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Violenza sproporzionata dei pubblici ufficiali, condanna per omicidio colposo (Cass. 36280/12)

20 settembre 2012, Cassazione penale

E' reato, perchè gravemente impropria, la scelta effettuata dagli agenti di porre in essere una violenta azione repressiva, anzichè una azione dialogica di natura medico-psichiatrica, per contenere chi versava in palese stato di agitazione. Fondano la colpa le condotte specificamente incaute e drammaticamente lesive quali la serie di colpi sferrati contro il giovane, dall'altro nelle modalità di immobilizzazione del ragazzo, accompagnate dalla incongrua protratta pressione esercitata sul tronco.

Nell'ambito del richiamato contesto fenomenologico, la convergente attività degli operanti giustifica il coinvolgimento, nella sfera di responsabilità di cooperazione colposa, di tutti gli imputati, secondo i principi in tema di colpa di compartecipazione. La consapevolezza di agire in cooperazione imponeva a ciascuno degli agenti non solo di operare individualmente in modo appropriato ma anche di interrogarsi sull'azione dei colleghi, se del caso agendo per regolarla, moderandola. Detta azione di reciproca vigilanza è mancata in tutti gli agenti e per tutti, dunque, si configura la colpa concorsuale che, per quanto detto, abbraccia sia la condotta - causalmente efficiente, rispetto al decesso, come sopra considerato - di coloro che fisicamente ebbero a comprimere il corpo del ragazzo, schiacciandolo a terra, ammanettato con i polsi dietro la schiena, sia l'azione "agevolatrice" di chi, in tale frangente.

Nelle fattispecie ove il coinvolgimento integrato di più soggetti è imposto dalla legge, da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o "almeno sia contingenza oggettivamente definita senza incertezze e pienamente condivisa sul piano della consapevolezza", l'intreccio cooperativo, il comune coinvolgimento nella gestione del rischio da parte dei diversi soggetti agenti, giustifica la penale rilevanza di condotte che "sebbene atipiche, incomplete, di semplice partecipazione, si coniugano, si compenetrano con altre condotte tipiche". In tali situazioni, invero, ciascun agente opera tenendo conto del ruolo e della condotta altrui, di talchè si realizza un legame ed un'integrazione tra le condotte che impone a ciascun agente di rapportarsi, preoccupandosene, pure alla condotta degli altri soggetti coinvolti nel contesto fenomenologico. La Suprema Corte ha, quindi, evidenziato che proprio le descritte modalità della interazione colposa giustificano il coinvolgimento anche di soggetti che hanno realizzato una condotta meno significante, se osservata singolarmente.

 

E' utopistico un modello di indagine fondato solo su strumenti di tipo deterministico e nomologico-deduttivo, cioè affidato esclusivamente alla forza esplicativa di leggi universali: nell'ambito dei ragionamenti esplicativi si formulano giudizi sulla base di generalizzazioni causali, congiunte con l'analisi di contingenze fattuali.

Va affermato invece il carattere condizionalistico della causalità, osservando che il giudizio di certezza, sulla riferibilità materiale dell'evento alla condotta posta in essere dall'agente, presenta i connotati del paradigma indiziario, si fonda - anche - sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico, da effettuarsi ex post sulla base di tutte le emergenze disponibili e culmina nel giudizio di elevata "probabilità logica": ai fini dell'imputazione causale dell'evento, il giudice di merito deve formulare giudizi sulla scorta di generalizzazioni causali, congiunte con l'analisi delle contingenze fattuali proprie della fattispecie concreta.

Qualsiasi lettura della rilevanza dei saperi di scienze diverse da quella giuridica, utilizzabili nel processo penale, non può avere l'esito di accreditare resistenza, nella regolazione processuale vigente, di un sistema di prova legale, che limiti la libera formazione del convincimento del giudice; che il ricorso a competenze specialistiche con l'obiettivo di integrare i saperi del giudice, rispetto a fatti che impongono metodologie di individuazione, qualificazione e ricognizione eccedenti i saperi dell'uomo comune, si sviluppa mediante una procedimentalizzazione di atti (conferimento dell'incarico a periti e consulenti, formulazione dei relativi quesiti, escussione degli esperti in dibattimento) ad impulso del giudice e a formazione progressiva; e che la valutazione di legittimità, sulla soluzione degli interrogativi causali imposti dalla concretezza del caso giudicato, riguarda la correttezza e conformità alle regole della logica dimostrativa dell'opinione espressa dal giudice di merito, quale approdo della sintesi critica del giudizio.

Il sapere scientifico costituisce un indispensabile strumento, posto al servizio del giudice di merito: va rilevato  che, non di rado, la soluzione del caso posto all'attenzione del giudicante, nei processi ove assume rilievo l'impiego della prova scientifica, viene a dipendere dall'affidabilità delle informazioni che, attraverso l'indagine di periti e consulenti, penetrano nel processo. Si tratta di questione di centrale rilevanza nell'indagine fattuale, giacchè costituisce parte integrante del giudizio critico che il giudice di merito è chiamato ad esprimere sulle valutazioni di ordine extragiuridico compiute nel processo. Il giudice deve, pertanto, dar conto del controllo esercitato sull'affidabilità delle basi scientifiche del proprio ragionamento, soppesando l'imparzialità e l'autorevolezza scientifica dell'esperto che trasferisce nel processo conoscenze tecniche e saperi esperienziali.

Le acquisizioni scientifiche cui è possibile attingere nel giudizio penale sono quelle "più generalmente accolte, più condivise", non potendosi pretendere l'unanimità alla luce della ormai diffusa consapevolezza della relatività e mutabilità del sapere scientifico.

Il giudice di legittimità non è giudice del sapere scientifico e non detiene proprie conoscenze privilegiate; esso è chiamato a valutare la correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni che utilizza ai fini della spiegazione del fatto.

Al fine di individuare il momento in cui risulta attribuibile ad un determinato soggetto la qualità di indagato, occorre verificare la sussistenza delle relative condizioni sostanziali, sulla base delle emergenze disponibili al momento, al di là del riscontro di indici formali, quali la già intervenuta, o meno, iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, ad opera del pubblico ministero procedente.

Il sindacato giudiziale, nella materia che occupa, deve cioè avvenire mediante la verifica, da un lato, della obiettiva sussistenza di indizi non equivoci di reità a carico di un determinato soggetto; e, dall'altro, della effettiva conoscenza degli stessi elementi indiziari, da parte dell'autorità procedente, al momento del compimento dell'atto di cui si tratta.

La perizia, per il suo carattere neutro sottratta alla disponibilità delle parti e rimessa alla discrezionalità del giudice, non può farsi entrare nel concetto di prova decisiva. 

Legittimo negare attenuanti generiche ai pubblici ufficiali che omettono di fornire un contributo di verità al processo, da reputarsi doveroso per dei pubblici ufficiali, a fronte delle manipolazioni delle risultanze investigative pure realizzate dai funzionari responsabili della Questura: il diritto del pubblico ufficiale di non esporre circostanze autoincriminanti deve qualificarsi come recessivo, in riferimento agli atti di polizia giudiziaria, la cui rilevanza documentale non può essere sacrificata all'interesse difensivo del singolo verbalizzante.

 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

(ud. 21/06/2012) 20-09-2012, n. 36280

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo - Presidente -

Dott. IZZO Fausto - Consigliere -

Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere -

Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere -

Dott. MONTAGNI Andrea - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) F.P. nato il (OMISSIS);

2) S.M. nata il (OMISSIS);

3) P.E. nato il (OMISSIS);

4) PO.LU. nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 163/2010 CORTE DI APPELLO di BOLOGNA del 10.06.2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBUCA UDIENZA del 21.06.2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GABRIELE MAZZOTTA che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

Uditi i difensori per l'imputato Po. L., Avv. C. M, sostituto processuale con delega depositata, il quale insiste per l'accoglimento del ricorso;

per l'imputato F. P., Avv. B G., il quale conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso;

per l'imputata S. M., Avv. N. G, il quale si richiama ai motivi di ricorso;

per l'imputato P. E., Avv. M. V e G. T, i quali chiedono l'annullamento della sentenza.

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Ferrara, con sentenza in data 6 luglio 2009 dichiarava F.P., S.M., P.E. e Po.Lu. responsabili del delitto di cui agli artt. 113, 51, 55 e 589 cod. pen., loro ascritto, e li condannava alla pena di anni tre mesi sei di reclusione ciascuno, oltre al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separato giudizio ed al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva (pari a Euro 100.000,00 per A.L.; 100.000 M.P.; ed in Euro 50.000,00 ciascuno, per M. G. e A.S.). Ai prevenuti, secondo i termini della imputazione, si contesta di avere cagionato - con azioni indipendenti tra loro, in qualità di agenti della Polizia di Stato intervenuti in via (OMISSIS), a seguito di chiamate di privati cittadini che avevano segnalato la condotta molesta di un giovane (di poi identificato in Aldrovandi Federico), con colpa consistita nell'avere omesso di richiedere l'immediato intervento di personale sanitario, nell'avere ingaggiato una colluttazione con il predetto giovane eccedendo i limiti del legittimo intervento, nell'avere omesso di prestare le prime cure e nell'aver tenuto il ragazzo ormai agonizzante, in posizione prona ammanettato - o comunque concorso a cagionare il decesso di A.F., determinato da insufficienza cardiaca conseguente a difetto di ossigenazione correlato sia allo sforzo posto in essere dal giovane per resistere alle percosse, sia alla posizione prona con polsi ammanettati, che aveva reso maggiormente difficoltosa la respirazione.

Nel procedere alla ricostruzione dell'episodio, il Tribunale rilevava che un primo scontro si era verificato verso le ore 5.30 del (OMISSIS) tra A.F. e l'equipaggio della volante (OMISSIS), composto dagli agenti P. e Po.. Il giudicante osservava che già alcuni minuti prima dalle ore 6.03 erano sopraggiunti sul posto gli agenti F. e S., componenti della volante (OMISSIS); e che i quattro agenti avevano ingaggiato con il giovane la violenta colluttazione, oggetto di addebito. Con riguardo alla causa della morte del ragazzo, il Tribunale di Ferrara considerava che doveva escludersi che la stessa fosse riconducibile a fattori di natura tossicologica. Il primo giudice riteneva che il fattore causale determinate il decesso fosse rinvenibile nel "blunt trauma", cioè a dire in un trauma cardiaco, determinato da una compressione toracica, pur senza manifeste lesioni esterne, tale da innescare un meccanismo che conduce all'arresto del cuore, per blocco atrioventricolare.

In ordine alla rimproverabilità colposa della condotta posta in essere dagli agenti di Polizia, il Tribunale di Ferrara evidenziava che doveva ritenersi accertato che gli imputati, pur essendosi resi conto del fatto che lo stato di agitazione del ragazzo avrebbe richiesto un intervento di soccorso sanitario, avevano posto in essere, con grave negligenza, una violenta azione di contenimento del giovane. Con riguardo alle modalità esecutive dell'intervento, il Tribunale rilevava che l'uso dei manganelli, accertato nel caso di specie, risultava vietato dai protocolli di Polizia per l'attività di contenimento di un soggetto agitato; e che un approccio dialogico e paziente con il ragazzo avrebbe scongiurato il verificarsi della colluttazione.

Il Tribunale, pertanto, riteneva sussistente la fattispecie dell'eccesso colposo, rispetto ai limiti previsti dalla legge per il corretto adempimento dei doveri di istituto da parte degli agenti operanti. In considerazione della gravita della colpa e del negativo comportamento processuale, il Tribunale irrogava la pena di anni tre e mesi sei di reclusione, nei confronti di ciascun imputato.

2. La Corte di Appello di Bologna, con sentenza in data 10.06.2011, confermava l'impugnata sentenza del Tribunale di Ferrara, dichiarava condonata nella misura di anni tre di reclusione la pena inflitta agli imputati e revocava le statuizioni civili, dato atto della intervenuta revoca delle costituzioni di tutte le parti civili.

La Corte territoriale, nel condividere le valutazioni effettuate dal primo giudice in ordine alla individuazione della causa della morte del giovane A., ha ritenuto che il decesso fosse da ricondurre ad ematomi cardiaci, uno dei quali aveva interessato il fascio di His, conseguenti al trauma toracico chiuso, provocato da manovre pressorie esercitate sul soggetto costretto a terra, prono e ammanettato dietro la schiena, in un ambito fattuale così sintetizzabile: A.F., che si trovava in stato di alterazione psicofisica, venne intercettato da quattro agenti di polizia, mentre si trovava in (OMISSIS), la mattina del (OMISSIS); i poliziotti, che intendevano fermare ed identificare il ragazzo, ingaggiarono con il giovane una violenta colluttazione, percuotendolo ripetutamente con calci e con l'impiego di manganelli; la colluttazione si concluse con il ragazzo tenuto schiacciato a terra, in posizione prona, immobilizzato con l'impiego delle manette.

La Corte di Appello, in ciò discostandosi dalla valutazione effettuata dal primo giudice, ha ritenuto accertato che A. avesse assunto sostanze stupefacenti nella serata precedente l'episodio che occupa; e che detta evenienza avesse determinato lo stato di agitazione in cui versava il giovane. La Corte distrettuale ha osservato che i poliziotti avrebbero dovuto porre in essere un intervento di tipo psichiatrico-sanitario, per contenere il giovane che versava in stato di evidente agitazione; e che, di converso, i quattro imputati avevano realizzato l'operazione di immobilizzazione del ragazzo con estrema violenza, con modalità scorrette e lesive.

La Corte di Appello si è poi soffermata sulla ascrivibilità a ciascun imputato della condotta lesiva, secondo i canoni della cooperazione colposa. Nel considerare il grado di difformità del comportamento violento tenuto dagli agenti rispetto alle regole che governano un intervento di tipo contenitivo, la Corte territoriale ha sottolineato che due manganelli, utilizzati dai poliziotti per colpire ripetutamele il ragazzo, si erano rotti durante la colluttazione.

In riferimento alla prevedibilità dell'evento, la Corte di Appello ha considerato che gli agenti erano certamente consapevoli del fatto che l'esercizio di pressioni sul torace del giovane, tenuto costretto in posizione prona contro il terreno, avrebbe determinato il rischio di una asfissia posizionale; ed ha ritenuto che costoro fossero perciò in grado di prevedere che la condotta violenta posta in essere nei confronti dell' A., avrebbe potuto determinare un evento pregiudizievole per la salute della persona.

Nella sentenza impugnata il Collegio ha osservato che le istanze istruttorie relative alla rinnovazione della consulenza medico legale non potevano trovare accoglimento, tenuto anche conto del fatto che nessuna censura nuova risultava dedotta, sulla spiegazione della eziologia della morte di A.F., rispetto agli argomenti critici svolti nel dibattimento di primo grado.

In riferimento al trattamento sanzionatorio, la Corte di Appello ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche, in considerazione della gravità della colpa e del negativo comportamento processuale degli imputati.

3. Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione F.P., S.M., P.E. e P. L..

3.1 F.P., a mezzo del difensore, deduce quattro motivi di ricorso.

Con il primo motivo, la parte denuncia la violazione di norme processuali, con riguardo all'art. 360 cod. proc. pen.. Osserva che la decisione impugnata, nel procedere alla individuazione della causa della morte di A., si fonda sulla fotografia del muscolo cardiaco della vittima, scattata durante l'esecuzione dell'autopsia;

fotografia acquisita agli atti nel corso del giudizio di primo grado, su impulso della parte civile. L'esponente evidenzia che la fotografia risale ad una fase in cui gli odierni imputati non erano ancora stati iscritti nel registro degli indagati, benchè già raggiunti da elementi tali da far prospettare una loro sottoponibilità ad indagini; ritiene, pertanto, che la fotografia si qualifichi come prova illegittimamente acquisita ed inutilizzabile, atteso che il ricorrente non fu messo nelle condizioni di esercitare la richiesta di incidente probatorio. La parte considera che la dedotta violazione sussiste pure a fronte dell'esame dei consulenti tecnici svoltosi in sede dibattimentale.

