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Pendenza di una notizia di reato non impedisce declaratoria di estinzione di precedente reato (Cass. 3574/22)

1 febbraio 2022, Cassazione penale

L'estinzione del reato per il quale è stato emesso decreto penale di condanna va dichiarata, ai sensi dell'art. 460 c.p.p., comma 5, se, nel termine di legge (due anni nel caso di specie), non sia stato commesso un delitto o una contravvenzione della stessa indole e sempre che detta commissione sia stata accertata con decisione irrevocabile, ancorchè pronunciata oltre il biennio, non essendo sufficiente la mera esistenza di una notitia criminis iscritta nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. o risultante dal certificato dei carichi pendenti, anche se, per essa, sia intervenuta condanna non definitiva.

 

CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE Sentenza 1° febbraio 2022, n. 3574

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SARNO Giulio - Presidente -
Dott. DI NICOLA Vito - rel. Consigliere - Dott. SOCCI Angelo Matteo - Consigliere - Dott. CORBO Antonio - Consigliere -

Dott. ANDRONIO Alessandro M. - Consigliere - ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:

T.F.S., nato in (OMISSIS);
SENTENZA
avverso l'ordinanza del 20-04-2020 del Tribunale di Alessandria;

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi trattati ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8;

udita la relazione del Consigliere Dr. Vito Di Nicola;

Letta la requisitoria del Procuratore Generale, Dr. Pratola Gianluigi, che ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'impugnata ordinanza.

Svolgimento del processo

1. T.F.S. ricorre per la cassazione dell'ordinanza emessa in data 20 aprile 2020 con la quale il tribunale di Alessandria, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha respinto l'istanza di estinzione del reato di cui al decreto penale n. 62 del 2014 del giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stessa città in data 31 gennaio 2014 con il quale il ricorrente era stato condannato alla pena di Euro 350 di ammenda per il reato di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 279, commi 2 e 4.

2. Il ricorso è affidato ad un unico motivo con il quale il ricorrente denuncia la violazione di legge in relazione all'art. 460 c.p.p., comma 5, sul rilievo che la condizione ostativa all'estinzione del reato non può consistere nella pendenza di un procedimento penale, occorrendo la pronunzia divenuta irrevocabile, altrimenti violandosi il principio costituzionale di non colpevolezza dell'imputato fino alla condanna definitiva.

Osserva che il tribunale di Alessandria, con l'ordinanza impugnata, pur dando atto che dal certificato generale del casellario giudiziale non risultano ulteriori condanne per delitti o contravvenzioni della stessa indole, ha ritenuto che costituisca ostacolo all'accoglimento della richiesta di declaratoria di estinzione del reato la pendenza di due procedimenti per il delitto di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter commessi il (OMISSIS) e quindi entro il termine di due anni dalla esecutività del decreto penale di condanna reso in relazione al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 279, atteso che non può affermarsi che l'interessato si sia astenuto dal commettere ulteriori delitti o contravvenzioni della stessa indole nei termini previsti dall'art. 460 c.p.p., comma 5.

Obietta il ricorrente che la soluzione patrocinata dal giudice dell'esecuzione con l'ordinanza impugnata collide con la presunzione di non colpevolezza dell'imputato, con la conseguenza che un reato attribuito ad un determinato soggetto non può considerarsi "commesso" sino a che non sia stato accertato con sentenza definitiva di condanna, trattandosi di un principio affermato anche dalla Corte costituzionale con l'ordinanza n. 107 del 4 giugno 1998 con riferimento all'art. 445 c.p.p., comma 2, che strutturalmente presenta la stessa formulazione dell'art. 460, comma 5, e la medesima ratio quanto al meccanismo di estinzione del reato.

3. Il Procuratore generale ha concluso per l'annullamento dell'ordinanza impugnata non risultando che, al momento della pronuncia di essa il ricorrente avesse riportato condanna definitiva per ulteriori delitti o contravvenzioni nei termini di cui all'art. 460 c.p.p., comma 5.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato.

2. Sulla questione devoluta con il gravame la giurisprudenza di legittimità è divisa, essendo controverso se - ai fini dell'applicabilità della causa estintiva ex art. 460 c.p.p., comma 5, in tema di decreto penale di condanna o, analogamente, ex art. 445 c.p.p., comma 2, in tema di sentenza di patteggiamento, la commissione di un delitto o di una contravvenzione della stessa indole entro il termine di legge - sia richiesto o meno che detta commissione sia stata accertata con decisione irrevocabile.

