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Cooperazione omissiva dei genitori nell’omicidio colposo commesso dall’omeopata (Cass. 35895/23)

29 agosto 2023, Cassazione penale

La condotta omissiva tenuta dai genitori che rimangono inerti anche dopo l'inefficacia di cure omeopatiche contribuisce concausalmente alla verificazione dell'evento mortale: ai genitori spetta la c.d. posizione di protezione, la quale impone al garante di preservare determinati beni giuridici da tutti i pericoli che possano minacciarne l'integrità.

Il genitore esercente la potestà sui figli minori e, come tale, investitc:i, a norma dell'art. 147 c.c., di una posizione di garanzia in ordine alla tutela dell'integrità psico-fisica dei medesimi, risponde, a titolo di causalità omissiva di cui all'art. 40. c.p., allorquando sussistano le seguenti condizioni: a) conoscenza o conoscibilità dell'evento; b) conoscenza o riconoscibilità dell'azione doverosa incombente sul "garante"; c) possibilità oggettiva di impedire l'evento.

In tema di omicidio colposo, allorquando l'obbligo di impedire l'evento ricada su più persone, che debbano intervenire od intervengano in tempi diversi, il nesso di causalità tra l'evento letale e la condotta omissiva o commissiva di uno dei soggetti titolari di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato intervento di un altro garante, configurandosi, in tale ipotesi, un concorso di cause.

La condotta omissiva tenuta dai genitori che rimangono inerti anche dopo l'inefficacia di cure omeopatiche contrubuisce concausalmente alla verificazione dell'evento mortale.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Sent., (data ud. 03/05/2023) 29/08/2023, n. 35895

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente -

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -

Dott. D’ANDREA Alessandro - rel. Consigliere -

Dott. MICCICHE’ Loredana - Consigliere -

Dott. NOCERA Andrea - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

C.C., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 03/06/2022 della CORTE APPELLO di ANCONA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO D'ANDREA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ASSUNTA COCOMELLO.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 3 giugno 2022 la Corte di appello di Ancona ha confermato la pronuncia del G.U.P. del locale Tribunale del 6 giugno 2019 con cui A.A. e C.C., in esito a giudizio abbreviato, erano stati condannati, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi tre di reclusione in ordine al delitto di cui agli artt. 113, 40, comma 2, 589, 590-sexies c.p., per non avere, in cooperazione colposa tra loro e con D.D. (giudicato separatamente), impedito il decesso del minore W.W., avvenuto il (Omissis) presso il Reparto di anestesia e rianimazione pediatrica dell'Ospedale (Omissis).

I due imputati, in particolare, sono stati ritenuti responsabili di avere omesso dal 7 al (Omissis), in qualità di genitori del minore, pur a fronte di un quadro clinico sintomatologico di un'otite media acuta e della sua ingravescenza (dolore dapprima all'orecchio destro e poi a quello sinistro, con fuoriuscita abbondante di liquido da entrambe le orecchie, rialzi febbrili fino a 39,5, cefalea, irritabilità, dimagrimento, apatia) e della palese inefficacia della terapia omeopatica prescritta dal D.D., con colpa consistita in negligenza e imprudenza, di consultare la pediatra del bambino, ovvero di rivolgersi ad un medico specialista in otorinolaringoiatria o a una struttura ospedaliera, somministrando al minore solo i medicinali omeopatici indicati dal D.D..

2. Le modalità di svolgimento della vicenda fattuale sono state compiutamente ricostruite dalla Corte di merito, nei termini sotto sintetizzati.

In data 7 maggio (Omissis) W.W. aveva iniziato a lamentare dolore all'orecchio destro, per cui i suoi genitori avevano deciso di contattare D.D., medico ompeopatico avente in cura il bambino da circa tre anni, il quale suggeriva la somministrazione di specifici rimedi omeopatici.