Osserva, inoltre, che nel caso di specie si è verificata una violazione dell'art. 6, comma 3, della Convenzione EDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, in riferimento ai principio di garanzia del contraddittorio nella formazione della prova.

Con il secondo motivo l'esponente rileva il vizio motivazionale, in relazione alla individuazione in concreto della condotta alternativa che l'imputato avrebbe dovuto porre in essere in occasione del fatto ed alla efficacia impeditiva di questa rispetto al verificarsi dell'evento mortale. Parte ricorrente censura la ricostruzione della dinamica del fatto effettuata dalla Corte territoriale; si sofferma sulle deposizioni rese dai testi Ma., C., G. e Fo.; e ritiene che la telefonata effettuata al 118 alle ore 06,04 da parte del servizio 113, non sia da collocarsi all'esito della seconda colluttazione intercorsa tra A. e gli operanti, come erroneamente ritenuto dai giudici di merito.

L'esponente contesta che la richiesta di intervento dell'ambulanza sia avvenuta tardivamente e quando la colluttazione era ormai ultimata; assume che la colluttazione oggetto del processo ebbe una durata di circa tre minuti e ritiene che modestissimo sia stato il lasso di tempo in cui il giovane rimase a terra prono e ammanettato.

Sulla scorta di tali rilievi, la parte ritiene che dovrà procedersi ad una rivalutazione delle critiche mosse agli agenti, nel giudizio di rinvio seguente all'annullamento della sentenza impugnata. Sotto altro profilo, il ricorrente evidenzia l'illogicità della sentenza impugnata, laddove si afferma che gli agenti, a fronte del calcio sferrato dal giovane, avrebbero dovuto cercare una mediazione con il ragazzo, anzichè reagire tentando di contenerne l'aggressività.

Ritiene che cercare di sminuire la potenziale efficacia del calcio a sforbiciata sferrato dal giovane, il quale era un karateca a livello di cintura marrone, risulti arbitrario e preconcetto. La parte assume che le considerazioni svolte dalla Corte territoriale sulla reale prestanza fisica di A. siano intrinsecamente assurde. Il ricorrente ritiene che la Corte di Appello abbia errato nel valutare la reazione posta in essere dagli agenti, ed in particolare da F., a fronte del comportamento aggressivo e pericoloso del giovane. Ed osserva che lo stato di agitazione in cui versava A.F. non rendeva in concreto praticabile alcun approccio verbale, da parte degli agenti, a fini contenitivi. Sul punto, l'esponente ritiene che la Corte di Appello, contradditoriamente, abbia da un lato affermato che A. versava in condizioni di agitazione psicomotoria derivante dall'uso di sostanze psicotrope e, dall'altro, abbia censurato il comportamento posto in essere dagli agenti, volto ad immobilizzare il giovane, senza neppure specificare con quali modalità avrebbe dovuto estrinsecarsi l'approccio medico psichiatrico. Il ricorrente osserva poi che la Corte territoriale non ha spiegato le ragioni per le quali una diversa condotta, posta in essere dagli imputati, avrebbe inciso sulla dinamica causale, preservando il ragazzo dall'esito letale.

Con il terzo motivo l'esponente denuncia l'erronea applicazione della legge penale, con riguardo all'art. 113 cod. pen.. La parte rileva che - anche ritenendo che la causa della morte del ragazzo sia da individuare nella rottura traumatica del fascio di His che conduce lo stimolo elettrico cardiaco dagli atri ai ventricoli secondo la tesi del consulente T. - i giudici di merito hanno attribuito il fatto a titolo di cooperazione colposa agli imputati, omettendo di ricostruire, per ogni imputato, l'esatta condotta tenuta nel frangente, rispetto all'uso del manganello ed ai calci che si assume vennero sferrati. Ribadisce, poi, che l'intervento del 118 venne richiesto quando F. era da poco giunto sul posto e che la colluttazione oggetto di addebito ebbe una durata di pochissimi minuti e non di trenta. La parte si sofferma sulla deposizione dibattimentale resa dal prof. T.. Osserva che la morte del ragazzo può pure essere dipesa, secondo il consulente, da un solo colpo violento al torace, capace di innescare una specifica dinamica causale scarsamente prevedibile; rileva che nella sentenza impugnata non viene chiarito quale degli imputati ebbe a porre in essere la pressione violenta del busto del giovane; e ritiene che difetti l'elemento della prevedibilità dell'evento in concreto verificatosi, nell'ambito della fattispecie della cooperazione colposa di cui all'art. 113 cod. pen..

Con il quarto motivo la parte deduce l'illogicità della motivazione posta a fondamento del diniego delle attenuanti generiche e relativamente alla entità della pena. L'esponente osserva che i vizi motivazionali che inficiano la valutazione sulla colpa e sull'uso della violenza si estendono alla motivazione relativa al diniego delle attenuanti generiche, tenuto anche conto del bagaglio tecnico conoscitivo dell'imputato, rispetto all'operazione di immobilizzazione ed ammanettamento di un soggetto aggressivo. Osserva che del pari viziati risultano i rilievi svolti dalla Corte di Appello sul comportamento processuale dell'imputato e sulla quantificazione della pena, determinata in misura ben superiore al minimo edittale.

3.1.1. F.P., a mezzo del difensore, ha proposto motivi aggiunti. La parte rileva che merita approfondimento il tema affidato al primo motivo di ricorso relativo alla mancata tempestiva iscrizione degli odierni imputati nel registro degli indagati ed alla conseguente loro esclusione dall'investigazione scientifica sulle cause della morte del giovane A.. Il ricorrente ritiene che si sia verificata una violazione della disciplina in materia di contraddittorio, sia in riferimento al diritto processuale interno, sia con riguardo all'art. 6, comma 3, della Convenzione EDU. L'esponente riserva la produzione in udienza di decisioni sul punto rese dalla Corte EDU. 3.2 S.M., a mezzo del difensore, deduce i seguenti motivi di ricorso.

Con il primo motivo la parte denuncia la violazione di legge e la mancata assunzione di prova decisiva, per omessa pronuncia o per difetto di motivazione da parte della Corte di Appello in merito all'istanza di rinnovazione del dibattimento mediante perizia tossicologica sui campioni di liquido biologico dell' A..

L'esponente rileva che l'accertamento riguardava una prova decisiva, inerente all'accertamento della causa del decesso del giovane. La parte rileva che la Corte territoriale ha omesso di pronunciarsi sulla predetta richiesta e denuncia comunque l'inosservanza del relativo obbligo rnotivazionale. Rileva che si è verificata una violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 3 ed un vizio motivazionale.

Considera che rispetto alla richiesta di rinnovo dell'esame tossicologico non si rinviene alcuna motivazione neppure implicita, da parte della Corte di Appello.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione di legge ed il vizio motivazionale, per avere la Corte di merito ritenuto attendibili le dichiarazioni rese dai testi Ts. e B.. La parte rileva che i predetti dichiaranti sono incorsi in contraddizioni di talchè permangono dubbi sulla loro attendibilità.

E considera che la Corte territoriale, contraddittoriamente, ha assegnato alla testimonianza della Ts. rilevanza decisiva, ancorchè la donna abbia avuto una visione solo parziale della colluttazione. L'esponente rileva che sussiste una palese carenza probatoria, nella ricostruzione della condotta posta in essere dalla S., unitamente agli altri coimputati, con riguardo alla presunta pressione esercitata sulla gabbia toracica del giovane. La parte considera che non emerge in realtà la prova che una pressione sulla gabbia toracica di A. sia mai stata esercitata.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione di legge ed il vizio motivazionale, per avere la Corte di merito ritenuto attendibili le dichiarazioni del consulente della parte civile.

Osserva che la motivazione della sentenza risulta illogica anche con riguardo alla individuazione del nesso di derivazione causale tra la condotta della S. e l'evento mortale. Rileva che i diversi consulenti hanno reso difformi valutazioni sulla valenza da assegnare all'ematoma presente sul cuore del giovane; e considera che il cuore, in sede di autopsia, non è stato sottoposto a rilievi istologici, di talchè la teoria sostenuta dal consulente della parte civile si fonda sul solo esame dei rilievi fotografici autoptici.

Con il quarto motivo la ricorrente S. deduce la violazione di legge ed il vizio motivazionale, per avere la Corte di merito ritenuto non attendibili le conclusioni rassegnate dal consulente tecnico della difesa. L'esponente rileva che la Corte territoriale ha ritenuto che il consulente prof. R. si fosse contraddetto nel corso dell'esame dibattimentale; la parte considera che trattasi di circostanza non rispondente alla realtà, come risulta dalla lettura dei verbali dibattimentali e dalla disamina degli elaborati tecnici.

Osserva che il predetto consulente ha sempre sostenuto che le bande di contrazione rinvenute sul tessuto cardiaco rappresentano solamente uno dei possibili eventi sintomatici di excited delirium sindrome, e non già l'unico segno rivelatore.

Con il quinto motivo l'esponente denuncia la violazione di legge ed il vizio motivazionale, per avere la Corte di merito ricostruito la condotta posta in essere dalla S. in maniera manifestamente contraddittoria.

Osserva che l'agente S. si è limitata ad esercitare pressione sulle gambe del ragazzo, di talchè la condotta dell'esponente non ha avuto alcuna incidenza causale sull'evento morte, che si assume determinato dalla pressione sulla gabbia toracica. Sotto altro aspetto, la ricorrente considera che sfuggono i presupposti per la sussistenza della fattispecie della cooperazione colposa; evidenzia che nel caso non intervenne alcuna violazione delle regole cautelari poste a presidio dell'azione dei coimputati, i quali tentarono di immobilizzare un soggetto che aveva perpetrato un attacco nei loro confronti. L'esponente sottolinea che l'azione della S. rientra nell'ambito applicativo della legittima difesa, avendo agito per evitare di ricevere ulteriori calci, che già l'avevano raggiunta all'addome, ipotesi non esaminata dalla Corte di Appello; e considera che la S. si era avvicinata al ragazzo offrendogli il proprio aiuto, realizzando un approccio di tipo psicologico e che il giovane aveva di converso posto in essere un atteggiamento aggressivo.

Con il sesto motivo la parte denuncia il vizio motivazionale, in riferimento alla mancata distinzione della condotta della ricorrente rispetto a quella posta in essere dagli altri imputati. L'esponente ribadisce che non vi è prova che la S. abbia esercitato pressione sulla gabbia toracica del giovane, nè che abbia psicologicamente aderito alla violazione di regole cautelari da parte degli altri colleghi intervenuti. Lamenta che la Corte di Appello non abbia accertato le condotte realizzate dai vari soggetti concorrenti;

e considera che la S. è sopraggiunta sul luogo della tragedia in un secondo momento.

Con il settimo motivo l'esponente denuncia la violazione di norme processuali, in riferimento all'art. 521 cod. proc. pen., per difetto di correlazione tra accusa contestata e sentenza emessa, questione già dedotta nei motivi di appello. Osserva che dalla originaria contestazione di aver agito senza osservare le comuni regole di esperienza nella immobilizzazione di un soggetto, si è passati alla condanna per aver determinato la morte del giovane per compressione toracica.

Con l'ottavo motivo la ricorrente denuncia il vizio motivazionale, con riguardo alla individuazione della causa della morte, laddove la Corte territoriale ha accolto assiomaticamente la tesi sostenuta dal consulente della parte civile, pure a fronte della diversità di posizioni sostenute da tutti gli altri esperti intervenuti in giudizio.

Con il nono motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale rispetto alla negazione delle circostanze attenuanti generiche ed alla quantificazione del trattamento sanzionatorio.

L'esponente ritiene che la Corte di Appello abbia omesso di replicare ai motivi di censura già dedotti con l'atto di appello, ove la parte aveva rilevato che nei fatti colposi assumevano rilevanza, al riguardo, il quantum di evitabilità dell'evento ed il quantum di divergenza dal comportamento alternativo lecito. L'esponente rileva che agli odierni imputati non possono addebitarsi le condotte opache riferibili a coloro che avevano avviato le indagini, atteso che i ricorrenti in tali fasi non erano indagati e non erano nemmeno raggiunti da elementi di responsabilità; e ciò con specifico riguardo al momento in cui veniva affidato l'incarico ai consulenti di espletare l'autopsia. In riferimento alla gravita del fatto, che giustificherebbe il sensibile discostamento dal minimo edittale nella dosimetria della pena, l'esponente rileva poi che i giudici di merito hanno omesso di considerare che l'evento si era realizzato a seguito di una situazione di rischio cagionata dalla stessa vittima.

3.3 P.E. ha proposto ricorso, a mezzo dell'avv. T, deducendo i seguenti motivi.

Con il primo motivo la parte lamenta l'erronea applicazione degli artt. 43, 51, 55, 113 e 589 cop. pen. ed il vizio motivazionale.

L'esponente rileva che la Corte di Appello di Bologna, sul presupposto che A.F. versasse in stato di anomalia psichiatrica, afferma che i quattro poliziotti, nel momento in cui il giovane sferrava un calcio a sforbiciata nei loro confronti, avrebbero dovuto privilegiare un approccio di tipo medico psichiatrico. Osserva il deducente che la Corte di Appello omette di indicare in che cosa si sarebbe dovuto sostanziare il cosiddetto approccio di tipo medico psichiatrico e dunque a quale regola cautelare gli imputati avrebbero dovuto attenersi; e considera che del pari non risulta indicato in che modo la condotta alternativa avrebbe inciso sulla dinamica causale. Il ricorrente evidenzia che le linee guida ospedaliere, afferenti al comportamento da tenersi in caso di soggetto agitato, prevedono l'immobilizzazione del soggetto medesimo. E considera che la Corte di Appello ha ammesso che A., nella fase dì immobilizzazione posta in essere dai poliziotti, aveva tenuto un comportamento di forte resistenza. La parte sottolinea che per indurre il supposto ematoma cardiaco, secondo la tesi fatta propria dalla sentenza impugnata, sarebbero bastate anche manovre pressorie non particolarmente forti. Il ricorrente rileva che la Corte di Appello ha omesso di indicare in che modo la corretta attività di immobilizzazione, di tipo medico psichiatrico, avrebbe dovuto essere realizzata. L'esponente assume che i poliziotti operanti non avevano alcun bagaglio tecnico di conoscenza che consentisse loro di comprendere l'esatta natura del fenomeno psichiatrico che interessava la vittima; ed osserva che il calcio a sforbiciata sferrato dal giovane, che i giudici qualificano oggi come goffo e inoffensivo, era in realtà certamente offensivo nei confronti degli imputati ed era espressione di aggressività da parte di un soggetto che doveva, perciò, essere immobilizzato. La parte sottolinea che l'immobilizzazione del ragazzo avvenne secondo le modalità indicate nel manuale operativo, acquisito agli atti.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l'erronea applicazione della legge penale, in riferimento alle disposizioni sopra richiamate, il vizio motivazionale, il travisamento della prova e l'erronea applicazione delle regole che governano la disciplina delle prove.