2.1. Un primo orientamento sostiene che la commissione di un reato nel termine di cinque o due anni, secondo se la sentenza o il decreto riguardi rispettivamente un delitto o una contravvenzione, comporta il rigetto della richiesta di estinzione del reato solo se detta commissione sia stata accertata con decisione irrevocabile, ancorchè pronunciata oltre il quinquennio (Sez. 1, n. 28616 del 27/05/2021, Di Chio, Rv. 281642 - 01; Sez. 1, n. 43792 del 24/09/2015, Zampini, Rv. 264753 - 01).

Secondo il suddetto indirizzo, per l'operatività dell'elemento ostativo, è necessario che il nuovo reato - e la sua commissione nel termine stabilito dalla legge - sia stato accertato con sentenza irrevocabile, non essendo sufficiente la mera esistenza di una notitia criminis iscritta nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. o risultante dal
certificato dei carichi pendenti, anche se, per essa, sia intervenuta condanna non definitiva.

Queste decisioni fanno leva sul principio costituzionale di non colpevolezza fino alla pronuncia di una condannà definitiva (art. 27 Cost., comma 2), con la conseguenza che un reato attribuito a un determinato soggetto non può ritenersi "commesso" qualora non sia stato accertato con una sentenza irrevocabile.

A tal proposito, la Corte costituzionale, nell'ordinanza n. 107 del 1998, richiamata dallo stesso ricorrente e riguardante la specifica materia in esame, ha ritenuto manifestamente infondata, con riferimento all'art. 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 445 c.p.p., comma 2, (il cui testo è sovrapponibile a quello ex art. 460 c.p.p., comma 5), nella parte in cui imporrebbe al richiedente la dichiarazione di estinzione del reato di provare di non aver commesso alcun delitto della stessa indole nel termine di cinque anni, sul rilievo che fossero palesemente erronei i due presupposti interpretativi su cui si basava la questione di costituzionalità: il primo - secondo cui l'elemento ostativo alla dichiarazione di estinzione del reato consisterebbe nella mera commissione di un reato e, quindi, nella semplice esistenza di un procedimento penale pendente a carico del condannato - perchè, anche alla luce del principio di cui all'art. 27 Cost., comma 2, l'effetto preclusivo all'estinzione del reato non consegue al mero fatto di aver commesso un delitto entro il termine di cinque anni, ma all'accertamento della responsabilità contenuto in una sentenza irrevocabile di condanna; il secondo - giusta il quale l'onere di provare l'inesistenza della commissione di un delitto della stessa indole sarebbe posto, nel procedimento di esecuzione, a carico del condannato - perchè, al contrario, l'art. 666 c.p.p., comma 5, attribuisce al giudice dell'esecuzione il potere di chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno, sicchè, al fine di provvedere sulla richiesta di cui all'art. 445 c.p.p., comma 2, il giudice può limitarsi ad acquisire il certificato del casellario giudiziale (Corte Cost., ordinanza, n. 107 del 25/02/1998, Rv. 23794).

2.2. Un secondo orientamento sostiene, invece, che la commissione di un reato, nel termine di riferimento decorrente dalla sentenza di applicazione della pena (o dal decreto penale di condanna), ancorchè non accertata con sentenza definitiva, comporti il rigetto della richiesta di estinzione del reato per il quale sia intervenuta sentenza di patteggiamento (o decreto penale di condanna), salva restando la possibilità di riproposizione dell'istanza in caso di successiva, anche oltre il quinquennio, definitiva sentenza di assoluzione dal reato "condizionante" (Sez. 3, n. 36993 del 07/07/2011, Marilli, Rv. 251389 - 01; Sez. 1, n. 1281 del 20/11/2008, dep.2009, Ciracì, Rv. 242664 - 01; Sez. 2, n. 4853 del 22/10/1999, De Rigo, Rv. 214666 - 01).