Nei giorni successivi C.C., madre del bambino, aveva più volte contattato il D.D. per aggiornarlo sull'evoluzione della malattia, informandolo della comparsa di nuovi sintomi (fuoriuscita di abbondante liquido giallastro dall'orecchio destro, febbre, dolore all'orecchio sinistro, fuoriuscita di liquido giallo dall'orecchio sinistro). A fronte di tale situazione, il medico aveva ingiunto alla donna di non somministrare tachipirina, a meno che la febbre non avesse raggiunto la temperatura di 43.

Il successivo 13 maggio (Omissis), quindi, vi era stato un generale miglioramento delle condizioni del bambino, pur persistendo la fuoriuscita di liquido dalle orecchie.

Nei giorni tra il 15 e il 18 maggio (Omissis) la febbre era stata altalenante, comunque perseverando il dolore all'orecchio sinistro.

La febbre era, invece, aumentata in modo deciso il 18 maggio (Omissis), per cui la C.C., previa fissazione di un appuntamento, aveva portato B.B. presso lo studio del D.D., che, a seguito di visita, aveva riscontrato la presenza nel bambino di 39 di febbre, mal di testa, male all'orecchio, fuoriuscita di liquido, irritabilità. Conseguentemente, il medico aveva prescritto la somministrazione di ulteriori rimedi omeopatici, avvertendo i genitori di non dare, comunque, antibiotici o tachipirina a B.B., essendovi il rischio che potesse rimanere sordo. La sera stessa la febbre era ulteriormente aumentata, raggiungendo i 39,9, e, contattato nuovamente il D.D., veniva ulteriormente modificata la terapia prescritta.

Tra il 18 e il (Omissis) vi era stato, quindi, un ulteriore significativo peggioramento della situazione complessiva, atteso che il bambino era solito dormire molto, non mangiare quasi nulla, versare in stato confusionale, sentire poco, sempre con febbre particolarmente elevata. Pur a fronte di ciò, il D.D. aveva continuato a tranquillizzare e rassicurare i genitori, sostenendo che non vi fosse la presenza di complicazioni particolarmente serie.

Solo in data (Omissis) il D.D. si era recato presso l'abitazione dei A.A. per visitare B.B., tuttavia affermando che la guarigione stava tardando unicamente perchè il bambino era stato vaccinato.

Nel pomeriggio il minore aveva avuto un episodio di vomito, ma il D.D. aveva raccomandato nuovamente ai genitori di non somministrare antibiotici o tachipirina. La madre aveva deciso di non rivolgersi alla pediatra del bambino, nella consapevolezza che tale ultima, come già in passato verificatosi - avendo già sofferto B.B. di ulteriori episodi di otite -, avrebbe subito impartito al minore una terapia a base di antibiotici e tachipirina.

Nel corso della serata i genitori avevano notato come il bambino avesse uno sguardo assente e si lamentasse. Solo allora il D.D., nuovamente allertato dai A.A., aveva consigliato loro di chiamare un'ambulanza.

Giunti presso l'abitazione, i sanitari del 118 avevano potuto verificare come B.B. versasse in stato di coma. Pur a fronte di ciò, la C.C. aveva subito raccomandato ai sanitari di non somministrare tachipirina o antibiotici al figlio, provvedendo a metterli in contatto con il D.D..

Il minore, quindi, era stato trasportato all'Ospedale di (Omissis) e da qui trasferito, dopo essere stato intubato e sottoposto a terapia antibiotica, all'Ospedale di (Omissis), ove era stato operato in data 24 maggio (Omissis).

Il successivo 27 maggio (Omissis) veniva accertato il decesso del bambino.

3. Avverso l'indicata sentenza hanno proposto ricorso per cassazione A.A. e C.C., proponendo quattro motivi di censura.

Con il primo hanno dedotto travisamento della prova, per avere la Corte territoriale omesso di valutare un dato fattuale di assoluta rilevanza ai fini della decisione, rappresentato dall'andamento estremamente altalenante, incostante e subdolo della malattia, tale da non aver consentito loro, e neanche al medico curante, di poterne percepire la relativa ingravescenza.

