS e la Rete di monitoraggio della violenza ai confini (BVMN) hanno registrato 2.805 vittime individuali di espulsione illegale e di violenza daparte della polizia, espulse collettivamente in 205 gruppi, di cui il 44% delle persone ha esplicitamente e senza successo cercato asilo in Croazia … Anche il Centro per gli studi sulla pace (CPS) ha riferito che le pratiche di respingimento e di negazione dell’accesso all’asilo sono continuatenel 2021. Il CPS ha riferito che la pratica di negare l’accesso al sistema di asilo, l’espulsione illegale e il frequente ricorso alla violenza sono gli aspetti più problematici in relazione all’accesso al sistema di protezione internazionale … sono state riportate anche notizie di migranti feriti e morti … Nell’aprile 2021, le Nazioni Unite in Bosnia-Erzegovina hanno chiesto un’azione urgente per porre fine ai respingimenti violenti e alle espulsioni collettive di migranti, richiedenti asilo e rifugiati, compresi i minori, lungo il confine croato con la Bosnia-Erzegovina” (Aida, Country Report Croatia 2021 update, marzo 2022, https://asylumineurope.org/wp-content/uploads/2022/04/AIDA-HR_2021update.pdf) ed ancora “Le organizzazioni umanitarie hanno documentato continui respingimenti ed espulsioni collettive da parte delle autorità croate. I gruppi della società civile hanno chiesto un’indagine adeguata sulle violazioni sistemiche ai confini del Paese” (AI – Amnesty International, Amnesty International Report 2022/23; The State of the World’s Human Rights; Croatia 2022, 27 marzo 2023, https://www.amnesty.org/en/location/europe-and-central-asia/croatia/report-croatia/).

Tali pratiche erano ben note già nel 2020 all’epoca della riammissione dell’odierno ricorrente (USDOS – US Department of State, Country Report on Human Rights Practices 2019 – Croatia, 11 marzo 2020, https://www.state.gov/reports/2019-country-reports-on-human-rights-practices/croatia/; HRW – Human Rights Watch, Violent Pushbacks on Croatia Border Require EU Action, 29 ottobre 2020, https://www.hrw.org/news/2020/10/29/violent-pushbacks-croatia-border-require-eu-action; HRW – Human Rights Watch, World Report 2020 – Croatia, 14 gennaio 2020, https://www.hrw.org/world-report/2020/country- chapters/croatia; AI – Amnesty International, Croatia: Prosecution ofpolice accused of beating migrant must herald end of cruel practices at the borders, 19 giugno 2020, https://www.amnesty.org/en/latest/news/2020/06/croatia-prosecution- of-police-accused-of-beating-migrant-must-herald-end-of-cruel-practices-at-the-borders/; AIDA, Country Report Croatia 2019 update, aprile 2020, https://asylumineurope.org/wp-content/uploads/2014/08/AIDA-HR_2019update.pdf). Ebbene, tutte le fonti citate danno conto della violenza che gli agenti della polizia croata usano in modo sistematico nei confronti dei migranti intercettati, a livello psicologico e fisico, con notizie di distruzione e sottrazione di effetti

personali, compresi abiti e scarpe, percosse anche con armi (quali bastoni e barre di ferro), attacchi da parte dei cani della polizia, violenze sessuali.

Infine, compiutamente documentata risulta la situazione che le persone respinte si trovano a vivere in Bosnia, determinata da sovraffollamento e carenza di spazi di accoglienza, con conseguente sfollamento in luoghi (spesso informali) non in grado di garantire le più basilari esigenze umane, esposti alle intemperie e privi di acqua e cibo in misura sufficiente.