Quest'indirizzo non ignora l'orientamento espresso dalla Corte Costituzionale (ord., n. 107 del 1998), secondo il quale l'effetto preclusivo richiede un accertamento del fatto in via definitiva anche se la sentenza irrevocabile sopraggiunga dopo lo scadere del termine, ma osserva come occorra tenere distinti i due momenti della commissione del fatto entro il termine previsto dalla legge e dell'accertamento giudiziale della colpevolezza, che può intervenire anche dopo la scadenza di tale termine. Ne consegue che, in presenza della pendenza di un procedimento penale, già definito con sentenza di condanna ancorchè non ancora definitiva, relativamente
ad un reato commesso nel periodo previsto dalla legge, non si può ritenere realizzata la previsione della mancata perpetrazione di un reato nel termine previsto, e ciò perchè, a differenza di quanto accade per la sospensione condizionale della pena, non è ammissibile - in quanto non prevista dall'ordinamento - una declaratoria di estinzione del reato subordinata ad un eventuale revoca conseguente all'accertamento definitivo della colpevolezza per il nuovo reato.

Cosicchè, se è vero che l'effetto estintivo è precluso solo dalla commissione, nel termine prescritto, di un reato per il quale sia intervenuta sentenza di condanna definitiva, è altrettanto vero che la causa estintiva non può essere applicata quando la condizione alla quale essa è subordinata sia ancora incerta per la pendenza del relativo accertamento.

Tale soluzione sarebbe imposta dalla circostanza che l'art. 168 c.p. prevede espressamente la revoca della sospensione condizionale della pena nell'ipotesi di commissione di un nuovo reato. Invece, nei casi di cui all'art. 445 c.p.p., comma 2 e art. 460 c.p.p., comma 5, non è fissato un principio analogo che consenta la revoca della declaratoria di estinzione del reato allorchè, dopo l'adozione dell'ordinanza estintiva, sia intervenuta una sentenza di accertamento irrevocabile della commissione del reato; nè, tanto meno, sarebbe estensibile alla fattispecie in esame il richiamato art. 168 c.p., trattandosi di analogia in malam partem.

3. Il Collegio ritiene di aderire al primo orientamento, sul fondamentale rilievo che esso appare maggiormente allineato ai principi costituzionali.

Infatti, se la mera pendenza di un procedimento penale nel termine previsto per il verificarsi dell'evento condizionante (mancata commissione di un delitto nel termine di cinque anni o di contravvenzione della stessa indole nel termine di due anni) dovesse ritenersi ostativa per l'integrazione dell'effetto estintivo previsto dall'art. 445 c.p.p., comma 2, o dall'art. 460, comma 5, la presunzione di non colpevolezza risulterebbe violata nel suo significato più sostanziale, verificandosi una sovrapposizione non consentita tra l'indagatolimputato e il "colpevole".

All'indagato o all'imputato sarebbe cioè riservato il medesimo trattamento (ossia il rigetto, sebbene allo stato degli atti, della richiesta) che deve essere riservato a chi, nello stesso arco temporale e in presenza di una condanna irrevocabile, rivendicasse il medesimo effetto estintivo.

Ne consegue che, anche alla luce del principio di cui all'art. 27 Cost., comma 2, l'effetto preclusivo dell'estinzione del reato consegue solo in presenza di un accertamento della responsabilità contenuto in una sentenza irrevocabile di condanna, epilogo interpretativo, a maggior ragione, necessitato a seguito dell'entrata in vigore, nelle more tra la decisione del presente ricorso e la redazione della sentenza, del D.Lgs. 8 novembre 2021, n. 188 di rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza delle persone fisiche sottoposte a indagini o imputate in un procedimento penale in attuazione della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016.

4. Quanto poi alle ricadute che deriverebbero da tale interpretazione, non appare al Collegio condivisibile il parallelismo che l'opposto indirizzo ermeneutico instaura tra
la concessione della sospensione condizionale della pena, per la quale è espressamente prevista la revoca ex art. 168 c.p., e l'estinzione del reato oggetto della sentenza di patteggiamento o del decreto penale di condanna, per i quali alcuna revoca sarebbe prevista nel caso in cui l'accertamento irrevocabile della responsabilità penale per il reato condizionante intervenisse dopo la declaratoria di estinzione ma per fatti commessi nei termini di legge.

A questo proposito, va innanzitutto considerato che la sospensione condizionale della pena è, di regola, concessa nel giudizio di cognizione con la sentenza che lo definisce e, dopo il giudicato, la rimozione di una statuizione sulla quale si è formata l'irrevocabilità spiega la ragione per la quale è stato necessario prevedere una apposita revoca a riguardo, la quale, peraltro, opera di diritto (art. 168 c.p., comma 1).