Ed infatti, in alcuni momenti (ad esempio nei giorni 13-1.4 maggio (Omissis)) le condizioni di salute del minore avevano avuto un significativo miglioramento, tanto che il bambino era sfebbrato ed aveva perfino ripreso a giocare.

Tale aspetto sarebbe stato erroneamente non considerato dai giudici di merito, essendosi trattato di un elemento costante del decorso della malattia, perfino ravvisabile nei giorni più prossimi al decesso (il 21-22 maggio (Omissis) la febbre era scesa e B.B. era apparso più lucido), conseguentemente desumendosi che gli imputati si sarebbero potuti accorgere della gravità della malattia solo a partire dal (Omissis), giorno in cui, tuttavia, per quanto accertato dai consulenti tecnici, ogni cura o intervento sarebbe stato inutilmente tardivo.

Con la seconda censura è stata eccepita erronea applicazione degli artt. 40 e 41 c.p. in relazione alla sussistenza del nesso eziologico tra l'evento morte e la mancata sottoposizione alla terapia antibiotica.

I giudici di appello avrebbero errato nell'individuare la regola cautelare violata, ritenendo che la condotta doverosa gravante sugli imputati, e dagli stessi non rispettata, sarebbe stata rappresentata dal fatto di non essersi rivolti ad altri medici, quanto meno per un consulto, anzichè fidarsi ciecamente di un unico sanitario, le cui cure non avevano condotto ad alcun miglioramento.

Ciò, tuttavia, contrasterebbe con le risultanze emerse dalla svolta C.T.U., per la quale, ragionando in termini di giudizio controfattuale, solo una sottoposizione tempestiva del bambino alla terapia antibiotica avrebbe potuto consentire un esito diverso da quello letale. Rileverebbe, pertanto, un'antinomia tra la condotta salvifica, individuata nella somministrazione dell'antibiotico, e la condotta dovuta da parte dei genitori, rappresentata dalla necessità di consultare altri professionisti.

Coprire, tuttavia, il nesso eziologico con la causalità materiale di due condotte diverse, del tutto autonome e avulse tra loro, essendo l'una riferita al medico e l'altra riguardante i genitori, determinerebbe un vero e proprio stravolgimento dei principi sanciti dagli artt. 40 e 41 c.p..

Non sussistendo nessuna regola cautelare tale da imporre ai genitori di consultare più medici, non ricorrerebbe alcun nesso causale tra la condotta imputabile ai prevenuti e la verificazione del decesso del loro figlio.

Con la terza doglianza è stata lamentata erronea applicazione degli artt. 40-43 c.p. in relazione alla ritenuta sussistenza della responsabilità omissiva colposa degli imputati.

Ripercorsi gli elementi dogmatici del reato colposo e ritenuto che i ricorrenti ricoprissero una posizione di garanzia di protezione nei confronti del figlio, è stata eccepita l'insussistenza di una loro condotta omissiva penalmente rilevante, lesiva della suddetta posizione di protezione. Non si ravviserebbe, infatti, nei loro comportamenti, la presenza dei necessari requisiti della: conoscenza o conoscibilità dell'evento; conoscenza o riconoscibilità dell'azione doverosa incombente sul garante; possibilità oggettiva di impedire l'evento.

Già detto di come l'altalenante andamento della malattia avesse reso, di fatto, impossibile percepirne la relativa ingravescenza, i ricorrenti evidenziano come si fossero affidati alle cure di un medico in cui riponevano totale fiducia, costantemente avvertendolo sulle continue variazioni della sintomatologia, per l'effetto espletando tutto quanto fosse nelle loro competenze, che, all'evidenza, non potevano comprendere anche la conoscenza o conoscibilità del letale evento.