L'esponente si sofferma sul contenuto delle deposizioni rese dai testi Ma., C. e Fo.; ed assume che la ricostruzione dell'episodio accreditata dalla Corte territoriale sia contraddittoria ed in contrasto con le risultanze processuali; e che del pari sia contraddicono ritenere non credibile la versione dei fatti fornita dagli imputati Po. e P.. Sulla scorta di tali rilievi il deducente censura la ricostruzione diacronica della colluttazione oggetto di imputazione effettuata dalla Corte di Appello e, in particolare, della fase in cui la vittima sarebbe stata costretta a terra in posizione prona, per un lungo arco di tempo, senza essere aiutata. Il ricorrente muove critiche poi alla decisione impugnata, laddove la Corte territoriale afferma che la richiesta di soccorso sanitario (delle ore 6,04) sia intervenuta quando la colluttazione era già terminata; al riguardo rileva che i poliziotti non avevano risposto alle chiamate via radio immediatamente successive alle ore 6,04, evenienza ritenuta indicativa del fatto che i quattro poliziotti fossero ancora tutti impegnati a colluttare con A..

Il deducente rileva l'illogicità della ricostruzione offerta nella sentenza impugnata anche con riguardo alla cosiddetta prima colluttazione, che sarebbe intervenuta tra A. e gli agenti Po. e P.. Osserva che il Collegio pretende di attribuire il danno arrecato alla portiera dell'auto della pattuglia Po. e P. alla azione del ragazzo, che si sarebbe attaccato alla portiera del veicolo, durante il primo episodio. Al riguardo, afferma che la tipologia del danno risulta incompatibile con la condotta che si attribuisce al giovane. L'esponente rileva che la Corte distrettuale ha omesso di confutare la versione della cosiddetta prima colluttazione indicata nell'atto di appello, sulla base dei danni riportati dalla vettura di servizio e delle tracce ematiche presenti sul luogo. Il ricorrente osserva che la lesione scrotale riportata dal ragazzo è compatibile con la caduta del giovane sullo sportello. Sotto altro aspetto, il deducente considera che, anche aderendo alla versione dell'accaduto fatta propria dalla sentenza impugnata, risulta evidente che il giovane aveva manifestato una forza fuori dai comune e quindi una pericolosità che doveva essere fermata con l'uso di una forza contraria. Assume che la valutazione effettuata dai poliziotti sulla aggressività del giovane risulti conforme al bagaglio di conoscenze proprio dell'agente medio di polizia e, in particolare, dell'imputato P. e dei suoi colleghi.

Il ricorrente deduce l'illogicità della sentenza impugnata anche laddove la Corte territoriale addebita agli imputati, a fronte del calcio a sforbiciata sferrato dalla vittima al loro indirizzo, di aver omesso di cercare un dialogo ed una mediazione. Sul punto osserva che i giudici qualificano il calcio come goffo e maldestro, laddove si trattava di una mossa tipica di un karateca cintura marrone, quale l' A. è risultato essere, e quindi dalla oggettiva valenza aggressiva. La parte ritiene che la Corte di merito abbia errato nel censurare la percezione di pericolosità del ragazzo da parte dei poliziotti e la seguente reazione.

L'esponente evidenzia che la Corte di Appello, contraddittoriamente, da un lato ha ritenuto che A. versasse in condizioni di evidente agitazione psicomotoria derivante dall'uso di sostanze psicotrope e, dall'altro, ha censurato il comportamento posto in essere dagli agenti, volto ad immobilizzare il giovane. La parte considera che la Corte territoriale ha errato nel ritenere superato il limite dell'adempimento del dovere da parte degli agenti operanti i quali avrebbero fatto un uso sproporzionato della forza; ciò in quanto non vi è prova della intensità della forza sprigionata dal giovane e di quella espressa dai poliziotti; e posto mente al fatto che è illogico accreditare l'idea della vittima come di una persona inerme. Sulle modalità del contenimento del giovane indicate in sentenza, il ricorrente osserva che si tratta del frutto di un travisamento della prova, con specifico riferimento alla deposizione resa dalla teste Ts.. In argomento, l'esponente sottolinea che la stessa Corte territoriale afferma che la testimone aveva avuto una visuale parziale della fase successiva all'atterramento del ragazzo.

Il ricorrente afferma che la teste, in realtà, non ha visto la pretesa azione di schiacciamento del corpo del giovane da parte dei poliziotti, ma ha dedotto che tale azione sia stata posta in essere.

Sul punto, il ricorrente denuncia una violazione delle regole che governano l'apprezzamento della prova e ritiene che la deduzione effettuata dal giudicante, mutuata dalla predetta deposizione testimoniale, risulti illogica ed in contraddizione con altre proposizioni della motivazione della sentenza impugnata. Osserva poi che la Corte di Appello ha omesso di censire le critiche dedotte avverso la decisione di primo grado, afferenti alla ricostruzione dei fatti come ricavabili dalla testimonianza Ts.; e rileva che la Corte distrettuale non supera l'evidente contraddizione tra le dichiarazioni rese dai testi Ts. e B.. Il ricorrente sottolinea che si tratta di deposizioni inconciliabili, giacchè i dichiaranti situano i protagonisti dell'episodio in due posizioni diverse.

Con ulteriori motivi il ricorrente deduce la violazione di legge, il vizio motivazionale e il travisamento della prova, in riferimento al diniego delle attenuanti generiche. Rileva che i denunciati vizi del procedimento motivazionale, riverberino effetti anche sull'erronea applicazione dell'art. 62 bis cod. pen.. La parte lamenta l'erronea applicazione dell'art. 133 cod. pen., il vizio motivazionale e il travisamento degli atti e della prova, osservando i vizi sopra denunciati inficiano anche la motivazione relativa alla dosimetria della pena. Osserva che la Corte bolognese neppure ha considerato, a tali fini, il riconosciuto concorso della vittima nel creare la situazione che richiese l'intervento di immobilizzazione.

3.3.1 L'imputato P., a mezzo dell'avv. MV, ha proposto ulteriore ricorso, affidato ai seguenti motivi.

Con il primo motivo viene dedotto il vizio motivazionale, in riferimento alla ricostruzione delle cause della morte di A. F.. La parte osserva che la Corte di Appello di Bologna ha affermato la penale responsabilità degli imputati sulla scorta di una ricostruzione delle cause della morte del giovane diversa da quella descritta nel capo di imputazione. Rileva che la causa del decesso è stata individuata in un ematoma cardiaco, sito in corrispondenza del fascio di HXS, provocato da uno schiacciamento del torace, secondo le indicazioni rese dal consulente della parte civile, prof. T.. L'esponente considera che la Corte di Appello ha annesso decisiva rilevanza all'accertamento delle cause che provocarono il decesso di A.F., atteso che proprio sulla scorta di tale elemento, il Collegio ha proceduto per induzione all'accertamento della dinamica della vicenda, tenuto anche conto della difficoltà di procedere alla ricostruzione dell'episodio sulla base delle dichiarazioni rese dai testi che avevano assistito al fatto. Parte ricorrente rileva che la Corte di Appello, sul punto di interesse, ha così argomentato: ha illogicamente accreditato il consulente di parte T. di una veste di terzietà, in considerazione del fatto che le parti civili avevano rinunciato alla costituzione prima della celebrazione del giudizio di appello, nel quale si procedette al rinnovo dell'istruzione dibattimentale, pure con l'esame del T.; ha ritenuto plausibile la ricostruzione delle cause della morte effettuata da T., il quale si è basato sulla visione delle fotografie scattate dai medici incaricati di effettuare l'accertamento autoptico; ha ritenuto che nel ventrìcolo sinistro fossero presenti due ematomi, l'uno nella parte posteriore, l'altro in quella anteriore; ha rilevato che le foto che ritraggono i vetrini del cuore non consentono di accreditare la diversa ipotesi, in base alla quale il giovane sarebbe deceduto per "excited delirium sindrome". L'esponente ritiene che il richiamato percorso motivazionale, sviluppato dalla Corte territoriale, risulti apodittico, atteso che il Collegio non ha spiegato la ragione scientifica in base alla quale sarebbero presenti due distinti ematomi nel ventricolo sinistro del cuore del ragazzo. L'esponente sottolinea che la predetta circostanza aveva costituito oggetto di specifica censura spiegata nell'atto di appello; e che, secondo altri consulenti, le macchie presenti sul ventricolo sinistro sarebbero il frutto di una imbibizione emoglobinica verificatasi post mortem.

Osserva che la Corte di Appello neppure ha chiarito le ragioni per le quali ha escluso che nei reperti istologici del cuore fossero visibili le bande di contrazione, questione del pari dedotta con i motivi di appello. Il ricorrente considera che la Corte territoriale, in sede di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, aveva ammesso l'acquisizione della memoria a firma R. e delle fotografie allegate al predetto elaborato, ove si poneva la questione della incidenza del livello di risoluzione microscopica delle diverse fotografie esaminate; e che non di meno in sentenza ha ritenuto pleonastica la discussione sul punto. L'esponente rileva che la Corte territoriale ha anche omesso di considerare che il giovane A., pur essendo deceduto per un trauma compressivo, non presentava lesioni sul dorso; e rileva che il Collegio non si è soffermato sul fatto che dalle analisi istologiche non era emersa la presenza di ematomi. Conclusivamente sul punto, la parte ritiene che la Corte di Appello abbia omesso di chiarire le ragioni per le quale si è discostata dagli esiti delle espletate perizie ed ha di converso recepito la personale opinione del prof. T., accreditandola quale prova migliore, nella ricostruzione tecnica della causa del decesso.

L'esponente osserva che la Corte territoriale ha disatteso le indicazioni offerte dai consulenti autoptici del pubblico ministero, i quali avevano direttamente inciso il cuore del giovane nei punti ritenuti di imbibizione emoglobinica; e che il Collegio ha accolto le considerazioni effettuate da T., il quale, argomentando sulla base della mera visione delle richiamate fotografie, ha sostenuto che i punti di cui si tratta fossero espressione dell'ematoma. Il ricorrente assume che, in tal modo, la Corte territoriale abbia ritenuto le dichiarazioni dei predetti consulenti non solo inattendibili, ma non veridiche, ancorchè di ciò non vi sia traccia in sentenza.

Con il secondo motivo, l'avv. V deduce il vizio motivazionale, in relazione alla ricostruzione della causa della morte di A.F., laddove nella sentenza impugnata si fa riferimento alla non defibrillabilità del cuore del ragazzo. Osserva che la Corte territoriale ha ritenuto che la teoria esposta dal consulente T. trovasse riscontro nell'assenza di attività elettrica cardiaca, circostanza verificata dal personale del 118 al momento dell'intervento sul posto. La parte rileva che il Collegio ha omesso di considerare che la non defibrillabilità del cuore può dipendere anche dal ritardo con il quale la manovra viene tentata, rispetto all'originario stato fibrillativo; e considera che le stesse indicazioni rese dalla Corte di Appello sull'ora del decesso, che sarebbe avvenuto tra le ore 06.04.04 e le ore 06.15.20, cioè nell'arco di undici minuti, risultano compatibili con la situazione di sopravvenuta non defrillabilità del cuore.

Con il terzo motivo viene dedotta l'illogicità della motivazione, laddove in sentenza si afferma che la posizione prona nella quale il giovane viene mantenuto dagli agenti dopo l'ammanettamento costituisca concausa della morte, quale fattore di ostacolo per la respirazione ed elemento idoneo ad aumentare i valori di pressione arteriosa all'interno del cuore. Il ricorrente ritiene che vi sia incompatibilità logica tra la teoria sostenuta dal consulente T. - in base al quale le pressioni sul torace di A. determinarono un ematoma in corrispondenza del fascio di His, tale da interrompere la stimolazione elettrica del cuore - e la teoria sostenuta da altri consulenti della parte civile, in base alla quale un ruolo concausale è da assegnare alla colluttazione ed al mantenimento del ragazzo in posizione prona; ed assume che la Corte di Appello abbia richiamato entrambe le teorie, per non contraddire le indicazioni fornite dai consulenti delle parti civili, prima dell'ingresso in giudizio di T.. L'esponente sottolinea di avere esposto già nei motivi di appello l'incompatibilità logica tra la teoria del T. e quella del Be. e ritiene che la Corte territoriale si sia disinteressata delle doglianze difensive.

Il ricorrente osserva che il Collegio ha omesso di esplicitare, secondo il ragionamento controfattuale, l'efficienza causale delle richiamate concause, rispetto alla produzione dell'evento.

Il ricorrente ritiene che la Corte territoriale abbia in realtà fondato l'affermazione di penale responsabilità sul mero disvalore della condotta, prescindendo dall'accertamento della riferibilità causale dell'evento; e rileva che il Collegio avrebbe dovuto interrogarsi sulla efficienza causale derivante dallo stato di agitazione psicomotoria del giovane e sulla incidenza della prima colluttazione rispetto alla condizione di insufficienza respiratoria.

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia il vizio motivazionale, laddove la Corte di Appello ha ritenuto fantasiosa la prospettazione alternativa sostenuta dalla difesa, in relazione alla causa della morte del giovane A.. Osserva che la tesi dell'excited delirium sindrome è stata sostenuta da vari consulenti e periti, di talchè la stessa può risultare non condivisibile, ma non fantasiosa. Osserva che la Corte territoriale, contraddittoriamente, da un lato ha disatteso la tesi sostenuta dalla difesa, che sarebbe risultata non supportata da tesi scientifiche confacenti, dall'altro ha accolto la tesi del T., a fondamento della quale non sono state richiamate pubblicazioni scientifiche. Il ricorrente evidenzia che la Corte territoriale, in ciò discostandosi dal primo giudice, ha ritenuto che il ragazzo versasse in stato di agitazione psicomotoria causato dalla pregressa assunzione di droghe di varia natura; e che, non di meno, ha omesso di spiegare perchè il predetto stato di agitazione non possa aver integrato l'excited delirium sindrome. Conclusivamente sul punto, la parte rileva che la Corte distrettuale ha apoditticamente contraddetto le censure difensive, circa la valenza da assegnare agli esiti degli esami istologici, relativi alla accertata mancanza di bande di contrazione.

Con il quinto motivo il ricorrente denuncia il vizio motivazionale in relazione alla valutazione effettuata dalla Corte territoriale rispetto alle testimonianze rese da Ts. e B.. Con riguardo alla dichiarante Ts., l'esponente considera che la Corte di Appello, dopo aver evidenziato che la donna non aveva visto la fase dell'ammanettamento, ha indebitamente integrato il contenuto fattuale della deposizione, relativamente alle manovre pressorie che gli agenti avrebbero esercitato sul ragazzo. Ulteriori censure vengono dedotte circa l'apprezzamento della deposizione resa dalla teste B.. L'esponente ritiene che la Corte distrettuale abbia trasformato il contenuto dichiarativo delle deposizioni, introducendo in via congetturale elementi di fatto non riferiti dai testi. Al riguardo rileva, tre le altre incongruenze, che la visione della schiena degli agenti, circostanza riferita dalla B., è stata trasformata nell'azione di sovrastamento del corpo del ragazzo; e che il generico sovrastare di un corpo sull'altro è divenuto una manovra pressoria esercitata dagli agenti con le mani sul tronco del giovane.

Osserva, conclusivamente sul punto, che la condotta ora riferita non risulta compatibile con il tipo di ematoma cardiaco che si assume riportato dal ragazzo.

Con il sesto motivo l'esponente deduce il vizio motivazionale ed il travisamento della prova, in relazione alla valutazione effettuata dalla Corte di Appello nell'individuare il momento in cui gli agenti avrebbero chiesto l'intervento del personale sanitario, rispetto alla dinamica del fatto; a sostegno dell'assunto, la parte richiama le circostanze emergenti dalla annotazione di servizio della volante (OMISSIS) e ritiene non contestabile che il 118 venne chiamato prima dell'inizio della seconda colluttazione. Ribadisce, poi, quanto già dedotto nei motivi di appello, circa il difetto di prova in ordine alla sussistenza di un edema cerebrale nel giovane A..