Inoltre, il provvedimento dispositivo della sospensione condizionàle della pena, anche quando il beneficio viene concesso in sede esecutiva, ha natura costitutiva mentre la revoca opera di diritto e ha natura dichiarativa, salva l'ipotesi prevista dall'art. 168 c.p., comma 2 in cui il provvedimento di revoca non è dichiarativo, ma costitutivo (su quest'ultimo aspetto, Sez. U, n. 7551 del 08/04/1998, Cerroni, Rv. 210798 - 01).

Invece, l'estinzione del reato, che ha costituito oggetto di sentenza di patteggiamento (o di decreto penale di condanna), in conseguenza del verificarsi delle condizioni previste dall'art. 445 c.p.p., comma 2, (o dall'art. 460, comma 5) opera "ipso iure" e non richiede una formale pronuncia da parte del giudice dell'esecuzione (Sez. 3, n. 19954 del 21/09/2016, dep. 2017, Dessi, Rv. 269765 - 01; Sez. 6, n. 6673 del 29/01/2016, Mandri, Rv. 266120 - 01; Sez. 5, n. 20068 del 22/12/2014, dep. 2015, Valente, Rv. 263503 01).

Questi arresti solo apparentemente collidono con l'orientamento secondo il quale, in tema di esecuzione, l'art. 676 c.p.p. attribuisce al giudice il potere-dovere di dichiarare l'estinzione del reato dopo la condanna allorchè si verifichino le condizioni richieste dall'art. 445, comma 2, oppure dall'art. 460, comma 5, (Sez. 4, n. 498 del 27/02/2002 Gjika, Rv. 221240 01).

A ben vedere, entrambe le impostazioni colgono nel segno.

Le Sezioni unite, scrutinando le vicende estintive connesse alla concessione e alla revoca dell'indulto, hanno chiarito che l'assenza del provvedimento che dichiara l'estinzione del reato non rileverebbe in senso preclusivo atteso che l'effetto estintivo opererebbe ex lege per effetto del decorso del tempo.

Tanto sul rilievo che l'effetto estintivo operi ex lege per effetto del decorso inattivo del tempo e non abbisogni di alcun provvedimento, non rilevando in contrario l'attribuzione al giudice dell'esecuzione della competenza a decidere in merito all'estinzione del reato dopo la condanna, con la conseguenza che il provvedimento dichiarativo dell'estinzione, successivo e ricognitivo di un effetto già verificatosi, resta estraneo ai fini dell'estinzione del reato e si pone in funzione meramente formale e ricognitiva di un effetto già verificato, nel mentre l'automatismo degli effetti dell'estinzione del reato si pone in coerenza con i principi comunitari di ragionevole
durata dei processi, sollecita definizione e di minor sacrificio esigibile, evincibili dagli artt. 5 e 6 CEDU (Sez. U, n. 2 del 30/10/2014, dep. 2015, Maiorella, in motiv.).

Perciò, nei casi disciplinati dall'art. 445 c.p.p., comma 2 e art. 460 c.p.p., comma 5, il reato non si estingue sino al verificarsi dell'evento risolutore (condanna per delitto o per contravvenzione della stessa indole nel termine di legge) ovvero l'effetto si produce ipso iure al compimento della vicenda estintiva (con la mancata verificazione della condizione risolutiva).

A seguito della verifica del mero decorso del tempo senza che, nell'arco temporale di riferimento, siano stati commessi reati, consegue ope legis, da un lato, l'effetto estintivo del reato e di ogni effetto penale e, dall'altro, consegue che qualsiasi provvedimento, emesso in sede esecutiva contenente la pronunzia sulla verifica dei presupposti di legge, ha natura dichiarativa e ricognitiva, a carattere intrinsecamente retroattivo, dell'avvenuta estinzione del reato e degli effetti penali, già verificatasi nel momento stesso dello spirare del termine di legge, senza che risulti la commissione di reati.