Nè potrebbe essere loro riferita una conoscenza o riconoscibilità dell'azione doverosa su costoro incombente, individuata nel fatto di non essersi consultati con altri medici, avendo riposto piena fiducia in un professionista particolarmente stimato, con ampia clientela, che nei tre anni precedenti aveva sempre ben curato B.B.. Il decesso del bambino sarebbe stata la conseguenza di un errore medico, in nessun modo loro imputabile, essendosi rivolti ad un valido professionista ed avendo sempre rispettato le prescrizioni da questi impartite. La condotta doverosa sarebbe stata, pertanto, proprio quella, effettivamente attuata, di rivolgersi ad un medico competente e di seguirne tutte le indicazioni espresse.

I ricorrenti, inoltre, non avrebbero avuto neanche la possibilità di impedire l'evento, non disponendo di strumenti conoscitivi idonei a consentir loro di effettuare un vaglio critico dell'operato del D.D., che gli consentisse di accorgersi dell'inefficacia del trattamento sanitario prestato.

Con l'ultimo motivo è stata eccepita, infine, erronea applicazione dell'art. 41 c.p. in relazione all'interruzione del nesso di causalità determinato dalla condotta professionale carente e inadeguata del D.D., che da sola avrebbe cagionato la verificazione dell'evento mortale.

La condotta del medico, unico in grado di conoscere le potenzialità lesive dell'otite, e quindi di adoperarsi per poterle evitare, avrebbe avuto natura straordinaria ed imprevedibile, in quanto discostatasi dalle linee guida mediche e omeopatiche, in particolar modo decidendo di non somministrare antibiotici al bambino, altresì dissuadendo i genitori dal trasgredire tale indicazione. La sua condotta, esorbitante da qualsiasi parametro di relazione, sarebbe stata, dunque, causa esclusiva della verificazione del decesso del minore.

4. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto il rigetto dei ricorsi.

5. Gli imputati hanno depositato successiva memoria scritta, con cui hanno insistito per l'accoglimento dei ricorsi.

Motivi della decisione

1. I ricorsi non sono fondati e devono, pertanto, essere rigettati.

2. In primo luogo privo di fondamento è l'introduttivo motivo, con cui i ricorrenti hanno lamentato travisamento della prova, per non essere stato valutato adeguatamente il dato fattuale, da loro ritenuto di fondante rilievo, rappresentato dall'andamento altalenante, incostante e subdolo avuto dalla malattia, tale da non avergli consentito di poterne percepire la relativa ingravescenza.

Trattasi, invero, di censura non accoglibile, atteso che la Corte di merito ha dettagliatamente ricostruito in fatto l'andamento della malattia, evidenziandone, con doviziosa puntualità, le varie fasi di sviluppo e l'oscillante decorso avuto, senza, con ciò, elidere la configurazione della responsabilità penale dei prevenuti.

L'indicato aspetto, infatti, è stato ritenuto implicitamente subvalente da parte dei giudici di merito, in quanto considerato insufficiente a consentire di escludere, comunque, la ritenuta possibilità da parte dei genitori di accorgersi della gravità della malattia, e dei conseguenti pericoli ad essa correlati, già a far data dal 18 maggio (Omissis), e non già dal successivo (Omissis), come, invece, irragionevolmente auspicato da parte dei ricorrenti, in virtù di un'alternativa lettura dei fatti e di una diversa valutazione delle risultanze probatorie, invero non consentita in questa sede di legittimità.

In modo logico e congruo, infatti, la Corte di appello ha esplicato come i C.T.U., già in sede di celebrazione del primo giudizio, avessero esplicato che se la terapia fosse iniziata almeno dal 18 maggio (Omissis), con somministrazione di antibiotici, con elevata probabilità si sarebbe ridotta l'entità lesiva o addirittura risolto l'episodio otitico, con conseguente esclusione della verificazione dell'evento mortale.

Ciò sarebbe potuto avvenire anche perchè, in quella stessa data, i genitori del bambino avrebbero potuto percepire la sil:uazione di pericolo, sussistendo un quadro clinico caratterizzato da evidenti e gravi segni di peggioramento.