Con il settimo motivo il ricorrente denuncia l'erronea applicazione degli artt. 43, 51, 53 e 55 cod. pen. ed il vizio motivazionale, con riguardo alla ricostruzione della portata scriminante dell'adempimento del dovere e dell'uso legittimo delle armi. La parte rileva che la Corte di Appello di Bologna ha erroneamente affermato che gli agenti avrebbero dovuto porre in essere un approccio di tipo medico assistenziale e non poliziesco repressivo; e che in tali termini la Corte territoriale individua in una condotta omisstva - intesa come astensione dall'intervento e dall'immobilizzazione - il contenuto della scriminante. Il deducente considera, di converso, che la scriminante dell'adempimento del dovere impone all'agente di intervenire e di immobilizzare il soggetto, al fine di renderlo inoffensivo.

Sotto altro aspetto, il ricorrente rileva che la Corte di Appello omette di esplicitare il contenuto dell'approccio di tipo terapeutico che gli agenti avrebbero dovuto realizzare. Censura la decisione laddove il Collegio rileva che l'uso della forza non doveva essere eccessivo; ed osserva che la lesione mortale non è stata realizzata con l'uso dei manganelli ma da generiche manovre pressorie, esercitate nella fase dell'ammanettamento. L'esponente considera che il vizio motivazionale, dovuto alla mancata tipizzazione delle regole cautelari, incide anche sul tema della attribuibilità colposa agii agenti del superamento del limite consentito. Rileva che la Corte di Appello ha omesso di spiegare il motivo per cui gli agenti avrebbero colposamente oltrepassato il limite consentito dalla scriminante e che la Corte territoriale è incorsa nell'erronea applicazione della legge penale, anche con riferimento alla prevedibilità dell'evento, tenuto conto delle indicazioni rese dal T.; osserva che il predetto consulente ha chiarito che la compressione toracica può determinare un ematoma in corrispondenza del fascio di His, solo qualora si realizzi lo schiacciamento del cuore nell'esatto momento della sistole ventricolare. E considera che l'attività di intervento della Polizia è intrinsecamente rischiosa soprattutto in fase di ammanettamento. Il ricorrente afferma che la valutazione sulla prevedibilità dell'evento da parte del reo deve avvenire rispetto all'accadimento in concreto verificatosi, di talchè nel caso di specie la valutazione sulla prevedibilità dell'evento, rispetto alla condotta posta in essere dagli agenti, doveva riguardare la compromissione della funzionalità cardiaca quale effetto di pressioni non particolarmente intense sul dorso del soggetto.

Con l'ottavo motivo viene dedotto il vizio motivazionale della sentenza impugnata, laddove si afferma che gli agenti Po. e P. erano presenti sulla scena degli eventi sin dalle ore 5.30 del (OMISSIS). Sul punto, il ricorrente ritiene che il Collegio abbia omesso di spiegare le ragioni per le quali ha disatteso le dichiarazioni rese dalle testimoni C. e G., le quali hanno negato che a quell'ora sul posto fosse presente la Polizia.

Con il nono motivo viene impugnata l'ordinanza in data 17.05.2011, nella parte in cui rigetta la richiesta di perizia medico legale sulle cause della morte del giovane. L'esponente ritiene che la Corte territoriale illogicamente abbia fatto riferimento al confronto disposto nel giudizio di appello tra gli esperti T. e R., atteso che l'incombente aveva avuto ad oggetto unicamente la documentazione fotografica dei reperti istologici del cuore e non, in generale, le cause del decesso.

Con il decimo motivo si deduce la violazione di legge ed il vizio motivazionale in riferimento al diniego delle attenuanti generiche ed alla dosimetria della pena. La parte rileva che la Corte ha omesso di considerare che, tra i criteri di determinazione della pena per i reati colposi, viene in rilievo il quantum di evitabilità dell'evento ed il quantum di divergenza dal comportamento alternativo lecito. Osserva, inoltre, che neppure sono state considerate ulteriori circostanze, quali l'impiego di una forza non particolarmente intensa, da parte degli agenti.

3.4 Po.Lu., a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi.

Con il primo motivo viene dedotta la violazione di legge, in relazione all'art. 521 cod. proc. pen., per difetto di correlazione tra accusa contestata e sentenza.

emessa. La parte osserva che a seguito delle indicazioni rese dal prof. T., esaminato ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen., nella fase conclusiva del dibattimento di primo grado, è stata individuata una nuova spiegazione causale del decesso del giovane A. e si è quindi elevato un nuovo addebito nei confronti degli imputati, consistente nella compressione violenta e prolungata della gabbia toracica del ragazzo, addebito di contenuto diverso da quello contestato dal pubblico ministero, che riguardava l'asfissia da posizione. Il ricorrente considera che in tali termini si è modificato anche il contenuto della colpa ed il relativo giudizio di rimproverabitità. La parte ritiene che la Corte territoriate abbia frettolosamente liquidato tale specifica ragione di doglianza, che era stata dedotta con l'impugnazione principale e con i motivi aggiunti; ed assume che si sia verificato un irreparabile pregiudizio per le garanzie difensive dell'imputato, al quale si sono addebitate condotte ontologicamente diverse da quelle originariamente contestate.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge ed il vizio motivazionale, in relazione all'art. 192 cod. proc. pen., con riguardo all'accertamento della causa della morte di A. F.. Ritiene che la Corte territoriale abbia acriticamente accettato la tesi del prof. T., tesi in realtà priva di addentellati fattuali in grado di comprovarne la fondatezza. Le censure riguardano, in particolare: la veste di terzietà accreditata dai giudici al prof. T., benchè si tratti di consulente officiato della parte civile; ed il fatto che il predetto consulente abbia effettuato la propria valutazione sulla base dell'esame di una semplice fotografia. Circa il contenuto della tesi sostenuta dal prof. T., la parte contesta l'affermazione relativa alla presenza di due ematomi cardiaci interni, pur in assenza di lesioni in corrispondenza della gabbia toracica, sul derma del soggetto e neppure sulla struttura esterna del cuore; come pure la ritenuta esistenza di una ipossia posizionale che avrebbe agevolato l'innesco del meccanismo letifero. L'esponente rileva che la Corte di Appello ha omesso di dare conto del fatto che la stessa esistenza degli ematomi cardiaci ha costituito oggetto di accesa discussione tra il T. e gli esperti incaricati dell'accertamento autoptico;

ritiene che il Collegio abbia acriticamente accettato il ragionamento deduttivo sviluppato dai T.; e che la prova privilegiata dai giudici (basata sulla visione di una foto) risulti di qualità inferiore, rispetto alla prova scientifica derivante dalla incisione effettuata direttamente dai periti settori in sede di autopsia. La parte sottolinea che il prof. Be. ha individuato nella foto un solo ematoma e non un doppio ematoma, di talchè neppure la posizione del Be. può ritenersi conforme alla tesi sostenuta dal T.; ed evidenzia che sul punto di interesse neppure vi è conformità tra la sentenza di primo grado e quella della Corte di Appello. Il ricorrente censura la decisione impugnata, laddove ritiene sussistente uno stato ipossico, sulla base di sintomi aspecifici. Rileva, inoltre, che i giudici di appello hanno ritenuto sussistente la lesione del fascio di His, in assenza della prova istologica, omettendo di rispondere alla specifica censura sollevata dalla difesa. Il deducente osserva che le bande di contrazione del tessuto cardiaco rappresentano solamente uno dei possibili eventi sintomatici di excited defirium sindrome e non già l'unico segno rivelatore di tale sindrome, di talchè l'assenza di bande di contrazione non è argomento idoneo ad invalidare la tesi alternativa che individua la causa della morte del giovane proprio nella excited delirium sindrome.

Con il terzo motivo viene dedotta la carenza di motivazione, atteso che la sentenza impugnata non esamina le considerazioni svolte dalla difesa nella memoria del 10.06.2011, circa l'inaffidabilità della tesi relativa alla causa della morte, sostenuta dal consulente T..

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge ed il vizio motivazionale relativamente alla ritenuta presenza della volante (OMISSIS) in (OMISSIS), prima della richiesta di intervento; e con riguardo al comportamento che avrebbero tenuto gli agenti nel primo incontro con A.. L'esponente ribadisce che lo scontro fisico era stato cercato e voluto dal giovane e che gli agenti non potevano lasciarsi percuotere senza fermare, con la forza necessaria, la furia violenta del giovane. Parte ricorrente censura la motivazione della sentenza impugnata, con riguardo alla ricostruzione della dinamica della seconda colluttazione, basata sulle dichiarazioni rese dalla teste Ts., la quale ha avuto una visione parziale dell'accaduto. Osserva, inoltre, che la Corte territoriale è incorsa nei travisamento della prova dichiarativa resa dalla teste B., la quale aveva riferito di non avere visto il corpo del ragazzo. L'esponente rileva che lo stesso giudicante indica che Po. non ha partecipato alla compressione della gabbia toracica, condotta che avrebbe causato il trauma dagli esiti letali.

Con il quinto motivo il ricorrente deduce la carenza assoluta di motivazione, laddove la Corte di Appello ha ritenuto che la tesi sostenuta dal consulente T., relativa alla individuazione della causa della morte, fosse intrinsecamente credibile per il solo fatto che la spiegazione alternativa pari menti probabile esposta dalla difesa doveva ritenersi soccombente. Il deducente ritiene che nessuna parte delle sentenze di merito sia stata dedicata a dimostrare che sussista una spiegazione causale scientificamente assistita da legge di copertura, secondo la quale è possibile che la compressione della gabbia toracica possa provocare una lesione irreversibile del fascio di conduzione elettrico del cuore. Osserva che il convincimento espresso dal giudice di secondo grado, circa la attendibilità della tesi sostenuta dal consulente T., non risulta supportato dal riferimento alla letteratura medica. La parte si duole della mancata risposta, offerta dalla Corte territoriale, alle doglianze dedotte nell'atto di appello e con i motivi aggiunti, sul punto determinante della controversia, dato dalla ricostruzione della causa del decesso;

e ribadisce che la tesi del prof. T. non risulta neppure condivisa dagli altri esperti nominati dalla parte civile.

Con il sesto motivo viene dedotta l'erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla configurabilità di una condotta inosservante colpevole della regola cautelare, da parte del ricorrente. Premesso che nelle fattispecie colpose occorre che al soggetto attivo possa rimproverarsi il mancato rispetto della regola cautelare, il deducente osserva che nella sentenza impugnata si assume che gli agenti abbiamo commesso: un errore di vantazione, atteso che avrebbero dovuto porre in essere un intervento di tipo psichiatrico sanitario; ed un errore nella esecuzione dell'immobilizzazione, realizzata con modalità eccessive. La parte rileva che agli agenti di Polizia non si poteva richiedere un comportamento che esulasse dalle loro capacità; e che i giudici hanno fatto coincidere la colpa con la mera violazione della regola cautelare. Considera che gli agenti subirono la seconda colluttazione - non dissimilmente dalla prima - come conseguenza della scelta del giovane A. di fronteggiare i poliziotti, raggiungendoli di corsa, nel punto ove costoro erano fermi; e che la reazione degli odierni imputati non comportò la violazione di nessuna regola cautelare. La parte denuncia l'errata applicazione della legge penale anche con riferimento alla tema della prevedibilità dell'evento. Sul punto rileva che il consulente T. aveva evidenziato la singolarità del meccanismo letifero; e ritiene che la Corte di Appello di Bologna abbia erroneamente ritenuto di poter invocare, a riprova della prevedibilità dell'evento da parte degli agenti, le invocazioni di aiuto dell'ormai stremato A.. Osserva che non vi è prova che i predetti lamenti trovassero origine nella colluttazione e che la Corte territoriale ha arbitrariamente spostato temporalmente la richiesta di aiuto nel momento conclusivo della colluttazione, travisando il compendio probatorio.

Con il settimo motivo viene dedotta la violazione di legge ed il vizio motivazionale, in riferimento al diniego delle attenuanti generiche ed alla quantificazione della pena. L'esponente rileva che la Corte di Appello non ha tenuto conto dei parametri fissati dalla legge per la dosimetria della pena nei reati colposi; e che di converso ha valorizzato il comportamento processuale degli imputati, ritenuto sleale, omettendo di considerare che nella centrale fase delle indagini relativa all'espletamento dell'autopsia, costoro non erano raggiunti da alcun elemento di responsabilità. Osserva, infine, che non si è tenuto conto della situazione di rischio cagionata dalla medesima vittima e della eccezionaiità dell'evento, rispetto alla minima forza esercitata dagli agenti.

4. All'udienza del 21 giugno 2012, versificata la rituale costituzione delle parti, si è proceduto alla trattazione della causa. Si osserva che le disposizioni di cui al D.L. 6 giugno 2012, n. 74, art. 6, commi 7 e 8, recante Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo il 20 e il 29 maggio 2012, convertito con modificazioni dalla L. 1 agosto 2012, n. 122, non risultano applicabili al giudizio di cassazione; ed invero, il D.L. n. 74 del 2012, art. 6, comma 7, lett. b), prevede il rinvio di ufficio della trattazione del processo a data successiva al 31.12.2012, ove risulti contumace o assente una delle parti, qualora la stessa parte fosse residente alla data del 20 maggio 2012 in uno dei comuni colpiti dal sisma. Orbene, l'espresso riferimento all'istituto della contumacia, effettuato dalla norma ora richiamata, evidenzia l'incompatibilità della richiamata procedura di rinvio "ex officio" rispetto al presente giudizio, atteso che, in sede di legittimità, la partecipazione personale delle parti private non risulta prevista (cfr. Cass. Sez. 5, sentenza n. 11621 del 23.01.2012, dep. 26.03.2012, Rv. 252471). Si evidenzia, altresì, che il D.L. n. 74 del 2012, art. 6, comma 8, prevede che la sospensione del processo stabilita dal citato art. 6, comma 7, non operi nel caso in cui le parti processuali o i relativi difensori, rinuncino alla stessa. Deve pertanto ritenersi che gli istituti dilatori previsti dal citato comma 7 rientrino nella disponibilità delle parti processuali, stante la facoltà di rinunzia che il legislatore ha espressamente previsto. Ciò chiarito, si osserva che, all'odierna udienza, i difensori presenti, in rappresentanza di ciascuna delle parti private, non hanno chiesto il differimento della trattazione del processo ed hanno dato corso alla esposizione delle rispettive difese.

Motivi della decisione

5. I ricorsi risultano infondati, per le ragioni che si vengono ad esporre. I motivi di ricorso, trattati congiuntamente nei casi, e nei limiti, di sovrapponibilità dei temi di censura, vengono esaminati muovendo dai seguenti rilievi di natura processuale.

6. Ci si sofferma, primieramente, sull'eccezione di inutilizzabilità della documentazione fotografica, ritraente in particolare il muscolo cardiaco della vittima, realizzata durante l'autopsia, questione affidata al primo motivo di ricorso ed ai motivi aggiunti proposti nell'interesse di F.P..

La parte, con motivi nuovi in quanto non precedentemente dedotti in sede di merito, denuncia l'inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, con riferimento all'art. 191 c.p.p., comma 2 e 3art. 60 cod. proc. pen.. L'esponente ritiene che a carico degli agenti di Polizia, odierni imputati, nel momento in cui il pubblico ministero procedette alla nomina dei consulenti incaricati di effettuare l'accertamento autoptico, già fossero emersi elementi tali da far prospettare una loro sottoponibilità ad indagini, indipendentemente dalla mancata iscrizione formale nel registro delle notizie di reato. Il deducente rileva che, nel caso di specie, gli agenti non ricevettero l'avviso di cui all'art. 360 cod. proc. pen.; ed assume che tale omissione abbia determinato la violazione del diritto al contraddittorio, con specifico riferimento alla richiesta di incidente probatorio, di cui al citato art. 360, comma 4.

