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Violenza sessuale non richiede finalità erotiche (Cass. 35188/19)

1 agosto 2019, Cassazione penale

Al fine della configurabilità del delitto di violenza sessuale, ciò che rileva non è la finalità soggettiva dell'autore del reato, bensì la volontarietà dell'offesa al bene dell'integrità sessuale della persona offesa:  aver invaso la sfera sessuale della vittima per rabbia o scherno  non esclude il reato. 

L'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale è  integrato dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente, cosicché non è necessario che detto atto sia diretto al soddisfacimento dei desideri dell'agente né rilevano possibili fini ulteriori - di concupiscenza, di gioco, di mera violenza fisica o di umiliazione morale - dal medesimo perseguiti

 

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 aprile – 1 agosto 2019, n. 35188

Presidente Izzo – Relatore Liberati

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 16 luglio 2018 la Corte d'appello di Firenze ha respinto l'impugnazione dell'imputato e quella incidentale del pubblico ministero nei confronti della sentenza del 10 novembre 2010 del Tribunale di Lucca, con cui Se. Ra. era stato dichiarato responsabile del delitto di cui all'art. 609 bis, comma 3, cod. pen. (ascrittogli per avere, con violenza, consistita in una azione repentina tale da impedire ogni valida reazione, costretto Ca. Ce. a subire atti sessuali, consistiti nell'afferrarle e strizzarle con forza il seno), venendo condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di un anno e due mesi di reclusione e al risarcimento del danno in favore della parte civile, liquidato in Euro 1.000,00.

2. Avverso tale sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari ai fini della motivazione.

2.1. Con un primo motivo ha lamentato la violazione e l'errata applicazione dell'art. 609 bis cod. pen., ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., con riferimento alla individuazione della nozione di atto sessuale, rilevante al fine della affermazione della configurabilità della fattispecie di cui all'art. 609 bis cod. pen.

Ha ribadito quanto già affermato nell'atto d'appello, e cioè che la condotta, ritenuta lesiva della sfera di libertà sessuale della persona offesa (consistita nell'afferrarle il seno e strizzarlo con forza), doveva, in realtà, essere attribuita allo stato di esasperazione derivante dagli attriti esistenti tra l'imputato e la persona offesa (collegati ai lavori di ristrutturazione di un immobile di cui la persona offesa aveva acquistato la proprietà grazie alla mediazione dell'imputato), escludendo di conseguenza la volontà di invaderne la sfera sessuale; tale intenzione era stata desunta impropriamente dai giudici di merito dalla sola oggettività della condotta, che, però, non era stata caratterizzata da connotazione sessuale, nonostante la parte del corpo della persona offesa che ne era stato l'oggetto, in quanto non era volta a soddisfare pulsioni di origine sessuale o la concupiscenza dell'imputato, ma era stata originata esclusivamente da uno stato d'ira nutrito dall'imputato medesimo nei confronti della persona offesa (come riferito dall'unico testimone presente, il geometra Go., che aveva escluso un trasporto sessuale dell'imputato, attribuendogli solamente uno stato d'ira). Ciò avrebbe dovuto indurre i giudici di merito a escludere la natura sessuale dell'atto posto in essere dall'imputato e, quindi, anche la configurabilità del reato di violenza sessuale contestatogli, per la mancanza nella condotta della volontà di invadere la sfera sessuale della persona offesa.

2.2. Con un secondo motivo ha denunciato la contraddittorietà della motivazione e il travisamento del fatto, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per l'omessa considerazione del contesto nel quale la condotta si era realizzata e dei rapporti tra imputato e persona offesa, e anche per l'erronea considerazione della condotta, essendo stato affermato che la stessa era consistita in un palpeggiamento insistito del seno, mentre in realtà si era, pacificamente, trattato di un gesto repentino, caratterizzato solamente da violenza fisica, e non di un palpeggiamento insistito e intenzionale, caratterizzato da un interesse di natura sessuale, che quindi era stato erroneamente ravvisato dai giudici di merito, cosicché anche sotto tale profilo risultava erronea l'affermazione della realizzazione di atti sessuale e della conseguente configurabilità del reato di cui all'art. 609 bis cod. pen. contestatogli.

