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Misura alternativa all'estero: impossibile (Cass. 54508/17)

4 dicembre 2017, Cassazione penale

Il condannato che non si trovi sul territorio italiano non permette al servizio sociale di svolgere il suo compito, né rende possibile nemmeno alla polizia giudiziaria verificare l’osservanza delle prescrizioni.

NB: In linea generale si deve osservare  che la strada dell’esecuzione di una misura alternativa alla detenzione in uno Stato diverso da quello della condanna Stato nel quale il condannato ha
stabilito la propria residenza e ove, dunque, ha i pro
pri maggiori legami familiari e sociali può essere forse percorsa, in presenza di dati presupposti, sulla base di un’interpretazione estensiva della Convenzione europea adottata a Strasburgo il 30 novembre del 1964 (ratificata dall’Italia con legge 15 novembre 1973, n. 772), concernente la sorveglianza di persone condannate o liberate sottocondizione.

Per i cittadini stranieri, la normativa consente il trasferimento dei detenuti nel paese di residenza abituale. Ciò avviene perché è più probabile che i detenuti possano riabilitarsi dal punto di vista sociale se scontano la pena nel loro paese d'origine. Si rinvia alla Decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008 , relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea.

Per quanto riguarda le misure cautelari, si rinvia al DECRETO LEGISLATIVO 15 febbraio 2016, n. 36 "Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio, del 23 ottobre 2009, sull'applicazione tra gli Stati membri dell'Unione europea del principio del reciproco
riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla
detenzione cautelare".

 

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 26 settembre – 4 dicembre 2017, n. 54508
Presidente Cortese – Relatore Minchella

Rilevato in fatto

Con ordinanza in data 20.12.2016 il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale o di detenzione domiciliare avanzata da K.R. in relazione alla pena di cui alla sentenza del Tribunale di Brindisi in data 26.11.2014 per contrabbando aggravato. Rilevava il giudice che la richiesta era finalizzata ad espiare la pena fruendo di una misura alternativa in Bulgaria e con essa si invocavano due decisioni-quadro in tema di riconoscimento di decisioni giudiziarie tra Paesi Europei; tuttavia una di esse concerneva la fase cautelare dei procedimenti mentre l’altra riguardava misure diverse dai benefici penitenziari.
Avverso detto provvedimento propone ricorso l’interessato a mezzo del difensore, deducendo violazione di legge: si sostiene che l’istanza originaria non aveva invocato le decisioni-quadro menzionate dal giudice, ma ne aveva fatto soltanto cenno, fondando invece la richiesta sulla sussistenza dei presupposti delle misure alternative, sia pure da fruire all’estero; si richiama giurisprudenza definita come più sensibile alle esigenze rieducative, la quale consente di espiare all’estero le pene inflitte in Italia con compilazione, da parte del medesimo condannato, di una sorta di autorelazione sull’andamento della misura, da inviare all’UEPE; pertanto si censura la mancata istruttoria circa i presupposti dei benefici (dimora, famiglia, lavoro) in Bulgaria.
Il P.G. chiede dichiararsi inammissibile il ricorso.

Considerato in diritto

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile poiché manifestamente infondato.

La effettiva reperibilità sul territorio italiano è indispensabile ai fini dell’applicazione dell’affidamento in prova al servizio sociale, poiché questa misura alternativa postula un contatto diretto fra la persona fisica dell’interessato ed il servizio sociale, al quale, ai sensi dell’art. 47, comma nono, Ord.Pen., compete di controllare la condotta del soggetto e di aiutarlo a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale: pertanto, il condannato che non sia sul territorio non permette al servizio sociale di svolgere il suo compito né rende possibile nemmeno alla polizia giudiziaria verificare l’osservanza delle prescrizioni.

Correttamente il giudice ha motivato la sua decisione reiettiva: infatti, secondo una giurisprudenza consolidata, cui il collegio aderisce, l’esecuzione della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale implica il necessario svolgimento della stessa in Italia, in quanto i centri di servizio sociale per adulti sono deputati a svolgere solo in ambito nazionale la loro attività che, per le sue peculiarità e la sua specifica natura, non è ricompresa tra le funzioni statali esercitabili all’estero da parte di uffici consolari (Cass., Sez. 1, 27 marzo 2007, n. 18862, Magnani, Rv. 237363; Sez. 1, 28 aprile 1999, n. 3278, Di Tarante, Rv. 213724; Sez. 1, 26 ottobre 1999, n. 5895, Ceniti, Rv. 215027; Sez. 7, ord. N. 34747 del 11/12/2014, Rv. 264445). Il provvedimento impugnato appare conforme ai principi in precedenza enunciati (e a quelli costituzionali) laddove ha attribuito rilievo, ai fini del diniego dell’affidamento in prova al servizio sociale, alla circostanza che il ricorrente non si sia in alcun modo attivato per indicare in Italia una qualsiasi attività funzionale al suo reinserimento sociale.
Parimenti agli stessi principi si può ricollegare la reiezione della istanza di detenzione domiciliare: né pare possibile aderire alla linea interpretativa che il ricorrente definisce come più sensibile alla tematica, ma che - contemplando autorelazioni sull’andamento della misura alternativa - contrasta con il disposto dell’art. 47 Ord.Pen..
Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché - valutato il contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità - al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 alla cassa delle ammende.