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Amministratore di sostegno: conta anche la volontà dell'interessato (Cass. 22602/17)

27 settembre 2017, Cassazione civile

La finalità cui tende l’amministrazione di sostegno è quella di proteggere le persone fragili, ovvero coloro che si trovano in difficoltà nel gestire le attività della vita quotidiana e i propri interessi, o che addirittura si trovano nell’impossibilità di farlo

La tutela dell’amministrato deve avvenire con la minore limitazione possibile della capacità di agire.

Nella decisione su una eventuale amministratore di sostegno è necessario rispettare l'esigenza di “non mortificare” la persona, da realizzare evitando o riducendo, quanto più possibile, la limitazione della capacità di agire dell’interessato così da non intaccare la dignità personale del beneficiario, conservandogli il più possibile la capacità di agire.

 

La volontà contraria all’attivazione della misura di sostegno, ove provenga da persona pienamente lucida (come si verifica allorquando la limitazione di autonomia si colleghi ad un impedimento soltanto di natura fisica) deve essere tenuta in debita considerazione.

Quando c'e dissenso da parte della persona soggetta alla procedura, il difficile equilibrio che il giudice chiamato a risolvere il conflitto dovrà trovare deve essere guidato dalla necessità di privilegiare il rispetto dell’autodeterminazione dell’interessata.

Bisogna distinguere il caso in cui la protezione sia già di fatto assicurata in via spontanea dai familiari o dal sistema di deleghe (in precedenza attivato autonomamente dal disabile stesso) da quello in cui la scelta della nomina dell’amministratore di sostegno s’imporrà perchè non vi siano supporti e la riluttanza della persona fragile si fondi su un senso di orgoglio ingiustificato, con il rischio di non dare una adeguata tutela ai suoi interessi.

Cassazione civile

sez. I, 27/09/2017, (ud. 14/07/2017, dep.27/09/2017),  n. 22602

 

SENTENZA

sul ricorso 9559/2017 proposto da:

Q.Q.E., elettivamente domiciliato ..;

– ricorrente –

contro

B.M., Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di

Busto Arsizio, Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte

di Appello Civile di Milano – Sezione Famiglia;

– intimati –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il

13/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/07/2017 dal cons. GENOVESE FRANCESCO ANTONIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di ragione;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato V. che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.


FATTI DI CAUSA

1. Il Sig. Q.Q.E. ricorre per cassazione, nei confronti della Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Milano (e di quella presso il Tribunale di Busto Arsizio) nonchè nei confronti di B.M., amministratore di sostegno del primo, articolando quattordici motivi, avverso il decreto con cui la Corte di Appello di Milano ha confermato l’apertura dell’amministrazione di sostegno, disposta dal giudice tutelare del Tribunale di Busto Arsizio, a favore dell’odierno ricorrente, in accoglimento della richiesta del Sig. Q.A. (qualificatosi figlio dell’amministrato), al contempo dichiarando inammissibili tutte le altre domande proposte dai reclamanti.

2. La Corte distrettuale, infatti, con decreto n.760/2017, ha anzitutto affermato che, a norma dell’art. 417 c.c., il Sig. Q.A. era legittimato a richiedere l’amministrazione di sostegno del genitore in quanto figlio e, nel merito, pur in assenza di una CTU certificativa dell’incapacità del beneficiario, ha ritenuto sussistenti i presupposti per l’apertura della procedura di amministrazione di sostegno per il Sig. Q.Q.E., sulla base di quanto acquisito agli atti.

2.1. Oltre ad aver rilevato un aspro conflitto intra-familiare, giustificativo della scelta di individuare l’amministratore in una persona estranea all’ambito familiare, la Corte d’Appello, seppur riconoscendo una discrasia fra le eccessive limitazioni alla capacità giuridica del Q., stabilite nel provvedimento del giudice tutelare, di contro ad una sua ancora integra capacità d’intendere, ha ritenuto questa non censurabile in tale sede e ha qualificato l’amministrato come soggetto debole, estremamente esposto allo stress psicofisico e con una condizione fisica tale da imporre il suo accompagnamento quotidiano, per tutte le necessità della vita.


RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 406,417 e 2697 c.c.) il ricorrente censura la decisione impugnata con riferimento alla mancata prova in atti della legittimazione a promuovere la procedura da parte del figliastro Q.A..

2.Con il secondo motivo di ricorso (nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., e art. 111 Cost.) il ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui il giudice a quo omette o solo apparentemente motiva la questione in ordine all’estromissione dal procedimento di Q.A..

2. Con il terzo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al combinato disposto degli artt. 406 e 417 c.c., e artt. 713 e 720 bis c.p.c.) il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione delle disposizioni relative alla partecipazione dei parenti del “beneficiario” al giudizio in quanto essi svolgerebbero una funzione solo consultiva che si esaurirebbe nella prima fase del procedimento.

3. Con il quarto motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al combinato disposto degli artt. 406 e 417 c.c., e artt. 713 e 720 bis c.p.c.) il ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui, interpretando l’intervento dei parenti in senso ampio, non ravvisa nella partecipazione di Q.A. al procedimento di ads la violazione delle norme a tutela della privacy.

4. Con il quinto motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 720 bis e 739 c.p.c.) il ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui dichiara inammissibili le domande relative alla sostituzione dell’amministratore di sostegno e all’annullamento delle prescrizioni del decreto del giudice tutelare sulla base dell’impossibilità di impugnazione di tale provvedimenti di carattere gestorio.

5. Con il sesto motivo di ricorso (violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 404 c.p.c., ovvero falsa applicazione delle norme in materia di amministrazione di sostegno con riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., e art. 8 C.E.D.U.) il ricorrente censura la decisione impugnata laddove avrebbe legittimato l’apertura dell’amministrazione di sostegno nei confronti di un soggetto non solo capace di intendere, ma anche riluttante alla stessa. In tal modo la decisione sarebbe stata assunta in violazione dei principi di autodeterminazione e rispetto della vita privata e familiare.

6. Con il settimo motivo di ricorso (violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 404 c.p.c., ovvero falsa applicazione delle norme in materia di amministrazione di sostegno con riferimento all’interesse del beneficiario ovvero al “bene vita” minacciato dall’a.d.s.) il ricorrente censura la decisione impugnata laddove legittimando l’apertura dell’amministrazione di sostegno si sia pronunciata contro il best interest del beneficiario così violando uno dei principi guida del procedimento di amministrazione di sostegno.

7. Con l’ottavo motivo di ricorso (violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’artt. 404 c.p.c. ovvero falsa applicazione delle norme in materia di amministrazione di sostegno con riferimento al conflitto endo-familiare individuato quale requisito per l’adozione della misura) il ricorrente censura la decisione impugnata quante volte baserebbe la scelta dell’apertura della procedura di amministrazione di sostegno sulla sussistenza di un conflitto endo-familiare.

8. Con il nono motivo di ricorso (violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 404 c.p.c., ovvero falsa applicazione delle norme in materia di amministrazione di sostegno con riferimento all’inesistente presupposto dell’incapacità di provvedere ai propri interessi) il ricorrente censura la decisione impugnata laddove non abbia considerato la capacità del Sig. Q.Q.E. di badare ai propri interessi.

9. Con il decimo motivo di ricorso (violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., ovvero travisamento della prova in punto di fragilità psichica) il ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui, pur riportando correttamente il contenuto di un documento, avrebbe ricavato un’informazione probatoria non esistente. Incorsa in tale errore, la Corte d’appello avrebbe così ritenuto sussistente un presupposto per l’apertura della procedura in realtà non sussistente.

10. Con l’undicesimo motivo di ricorso (violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti – carattere “approfondito” dell’esame psicologico e psichiatrico effettuato all’ospedale (OMISSIS) che certifica il pieno possesso delle facoltà psichiche) il ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui la Corte d’appello, non solo avrebbe errato nel ricavare dalla documentazione la fragilità psichica del Sig. Q.Q.E., ma non avrebbe tenuto conto del certificato medico del (OMISSIS) dell’Ospedale (OMISSIS) attestante l’assenza di particolari alterazioni di natura psicopatologica tali da compromettere la capacità di giudizio.