Considerato in diritto

1. Il ricorso non è fondato.

2. Con entrambi i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione della sovrapponibilità del loro contenuto, attenendo entrambi alla individuazione della nozione di atto sessuale e alla esclusione della volontà di aggredire la sfera sessuale della persona offesa, il ricorrente ha contestato che la propria condotta possa essere qualificata come atto sessuale, sia perché non connotata dalla volontà di invadere la sfera sessuale della vittima e neppure dal fine di soddisfare la concupiscenza e l'istinto sessuale dell'imputato; sia perché priva del carattere insistito erroneamente sottolineato nella sentenza impugnata.

2.1. Occorre dunque rammentare che al fine della configurabilità del delitto di violenza sessuale di cui all'art. 609 bis cod. pen. ciò che rileva non è la finalità soggettiva dell'autore del reato, bensì la volontarietà dell'offesa al bene dell'integrità sessuale della persona offesa (cfr., in motivazione, Sez. 3, n. 39710 del 21/09/2011, R., Rv. 251318, nella quale è stato affermato che l'intenzionale e prolungata pressione sulla zona genitale della vittima, sia essa protetta o meno dalla biancheria, integra il reato di violenza sessuale anche nel caso in cui sia ispirata da una finalità diversa da quella a sfondo sessuale, quale, ad esempio, la volontà di umiliare la vittima o quella di vendicarsi di condotte precedenti; nel medesimo senso v. Sez. 3, n. 21020 del 28/10/2014, dep. 21/05/2015, C, Rv. 263738, relativa a fattispecie di palpeggiamenti e schiaffi sui glutei della vittima, nella quale è stato escluso che l'eventuale finalità ingiuriosa dell'agente potesse escludere la natura sessuale della condotta; nonché Sez. 3, n. 3648 del 03/10/2017, dep. 25/01/2018, T., Rv. 272449).

L'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale è, infatti, integrato dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente, cosicché non è necessario che detto atto sia diretto al soddisfacimento dei desideri dell'agente né rilevano possibili fini ulteriori - di concupiscenza, di gioco, di mera violenza fisica o di umiliazione morale - dal medesimo perseguiti (cfr. Sez. 3, n. 4913 del 22/10/2014, dep. 03/02/2015, P., Rv. 262470; Sez. 3, n. 20754 del 17/04/2013, S., Rv. 255907; Sez. 3, n. 39718 del 17/06/2009, S., Rv. 244622; Sez. 3, n. 28815 del 09/05/2008, B., Rv. 240989).
Rimane, dunque, irrilevante il fine ulteriore dell'agente (di violenza, umiliazione, scherno o altro) quando la sua condotta sia intenzionalmente volta a invadere e compromettere la sfera di libertà sessuale della vittima di tale condotta.
La relativa indagine deve essere compiuta tenendo conto delle eventuali peculiarità del contesto nell'ambito del quale la condotta sia stata realizzata, qualora le stesse siano tali da escludere la volontà di invadere e compromettere la sfera sessuale della vittima (cfr. Sez. 3, n. 51582 del 02/03/2017, T., Rv. 272362).

2.2. Nel caso in esame è stata correttamente affermata la configurabilità del reato di violenza sessuale, evidenziando la volontaria e violenta invasione da parte dell'imputato della sfera sessuale della vittima, realizzata mediante il repentino strizzamento del seno della stessa, che ha senza dubbio comportato la compromissione della sfera sessuale della destinataria di tale condotta (avendo riguardato una parte del corpo certamente sensibile sul piano sessuale), posta in essere volontariamente dall'imputato, che era certamente consapevole del contenuto e della portata della propria condotta, e cioè del fatto che essa fosse volta a invadere la sfera sessuale della persona offesa.
Il fatto che detta condotta non avesse il fine di soddisfare istinti sessuali dell'imputato o la sua concupiscenza, bensì di offendere la vittima, nell'ambito di un acceso confronto tra essa e l'imputato, non esclude la configurabilità del reato, per la quale, come ricordato, è sufficiente il dolo generico, di volontariamente invadere o compromettere la sfera di libertà sessuale della destinataria della condotta, non occorrendo che essa sia anche volta a soddisfare la concupiscenza o il desiderio sessuale dell'agente, né assumendo rilievo assorbente il fine ulteriore dell'agente.
Ne consegue, in definitiva, l'infondatezza delle doglianze del ricorrente, risultano insussistenti le violazioni di legge penale e i vizi della motivazione dallo stesso denunciati.
3. Il ricorso in esame deve, dunque, essere respinto, a cagione della infondatezza di entrambe le censure cui è stato affidato.
Consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.