Con diffuse argomentazioni, quindi, connotate da evidente logicità e piena considerazione di tutte le emergenze probatorie presenti in atti, i giudici di appello hanno esplicato i motivi per cui non può essere ravvisato nessun travisamento della prova, ricorrendo già in data 18 maggio (Omissis) un quadro clinico particolarmente allarmante, riconoscibile anche da parte degli imputati, che ben potevano, pertanto, comprendere l'inefficacia delle terapie prescritte e la conseguente necessità di ricorrere alla tradizionale terapia antibiotica, che già in passato aveva avuto piena efficacia nella cura delle otiti del bambino.

3. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso, con cui i ricorrenti hanno lamentato l'insussistenza di un nesso causale tra la verificazione dell'evento mortale e l'omessa sottoposizione della vittima alla terapia antibiotica.

Gli imputati contestano, in particolare, l'erroneità e l'illogicità con cui i giudici appello avrebbero realizzato una sorta di duplicazione della regola cautelare violata, ritenendo che la condotta doverosa gravante sugli imputati, e dagli stessi non rispettata, sarebbe stata quella di non aver consultato altri medici, invece imputandosi al D.D., in ragione delle diverse cognizioni scientifiche avute, l'omessa tempestiva sottoposizione del bambino alla terapia antibiotica.

Orbene, tale criterio di individuazione del nesso eziologico, realizzato mediante la causalità materiale di due condotte distinte, non solo non determina alcuno stravolgimento dei principi ermeneutici fissati dagli artt. 40 e 41 c.p., come invece ritenuto da parte dei ricorrenti, ma si conforma ai dettami resi dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte,. per cui eventuali corresponsabilità nella causazione dell'evento da parte di più soggetti parimenti investiti di una posizione di garanzia nei confronti della persona offesa - come, invero, configurabile nel caso di specie - non determinano il venir meno dell'obbligo giuridico di impedire l'evento.

E' stato, infatti, espressamente affermato che, in tema di omicidio colposo, allorquando l'obbligo di impedire l'evento ricada su più persone, che debbano intervenire od intervengano in tempi diversi, il nesso di causalità tra l'evento letale e la condotta omissiva o commissiva di uno dei soggetti titolari di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato intervento di un altro garante, configurandosi, in tale ipotesi, un concorso di cause ai sensi dell'art. 41, comma 1, c.p. (Sez. 4, n. 17887 del 02/02/2022, Bello, Rv. 283208-01; Sez. 4, n. 37992 del 11/07/2012, De Angelis, Rv. 254368-01; Sez. 4, n. 43078 del 28/04/2005, Poli, Rv. 232416-01).

Congruamente, dunque, è stato ritenuto che la condotta omissiva tenuta dai genitori della vittima abbia contribuito concausalmente alla verificazione dell'evento mortale, atteso che, per come logicamente esplicato dai giudici di merito, sarebbe stato sufficiente recarsi in ospedale ovvero rivolgersi ad uno specialista otorinolaringoiatra o alla pediatra - come avvenuto in passato per identiche otiti sofferte dal bambino, tutte curate con somministrazione di antibiotici - per evitare la realizzazione dell'evento letale. D'altro canto, la stessa C.C. ha, implicitamente, confermato tale conclusione, sostenendo che ove si fosse rivolta alla pediatra questa le avrebbe certamente impartito la cura antibiotica, come da lei in quel momento non voluto.

Neppure sussiste incongruenza alcuna nella determinazione della regola cautelare violata, apparendo del tutto logico che, una volta individuata con giudizio controfattuale nella somministrazione dell'antibiotico la cura salvifica del minore, essa costituiva l'attività dovuta da parte del D.D., in ragione delle competenze mediche da lui avute e della specifica posizione di garanzia su di lui gravante, invece spettando ai genitori, all'evidenza privi delle medesime cognizioni scientifiche, l'univoco compito di far somministrare tale terapia al figlio, anche mediante il ricorso a sanitari diversi dal D.D..