In proposito, risulta che “Mentre la maggior parte dei rifugiati e dei migranti è stata ospitata nei centri di accoglienza, diverse centinaia di persone, tra cui famiglie con bambini, dormivano all’addiaccio vicino al confine, soprattutto nel Cantone di Una-Sana. Non hanno accesso ai servizi essenziali, tra cui acqua, cibo, servizi igienici, riscaldamento e cure mediche. Gli attivisti hanno dichiarato che le autorità hanno impedito loro di fornire assistenza umanitaria alle persone al di fuori dei centri di accoglienza. Le misure discriminatorie imposte dalle autorità cantonali nel 2020 sono rimaste in vigore, compreso il divieto illegale della libertà di movimento di migranti e rifugiati, di riunirsi in luoghi pubblici e di utilizzare i trasporti pubblici. Il sistema di asilo è rimasto in gran parte inefficace” (AI – Amnesty International, Amnesty International Report 2022/23; The State of the World’s Human Rights; Bosnia And Herzegovina 2022, 27 marzo 2023, https://www.amnesty.org/en/location/europe-and-central-asia/bosnia-and-herzegovina/report- bosnia-and-herzegovina/).

Lo stato dell’accoglienza nel Paese è stato denunciato dai vertici delle istituzioni europee, in particolare dalla commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović (in una lettera del 07.12.2020 indirizzata al Presidente del Consiglio e al Ministro della Sicurezza dellaBosnia-Erzegovina: cfr https://rm.coe.int/commdh-2020-30- letter-to-the-authorities-of-bosnia-and-herzegovina-en/1680a099b6) e dall’allora vice presidente della Commissione Europea Josep Borrel (https://eeas.europa.eu/regions/africa/91182/bosnia-and-herzegovina-migration-crisis-far-over_en). L’Ufficio della protezione civile della Commissione Europea ha parlato di una vera crisi umanitaria in corso: “Le attuali condizioni meteorologiche minacciano la vita di oltre 1.700 persone che dormono all’aperto in condizioni disastrose, compresi molti bambini e famiglie non accompagnati. … I centri di accoglienza temporanea esistenti sono sovraccarichi e più di 1.700 persone, compresi molti bambini e famiglie non accompagnati, sono costretti a dormire in edifici abbandonati o tende improvvisate, senza accesso a ripari sicuri e dignitosi, acqua, servizi igienici, elettricità e riscaldamento. Hanno solo un accesso limitato al cibo e all’acqua potabile. Le preoccupanti condizioni igienico- sanitarie aumentano l’esposizione a malattie trasmissibili e infettive nonché la diffusione della pandemia di coronavirus. … gli attuali centri di accoglienza temporanei finanziati dall’UE, le ulteriori restrizioni ai movimenti di rifugiati e migranti imposte dalle autorità locali e la recente chiusura di due principali centri di accoglienza temporanea di Bira e Lipa, hanno esacerbato la situazione umanitaria con circa 1.700 rifugiati e migranti che dormono fuori. Come priorità immediata, l’UE aveva sollecitato le autorità della Bosnia ed Erzegovina a trasferire i rifugiati e i migranti che vivono nella struttura di Lipa, che non era a prova di inverno, nel centro di accoglienza finanziato dall’UE "Bira" a Bihać, che è pronto per ospitarli. La decisione delle autorità locali di non concretizzare questa richiesta, ha provocato un disastro umanitario … I centri di accoglienza sovraffollati o il sonno agitato, le cattive condizioni di vita, lo stato permanente di insicurezza e violenza stanno mettendo a dura prova la salute mentale di migranti, rifugiati e richiedenti asilo ... L’epidemia di coronavirus potrebbe peggiorare la già difficile situazione umanitaria e avereconseguenze drammatiche sia all’interno delle strutture di accoglienza sovraffollate che all’esterno, poiché migranti e rifugiati non hanno un accesso adeguato all’acqua e ai servizi igienici” (https://ec.europa.eu/echo/where/europe/bosnia-and-herzegovina_en).

Altre fonti attestavano tale situazione proprio nei mesi immediatamente precedenti la riammissione dell’odierno ricorrente (USDOS – US Department of State, Country Report on Human Rights Practices 2019 - Bosnia and Herzegovina, 11 marzo 2020, https://www.state.gov/reports/2019-country-reports-on-human-rights-practices/bosnia- and-herzegovina/; AI – Amnesty International, HumanRights in Europe - Review of 2019 - Bosnia and Herzegovina,

16 aprile 2020, https://www.amnesty.org/en/countries/europe-and-central-asia/bosnia-and-herzegovina/report-bosnia- and-herzegovina/; HRW – Human Rights Watch, World Report 2020 - Bosnia and Herzegovina, 14 gennaio 2020, https://www.hrw.org/world-report/2020/country-chapters/bosnia-and-herzegovina).

