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Vilipendio alla bandiera (italiana)

24 gennaio 2014, Nicola Canestrini

It is true we no longer put heretics to death; and the amount of penal infliction which modern feeling would probably tolerate, even against the most obnoxious opinions, is not sufficient to extirpate them.

But let us not flatter ourselves that we are yet free from the stain even of legal persecution.

Penalties for opinion, or at least for its expression, still exist by law; and their enforcement is not, even in these times, so unexampled as to make it at all incredible that they may some day be revived in full force.

 John Stuart Mill, On Liberty, 1869, par. 104[1]

  1. Cenni introduttivi; sulla mancanza di rilevanza penale della condotta ascritta 

 La persistenza, nel nostro diritto penale, di norme incriminatrici di reati cosiddetti di opinione rappresenta un'aporia della quale, evidentemente, non riusciamo a liberarci.

 John Stuart Mill con tutta probabilità rimarrebbe sorpreso dal fatto che oggigiorno in Italia le cose non stiano granché diversamente da come lui, riferendosi al sistema britannico, le descriveva quasi centocinquant'anni fa.

 Non bruciamo più gli eretici sul rogo, è vero; ma il nostro diritto dispone ancora che si sia puniti per il fatto di avere, o per lo meno di esprimere, certe opinioni. Eppure - in un qualche senso che non c'è bisogno di precisare in questa sede - oggi non possiamo non dirci liberali, e infatti diciamo di stimare le libertà degli individui quali capisaldi del nostro sistema di valori, incarnato nella Carta costituzionale ed in numerose Carte internazionali dei diritti.

 La novella penalistica introdotta con la legge n. 85 del 24 febbraio 2006, nella parte in cui ha ad oggetto (quello che potremmo chiamare) il sistema dei reati d'opinione, costituisce - quali che fossero le sue motivazioni politiche contingenti - un tentativo di superare finalmente quell'aporia[2].

 Non è la sede per chiarire se tale tentativo sia riuscito, ma con riferimento all'art. 292 c.p. salta agli occhi la riduzione dell'oggetto della tutela: infatti, la norma incriminatrice prima del 2006 puniva il vilipendio della bandiera dovendosi per ciò intendere

  1.  la bandiera ufficiale
  2. ogni altra bandiera portante i colori nazionali e
  3. i colori nazionali raffigurati su cosa diversa da una bandiera.

 Dopo la riforma, tesa a restringere l'area della punibilità (come evidenziato anche dal tentativo di circoscrivere la condotta punibile mediante l'introduzione di "espressioni ingiuriose")[3], si ritiene non più punibile l'offesa ai colori dello stato ove non riportati su bandiere ufficiali o emblemi.

 Dato che il caso che ci (pre)occupa ha per oggetto non già una bandiera ufficiale o un altro emblema dello stato, ma i colori nazionali raffigurati su cosa diversa da una bandiera ufficiale, si chiede l'annullamento del sequestro in essere perché il fatto non è (più) previsto dalla legge come reato, lasciando alla sede propria, quella politica, il giudizio sul manifesto elettorale.

  

2. La libertà di espressione del pensiero: l'art. 21 della Costituzione[4]

 

Il nostro ordinamento ha uno dei propri capisaldi nel principio della libera manifestazione del pensiero, "pietra angolare del sistema democratico" (Corte Costituzionale 19.02.1965, n.9; 17.4.1969, n.84) ), «fondamento della democrazia» (Corte cost. n. 172 del 1972), «il più alto, forse, dei diritti fondamentali» (Corte cost. n. 138 del 1985).

 Si pone evidentemente il problema di raccordo con i reati cd. di opinione, ed in particolare quelli di  vilipendio: viene in esame, per il caso che interessa, il delitto di cui all'art. 292 c.p., rubricato "vilipendio alla bandiera", che dopo la legge di modifica al codice penale in materia di reati di opinione del febbraio 2006, punisce con la multa da euro 1.000 a euro 5.000 (cfr. infra) chiunque vilipende la bandiera italiana (o altro emblema dello stato).

 Con il termine "vilipendio", si intende, nell'accezione comune e, altresì, in quella tecnico-giuridica, ostentazione di disprezzo, manifestazione di biasimo, espressione di apprezzamenti negativi implicanti disdegno e disistima generalizzati, svilimento della istituzione in sè e per sé, offesa grossolana e brutale: il "vilipendio" punibile è quello e solo quello gratuitamente offensivo, fine a se stesso[5],[6].

 In ciò sta - ad avviso di chi scrive - l'unico profilo che consente di evitare una censura di illegittimità costituzionale dei reati di vilipendio: l'espressione del pensiero, per quanto giudicata scrurrile, debosciata, anticonformista, inadeguata o scostante, sarà punibile solo quando non trovi giustificazione in diritti fondamentali o nella loro ratio[7].

 La libertà di espressione è definita un diritto al contempo individuale e sociale: diritto fondamentale del singolo «perché - secondo la celebre definizione di Esposito - l'uomo possa unirsi all?altro uomo nel pensiero e col pensiero» (La libertà di manifestazione del pensiero nell'ordinamento italiano, Milano, 1958), ma anche diritto sociale, vale a dire pretesa di un comportamento attivo dello Stato, affinché, attraverso la formazione di un'opinione pubblica consapevole, sia garantita "l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese" (art. 3/2, Cost.).