4. Parimenti non fondato è il terzo motivo di ricorso, con cui i ricorrenti hanno eccepito l'insussistenza della riconosciuta loro responsabilità omissiva, sostenendo che nelle condotte considerate non si ravviserebbe nessuna lesione della posizione di garanzia di protezione su di loro gravante, non potendosi rinvenire in esse gli imprescindibili requisiti della conoscenza o conoscibilità dell'evento, della conoscenza o riconoscibilità dell'azione doverosa incombente sul garante, ovvero della possibilità oggettiva di impedire l'evento.

A fronte di tale doglianza, il Collegio rileva, infatti, come tale censura sia già stata sostanzialmente rigettata dalla Corte di merito in virtù di una motivazione del tutto logico e congrua, esente dai prospettati vizi, certamente idonea a rappresentare le ragioni per cui, invece, la condotta imputabile ai prevenuti fosse caratterizzata da un indubbio rilievo penale.

Per come chiarito da questa Suprema Corte, il genitore esercente la potestà sui figli minori e, come tale, investitc:i, a norma dell'art. 147 c.c., di una posizione di garanzia in ordine alla tutela dell'integril:à psico-fisica dei medesimi, risponde, a titolo di causalità omissiva di cui all'art. 40. c.p., allorquando sussistano le seguenti condizioni: a) conoscenza o conoscibilità dell'evento; b) conoscenza o riconoscibilità dell'azione doverosa incombente sul "garante"; c) possibilità oggettiva di impedire l'evento (così, Sez. 3, n. 19603 del 28/02/(Omissis), C.R., Rv. 270141-01, con principio affermato in un'ipotesi di violenza sessuale).

Ai genitori spetta, quindi, la c.d. posizione di protezione, la quale impone al garante di preservare determinati beni giuridici da tutti i pericoli che possano minacciarne l'integrità, indipendentemente dall'individuazione della relativa fonte - come pure ritenuto da parte degli stessi imputati in ricorso -, Orbene, l'esame della impugnata sentenza consente di constatare come sia stata adeguatamente dimostrata, giusta applicazione dei principi in tema di causalità omissiva e di posizione di garanzia, la sussistenza dei suddetti presupposti, indicati dalla giurisprudenza di legittimità per configurare in capo ai ricorrenti la responsabilità concorsuale omissiva, derivante dalla loro posizione di garanzia genitoriale rispetto alla vittima, congruamente argomentandola sulla base degli elementi probatori emersi in giudizio.

4.1. Ed infatti, con riguardo al profilo della conoscenza o conoscibilità dell'evento, appare adeguata la motivazione con cui i giudici di merito hanno ritenuto che già in data 18 maggio (Omissis) vi fosse la ricorrenza di sintomi della malattia di una gravità tale (febbre molto alta, mal di testa, dolore all'orecchio sinistro con fuoriuscita di liquido, irritabilità) da consentire ai genitori di accorgersi dei rischi strutturalmente correlati ad essa.

La stessa C.C., d'altro canto, aveva riferito di essersi fortemente preoccupata per le condizioni del figlio, non avendo sortito effetto alcuno le disposte cure omeopatiche, tanto aver deciso di portare B.B., in quello stesso giorno, presso lo studio del D.D., e di non essersi completamente tranquillizzata nonostante le rassicurazioni fattele dal medico.

Nè può assumere rilievo la circostanza, addotta dalla difesa, per cui solo post mortem si sarebbe appreso della formazione del batterio nel condotto uditivo, atteso che la conoscibilità della malattia era ben evincibile dai gravi sintomi manifestati dal bambino.

Congruamente, ancora, è stata valorizzata dalla Corte territoriale la circostanza per cui già in passato il minore aveva sofferto di otiti, risolte facendo ricorso agli antibiotici su prescrizione della pediatra, per evidenziare come vi fosse consapevolezza da parte dei genitori della gravità dei sintomi manifestati da B.B. e di come fosse possibile farlo guarire dall'otite utilizzando gli stessi farmaci assunti in passato.