11. Con il dodicesimo motivo di ricorso (nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360, comma 1, n.4 c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia in ordine alla denunciata violazione dell’art. 404 c.c., con riferimento agli artt. 2,13 e 42 Cost., nonchè all’art. 8 C.E.D.U.) il ricorrente censura il decreto impugnato laddove avrebbe completamente ignorato la censura avanzata in sede di reclamo in merito alla violazione dei diritti umani di Q.Q.E..

12. Con il tredicesimo motivo di ricorso (nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c.) il ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui il giudice a quo non si sarebbe pronunciato sulla violazione del diritto al contraddittorio e alla difesa personale nel procedimento.

13. Infine, con il quattordicesimo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 720 bis e 739 c.p.c., e art. 408 c.c.) il ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui, disattendendo l’indicazione di Q.Q.E. sul nominativo dell’amministrazione di sostegno, non avrebbe precisato quali gravi ragioni sostenessero la designazione di altra persona, per giunta estranea al nucleo familiare.

14. Il primo mezzo di cassazione (con il quale si lamenta la mancata prova, in atti, della legittimazione a promuovere la procedura di amministrazione di sostegno, da parte del “figliastro” dell’amministrato) è fondato.

14.1. Infatti, l’odierno ricorrente aveva (vanamente) rappresentato la carenza della legittimazione (“non è discendente”: p. 2 della memoria di costituzione del 3 settembre 2015) e chiesto, nella fase di reclamo, alla Corte territoriale, di verificare quale titolo avesse il sedicente figlio per proporre la domanda di apertura della procedura.

14.2. Ad essa il giudice distrettuale non ha dato alcuna risposta, mentre egli era obbligato ad accertare la qualità (contestata) di figlio dell’amministrando, allo stesso modo di quanto accade per l’erede, ove ne sia contestata la qualità, siccome questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 12065 del 2014) ha affermato stabilendo il principio di diritto secondo cui “colui che, assumendo di essere erede di una delle parti originarie del giudizio, intervenga in un giudizio civile pendente tra altre persone, ovvero lo riassuma a seguito di interruzione, o proponga impugnazione, deve fornire la prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., oltre che del decesso della parte originaria, anche della sua qualità di erede di quest’ultima”.

14.3. Del resto, il dettato codicistico (art. 406: Soggetti) stabilisce che “il ricorso per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno può essere proposto dallo stesso soggetto beneficiario, anche se minore, interdetto o inabilitato, ovvero da uno dei soggetti indicati nell’art. 417” (ossia (art. 417 c.c.: Istanza d’interdizione o di inabilitazione), “l’interdizione o l’inabilitazione possono essere promosse dalle persone indicate negli artt. 414 e 415, dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo grado, dal tutore o curatore ovvero dal pubblico ministero.”), così ponendo un numerus clausus di persone legittimate a promuovere il procedimento, nel cui novero rientrano i parenti ed affini, nei gradi indicati dalla disposizione.

14.4. In tale cerchio di soggetti, muniti del potere di promovimento della speciale procedura, rientrano sicuramente anche il figlio dell’amministrando e i parenti (di quest’ultimo) entro il quarto grado.

14.5. Ebbene, nella specie, la qualità di figlio da parte di Q.A. è stata contestata e sul punto è mancata la pronuncia del giudice del reclamo, sicchè la decisione è manchevole e deve essere cassata in parte qua, con rinvio alla stessa Corte territoriale per il suo esame, alla luce del seguente principio di diritto che si enuncia ed al quale il giudice del rinvio deve attenersi:

in tema di amministrazione di sostegno colui che, assumendo, ai sensi dell’art. 406 c.c., di essere legittimato a proporre il ricorso per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno di una persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trovi nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi -, in caso di specifica contestazione di detta legittimazione, deve fornire la prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., della sua qualità soggettiva ai sensi del combinato disposto dagli artt. 406 e 417 c.c..

15.Con l’accoglimento del primo motivo restano assorbite le doglianze (logicamente subordinate o conseguenti) poste con i mezzi secondo, terzo e quarto.