 Dal messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica del 23 luglio 2002:

 " (..) Il diritto di manifestare il proprio pensiero trova infatti il suo primo compiuto riconoscimento nello Stato liberale ed è ad esso tanto connaturato da divenirne il simbolo: l’abolizione della censura preventiva e l’affermazione della libertà di stampa rappresentano infatti conquiste tra le più significative del periodo liberale e lasciti fondamentali per gli ordinamenti democratici del XX secolo. Il pensiero liberale riconosce che la libera circolazione delle idee è indispensabile per la formazione di un'opinione pubblica consapevole; tuttavia, il ristretto numero delle élites intellettuali, la tendenziale coincidenza tra operatori e destinatari delle informazioni ed i costi relativamente bassi della stampa consentono al legislatore ottocentesco di lasciare che le opinioni politiche (almeno quelle non considerate sovversive) si divulghino spontaneamente e di non intervenire nella disciplina della concorrenza tra i mezzi di comunicazione. Con l’evoluzione della forma di Stato in senso democratico non si assiste ad un ribaltamento dei principi e dei valori del modello liberale, ma ad un processo di espansione e di rielaborazione della libertà di espressione, per coniugarla con i nuovi fini che l’ordinamento si pone. La classica concezione della libertà di manifestazione del pensiero come diritto fondamentale dell’individuo, come libertà da difendere contro indebite interferenze dei pubblici poteri, permane e si rafforza nelle Costituzioni democratiche del Novecento all’interno delle quali si afferma il principio generale che i limiti alla libertà di espressione debbono essere rigorosamente preordinati alla tutela di altri beni costituzionalmente protetti. Accanto alla visione individualista emerge, quindi, anche la dimensione partecipativa e democratica della libertà di espressione e la necessità di un processo continuo di informazione e formazione dell’opinione pubblica, con l’intera cittadinanza. (..)”.

 Anche sul piano internazionale la concreta possibilità delle diverse idee di esprimersi (e circolare) diviene un indice fondamentale per misurare il grado di democraticità di un sistema politico (cfr. l’art. 10 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 4 novembre 1950.

 La stessa Corte Europea dei diritti dell’uomo ha definito la libertà d’espressione quale fondamento della società democratica (cfr. Kokkinakis v. Greece of 25 May 1993, Series A no. 260-A, p. 17, para. 31).

 Nella decisione Otto-Preminger-Institut v. Austria, (13470/87) del 20 settembre 1994, avente ad oggetto una opera artistica giudicata "blasfema" (Herabwürdigung religiöser Lehren) dal Landesgericht di Innsbruck dopo una denuncia delle autorità cattoliche, la Corte europea ha stabilito al par. 49 quanto segue:

 As the Court has consistently held, freedom of expression constitutes one of the essential foundations of a democratic society, one of the basic conditions for its progress and for the development of everyone. Subject to paragraph 2 of Article 10 (art. 10-2), it is applicable not only to "information" or "ideas" that are favourably received or regarded as inoffensive or as a matter of indifference, but also to those that shock, offend or disturb the State or any sector of the population. Such are the demands of that pluralism, tolerance and broadmindedness without which there is no "democratic society" (see, particularly, the Handyside v. the United Kingdom judgment of 7 December 1976, Series A no. 24, p. 23, para. 49).

 La libertà di espressione del pensiero implica dunque che vi sia spazio per esprimere e divulgare idee nuove e anticonformiste, e che non siano represse le opinioni che pure urtano o inquietano (cfr., ancora, Corte europea dei diritti dell’uomo, 8 luglio 1986, Lingens c. Austria, A-103; 23 settembre 1994 Jersild c. Danimarca, A-298).

 Così, in tema di vilipendio alla bandiera, la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America nel caso Texas vs. Johnson (1989) in cui l’imputato aveva (non ingiuriato ma addirittura) bruciato la bandiera nazionale ha deciso che 

 if there is a bedrock principle underlying the First Amendment, it is that the government may not prohibit the expression of an idea simply because society finds the idea itself offensive or disagreeable

 e che anzi la tolleranza avrebbe perfino simbolicamente rafforzato l’emblema che il gesto dell’imputato aveva materialmente distrutto

 the flag's deservedly cherished place in our community will be strengthened, not weakened, by our holding today. Our decision is a reaffirmation of the principles of freedom and inclusiveness that the flag best reflects, and of the conviction that our toleration of criticism such as Johnson's is a sign and source of our strength.[8]

La Costituzione ha nel diritto garantito dall’articolo 21 «il più alto, forse dei diritti fondamentali» (Corte costituzionale, 138/1985 citata)_ e tale diritto viene censurato per proteggere un bene giuridico la cui lesione è sanzionata da una modesta .. pena pecuniaria[12]!

 Il vero vilipendio a ciò che la bandiera rappresenta consisterebbe nella censura della libertà d’espressione del pensiero.