Il rilievo, pur ammissibile in questa sede, venendo dedotta l'inosservanza di norme processuali stabile a pena di inutilizzabilità, è destituito di fondamento.

L'esame degli atti versati in fascicolo, al quale questa Suprema Corte procede direttamente, trattandosi di eccezione di natura processuale, evidenzia che alle ore 12.00 del 27.09.2005, giorno in cui il pubblico ministero conferì ai propri consulenti l'incarico relativo agli accertamenti autoptici sul cadavere di A. F., non era emerso alcun elemento che consentisse di ipotizzare neppure la riferibilità materiale della morte del ragazzo, rispetto alla condotta posta in essere dagli agenti che erano intervenuti in via (OMISSIS), nelle prime ore del (OMISSIS).

Giova, al riguardo, pure richiamare le considerazioni svolte dal Tribunale di Ferrara, nella sentenza di primo grado. Il giudicante riferisce che le difese avevano sostenuto con forza l'inapplicabilità del divieto di cui all'art. 62, cod. proc. pen., rispetto alle testimonianze "de relato", rese da altri agenti di polizia giudiziaria, i quali avevano raccolto le dichiarazioni di F., S., P. e Po.; e ciò in considerazione del fatto che, all'indomani dell'episodio, i quattro agenti non erano raggiunti da alcun indizio che ne giustificasse l'iscrizione nel registro degli indagati. Osserva, in particolare, il Tribunale, che gli atti consegnati al pubblico ministero, tra i quali si rinvengono le dichiarazioni di servizio redatte dagli odierni imputati, non contenevano alcun elemento che mettesse in discussione la qualità e l'entità dell'intervento della Polizia; e che la causa della morte del giovane, secondo gli elementi contenuti nelle richiamate informative, era da mettere in relazione alla intervenuta assunzione di sostanze stupefacenti da parte del ragazzo.

Orbene, il riferito quadro fattuale, di cui da conto il giudice di merito, evidenzia che il contenuto degli atti di indagine acquisiti al procedimento, alla data del 27.09.2005 in cui venne conferito ai consulenti del pubblico ministero l'incarico di svolgere gli accertamenti autoptici, orientava la ricerca relativa alla causa della morte, unicamente in relazione alla pregressa assunzione di sostanze psicotrope da parte del giovane. Il quesito sottoposto ai consulenti medici legali - ai quali venne richiesto di accertare la causa della morte di A.F. "previo prelievo di materiale organico dalla salma" - riflette la predetta impostazione investigativa.

Le considerazioni ora svolte evidenziano che, al momento del conferimento dell'incarico di cui si tratta, i quattro agenti non erano raggiunti da alcun elemento idoneo ad attribuire loro la qualità di indagati, ovvero di indagabili, rispetto al decesso dell' A., tale da giustificare la loro iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato. E rafforza il convincimento considerare che solo in una seconda fase delle indagini, sulla base di inediti elementi indiziar emersi a carico degli odierni imputati a seguito delle testimonianze rese da persone che avevano occasionalmente assistito all'episodio, il pubblico ministero procedente chiese, ed ottenne, l'esperimento di un incarico peritale, avente ad oggetto l'accertamento delle cause della morte del ragazzo, secondo una diversa prospettiva di indagine, che muoveva dagli esiti sortiti dalla colluttazione ingaggiata dai poliziotti con A. F..

Tanto chiarito, deve osservarsi che le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno recentemente ribadito - soffermandosi sull'accertamento della diversa veste che può assumere il soggetto dichiarante, nell'ambito delle prove dichiarative - che, al fine di individuare il momento in cui risulta attribuibile ad un determinato soggetto la qualità di indagato, occorre verificare la sussistenza delle relative condizioni sostanziali, sulla base delle emergenze disponibili al momento, al di là del riscontro di indici formali, quali la già intervenuta, o meno, iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, ad opera del pubblico ministero procedente.

Il sindacato giudiziale, nella materia che occupa, deve cioè avvenire mediante la verifica, da un lato, della obiettiva sussistenza di indizi non equivoci di reità a carico di un determinato soggetto; e, dall'altro, della effettiva conoscenza degli stessi elementi indiziari, da parte dell'autorità procedente, al momento del compimento dell'atto di cui si tratta (Cass. Sez. U, Sentenza n. 15208 del 25/02/2010, dep. 21/04/2010, Rv. 246584).

Applicando al caso di specie i principi di diritto ora richiamati, non è chi non veda che agli agenti F., S., P. e Po., alla data del (OMISSIS) - giorno in cui i consulenti del pubblico ministero vennero officiati dell'accertamento autoptico - non era riferibile la qualità di indagati; i predetti agenti, infatti, non erano raggiunti da alcun elemento di reità, rispetto alla morte del giovane A., tenuto conto dell'indirizzo assunto dalle indagini, sino a quel momento, anche sulla scorta delle relazioni di servizio che i medesimi operanti avevano provveduto a redigere. E' appena il caso di osservare, al riguardo, che la stessa S., al fine di sostenere che agli odierni imputati non possono addebitarsi le condotte opache poste in essere da coloro che avevano avviato le indagini, sottolinea nel proprio ricorso il dato di fatto relativo alla assenza di alcun elemento di responsabilità, rispetto alla morte dell' A., emergente a carico dei quattro poliziotti, nel momento in cui il pubblico ministero procedette al conferimento dell'incarico autoptico.

In conclusione, sul punto, deve rilevarsi che non sussiste alcuna violazione dei principi in materia di contraddittorio, nè rispetto al diritto nazionale, in riferimento ai diritti garantiti alla persona sottoposta ad indagini, ex art. 360 cod. proc. pen, nè rispetto ai principi sanciti dalla Convenzione EDU, come esplicitati dalla Corte di Strasburgo, anche con la sentenza richiamata dal ricorrente, per il caso di assenza ingiustificata dell'inquisito rispetto alla formazione della prova; ciò in quanto gli odierni imputati, alla data del (OMISSIS), non avevano formalmente la qualifica di indagati, nè risultavano raggiunti da alcun elemento sostanziale di reità, in riferimento alla morte improvvisa che aveva colpito A.F.. Pertanto, come rilevato dal Procuratore Generale nel corso della propria requisitoria, del tutto legittimamente l'avviso relativo all'accertamento autoptico venne inviato unicamente ai genitori della persona offesa.

Le considerazioni ora svolte evidenziano, allora, che la documentazione fotografica, raccolta nel corso dell'effettuato accertamento autoptico, risulta pienamente utilizzabile in giudizio, anche nei confronti dei soggetti che, successivamente rispetto al predetto accertamento, ebbero ad assumere la veste di indagati e, quindi, di imputati. E deve osservarsi che, nel caso di specie, non risulta altrimenti conferente il richiamo, pure effettuato dal ricorrente, ai divieti di testimonianza individuati dalla giurisprudenza, rispetto all'esame dibattimentale dei consulenti tecnici sul contenuto di accertamenti non ripetibili che siano stati dichiarati inutilizzabili, per violazione dell'art. 360 cod. proc. pen., atteso che gli accertamenti tecnici di cui si tratta ebbero a svolgersi nel pieno rispetto della disciplina dettata dall'art. 360 cod. proc. pen., per le ragioni sopra evidenziate.

7. Si esamina ora la doglianza dedotta con il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse di S.M., afferente all'omessa pronuncia, da parte della Corte di Appello, rispetto alla richiesta di rinnovo dell'istruttoria dibattimentale, volta all'espletamento di perizia tossicologica sui campioni di liquido biologico dell' A.; si tratta di passaggio istruttorio che l'esponente qualifica come "indispensabile", atteso che l'assunzione dell'ingente quantità di stupefacenti, da parte dell' A., era emersa solamente nel corso dell'istruzione dibattimentale svoltasi dinanzi al Giudice di prime cure. Congiuntamente, si esamina il nono motivo del ricorso dell'Avv. V, proposto nell'interesse di P., con il quale la parte si duole del mancato rinnovo dell'istruttoria dibattimentale con riguardo all'espletamento di perizia medico legale.

Occorre, al riguardo, osservare che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito: che il vigente codice di rito penale pone una presunzione di completezza dell'istruttoria dibattimentale svolta in primo grado; che la rinnovazione, anche parziale, del dibattimento, in sede di appello, ha carattere eccezionale e può essere disposta unicamente nel caso in cui il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti; e che solo la decisione di procedere a rinnovazione deve essere specificamente motivata, occorrendo dar conto dell'uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6379 del 17/03/1999, dep. 21/05/1999, Rv. 213403).

Nell'alveo del l'orientamento interpretativo ora richiamato, la Suprema Corte ha poi affermato che l'esercizio del potere di rinnovazione istruttoria si sottrae, per la sua natura discrezionale, allo scrutinio di legittimità, nei limiti in cui la decisione del giudice di appello, tenuto ad offrire specifica giustificazione soltanto dell'ammessa rinnovazione, presenti una struttura argomentativa che evidenzi - per il caso di mancata rinnovazione - l'esistenza di fonti sufficienti per una compiuta e logica valutazione in punto di responsabilità (cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 40496 del 21/05/2009, dep. 19/10/2009, Rv. 245009).

Orbene, tanto chiarito, deve osservarsi che la Corte di Appello di Bologna, dopo avere espressamente rilevato che la difesa dell'imputata S. aveva chiesto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, per l'espletamento di perizia tossicologica, al fine di accertare il fattore causale che ebbe a determinare la morte di A.F. - con ciò riproponendo fa tesi difensiva in base alla quale la morte del ragazzo doveva ritenersi intervenuta per excited delirium sindrome - ha considerato esaustiva e convincente la spiegazione dell'eziologia della morte di A., quale offerta dal consulente T. (questione sulla quale ci si soffermerà esaminando altri motivi di ricorso); ed ha quindi rigettato ogni ulteriore richiesta istruttoria, rispetto a quelle già ammesse con l'ordinanza dibattimentale del 17 maggio 2011. L'apparato motivazionale sviluppato dalla Corte territoriale, in relazione alle richieste di rinnovo dell'istruzione dibattimentale, risulta - per quanto ora evidenziato - del tutto conferente rispetto al delineato ambito giustificativo proprio della decisione istruttoria che occupa, di talchè i relativi motivi di doglianza si palesano infondati. E' poi appena il caso di osservare che, nel rigettare l'istanza di rinnovazione della indagine medico legale, il Collegio ha pure sottolineato che la spiegazione della eziologia della morte di A., come accertata in giudizio, risultava assolutamente esausitva.

In chiusura della disamina dei motivi che occupano, si evidenzia che è del tutto pacifico, nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, che la perizia, per il suo carattere neutro sottratta alla disponibilità delle parti e rimessa alla discrezionalità del giudice, non può farsi entrare nel concetto di prova decisiva (Cass. Sez. 4, sentenza n. 14130 del 22.01.2007, dep. 5.04.2007, Rv. 236191; Cas. Sez. 4, sentenza n. 10110 del 14.02.2012, dep. 15.03.2012, n.m.).

8. Si procede ora all'esame del secondo motivo dedotto dal ricorrente F., unitamente al primo motivo del ricorso proposto dall'Avv. T nell'interesse di P.E..

8.1 Trattasi di motivi di doglianza che lambiscono il profilo della inammissibilità. Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, invero, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità "deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali" (in tal senso, "ex plurimis", Cass. Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 10.01.1996, Rv. 203272).

Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali, hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997, dep. 02/07/1997, Rv.207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell'art. 606 c.p.p., lett. e), per effetto della L. 20 febbraio 2006, n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006, dep. 23.05.2006, Rv. 234109).

Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1769 del 23/03/1995, dep. 28/04/1995, Rv. 201177; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv.244181).

8.2 Si rileva che i motivi di ricorso che occupano, laddove prospettano una ricostruzione alternativa della dinamica dei fatti che danno origine alle imputazioni elevate a carico dei quattro agenti della Polizia di Stato, sulla scorta di una riconsiderazione del compendio probatorio, risultano inammissibili.

Chiarito, nei superiori termini, l'ambito del presente scrutinio di legittimità, deve pure osservarsi che la Corte di Appello di Bologna ha sviluppato un conferente percorso argomentativo, privo di fratture logiche od incongruenze rilevabili in questa sede, ricostruendo sia la situazione in cui versava specificamente A.F., nelle prime ore del mattino del (OMISSIS), sia le modalità dell'intervento in concreto posto in essere dai quattro agenti; oltre a ciò, come subito si vedrà, il Collegio ha delineato la diversa, e doverosa, condotta che i quattro agenti avrebbero dovuto porre in essere, per fronteggiare il ragazzo che versava in stato di forte agitazione.

La Corte di Appello, soffermandosi in questa sede sui passaggi della motivazione dedicati alla ricostruzione delle condotte oggetto di addebito, ha rilevato:

- che A.F., nel momento in cui "incontrò" la Polizia, all'alba del (OMISSIS), versava in stato di evidente agitazione psicomotoria, dovuta alla pregressa assunzione di sostanze stupefacenti di diversa specie e natura;

- che lo stato di agitazione era tale da risultare certamente riconoscibile da parte degli agenti;

- che i poliziotti, in adempimento dei doveri di istituto, legittimamente avrebbero potuto procedere al fermo ed alla identificazione del giovane, che aveva posto in essere una condotta aggressiva, pure sferrando un calcio "a sforbiciata", peraltro andato a vuoto, all'indirizzo degli agenti;

- che l'azione dei poliziotti, anche secondo le indicazioni rese da una cittadina extracomunitaria, involontaria testimone oculare del fatto, si sviluppò con modalità violente: A.F. venne aggredito fisicamente dai quattro poliziotti, i quali lo percossero ripetutamente con l'uso di manganelli e con calci;

- che una volta schiacciato a terra il ragazzo, i quattro agenti continuarono a infierire sull' A., che si dibatteva:

S. lo colpiva alle gambe con il manganello, P. e F. lo tenevano schiacciato, mentre Po. lo continuava a percuotere;

- che i quattro poliziotti immobilizzarono il ragazzo tenendolo steso a terra supino, lo girarono quindi a forza in posizione prona e lo ammanettarono.

Nel censire le richiamate condotte, la Corte territoriale ha considerato che i quattro imputati ebbero ad ingaggiare, senza alcuna necessità rispetto al perseguimento dei doveri di istituto, una violenta colluttazione con un ragazzo di diciotto anni, che versava in stato di palese alterazione psichica. In particolare, la Corte di Appello ha sottolineato che A. non poteva e non doveva essere affrontato, nel frangente, con le descritte modalità violente; e che sarebbe stato necessario dare corso ad un approccio di tipo medico-psichiatrico e non di tipo poliziesco repressivo.

Si osserva che, in tali termini, risulta già adeguatamente descritta, da parte della Corte territoriale, la condotta alternativa lecita, che l'ordinamento si aspettava dai funzionari della Polizia di Stato, di talchè la dedotta lacuna motivazionale, rispetto alla definizione delle regole di condotta che gli agenti avrebbero dovuto rispettare, risulta insussistente.