La descrizione delle fonti coincide perfettamente, d’altra parte, con quanto riferito dagli informatori ascoltati in udienza circa lo stato in cui era costretto a vivere il ricorrente quando essi lo hanno incontrato nei primi mesi del 2021, presso l’insediamento informale vicino Bihać dove era giunto a seguito della catena di respingimenti iniziata con il primo subito a Trieste.

Se le fonti sopra riportate dimostrano che il rischio legato alla riammissione informale era perfettamente conoscibile da parte delle autorità italiane nel momento in cui queste l’hanno effettuata, le condizioni di estrema privazione testimoniate e documentate in giudizio confermano che tale rischio si è effettivamente concretizzato nei confronti dell’odierno ricorrente, diversamente da quanto sostenuto dall’Amministrazione resistente circa la mancanza di prova sul punto. Nello specifico, il ricorrente ha manifestato la propria volontà di chiedere protezione in Italia, ma tale possibilità gli è stata negata dalle autorità italiane, che lo hanno riammesso in Slovenia con una condotta illegittima, come sopra esposto. In conseguenza di ciò, il ricorrente è stato leso nel suo diritto a chiedere protezione e a ricevere tutte le garanzie connesse allo status di richiedente asilo, nonché negli altri suoi diritti fondamentali, compreso quello all’integrità fisica, a causa dei trattamenti inumani e delle condizioni di vita non dignitose sperimentati durante il percorso di respingimento a catena e nel campo informale in Bosnia.

Proprio per sottrarsi alle descritte condizioni degradanti in Bosnia e mettendo di nuovo a rischio la propria incolumità, il ricorrente ha infine riaffrontato da solo l’intero percorso attraverso i Paesi balcanici ed è riuscito a raggiungere l’Italia una seconda volta, dove si trova tuttora dopo aver avuto finalmente accesso alla procedura d’asilo e aver ottenuto, all’esito di essa, il riconoscimento dello status di rifugiato (come da certificato in atti), la più elevata forma di protezione internazionale.

Tutto ciò considerato, il complesso delle violazioni subite merita di ricevere riparazione in forma risarcitoria, sussistendone tutti i presupposti.

Infatti, la riammissione informale, effettivamente operata dall’Amministrazione come compiutamente dimostrato in giudizio e riconosciuto dall’Amministrazione stessa, deve in primo luogo qualificarsi come antigiuridica e dunque illegittima per contrasto col diritto interno, anche di rango costituzionale, e internazionale, con valore di fonte sovraordinata ai sensi dell’art 117 Cost., sotto i profili sopra analizzati. Tale condotta è stata inoltre posta in essere nonostante le autorità responsabili conoscessero, o almeno avrebbero potuto (e dovuto) conoscere, le conseguenze della riammissione stessa, alla luce dei numerosi rapporti citati già allora esistenti, ciò che vale a configurare l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 2043 c.c. ai fini del riconoscimento di una responsabilità da fatto illecito.

Deve ritenersi ancora che la descritta condotta illegittima non incolpevole dell’Amministrazione abbia arrecato un danno ingiusto all’odierno ricorrente, esponendolo a serie e molteplici violazioni dei suoi diritti fondamentali, nell’atto stesso della riammissione (quanto al diritto a chiedere e ricevere protezione) e in conseguenza di essa (nella catena di illegittimi respingimenti sin fuori dall’Unione Europea, segnata dal rischio e dalla concreta soggezione a trattamenti inumani e degradanti). Tale danno è risarcibile alla stregua dei principi enucleati in materia dallagiurisprudenza di legittimità (cfr. in particolare Cass. SS.UU. n. 26972 dell’11.11.2008), che, in base al combinato disposto degli artt. 2043 e 2059 c.c., nell’ambito dei diritti non patrimoniali, riconoscono il diritto al risarcimento qualora il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, in quanto tali oggetto di tutela costituzionale, come certamente avvenuto nel caso di specie.