4.2. Le stesse considerazioni valgono, invero, anche con riguardo alla configurabilità del requisito della conoscenza o conoscibilità dell'azione doverosa incombente sui garanti.

In proposito, infatti, la Corte territoriale ha adeguatamente osservato come negli imputati vi fosse la piena conoscenza della specifica condotta cui gli stessi erano tenuti, per avere costoro già precedentemente avuto esperienza con altri episodi otitici, risoltisi con la somministrazione da parte della pediatra di una terapia antibiotica, della cui necessità erano, dunque, ben consapevoli.

In termini del tutto opposti, invece, i ricorrenti hanno scientemente ritenuto di non rivolgersi a tale pediatra, nè ad altro sanitario, proprio al fine di impedire che venissero somministrati al figlio degli antibiotici.

Ciò risulterebbe, vieppiù, comprovato dal fatto che, per come evidenziato dalla Corte di appello, perfino la sera del (Omissis) la C.C. si era rivolta ai sanitari del 118 intervenuti, che avevano accertato lo stato comatoso del bambino, raccomandandosi di non somministrare al figlio tachipirina o antibiotici.

4.3. Quanto, infine, alla possibilità oggettiva di impedire l'evento, i giudici di merito hanno adeguatamente assunto quale parametro di riferimento il genitore dotato di comune esperienza, e non di professionalità in ambito medico sanitario, effettuando, in virtù di esso, il giudizio di rappresentabilità ed evitabilità dell'evento, logicamente giungendo alla conclusione per cui l'agente modello avrebbe verosimilmente chiesto un consulto a più medici per fronteggiare una situazione che, con la sola cura omeopatica, non stava dando alcun segno di miglioramento.

Alla luce di tali parametri, allora, il Collegio ritiene di poter conclusivamente ritenere che la Corte di merito ha congruamente ritenuto, con motivazione logica ed esente dai contestati vizi, che vi fosse l'esigibilità da parte dei prevenuti del comportamento doveroso omesso, avendo accertato che gli imputati non solo potevano rendersi conto dell'evento, ma che, al contempo, erano del tutto in grado di realizzare l'azione idonea ad impedirne la verificazione.

5. Alla stregua di tutte le considerazioni espresse, e della esplicata sussistenza del nesso eziologico tra la condotta omissiva dei ricorrenti, consistita nel non aver consultato altri medici, e la verificazione dell'evento letale, deve essere formulato, all'evidenza, anche il conseguente giudizio di infondatezza dell'ultima doglianza eccepita, relativa alla presunta interruzione del nesso di causalità determinata dall'imprevedibile e straordinaria condotta tenuta dal D.D., che avrebbe, in via esclusiva, cagionato la morte del minore.

Orbene, a fronte delle argomentazioni rese, il Collegio rileva come il comportamento tenuto dal D.D., per quanto certamente inadeguato e carente rispetto alla situazione sanitaria del bambino, non abbia introdotto nessun rischio nuovo o esorbitante, essendovi stata - sia pur nella fiducia costantemente riversata - un'indubbia consapevolezza da parte dei genkori della condotta inadeguata avuta del medico, tanto da aver più volto espresso dubbi sulla bontà delle indicazioni sanitarie impartite, e sulla credibilità delle continue rassicurazioni ricevute, che fino al (Omissis) avevano escluso la ricorrenza di una qualsiasi complicazione seria nella salute del bambino.

La condotta del D.D. non ha determinato, quindi, nessun rischio autonomo o eccentrico, ma si è solo inserita nel rischio tutelato della posizione di garanzia degli imputati, che, in ragione della qualifica genitoriale posseduta, si sarebbero dovuti attivare diversamente, impedendo la realizzazione dell'evento mortale.

6. Ne consegue, allora, la pronuncia del rigetto dei ricorsi, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Deve, altresì, essere disposto l'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi riportati in sentenza, a norma dell'art. 52 D.Lgs. n. 30 giugno 2003, n. 196.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Oscuramento dati.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 3 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2023