La Corte di Appello, peraltro, ha ulteriormente delineato le modalità con le quali si sarebbe dovuto estrinsecare l'approccio contenitivo di stampo medico psichiatrico, richiesto dalla specifica situazione in atto; ed ha pure evidenziato che gli operanti disponevano di un patrimonio di competenze sanitarie di pronto intervento - atteso che la volante (OMISSIS) era dotata di defibrillatore e che il Po. aveva seguito apposto corso di formazione per l'uso del predetto apparato - tale da rendere concretamente esigibile una diversa scelta operativa.

Ebbene, il Collegio ha rilevato che la condotta aggressiva del ragazzo - della quale era espressione il calcio, andato completamente a vuoto, sferrato dall' A. all'indirizzo degli agenti - proprio in considerazione dello stato di alterazione psichica in cui versava il giovane, avrebbe dovuto essere fronteggiata da parte dei poliziotti, se del caso anche con l'impiego dei manganelli, mediante una azione di controllo e di contenimento. I giudici del gravame hanno considerato che, di converso, risultava accertato che i quattro poliziotti avevano impiegato i manganelli per colpire ripetutamente e violentemente il ragazzo, evenienza dimostrata plasticamente dalla rottura di ben due dei richiamati attrezzi, intervenuta nel corso dell'operazione di cui si tratta. Soffermandosi sul grado di difformità tra le modalità della condotta, concretamente posta in essere dagli agenti nel fronteggiare il ragazzo, e la linea comportamentale ritenuta doverosa, il Collegio ha pure sottolineato: che i poliziotti sferrarono numerosi colpi contro l' A., non curanti delle invocazioni di aiuto provenienti dal giovane; che la serie di colpi proseguì anche quando il ragazzo era stato fisicamente sopraffatto e, quindi, reso certamente inoffensivo; che i poliziotti chiamarono il personale del soccorso sanitario solo quando l'epilogo era ormai maturato; che il personale sanitario, una volta sopraggiunto, dovette insistere perchè l' A., ormai esanime, ma ancora compresso a terra con il volto sul selciato, venisse liberato dalle manette e girato sul dorso.

In considerazione del percorso argomentativo sviluppato dalla Corte di Appello, ora richiamato, deve rilevarsi che la doglianza relativa alla mancata descrizione del parametro comportamentale ritenuto doveroso, da parte degli agenti, nel procedere alla immobilizzazione di un soggetto agitato, risulta priva di fondamento: la decisione impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali forniscono una esauriente e persuasiva risposta ai rilievi che erano stati mossi alla sentenza di primo grado.

9. Si vengono ora ad esaminare le questioni dedotte nel secondo motivo del ricorso S., nel secondo motivo del ricorso proposto dall'Avv. T nell'interesse di P., nel quinto e nell'ottavo motivo del ricorso proposto dall'Avv. V nell'interesse del medesimo P. e nel quarto motivo del ricorso Po.. I motivi di doglianza ora richiamati contengono censure che lambiscono il profilo dell'inammissibilità, laddove pretendono di introdurre nel giudizio di legittimità la riconsiderazione critica delle valutazioni effettuate dai giudici di merito rispetto al risultato probatorio emergente dalle deposizioni rese dalle testimoni Ts. e B.. Null'altro che richiamare, al riguardo, le argomentazioni sopra svolte (par. 8.1 e 8.2). Ciò premesso, si osserva che la giurisprudenza di legittimità, nel delineare specificamente il contenuto del vizio di "travisamento della prova", ha chiarito che il predetto vizio ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato probatorio "incontestabilmente diverso" da quello reale; e che la censura afferente al travisamento della prova non introduce nel giudizio di legittimità la reinterpretazione degli elementi valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, giacchè la Corte regolatrice è chiamata a verificare, unicamente, la oggettiva sussistenza degli elementi probatori, di ordine dirimente, valorizzati dal giudice di merito (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 39048 del 25/09/2007, dep. 23/10/2007, Rv. 238215).

In argomento, si è pure sottolineata la delicatezza strutturale del vizio di travisamento della prova, introdotto nel giudizio di legittimità, specialmente in riferimento all'apprezzamento delle prove dichiarative, atteso che l'individuazione del senso probatorio di una dichiarazione, di sue parti o del suo complesso, è operazione di stretto merito, che presuppone la conoscenza degli altri elementi di prova e che discende da una valutazione complessiva di tutte le prove acquisite al processo. La Suprema Corte ha, peraltro, precisato che è tuttavia possibile la "verifica di legittimità" della corrispondenza tra il senso probatorio dedotto dal ricorrente e il contenuto complessivo della dichiarazione, chiarendo che si tratta di una verifica peculiare, aliena da ogni ambito valutativo rispetto al contenuto del mezzo di prova, tanto è vero che, in caso di annullamento con rinvio sul punto, il successivo apprezzamento, da parte del giudice di merito nella fase rescissoria del giudizio, risulta pienamente libero nel contenuto, conformemente all'ambito del giudizio fattuale che caratterizza la valutazione delle prove. Si tratta, cioè, di una valutazione incidentale in cui il giudice di legittimità deve limitarsi a controllare se il senso probatorio della dichiarazione, dedotto dal ricorrente ed articolantesi su affermazioni (o silenzi) specifici del dichiarante, trovi sul piano logico una verosimiglianza non necessitante di alcuna operazione interpretativo valutativa ulteriore. Altrimenti detto, il vizio di travisamento della prova investe la Corte regolatrice del compito di verificare se sussista un apparente astratto contrasto, tra quanto affermato nella sentenza impugnata e quanto risultante, con immediatezza, dall'atto probatorio (cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 18491 del 24/02/2010, dep. 14/05/2010, Rv. 246916).

Tali caratteristiche non si rinvengono nel caso di specie. Invero, la Corte territoriale non ha travisato il senso delle acquisite prove dichiarative nè ha colmato le lacune narrative delle dichiaranti con proprie congetturali supposizioni. Il Collegio, invero, nel confermare il giudizio di piena affidabilità della narrazione già espresso dal Tribunale di Ferrara, ha proceduto in primo luogo al vaglio critico della testimonianza resa dalla cittadina (OMISSIS) Ts., precisando che la donna aveva assistito a "buona parte" della colluttazione oggetto di addebito, ma non "alla sua totalità".

La Corte di Appello, in coerente applicazione dei canoni della logica e delle regole di razionalità che presiedono all'apprezzamento critico delle prove dichiarative, ha esplicitato, in osservanza del disposto di cui all'art. 192 c.p.p., comma 1, le ragioni per le quali la complessiva valutazione del compendio probatorio consentiva di trarre utili elementi per la ricostruzione della dinamica fattuale, dalle dichiarazioni della Ts., benchè la donna non avesse visto l'intero svolgersi dell'azione. Al riguardo, si richiamano i seguenti passaggi motivazionali, espressione del percorso logico argomenativo sviluppato dal Collegio nell'apprezzamento della prova, che risultano immuni dalle dedotte aporie:

- la Corte territoriale ha rilevato che le indicazioni fornite dalla donna sulla posizione delle scarpe indossate da A.F. ("con la punta all'insù"), nella seconda fase della colluttazione, tenuto conto della visuale parziale della scena di cui disponeva la donna, offrivano utili elementi, per stabilire la posizione - supina - del corpo del ragazzo, steso a terra, dopo essere stato afferrato per i capelli da uno degli agenti; oltre a ciò, ha rilevato che le indicazioni rese dalla dichiarante, sul fatto di avere visto le schiene di due agenti che stavano sul corpo del ragazzo steso a terra, consentivano la ricostruzione delle modalità con le quali il soggetto agitato era stato immobilizzato, con due agenti gravanti fisicamente sul tronco del ragazzo schiacciato al suolo;

- il Collegio ha evidenziato che l'azione svoltasi durante i momenti in cui la donna, essendo rientrata in casa, non aveva avuto modo di osservare i colluttanti, era agevolmente ricostruibile sulla base delle indicazioni emergenti dal complessivo quadro probatorio; sul punto, ha la Corte di merito ha rilevato che l'azione di rovesciamento del corpo del ragazzo, da supino (con le scarpe all'insù, nel linguaggio della dichiarante) a prono (stato in cui il ragazzo si trovava al momento dell'arrivo sul posto dei Carabinieri) si era certamente svolta durante i momenti in cui la donna aveva cessato di osservare la scena;

- la Corte di Appello ha conferentemente valorizzato le indicazioni emergenti dal racconto della Ts., anche rispetto ai tempi della reazione posta in essere dai poliziotti, rispetto al calcio sferrato dal ragazzo, evidenziando che la stessa reazione fu immediata e subito violenta, di talchè risultava smentita la tesi difensiva, volta a ritenere che poliziotti avessero invano tentato una mediazione dialogica con il giovane A.;

- la Corte bolognese ha evidenziato che la dichiarante non aveva omesso di riferire dettagli, quali il menzionato calcio a sforbiciata sferrato dall' A., relativi alla condotta aggressiva posta in essere dal ragazzo all'indirizzo dei poliziotti.

Tanto chiarito, deve pure osservarsi, che la Corte di Appello ha proceduto all'esame comparativo delle dichiarazioni rese dalla teste Ts., rispetto al narrato della testimone B.. Sul punto, il Collegio ha considerato che la B. aveva riferito di avere notato che le punte delle scarpe della vittima si trovavano rivolte verso terra; e sulla scorta di tale rilievo, i giudici hanno considerato che la predetta dichiarante aveva osservato la parte della colluttazione in cui A. già si trovava in posizione prona, segmento fattuale dell'azione al quale la testimone Ts., di converso, non aveva assistito. Sulla scorta di tale logico rilievo, di ordine dirimente, il Collegio ha ritenuto insussistente il dedotto contrasto tra le dichiarazioni rese dalle predette testimoni, atteso che le due donne avevano assistito a porzioni diverse, ma complementari, della insistita azione repressiva complessivamente posta in essere dai poliziotti nei confronti di A.F..

In chiusura di disamina dei motivi di doglianza che occupano, deve poi ribadirsi che lo scontro che sarebbe intervenuto tra A. e l'equipaggio (OMISSIS), composto dagli agenti P. e Po., prima della colluttazione involgente i quattro poliziotti oggi imputati, è evenienza fattuale estranea ai tema d'accusa. Conseguentemente, sfugge la rilevanza di ogni doglianza che impinge specificamente le parti della motivazione della sentenza impugnata riguardanti il predetto episodio, atteso che si tratta di passaggi descrittivi di un mero antefatto, rispetto alla condotta oggetto di addebito e, quindi, non incidenti sul tema della affermazione della responsabilità degli odierni imputati. Si osserva, conclusivamente, che la medesima Corte territoriale ha del tutto conferentemente rilevato che la prima colluttazione era estranea ai termini dell'imputazione; ed ha considerato che la analitica ricostruzione del relativo segmento fattuale non risultava necessaria, rispetto allo scrutinio dei punti della decisione ai quali si riferivano i motivi di doglianza dedotti dagli appellanti.

10. Ci si sofferma ora sul tema dell'accertamento del fattore causale che determinò la morte del giovane A. e sulla qualificazione di tale evento come conseguenza della condotta posta in essere dagli imputati, questioni dedotte dalla ricorrente S., con il terzo, il quarto e l'ottavo motivo; dall'avv. V, con le doglianze articolate nei primi quattro motivi del proprio ricorso; e dal ricorrente Po., con il secondo, il terzo ed il quinto motivo.

10.1 I giudici di primo e secondo grado hanno effettuato conformi valutazioni, in ordine alla individuazione della causa della morte di A.F. e con riguardo alla riferibilità materiale dell'evento letale rispetto alla condotta posta in essere dagli odierni imputati.

Le doglianze dedotte dalle difese riguardano, in particolare e con particolare veemenza, le modalità con le quali i saperi extragiuridici hanno fatto ingresso nel presente procedimento, atteso che i giudici di merito hanno individuato la causa della morte di A.F., basandosi sulle valutazioni espresse da un consulente nominato dalla parte civile.

Si tratta di rilievi senza pregio.

Come noto, la Sezioni Unite di questa Suprema Corte (Cass. Sez. U, sentenza n. 30328, in data 10.07.2002, dep. 11.9.2002, Rv. 222138), hanno da tempo fugato le incertezze in ordine alla utilizzabiiità di generalizzazioni probabilistiche nell'ambito del ragionamento causale. La Corte regolatrice ha considerato utopistico un modello di indagine fondato solo su strumenti di tipo deterministico e nomologico-deduttivo, cioè affidato esclusivamente alla forza esplicativa di leggi universali. Ed invero, nell'ambito dei ragionamenti esplicativi si formulano giudizi sulla base di generalizzazioni causali, congiunte con l'analisi di contingenze fattuali.

In conformità all'insegnamento delle Sezioni Unite, la giurisprudenza di legittimità ha, quindi, enunciato il carattere condizionalistico della causalità, osservando che il giudizio di certezza, sulla riferibilità materiale dell'evento alla condotta posta in essere dall'agente, presenta i connotati del paradigma indiziario, si fonda - anche - sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico, da effettuarsi ex post sulla base di tutte le emergenze disponibili e culmina nel giudizio di elevata "probabilità logica". La Suprema Corte ha, in particolare, evidenziato che, ai fini dell'imputazione causale dell'evento, il giudice di merito deve formulare giudizi sulla scorta di generalizzazioni causali, congiunte con l'analisi delle contingenze fattuali proprie della fattispecie concreta (cfr. Cass. Sez. 4 sentenza n. 43786 del 17.9.2010, dep. 13.12.2010, Rv. 248943).

Con riferimento all'ambito della scrutinio di legittimità, rientrante nei limiti della cognizione dettati dall'art. 609, cod. proc. pen., si è poi chiarito che alla Corte regolatrice è rimessa la verifica sulla ragionevolezza delle conclusioni alle quali è giunto il giudice di merito, il quale ha il governo degli apporti scientifici forniti dagli specialisti. Questa Suprema Corte ha in particolare evidenziato, sul piano metodologico, che qualsiasi lettura della rilevanza dei saperi di scienze diverse da quella giuridica, utilizzabili nel processo penale, non può avere l'esito di accreditare resistenza, nella regolazione processuale vigente, di un sistema di prova legale, che limiti la libera formazione del convincimento del giudice; che il ricorso a competenze specialistiche con l'obiettivo di integrare i saperi del giudice, rispetto a fatti che impongono metodologie di individuazione, qualificazione e ricognizione eccedenti i saperi dell'uomo comune, si sviluppa mediante una procedimentalizzazione di atti (conferimento dell'incarico a periti e consulenti, formulazione dei relativi quesiti, escussione degli esperti in dibattimento) ad impulso del giudice e a formazione progressiva; e che la valutazione di legittimità, sulla soluzione degli interrogativi causali imposti dalla concretezza del caso giudicato, riguarda la correttezza e conformità alle regole della logica dimostrativa dell'opinione espressa dal giudice di merito, quale approdo della sintesi critica del giudizio (Cass. Sez. 4, sentenza n. 80 dei 17.01.2012, dep. 25.05.2012, n.m.).

Chiarito che il sapere scientifico costituisce un indispensabile strumento, posto al servizio del giudice di merito, deve rilevarsi che, non di rado, la soluzione del caso posto all'attenzione del giudicante, nei processi ove assume rilievo l'impiego della prova scientifica, viene a dipendere dall'affidabilità delle informazioni che, attraverso l'indagine di periti e consulenti, penetrano nel processo. Si tratta di questione di centrale rilevanza nell'indagine fattuale, giacchè costituisce parte integrante del giudizio critico che il giudice di merito è chiamato ad esprimere sulle valutazioni di ordine extragiuridico compiute nel processo. Il giudice deve, pertanto, dar conto del controllo esercitato sull'affidabilità delle basi scientifiche del proprio ragionamento, soppesando l'imparzialità e l'autorevolezza scientifica dell'esperto che trasferisce nel processo conoscenze tecniche e saperi esperienziali.