16. I restanti motivi, infatti, non risultano assorbiti come i tre anzidetti, in quanto, le questioni poste con essi, ove venisse respinta l’eccezione relativa alla legittimazione a promuovere il giudizio da parte di Q.A., nella fase di rinvio, si proporrebbero nuovamente ed esigerebbero di essere esaminate.

16.1. E’ quanto questa Corte ha già avuto modo di rilevare, enunciando il seguente principio di diritto, cui deve essere data continuità anche in questa sede:

“l’assorbimento di un motivo di ricorso per cassazione postula che la questione con esso prospettata si presenti incondizionatamente irrilevante, al fine della decisione della controversia, a seguito dell’accoglimento di un altro motivo, e, pertanto, non è configurabile ove la questione stessa possa diventare rilevante in relazione ad uno dei prevedibili esiti del giudizio di rinvio, conseguente alla cassazione della sentenza impugnata per il motivo accolto. In tale ipotesi, quindi, la Suprema Corte deve procedere egualmente all’esame di quel motivo annullando eventualmente la medesima sentenza anche in relazione ad esso, sia pure condizionatamente ad un determinato esito del giudizio di rinvio sulla questione oggetto del motivo principale accolto. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1503 del 1978; Sez. 3, Sentenza n. 13259 del 2006; Sez. 3, Sentenza n. 5513 del 2008).

17. Ma tutti i restanti motivi (eccettuati i primi quattro), per l’intrinseca connessione dei profili di doglianza che li caratterizza e per comodità espositiva, possono essere trattati congiuntamente ed accolti nei sensi che si diranno.

17.1. Con essi, l’odierno ricorrente, lamenta che la decisione impugnata:

  1. abbia dichiarato inammissibili le domande relative alla sostituzione dell’amministratore di sostegno e all’annullamento delle prescrizioni del decreto del giudice tutelare sulla base dell’impossibilità di impugnazione di tale provvedimenti di carattere gestorio;
  2. abbia legittimato l’apertura dell’amministrazione di sostegno nei confronti di un soggetto non solo capace di intendere, ma anche riluttante alla stessa (violazione dei principi di autodeterminazione e rispetto della vita privata e familiare);
  3. si sia pronunciata contro il best interest del beneficiario così violando uno dei principi guida del procedimento di amministrazione di sostegno;
  4. abbia basato la scelta dell’apertura della procedura di amministrazione di sostegno sulla sussistenza di un conflitto endo-familiare;
  5. non ha considerato la capacità dell’amministrato di badare ai propri interessi e abbia ritenuto sussistente un presupposto per l’apertura della procedura in realtà non sussistente;
  6. abbia errato nel ricavare dalla documentazione la fragilità psichica dell’amministrato, senza tener conto del certificato medico del (OMISSIS) dell’Ospedale attestante l’assenza di particolari alterazioni di natura psicopatologica tali da compromettere la capacità di giudizio;
  7. abbia completamente ignorato la censura avanzata in sede di reclamo in merito alla violazione dei diritti umani del sottoposto alla procedura;
  8. non si sia pronunciata sulla violazione del diritto al contraddittorio e alla difesa personale nel procedimento;
  9. non abbia precisato quali gravi ragioni sostenessero la designazione di altra persona alla funzione di amministratore, per giunta estranea al nucleo familiare.

18. Va qui necessariamente svolta una breve premessa chiarificatrice.

18.1. La finalità cui tende l’amministrazione di sostegno è quella di proteggere le persone fragili, ovvero coloro che si trovano in difficoltà nel gestire le attività della vita quotidiana e i propri interessi, o che addirittura si trovano nell’impossibilità di farlo (art. 1, della Legge istitutiva, n. 6 del 2004: “(…) tutelare (…) le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana “.).

18.2. Tuttavia, nell’appena menzionato art. 1, si avvertono i destinatari delle prescrizioni normative che la tutela dell’amministrato deve avvenire: “con la minore limitazione possibile della capacità di agire (…)”.

18.3. A tal riguardo si è giustamente parlato dell’esistenza di una precisa direttiva di “non mortificare” la persona, da realizzare evitando o riducendo, quanto più possibile, la limitazione della capacità di agire dell’interessato così da non intaccare la dignità personale del beneficiario (art. 2 Cost.), conservandogli il più possibile la capacità di agire.

