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Volontariato non permette allontanamento dagli arresti domiciliare (Cass. 38652/19)

19 settembre 2019, Cassazione penale

La necessità di intraprendere un percorso rieducativo tramite la partecipazione ad attività di volontariato non rientra tra le indispensabili esigenze di vita che consentano di ottenere dal giudice l’autorizzazione ad allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, attesa la natura eccezionale di tale previsione.

 

Corte di Cassazione

sez. IV Penale, sentenza 11 luglio – 19 settembre 2019, n. 38652
Presidente Piccialli – Relatore Ranaldi

Ritenuto in fatto

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Bari, in sede di appello ex art. 310 c.p.p. proposto dal PM, in riforma del provvedimento della Corte d’appello di Bari - che aveva autorizzato P.G. , sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, allo svolgimento di attività di volontariato - ha revocato l’anzidetta autorizzazione.
2. Ricorre per cassazione il P. , a mezzo del proprio difensore, lamentando violazione di legge, per avere il Tribunale escluso che la partecipazione dell’imputato all’attività di volontariato possa essere riconducibile all’attività lavorativa gratuita e comunque possa corrispondere ad una "indispensabile esigenza di vita".
Si deduce che il riferimento della difesa al volontariato prestato dal P. , quale attività assimilabile al concetto di lavoro, risiede nella L. n. 266 del 1991, che disciplina tutte quelle attività svolte senza il corrispettivo di una prestazione (ivi incluso il volontariato) e garantisce maggiore tutela e convenienti agevolazioni fiscali alle organizzazioni di volontariato iscritte presso le Regioni. Pertanto, l’attività di volontariato espletata dal ricorrente ben può ritenersi attività lavorativa gratuita in favore della comunità parrocchiale. Tale richiesta ha comunque carattere di novità, per cui occorre verificare se, alla luce del principio di eccezionalità delle misure restrittive della libertà e di quello di salvaguardia dei diritti della persona sottoposta a misure cautelari (art. 277 c.p.p.), vi sia nel sistema uno spazio interpretativo per la sua applicazione. Allo scopo si richiama l’art. 2 Cost., che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità ed il dovere di solidarietà sociale, sia l’art. 38 Cost. che afferma il diritto, per ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere, al mantenimento ed all’assistenza sociale.
Nel caso di specie, l’imputato svolge attività di volontariato presso la Parrocchia di zona adempiendo al dovere di solidarietà sociale, seguendo nel contempo un percorso di recupero personale ed inizio di reinserimento sociale, che appare adeguato a realizzare gli scopi del pieno svolgimento della persona di cui all’art. 2 Cost..

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.

2. La giurisprudenza della Corte di legittimità è costante nel ritenere che l’autorizzazione di allontanarsi dagli arresti domiciliari per "indispensabili esigenze di vita" sia istituto di carattere eccezionale, la cui valutazione deve essere improntata a criteri di particolare rigore, e che in esse non possa essere ricompresa l’attività di volontariato.

È stato, infatti, affermato che, in tema di misure cautelari personali, la necessità di intraprendere un percorso rieducativo tramite la partecipazione ad attività di volontariato non rientra tra le indispensabili esigenze di vita, che, ai sensi dell’art. 284 c.p.p., comma 3, consentono di ottenere dal giudice l’autorizzazione ad allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, attesa la natura eccezionale di tale previsione (Sez. 3, n. 15426 del 08/03/2016, X, Rv. 26681601; v. anche Sez. 4, n. 32364 del 27/04/2012 Cristillo, Rv. 25313001, in cui si esclude che tra le indispensabili esigenze di vita di cui al citato art. 284 possano rientrare esigenze legate al soddisfacimento dei bisogni spirituali o religiosi dell’indagato; Sez. 3, n. 34235 del 15/07/2010, Gatti, Rv. 24822801, che ribadisce l’assoluta eccezionalità della previsione in tema di autorizzazione dell’imputato sottoposto agli arresti domiciliari ad assentarsi per svolgere un’attività lavorativa).

3. Il riferimento del ricorrente alla L. n. 266 del 1991 è destituito di fondamento, oltre che superato dalla sopravvenuta disciplina di cui al D.Lgs. n. 117 del 2017 (c.d. codice del terzo settore), che ha riordinato tutta l’attività del cd. "terzo settore" (inteso come complesso di enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, secondo la definizione contenuta nella L. 6 giugno 2016, n. 106, art. 1, comma 1, contenente la delega al Governo per la riforma del Terzo settore). In particolare, tale normativa ha ribadito che l’attività di volontariato è incompatibile con quella del lavoratore subordinato o autonomo (vedi art. 17).

Non è possibile, quindi, equiparare l’attività di volontariato espletata dal P. con una attività lavorativa gratuita, come preteso dal ricorrente. Sul punto, peraltro, la giurisprudenza lavoristica di questa Corte aveva già evidenziato che, alla stregua di quanto disposto dalla L. 11 agosto 1991, n. 266, art. 2 (secondo cui "l’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario", ed inoltre "la qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l’organizzazione di cui fa parte"), non ricorrono gli estremi della prestazione di volontariato nel caso in cui, per l’attività espletata, siano state corrisposte somme di danaro (Sez. Lavoro, Sentenza n. 9468 del 18/04/2013, Rv. 626552 - 01), con ciò confermando l’ontologica incompatibilità fra l’attività di volontariato e quella lavorativa.

L’attività del P. rimane, pertanto, una attività di volontariato, in alcun modo riconducibile ad una attività lavorativa diretta a soddisfare una sua "indispensabile esigenza di vita".

4. Quanto al richiamo del ricorrente agli artt. 2 e 38 Cost., ed alla sua pretesa, mediante l’attività di volontariato svolta, di adempimento del dovere di solidarietà sociale, a fini di recupero personale e di reinserimento sociale, è appena il caso di rilevare che tali situazioni, tutelate dal nostro ordinamento in funzione del pieno sviluppo dei diritti della persona, devono essere a loro volta contemperate con esigenze di difesa sociale aventi pari dignità costituzionale.

Sotto questo profilo, appare dirimente osservare che l’autorizzazione in questione trova il limite della sua compatibilità con le esigenze cautelari specialpreventive da salvaguardare, e da questo punto di vista l’ordinanza impugnata evidenzia che il P. è soggetto inserito in contesti di criminalità organizzata che rendono inopportuna la scelta di consentirgli di essere messo in contatto, tramite la detta attività di volontariato, con una pluralità di soggetti in un contesto associativo aperto e non suscettibile di costanti e rigidi controlli.
Si tratta di una valutazione di merito logica e adeguata, come tale insindacabile in Cassazione.

5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Vanno disposte le comunicazioni previste dall’art. 28 reg. esec. c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. c.p.p..