E, come sopra chiarito, il controllo che la Corte Suprema è chiamata ad esercitare attiene alla razionalità delle valutazioni che a tale riguardo il giudice di merito ha espresso nella sentenza impugnata.

Del resto questa Corte Suprema ha recentemente ribadito il principio in base al quale il giudice di legittimità non è giudice del sapere scientifico e non detiene proprie conoscenze privilegiate; esso è chiamato a valutare la correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni che utilizza ai fini della spiegazione del fatto (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 43786 del 17/09/2010, dep. 13/12/2010, Rv. 248944; Cass. Sez. 4, sentenza n. 42128 del 30.09.2008, dep. 12.11.2008, n.m.).

10.2 Tanto premesso, si osserva che la censura che le difese muovono alla sentenza d'appello è quella, in sintesi estrema, di aver privilegiato la tesi sostenuta dal consulente della parte civile, prof. T., trascurando di spiegare le ragioni di tale scelta e di analizzare la tesi contrapposta, in base alla quale la causa della morte del ragazzo sarebbe da individuare nella excited delirium sindrome. Il rilievo non può essere condiviso, atteso che la Corte di Appello di Bologna, nel confermare sul punto le valutazioni espresse dal Tribunale di Ferrara, ha svolto correttamente il ruolo che il diritto vivente, come sopra evidenziato, assegna al giudice di merito, il quale nel procedere all'accertamento del fatto si avvalga di saperi extragiuridici. Il Collegio, infatti, ha sottoposto a vaglio critico sia la posizione del consulente T. nello specifico contesto processuale, sia il contenuto e la plausibilità scientifica della tesi sostenuta dal medesimo consulente.

Con riguardo alla imparzialità del menzionato esperto, la Corte di Appello ha evidenziato che a seguito della revoca della costituzione delle parti civili, che avevano in precedenza officiato il prof. T. quale consulente, il menzionato cattedratico, nella successiva fase processuale aveva recuperato una veste di terzietà.

Il Collegio ha, inoltre, sottolineato che anche altri consulenti avevano indicato il prof. T. quale massimo esperto di morti improvvise cardiache.

Tanto rilevato, la Corte territoriale ha considerato, con specifico riferimento ai canoni epistemologici relativi all'indagine svolta dal consulente T., che l'osservazione della fotografia del muscolo cardiaco dell' A., scattata nel corso dell'accertamento autoptico, aveva consentito all'esperto di apprezzare chiaramente le caratteristiche morfologiche dell'organo e di individuare la presenza di due ematomi, nel ventricolo sinistro, corrispondenti specularmente alla parete anteriore l'uno ed alla parete posteriore l'altro. Sul punto, il Collegio ha sottolineto che i consulenti che avevano proceduto alla effettuazione dell'autopsia avevano descritto le predette macchie - identificate da T. come ematomi - come generiche "discromie"; ed ha rilevato, nell'escludere l'incompatibilità logica del rilievo espresso dal consulente della parte civile, rispetto alle valutazioni effettuate dai periti settori, che gli stessi consulenti avevano peraltro qualificato come "discromie" anche altri ematomi, presenti sul corpo dell' A..

In ordine alla dignità scientifica della tesi sostenuta dal consulente T., la Corte di Appello ha osservato che la lacerazione dei vasi intramiocardici ed i conseguenti ematomi delle pareti ventricolari, trovavano in effetti logica corrispondenza nelle manovre pressorie esercitate sul tronco del ragazzo, nel corso della attività di immobilizzazione a terra del giovane, realizzata dai poliziotti; ciò in quanto dette manovre avevano fatto sì che il cuore venisse schiacciato tra le strutture osteo-carttlaginee della colonna vertebrale e dello sterno, provocando l'infiltrazione emorragica del fascio di His, con le descritte modalità e con esiti letali, pur in assenza di lesioni apprezzabili alle pareti esterne del muscolo cardiaco, nella zona corrispondente del derma o di fratture costali. In margine alle effettuate considerazioni, la Corte di Appello ha rilevato, poi, che la formazione degli ematomi cardiaci era stata favorita: dalla ipossia posizionale conseguente alla azione di immobilizzazione del ragazzo; e dagli elevati valori di pressione arteriosa presenti all'interno del ventricolo sinistro, generati dallo sforzo fisico sostenuto dall' A. durante la prolungata colluttazione con gli agenti. La Corte di Appello ha considerato che la tesi sostenuta dal T. si fondava, anche, sull'osservazione scientifica dei reperti istologici (i xd. vetrini) acquisiti nel corso dell'autopsia, stante l'assenza di "bande di contrazione", le quali sarebbero un segno indefettibile di una morte intervenuta per cause diverse da quella sostenuta. La Corte distrettuale ha riferito che, nel caso di specie, si era accertata la presenza unicamente di ondulazioni delle fibre delle cellule miocardiche, conseguenti alla bassa gittata cardiaca, che aveva creato danni ischemia nel miocardio.

La Corte territoriale ha, inoltre, rilevato che il riscontro effettuato dagli operatori del 118, sopraggiunti sul posto, in ordine alla assenza di residua attività elettrica del cuore del ragazzo, rafforzava ulteriormente la tesi sostenuta dal consulente T., che aveva selezionato la causa di morte del giovane nell'asistolia da blocco atrio-ventricolare conseguente alla infiltrazione emorragica del fascio di His.

In tali termini, il problema relativo alla individuazione della causa della morte di A.F. è stato risolto dai giudici di merito secondo un percorso argomentativo che non presenta le dedotte aporie, che trova supporto nella riferita tesi scientifica sostenuta da un esperto di morti cardiache improvvise e che appare logicamente conferente, in chiave induttiva, rispetto alle accertate emergenze fattuali.

Deve osservarsi che la Corte di Appello ha pure confutato la tesi alternativa sostenuta dalla difesa, in base alla quale la morte del ragazzo sarebbe stata da ascrivere alla excited delirium sindrome. In riferimento a tale specifico aspetto, occorre considerare che non è possibile ritenere che l'utilizzazione di una legge scientifica imponga che essa abbia riconoscimento unanime. Al riguardo le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno già avuto modo di affermare, condivisibilmente, che le acquisizioni scientifiche cui è possibile attingere nel giudizio penale sono quelle "più generalmente accolte, più condivise", non potendosi pretendere l'unanimità alla luce della ormai diffusa consapevolezza della relatività e mutabilità del sapere scientifico (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9163 del 25/01/2005, dep. 08/03/2005, Rv. 230317). Peraltro, anche sotto tale aspetto, la Corte territoriale si è fatta carico di evidenziare che la tesi della morte per excited delirium sindrome risultava smentita sulla base delle informazioni scientifiche acquisite al procedimento, all'esito del confronto dialettico tra i consulenti R. e T., svoltosi nel contraddittorio delle parti, avanti alla stessa Corte di Appello, in sede di (parziale) rinnovo della istruzione dibattimentale. Sul punto, il Collegio ha evidenziato, secondo un percorso argomentativo immune da censure rilevabili in questa sede, che R. aveva affermato circostanze prive di supporto probatorio e smentite dalla documentazione allegata del medesimo consulente.

Si osserva che la Corte di merito ha, altresì, sottolineato che priva di ogni fondamento scientifico, alla luce delle analisi tossicologiche, risultava l'ipotesi in base alla quale la morte del ragazzo fosse da ascrivere alla intervenuta assunzione di sostanze stupefacenti.

Ciò premesso, i giudici di merito hanno specificamente analizzato il tema della riferibilità causale dell'evento letale, come in concreto verificatosi, alla condotta posta in essere dagli agenti, argomento logicamente successivo a quello dell'accertamento della causa di morte, ora esaminato.

La Corte di Appello ha chiarito che la morte di A. F., in concreto determinatasi, era materialmente riferibile alla condotta posta in essere dagli agenti di polizia, i quali avevano ingaggiato con il ragazzo una violenta colluttazione, conclusasi con la fisica sopraffazione del giovane schiacciato a terra, in posizione prona, con le manette strette ai polsi dietro la schiena. I giudici del merito hanno, in particolare, osservato che i richiamati ematomi cardiaci, uno dei quali aveva interessato il fascio di His, erano conseguenza del trauma toracico chiuso, provocato dalle manovre di immobilizzazione del ragazzo, costretto a terra, con le riferite modalità: ciò in quanto, come sopra già evidenziato, la pressione esercitata sul tronco del giovane aveva fatto si che il cuore venisse schiacciato tra le strutture osteo- cartilaginee della colonna vertebrale e dello sterno, determinando l'infiltrazione emorragica del fascio di His e la cessazione della conduzione dello stimolo elettrico dagli atri ai ventricoli.

Preme, infine, osservare che la Corte di Appello ha pure correttamente osservato che anche lo stato ipossico in cui versava il giovane era comunque riferibile alla condotta realizzata dagli agenti, i quali avevano tenuto schiacciato il corpo del ragazzo contro il terreno, con manovre idonee ad innescare una asfissia posizionale.

In conclusione, deve evidenziarsi che la Corte di Appello, sviluppando un percorso critico del compendio probatorio conferente rispetto ai canoni della logica dimostrativa che presiedono all'apprezzamento degli elementi costitutivi del fatto e dando adeguatamente conto del controllo esercitato sull'affidabilità delle basi scientifiche del proprio ragionamento, ha escluso che la morte del ragazzo fosse ascrivibile alla sindrome da delirio eccitato od alla assunzione di sostanze stupefacenti; ha, quindi, rilevato che l'improvvisa morte del ragazzo era stata provocata dalle conseguenze sulla conducibilità dello stimolo elettrico, discendenti dall'intervenuto schiacciamento del muscolo cardiaco; ed ha chiarito che detto meccanismo letifero era da annettersi quale conseguenza della pressione esercitata sul corpo del ragazzo, nel corso delle operazioni di immobilizzazione. Oltre a ciò, il Collegio ha osservato che fattore concausale poteva pure rinvenirsi nella asfissia posizionale; e che, parimenti, detta evenienza era riferibile materialmente alla descritta condotta realizzata dagli agenti, nel corso della violenta colluttazione ingaggiata con il giovane.

11. Si procede all'esame del terzo motivo del ricorso F., congiuntamente al quinto ed al sesto motivo del ricorso S.. Le parti denunciano il vizio motivazionale e l'erronea applicazione della legge, con riguardo agli artt. 52 e 113 cod. pen.; si dolgono del mancato accertamento, da parte dei giudici di merito, della condotta specificamente posta in essere nel frangente da ciascuno dei deducenti. La ricorrente S., in particolare, ha osservato di essersi limitata ad immobilizzare le gambe del ragazzo; ed ha rilevato che tale condotta è priva di alcuna incidenza causale rispetto all'evento morte, che si assume determinato dalla pressione esercitata sulla gabbia toracica del giovane.

11.1 Come sopra si è rilevato (par. 8.2), la Corte di Appello di Bologna ha delineato le modalità dell'intervento in concreto posto in essere congiuntamente dai quattro agenti; ed ha pure esplicitato la diversa, e doverosa, condotta che i prevenuti avrebbero dovuto porre in essere, per fronteggiare un ragazzo che versava in stato di forte agitazione psicomotoria. Il descritto apparato motivazionale risulta pienamente conferente, rispetto alla fattispecie plurisoggettiva della cooperazione nel delitto colposo, come delineata dal diritto vivente.

11.1.1 Occorre subito rilevare che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la cooperazione nel delitto colposo richiede esclusivamente la reciproca consapevolezza, da parte dei concorrenti, di contribuire con l'azione o omissione altrui alla produzione dell'evento non voluto, senza che, ai fini della sua configurabilità, rilevi l'eventuale incertezza sull'attribuibilità delle singole condotte a ciascuno dei cooperanti (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 5111 del 07/11/2007, dep. 01/02/2008, Rv. 238741). E si è pure chiarito che la cooperazione nel delitto colposo si caratterizza per un legame psicologico tra le condotte dei concorrenti, nel senso che ciascuno dei compartecipi deve essere consapevole della convergenza della propria condotta con quella altrui, senza che tale consapevolezza investa l'evento richiesto per l'esistenza del reato: e che proprio questo legame consente di distinguere la cooperazione ex art. 113 cod. pen. dal concorso di cause colpose indipendenti, ipotesi nella quale più soggetti contribuiscono colposamente a cagionare l'evento, senza tuttavia fa consapevolezza di contribuire alla condotta altrui (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 45069 del 30/03/2004, dep. 22/11/2004, Rv. 230280).

11.1.2. Applicando tali principi al caso di specie, si rileva che la struttura argomentativa della sentenza impugnata risulta corretta ed aderente ai termini delle contestazioni elevate agli odierni imputati, concernenti sia l'art. 55 cod. pen., sia l'art. 113 cod. pen., disposizione che assolve, in particolare, un ruolo estensivo dell'incriminazione nell'ambito delle situazioni di cooperazione colposa, rispetto al modello di imputazione monosoggettiva.

Quanto alla invocata applicazione della scriminante della legittima difesa, ex art. 52 cod. pen., deve considerarsi che la pronunzia impugnata, come sopra già si è evidenziato, anche sulla base delle dichiarazioni rese da involontari testimoni oculari dell'evento, chiarisce che la condotta posta in essere dagli agenti fu sproporzionatamente violenta e repressiva, laddove lo stato di agitazione in cui versava il ragazzo avrebbe imposto un intervento di tipo dialogico e contenitivo. Il Collegio ha, infatti, sottolineato che i poliziotti sferrarono numerosi colpi contro l' A., non curanti delle invocazioni di aiuto provenienti dal giovane; che la serie di colpi proseguì anche quando il ragazzo era stato fisicamente sopraffatto e, quindi, reso certamente inoffensivo, con le seguenti modalità: S. lo colpiva alle gambe con il manganello, P. e F. lo tenevano schiacciato a terra, mentre Po. lo continuava a percuotere. In tale contesto, come correttamente ritenuto dai giudici di merito, il prudente governo della forza, rispetto all'azione congiunta di ben quattro agenti armati di manganelli, avrebbe imposto di evitare condotte estreme - e del tutto inutili rispetto al dichiarato fine di bloccare il ragazzo - come quella di tenere schiacciato l' A. al suolo, comprimendolo fisicamente all'altezza del tronco, anche dopo averlo ammanettato con i polsi dietro la schiena.

Le condotte poste In essere dagli agenti di polizia, come accertate dai giudici di merito, in riferimento alla specifica situazione in cui versava A.F. nel momento in cui incontrò i quattro pubblici funzionati all'alba del (OMISSIS), evidenziano allora che gli agenti non agirono affatto perchè costretti dalla necessità di difendere un proprio diritto;

diversamente, F., S., P. e Po. posero in essere una violenta azione repressiva nei confronti di un ragazzo che si trovava da solo, in stato di visibile alterazione psicofisica, errando gravemente nella valutazione dei limiti fattuali della scriminante discendente dall'adempimento dei doveri di istituto e con riferimento alla misura della violenza contro la persona ed all'impiego dei mezzi di coazione fisica, consentiti dall'ordinamento per vincere una resistenza all'Autorità o impedire la consumazione di gravi reati. In tali termini, la Corte di Appello di Bologna ha individuato il profilo di colpa ascrivibile ai prevenuti, ex art. 55 cod. pen., che riguarda la gestione mal ponderata dei poteri conferiti agli agenti di polizia in adempimento dei doversi di istituto.