18.4. Non a caso questa Corte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23707 del 2012) ha chiarito che “l’art. 408 c.c., il quale ammette la designazione preventiva dell’amministratore di sostegno da parte dello stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, è espressione del principio di autodeterminazione della persona, in cui si realizza il valore fondamentale della dignità umana, ed attribuisce quindi rilievo al rapporto di fiducia interno fra il designante e la persona prescelta, che sarà chiamata ad esprimerne le intenzioni in modo vincolato”.

18.5. Tralasciando il caso in cui l’interessato rifiuti il consenso o, addirittura, si opponga alla nomina dell’amministratore di sostegno, (proprio a causa della patologia psichica da cui egli è afflitto, ciò che lo rende inconsapevole del bisogno di essere aiutato e, per tale ragione, riluttante all’ingerenza di altri nella propria quotidianità), diversamente la volontà contraria all’attivazione della misura di sostegno, ove provenga da persona pienamente lucida (come si verifica allorquando la limitazione di autonomia si colleghi ad un impedimento soltanto di natura fisica) non può non essere tenuta in debita considerazione.

18.6. In tali casi, il difficile equilibrio che il giudice chiamato a risolvere il conflitto dovrà trovare, deve essere guidato dalla necessità di privilegiare il rispetto dell’autodeterminazione dell’interessato, distinguendo il caso in cui la protezione sia già di fatto assicurata in via spontanea dai familiari o dal sistema di deleghe (in precedenza attivato autonomamente dal disabile stesso) da quello in cui la scelta della nomina dell’amministratore di sostegno s’imporrà perchè non vi siano supporti e la riluttanza della persona fragile si fondi su un senso di orgoglio ingiustificato, con il rischio di non dare una adeguata tutela ai suoi interessi.

19. Alla luce di tali premesse, si comprende che le doglianze esposte con i motivi dal quinto al quattordicesimo, risultino fondati in quanto il provvedimento di assoggettamento del ricorrente all’amministrazione di sostegno, contra voluntatem suam, non risulta pronunciato esaminando se il sistema delle deleghe attivate dall’amministrando assicuri al medesimo soggetto il perseguimento dei propri interessi, secondo i principi di autodeterminazione e di rispetto della dignità dell’interessato, atteso che la persona risulta, secondo la stessa decisione qui impugnata, pienamente lucida e capace di operare le scelte di vita (benchè abbia difficoltà ad esprimerle vocalmente) nonchè coniugato e, perciò, anche assistito nelle decisioni e nella vita quotidiana – dal coniuge (per quanto inviso al promotore del procedimento di amministrazione).

19.1.Infatti, come si è detto:

in tema di amministrazione di sostegno, nel caso in cui l’interessato sia persona pienamente lucida che rifiuti il consenso o, addirittura, si opponga alla nomina dell’amministratore, e la sua protezione sia già di fatto assicurata in via spontanea dai familiari o dal sistema di deleghe (attivato autonomamente dall’interessato), il giudice non può imporre misure restrittive della sua libera determinazione, ove difetti il rischio una adeguata tutela dei suoi interessi, pena la violazione dei diritti fondamentali della persona, di quello di autodeterminazione, e la dignità personale dell’interessato.

19.2. La violazione anche di tale secondo principio di diritto (oltre a quello sopra enunciato al p. 14.5.), che si riconnette ai plurimi profili di doglianza svolti nel ricorso per cassazione, i quali non devono tuttavia essere tutti analiticamente esaminati, essendo il principio enunciato dalla Corte il presupposto di molti di essi nonchè la chiave risolutiva delle questioni, se del caso da risolvere sulla base di un “riesame” del materiale probatorio acquisito, comporta la cassazione del decreto impugnato e il rinvio della vertenza alla Corte d’appello di Milano perchè, alla luce di esso (oltre che di quello enunciato al p. 14.5.), in diversa composizione, decida nuovamente il caso e regoli le spese di questa fase del giudizio.

PQM
Accoglie il primo motivo, assorbiti il secondo, terzo e quarto; accoglie altresì tutti gli altri restanti, per quanto di ragione, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese di questa fase del giudizio, alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2017