La rigorosa prova di tale danno, che deve necessariamente essere fornita in giudizio dalla parte che ne chiede il risarcimento, per consolidata giurisprudenza di legittimità può tuttavia essere sostituita, nel caso si tratti di danni non materiali come nel caso di specie, da una prova di tipo presuntivo, essendo sufficiente che la parte lesa indichi “la serie concatenata dei fatti noti che secondo il principio di regolarità causale, consentano di dedurre le conseguenze derivatene” (Cass. SS.UU. n. 26972/2008 citata). Il danno nei confronti del ricorrente potrebbe già dunque desumersi dalla stessa condotta di riammissione in Slovenia e cioè in un Paese che, mentre non garantisce un equo accesso alla procedura di asilo, destina con frequenza le persone riammesse al respingimento in Croazia e dunque alle violenze delle autorità di quest’ultimo Paese, nonchè ad un nuovo respingimento in Bosnia e quindi alle degradanti condizioni di vita ivi esistenti per migranti e richiedenti asilo, tutto per come concordemente documentato dalle più autorevoli fonti internazionali sopra citate.

Nel caso di specie, poi, le violazioni di diritti fondamentali subite dal ricorrente risultano provate anche in concreto e nello specifico, con particolare riguardo alle condizioni di vita nel campo in Bosnia, testimoniate da informatori che hanno incontrato il ricorrente mentre vi si trovava e ritratte in un servizio fotografico e giornalistico reso pubblico e prodotto in atti. Il danno risulta dunque non solo la conseguenza normale della condotta lesiva, ma persino specificamente provato.

Infine, tra l’operato dell’Amministrazione e il danno subito dal ricorrente sussiste un evidente nesso di causalità, dal momento che la lesione del diritto d’asilo e i trattamenti inumani sono stati la diretta conseguenza della riammissione informale del ricorrente in Slovenia da parte delle autorità di frontiera di Trieste: queste ultime hanno immediatamente leso il diritto del ricorrente di chiedere asilo e di godere delle garanzie connesse previste dal diritto interno e internazionale e, con la medesima condotta, hanno reso possibili le successive violazioni.

Ciò posto, infine, quanto alla liquidazione del danno subito dall’odierno ricorrente, dovendo necessariamente procedersi con criterio equitativo trattandosi di pregiudizio non patrimoniale, occorre considerare il protrarsi del danno per un periodo di sei mesi, decorsi dal momento della riammissione in Slovenia del 17.10.2020 sino al momento del reingresso in Italia del 17.04.2021, quando il ricorrente ha potuto accedere ad un’equa procedura d’asilo ed è conseguentemente cessata l’illegittima violazione dei suoi diritti imputabile alle autorità italiane. Ebbene, alla luce di tutte le considerazioni esposte, la domanda risarcitoria del ricorrente deve essere accolta e la somma dovuta a tale titolo dall’Amministrazione resistente in favore del ricorrente deve essere determinata, al valore attuale, in euro 18.200,00, pari alla misura di 100,00 euro per ogni giorno di ritardo nell’accesso alla procedura d’asilo in Italia, per periodo compreso tra il 17.10.2020 ed il 17.04.2021, oltre interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo.

Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza e devono porsi a carico dell’Amministrazione resistente, nella misura di cui in dispositivo e con distrazione, avuto riguardo allo scaglione relativo alla somma domandata e riconosciuta a titolo risarcitorio, valori medi per tutte le fasi e con esclusione della fase decisionale, non svolta.

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, così provvede:

-    accerta e dichiara l’illegittimità della condotta dell’amministrazione resistente per aver disposto la riammissione del ricorrente    in Slovenia indata          e, per l’effetto, la

condanna, in persona del legale rappresentante, al pagamento della somma di euro 18.200,00 in favore dello stesso, a titolo di risarcimento del danno, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo;

-  condanna l’Amministrazione resistente, in persona del legale rappresentante, alla rifusione delle spese di lite in favore degli Avv.ti Caterina Bove ed Anna Brambilla, dichiaratisi antistatari, complessivamente liquidate nella misura di euro 3.376,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge.

Roma, 9.05.2023.

Il Giudice dott.ssa Damiana Colla