11.2 Chiarito che agii imputati si rimprovera di aver colposamente ecceduto dai limiti stabiliti dalla legge nell'esercizio del dovere e nell'uso legittimo delle armi, è dato procedere oltre nell'esame della fattispecie della cooperazione colposa ex art. 113 cod. pen., con riferimento al reato di evento a forma libera, di cui all'art. 589 cod. pen., che viene in rilievo nel caso di specie.

Come sopra si è ricordato, questa Corte regolatrice ha rilevato che la disciplina della cooperazione colposa esercita una funzione estensiva dell'incriminazione rispetto all'ambito segnato dal concorso di cause colpose indipendenti, poichè determina la penale rilevanza anche di condotte atipiche, agevolatrici, incomplete, di semplice partecipazione, che per assumere concludente significato hanno bisogno di coniugarsi con le altre condotte, realizzate dai concorrenti. La giurisprudenza di legittimità, in particolare, ha chiarito: che il codificatore, introducendo la disciplina di cui all'art. 113 cod. pen., volle esplicitare la possibilità di configurare fattispecie di concorso di persone anche nell'ambito dei reati colposi; che tale indirizzo interpretativo trova conforto nella disciplina di cui all'art. 113 c.p., comma 2, e art. 114 cod. pen., ove si prevede, nell'ambito delle fattispecie di cooperazione, l'aggravamento della pena per il soggetto che abbia assunto un ruolo preponderante e, simmetricamente, la diminuzione della pena per l'agente che abbia apportato un contributo di minima importanza; e che tale ultima contingenza, evocando appunto condotte di modesta significatività, sembra attagliarsi perfettamente al caso di condotte prive di autonomia sul piano della tipicità colposa e quindi non autosufficienti ai fini della fondazione della responsabilità colpevole (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 1786 del 02/12/2008, dep. 16/01/2009, Rv. 242566).

Nel riconoscere il ruolo estensivo dell'incriminazione svolto dall'art. 113 cod. pen., la Suprema Corte ha sottolineato che, in forza della citata disposizione, è dato assegnare rilevanza penale a condotte che, sebbene prive di intrinseca compiutezza, di fisionomia definita nell'ottica della tipicità colposa se isolatamente considerate, si integrano con altre dando luogo alla fattispecie della cooperazione nel delitto colposo; e che proprio a tale ambito fattuale si riferisce l'art. 113 cod. pen., la cui rubrica evoca il concetto di cooperazione colposa distinto da quello di concorso doloso. L'elemento di coesione, come si è visto, che fa da collante tra le diverse condotte, determinando l'operatività della fattispecie della cooperazione ex art. 113 cod. pen., viene poi rivenuto nel fattore di tipo psicologico dato dalla reciproca consapevolezza di cooperare con altri (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 45069 del 30/03/2004, dep. 22/11/2004, cit).

11.3 Deve osservarsi, a questo punto della trattazione, che la giurisprudenza di legittimità ha pure offerto indicazioni in ordine al contenuto del richiamato fattore psicologico di coesione delle distinte condotte, con specifico riferimento alle situazioni nelle quali i compartecipi agiscono simultaneamente e secondo uno specifico modulo organizzativo, quale il caso dell'intervento effettuato contemporaneamente da diversi agenti di Polizia, nei riguardi di un medesimo soggetto. La Corte regolatrice ha osservato che nelle fattispecie ove il coinvolgimento integrato di più soggetti è imposto dalla legge, da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o "almeno sia contingenza oggettivamente definita senza incertezze e pienamente condivisa sul piano della consapevolezza", l'intreccio cooperativo, il comune coinvolgimento nella gestione del rischio da parte dei diversi soggetti agenti, giustifica la penale rilevanza di condotte che "sebbene atipiche, incomplete, di semplice partecipazione, si coniugano, si compenetrano con altre condotte tipiche". In tali situazioni, invero, ciascun agente opera tenendo conto del ruolo e della condotta altrui, di talchè si realizza un legame ed un'integrazione tra le condotte che impone a ciascun agente di rapportarsi, preoccupandosene, pure alla condotta degli altri soggetti coinvolti nel contesto fenomenologico. La Suprema Corte ha, quindi, evidenziato che proprio le descritte modalità della interazione colposa giustificano il coinvolgimento anche di soggetti che hanno realizzato una condotta meno significante, se osservata singolarmente (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 1786 del 02/12/2008, cit.).

Alla luce di tali principi, la pronunzia di merito non appare censurabile per ciò che attiene all'applicazione dell'art. 113 cod. pen..

Si è visto che la Corte di Appello di Bologna ha qualificato come gravemente impropria la scelta effettuata dagli agenti di porre in essere una violenta azione repressiva, anzichè una azione dialogica di natura medico-psichiatrica, per contenere il giovane A., che versava in palese stato di agitazione. Come si è già evidenziato, le condotte specificamente incaute e drammaticamente lesive sono state individuate, da un lato nella serie di colpi sferrati contro il giovane, dall'altro nelle modalità di immobilizzazione del ragazzo, accompagnate dalla incongrua protratta pressione esercitata sul tronco dell' A.. Tali condotte sono espressione del richiamato approccio complessivamente gravemente incauto che ha caratterizzato tutta l'azione posta in essere congiuntamente dai quattro agenti. Nell'ambito del richiamato contesto fenomenologico, la convergente attività degli operanti giustifica il coinvolgimento, nella sfera di responsabilità ex art. 113 cod. pen., di tutti gli odierni imputati, secondo i richiamati principi in tema di colpa di compartecipazione. La consapevolezza di agire in cooperazione imponeva, cioè, a ciascuno degli agenti non solo di operare individualmente in modo appropriato ma anche di interrogarsi sull'azione dei colleghi, se del caso agendo per regolarla, moderandola. Detta azione di reciproca vigilanza è mancata in tutti gli agenti e per tutti, dunque, si configura la colpa concorsuale che, per quanto detto, abbraccia sia la condotta - causalmente efficiente, rispetto al decesso, come sopra considerato - di coloro che fisicamente ebbero a comprimere il corpo del ragazzo, schiacciandolo a terra, ammanettato con i polsi dietro la schiena, sia l'azione "agevolatrice" di chi, in tale frangente, senza manifestare alcun segno di dissenso rispetto all'azione altrui, continuò a percuotere il giovane, in diverse parti del corpo, non curante delle richieste di aiuto del ragazzo. Le considerazioni svolte non consentono, pertanto, di distinguere neppure la posizione dell'agente S., rispetto agli altri compartecipi, atteso che la prevenuta, secondo quanto insindacabilmente ritenuto in punto di fatto dai giudici di merito, percuoteva le gambe dell' A., mentre gli altri colleghi tenevano schiacciato il ragazzo contro il terreno; e tale azione, per il fattore psichico di connessione ora richiamato, si fonde con la complessiva condotta illecita posta in essere dagli agenti - che costituisce il fattore di innesco della sequenza causale che ebbe a determinare la morte del giovane, come sopra si è evidenziato - condotta proseguita, senza dissenso da parte di alcuno, sino all'arrivo dei Carabinieri e del personale di soccorso.

12. Si procede all'esame del sesto e del settimo motivo del ricorso dell'Avv. V, congiuntamente al sesto motivo del ricorso proposto nell'interesse di Po..

Con riguardo alla individuazione, effettuata dalla Corte di Appello, della condotta alternativa lecita, che gli agenti avrebbero dovuto porre in essere procedendo al controllo di Al.Fe., null'altro che richiamare le considerazioni sopra svolte, nel paragrafo 11.1, ove si è evidenziato che il Collegio ha adeguatamente delineato i termini del comportamento alternativo che l'ordinamento, nel frangente, richiedeva agli odierni imputati. Con specifico riferimento alla ricostruzione della dinamica del fatto, deve poi osservarsi che i giudici di merito hanno chiarito, con argomentazione dei tutto conferente, di non assegnare valore probatorio al contenuto delle relazioni di servizio redatte dagli odierni imputati, per le ragioni che si sono già esplicitate al par. 6; ed hanno considerato, altresì, che i primi atti di indagine, consegnati all'organo inquirente, erano volti ad escludere ogni possibile elemento di reità a carico dei prevenuti, rispetto alla morte del ragazzo. Pertanto, la doglianza afferente al travisamento delle risultanze processuali, con riguardo alla ricostruzione della dinamica del fatto ed alle modalità con le quali venne richiesto l'intervento del personale sanitario, che le difese argomentano proprio sulla base del contenuto delle relazioni di servizio redatte dagli imputati, risulta meramente congetturale. Conclusivamente sul punto, deve pure considerarsi che la Corte di Appello, con insindacabile apprezzamento di fatto, ha chiarito che l'edema cerebrale era stato provocato dalla ferita alla testa, riportata dal giovane durante la colluttazione con gli agenti.

12.1 In riferimento alla prevedibilità dell'evento letale, quale conseguenza della condotta negligente posta in essere dai prevenuti, deve poi rilevarsi che i giudici di merito hanno legittimamente considerato, secondo una valutazione ex ante, le circostanze che risultavano note agli agenti, nel momento di realizzazione della condotta criminosa. Sul punto, la Corte di Appello di Bologna ha osservato: che i quattro agenti, dotati di esperienza, secondo un apprezzamento di fatto non sindacabile in questa sede, erano al corrente dei rischi per la salute derivanti dall'esercizio di una notevole, continuata e intensa forza sulla persona immobilizzata a terra, prima supina e poi prona, preventivamente ripetutamente percossa, quanto meno in riferimento ad una asfissia da restrizione; e che non è necessario, per la formulazione del giudizio di rimproverabilita colposa, che l'agente conosca dettagliatamente i meccanismi scientifici in ragione dei quali si produce in concreto l'evento dannoso, derivante dalla violazione della regola cautelare.

Si osserva che la Suprema Corte ha da tempo chiarito che in tema di reati colposi, ai fini del giudizio di prevedibilità dell'evento, deve aversi riguardo alla idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno, non anche alla specifica rappresentazione in capo all'agente, dell'evento dannoso concretamente realizzatosi (cfr. Cass. Sez. 4. sentenza n. 21513 del 25.02.20097 dep. 22.05.2009, Rv 243983).

13. Si procede, ora, all'esame delle doglianze riguardanti la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., questioni affidate al settimo motivo del ricorso S. ed al primo motivo del ricorso Po..

Trattasi di censure prive di fondamento.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno da tempo chiarito quali sono le condizioni che determinano il mutamento del fatto e quindi la violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza. Al riguardo, si è osservato che per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, tale da realizzare una incertezza sull'oggetto della imputazione da cui scaturisce un reale pregiudizio dei diritti della difesa. E si è pure chiarito che l'indagine volta ad accertare l'eventuale sussistenza della violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza, giacchè, vertendosi in materia di garanzie della difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 16 del 19/06/1996, dep. 22/10/1996, Rv. 205619). Nell'alveo dell'orientamento ora richiamato, la giurisprudenza di legittimità si è quindi consolidata nell'escludere la violazione della norma di cui all'art. 521 cod. proc. pen., ogni qual volta il fatto materiale, contestato all'imputato, sia rimasto immutato per l'intera durata del processo (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 27686 del 13/05/2010, dep. 16/07/2010, Rv.247924).

In applicazione dei richiamati principi, del tutto correttamente la Corte di Appello di Bologna ha escluso la ricorrenza del denunziato difetto di correlazione tra imputazione contestata e sentenza. Deve osservarsi che l'individuazione dello specifico meccanismo letifero che ebbe a determinare la morte di A.F. - avvenuta in corso di giudizio - non ha comportato alcuna modifica degli elementi del fatto contestato agli odierni imputati, atteso che l'accertamento della intervenuta infiltrazione emorragica del fascio di His, quale conseguenza dello schiacciamento del muscolo cardiaco tra le strutture osteo-cartilaginee della colonna vertebrale e dello sterno, non è altro che la specificazione del meccanismo causale innescato dalla condotta violenta posta in essere dagli agenti, come descritto nel capo di capo di imputazione. Ed invero, i termini fattuali della contestazione riguardano proprio l'esercizio di manovre pressorie sul corpo del ragazzo, che risultano specificamente descritte in riferimento al forzato mantenimento del giovane, ormai agonizzante, in posizione prona, con modalità tali da determinare una letale asfissia posizionale. Pertanto, nel presente procedimento non si è realizzata alcuna incertezza sull'oggetto della imputazione. E deve pure considerarsi che l'intervenuta escussione, nel contraddicono delle parti, dei diversi consulenti, in ordine al richiamato meccanismo letifero, anche nel corso del giudizio di appello a seguito del rinnovo dell'istruzione dibattimentale, è evenienza che ha garantito agli imputati il pieno ed effettivo esercizio del diritto di difesa, rispetto al fatto oggetto di addebito.

14. Si vengono ad esaminare le questioni afferenti al diniego delle attenuanti generiche ed alla dosimetria della pena, dedotte con il quarto motivo del ricorso F., con il nono motivo del ricorso S., con specifici motivi articolati dall'Avv. Trombini nel ricorso proposto nell'interesse di P., con il decimo motivo del ricorso dell'Avv. Vecchi parimenti spiegato nell'interesse di P. e con il settimo motivo del ricorso Po..

Si osserva che la decisione impugnata risulta sorretta da conferente apparato argomentativo, che soddisfa appieno l'obbligo motivazionale, anche per quanto concerne la dosimetria della pena. E' appena il caso di considerare che in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Suprema Corte non solo ammette la ed. motivazione implicita (Cass. Sez. 6, sentenza n. 36382, del 4.07.2003, dep. 22.09.2003, dep. Rv. 227142) o con formule sintetiche quali "si ritiene congrua" (vedi Cass. Sez. 6, sentenza n. 9120 del 2.07.1988, dep. 4.08.1998, Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni giudiziali rese in applicazione dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen., sono censurabìli in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass. Sez. 3, sentenza n. 26908 del 22.04.2004, dep. 16.06.2004, Rv. 229298). Si tratta di evenienza che certamente non sussiste nel caso di specie.

La Corte territoriale ha, infatti, chiarito di condividere le considerazioni espresse sul punto dal primo giudice, il quale già aveva evidenziato che il dato relativo alla incensuratezza, trattandosi di agenti della Polizia di Stato, si qualificava come condizione dovuta e che la condotta posta in essere dagli imputati esprimeva un grado di colpa particolarmente rilevante. Oltre a ciò, il Collegio ha considerato, procedendo ad un apprezzamento di fatto non censurabile in questa sede, che il comportamento processuale dei prevenuti era risultato decisivo rispetto al diniego delle attenuanti generiche, atteso che gli odierni imputati, autori dell'operazione di fermo e controllo dell' A., avevano distorto dati rilevanti, per il seguente sviluppo delle indagini, sin dalle prime ore successive all'uccisione del ragazzo.

Sui punto, deve, infine, sottolinearsi che i giudici del merito hanno evidenziato - sviluppando un percorso argomentativo che si colloca nell'alveo dell'orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, che viene consolidandosi - che gli odierni imputati avevano anche omesso di fornire un contributo di verità al processo, da reputarsi doveroso per dei pubblici ufficiali, a fronte delle manipolazioni delle risultanze investigative pure realizzate dai funzionari responsabili della Questura di Ferrara: ed invero, la Corte regolatrice ha ripetutamente affermato che il diritto del pubblico ufficiale di non esporre circostanze autoincriminanti deve qualificarsi come recessivo, in riferimento agli atti di polizia giudiziaria, la cui rilevanza documentale non può essere sacrificata all'interesse difensivo del singolo verbalizzante (da ultimo, vedi:Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8579 del 30/11/2011, dep. 05/03/2012, Rv.

251945).

15. Al rigetto dei ricorsi, che si impone, segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del processuali.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2012