Il fatto poi che il fenomeno estintivo, nei casi della sentenza di patteggiamento e del decreto penale di condanna, opera di diritto, al verificarsi dei presupposti richiesti dalla norma processuale per la produzione degli effetti propri dell'intervenuta causa estintiva, non esclude che il giudice dell'esecuzione, al quale l'art. 676 c.p.p. attribuisce la competenza a decidere in merito all'estinzione del reato dopo la condanna, adotti, essendone richiesto dagli interessati, il provvedimento di favore, che appunto ha natura dichiarativa e, conseguentemente, gli effetti di diritto sostanziale risalgono ex lege al momento in cui si è verificata la condizione (non commissione di reati nell'arco temporale di riferimento), anche prima della pronuncia giudiziale, e indipendentemente da essa, giacchè la declaratoria del giudice dell'esecuzione non è che un atto ricognitivo di un effetto giuridico predeterminato dalla legge.

Conclusivamente, allorquando il giudice dell'esecuzione non sia stato investito della declaratoria di estinzione del reato, siccome la vicenda estintiva si estende agli effetti penali, la verifica circa l'integrazione o meno della causa estintiva va operata incidenter tantum accertando la presenza o meno, allo stato degli atti, dei presupposti richiesti dalla legge per l'estinzione del reato.

Se, invece, il giudice dell'esecuzione, come nel caso in esame, sia stato investito, ex art. 676 c.p.p., della richiesta di declaratoria di estinzione del reato, ai sensi dell'art. 445 c.p.p., comma 2, oppure art. 460 c.p.p., comma 5, egli dovrà accertare che, nel termine di legge, l'istante non abbia commesso reati (cioè non sia stato condannato con efficacia di giudicato per reati) ostativi all'integrazione della causa estintiva.

Sul punto, va precisato che i provvedimenti emessi in tal senso nel procedimento di esecuzione sono "rebus sic stantibus", nel senso che, una volta divenuti formalmente irrevocabili, precludono una nuova pronuncia sul medesimo "petitum" non già in maniera assoluta e definitiva, ma solo finchè non si prospettino nuove questioni giuridiche o nuovi elementi di fatto, siano essi sopravvenuti o preesistenti, ma diversi da quelli precedentemente presi in considerazione (ex multis, Sez. 1, n. 36005 del 14/06/2011, Branda, Rv. 250785 - 01), tanto in applicazione del principio
generale della revocabilità dei provvedimenti del giudice dell'esecuzione quando risulti, successivamente alla loro adozione, una diversa situazione di fatto rispetto a quella assunta a presupposto del precedente provvedimento fondato su una situazione fenomenica diversa da quella che l'aveva giustificato; con la conseguenza che, anche in mancanza di una espressa previsione, è consentito rivalutare i presupposti per la revoca della declaratoria di estinzione del reato a seguito di sentenza di patteggiamento o di decreto penale di condanna allorchè, dopo l'adozione dell'ordinanza estintiva, sia intervenuta una sentenza di accertamento irrevocabile della responsabilità penale per un reato commesso entro il termine di legge, con lo sbarramento costituito, a condizioni esatte, della prescrizione della pena (artt. 172 e 173 c.p.), applicando, per la revoca del provvedimento di estinzione de qua, principi analoghi a quelli elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di revoca dell'indulto, con la conseguenza che, per il decorso della prescrizione della pena, in caso di revoca di benefici, si deve fare riferimento al momento in cui siano per legge maturate le condizioni che abbiano portato alla revoca stessa e non a quello in cui viene adottato il provvedimento di revoca della provvidenza (v. Sez. U, n. 2 del 30/10/2014, dep. 2015, cit., Rv. 261399 - 01).

5. Sulla base delle precedenti considerazioni, l'ordinanza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame.

Il giudice del rinvio si atterrà al principio di diritto alla luce del quale l'estinzione del reato per il quale è stato emesso decreto penale di condanna va dichiarata, ai sensi dell'art. 460 c.p.p., comma 5, se, nel termine di legge (due anni nel caso di specie), non sia stato commesso un delitto o una contravvenzione della stessa indole e sempre che detta commissione sia stata accertata con decisione irrevocabile, ancorchè pronunciata oltre il biennio, non essendo sufficiente la mera esistenza di una notitia criminis iscritta nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. o risultante dal certificato dei carichi pendenti, anche se, per essa, sia intervenuta condanna non definitiva.

A tal fine, il giudice del rinvio verificherà se, nel frattempo, siano intervenute cause ostative al riconoscimento del beneficio.

P.Q.M.

Annulla la ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al tribunale di Alessandria.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2021. Depositato in Cancelleria il 1° febbraio 2022