 

[1] “È vero che non condanniamo più a morte gli eretici, e che l'insieme delle sanzioni penali, che la sensibilità moderna probabilmente sarebbe in grado di tollerare anche contro le opinioni più pericolose, non è sufficiente a estirpare queste ultime. Ma non rallegriamoci di essere ormai liberi anche dalla macchia della persecuzione legale. Esistono ancora sanzioni legali contro le opinioni, o perlomeno contro la espressione di opinioni, e la loro applicazione, anche nel nostro tempo, non è così priva di esempi da rendere del tutto impensabile che un giorno tali sanzioni potranno essere ripristinate in tutta la loro forza.” La citazione (e molti spunti che seguono) è tratta da Alessandro Spena, Libertà di espressione e reati di opinione, in Riv. it. dir. e proc. pen. 2007, 2-3, 689. 

[2] A. Spena, op. cit.

[3] Non tragga dunque in inganno quanto affermato Cass.pen., I, 29 ottobre 2003, n. 48902, laddove si riferisce al valore simbolico e non già alla presenza fisica della bandiera.

[4]  “Bisogna farla vivere questa Costituzione, dare anima ai suoi valori, impedire che si affermi una interpretazione riduttiva, diversa da quella originaria, in base alla quale appaia ormai consentito ciò che non potrebbe esserlo (..)” Lorenza Carlassare, L'art. 11 sulla pace e sulla guerra: quali garanzie, in Ann. Univ. Ferrara, Sc. Giur. Nuova Serie, vol. II, 1988, p. 28: se è vero che l’insigne costituzionalista si riferiva all’articolo 11 della Costituzione, l’esortazione può ad avviso dello scrivente ben essere presa a riferimento per tutti quei principi che rischiano di essere travolti.

[5] ?Secondo la comune accezione del termine, il vilipendio consiste nel tenere a vile, nel ricusare qualsiasi valore etico o sociale o politico all'entità contro cui la manifestazione é diretta sì da negarle ogni prestigio, rispetto, fiducia, in modo idoneo a indurre i destinatari della manifestazione (si consideri che per il delitto di cui all'art. 290 é richiesto l'elemento della pubblicità quale definito nell'art. 266, quarto comma) al disprezzo delle istituzioni (..)” (Corte Costituzionale, sentenza 20/1974).

[6] Peraltro, è stato affermato dalla locale giurisprudenza che perfino pronunciare la frase “L’Italia è una merda” costituisca una “stolta bravata, a sua volta radicata in una dabbenaggine di fondo”, con formula assolutoria perché il fatto non costituisce reato. (Pretore di Trento, sez. distaccata di Cavalese, 30 marzo 1992, dep. 28 aprile 1992, n. 38/92).

[7] All’obiezione secondo la quale così ragionando nessun limite sarebbe dato alla libertà di espressione, verrebbe facile ribattere che per la collocazione del diritto al vertice della scala dei valori costituzionali il bene giuridico da proteggere dovrebbe essere pari o superiore, quali la vita o l’incolumità fisica.

[8] Cfr. Supreme Court of the United States, 491 u.s. 397, Texas v. Johnson, Certiorari to the court of criminal appeals of Texas, no. 88-155 argued: march 21, 1989 - decided: June 21, 1989, leggibile sub http://www.law.cornell.edu/supct/html/historics/USSC_CR_0491_0397_ZO.html. Si veda anche l’oera d’arte "What is the Proper Way to Display a U.S. Flag?" di Dread Scott del 1988, raffigurante un fotomontaggio di alcune foto della bandiera americana bruciata e stesa sopra molte bare, che viene collocato in modo da costringere l’osservatore a calpestare una bandiera distesa davanti al fotomontaggio.

[12] Con ciò che ne consegue di riflesso sull’importanza dei beni giuridici protetti: se il legislatore ritiene sufficiente una modesta multa per proteggere l’onore ed il prestigio dello Stato raffigurato nei suoi emblemi ufficiali, tale bene giuridico sarà inevitabilmente destinato a soccombere nel giudizio di bilanciamento (Cass. Pen., 6 maggio 1989) rispetto al diritto fondamentale dell’art. 21 Costituzione.

 

Su tabù e espressione artistica, si rinvia a “La violazione dei tabù”, in Anthony Julius, “Trasgressioni. I colpi proibiti dell’arte” (ed. it. B. Mondatori, 2003), p. 143 ss.:  secondo l’Autore, la vita dell’uomo è modellata secondo determinati valori, imperativi etici, che riguardano, ad esempio, la relazione con i  bambini, la reverenza per gli anziani, il rispetto dei morti, o verso la religione, al rispetto dei sentimenti di appartenenza o di fedeltà ad una comunità, a una regione, alla patria (!); detti valori sono connessi alle consuetudini, in alcuni casi sono residui di fedi religiose precedenti, vissuti comunque in modo intuitivo. L’Autore sostiene che esiste un aspetto dell’arte moderna che esplora e provoca questi tabù, finendo non con lo sbarazzarsene perché illusori, ma al contrario li prende in seria considerazione, come un nemi