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Vietato condividere post sui social se arresti domicilari ristretti (Cass. 46874/16)

8 novembre 2016, Cassazione penale

La prescrizione per chi si trovi agli arresti domicliari di non comunicare con persone estranee deve essere inteso nel senso di un divieto non solo di parlare con persone non conviventi, ma anche di stabilire contatti con altri soggetti, sia vocali che a mezzo congegni elettronici. Il messaggio diffuso sul social network, peraltro, è oggettivamente criptico per i più ed indirizzato a chi può comprendere perchè sottintende qualcosa di riservato e conosciuto da una ristretta cerchia di persone ed è chiaramente intimidatorio, a dispetto del tono volutamente suggestivo, rafforzato dalle coloratissime emoticon, ancora più esplicitamente intimidatorie.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Sent., (ud. 14/07/2016) 08-11-2016, n. 46874

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIANDANESE Franco - Presidente -

Dott. TADDEI M. B. - rel. Consigliere -

Dott. DAVIGO Piercamillo - Consigliere -

Dott. PARDO Ignazio - Consigliere -

Dott. ARIOLLI Giovanni - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

G.G., nato il (OMISSIS);

avverso l'ordinanza n. 154 del 2016 del Tribunale del riesame di Catania, del 22.02.2016;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. M. B. Taddei;

udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Pompeo Alfredo Viola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con l'ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale del riesame di Catania confermava l'ordinanza del GIP del Tribunale di Ragusa che aveva disposto l'aggravamento della misura custodiale, da domiciliare a inframuraria, per G.G. in seguito a violazioni delle misura domiciliare ritenute gravi.

Avverso l'ordinanza propone ricorso la difesa di G. deducendo che il messaggio pubblicato su Facebook, impropriamente attribuito all'indagato,che si è solo limitato a condividerlo, inviato a C.B., vittima della condotta illecita del G., non ha un chiaro contenuto intimidatorio nè una inequivoca coloritura minatoria nè tantomeno si prospetta come una condotta trasgressiva che realizzi i caratteri di effettiva lesività richiesti dalla norma per la sostituzione. Deduce,inoltre, inosservanza o erronea applicazione della legge, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) e lett. c) e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione all'interpretazione ed all'applicazione dell'art. 275, comma 2 bis, in combinato disposto con il successivo comma 3, c.p.p. Censura il ricorrente l'interpretazione data dal tribunale del riesame alle nuove disposizioni dell'art. 275 c.p.p. secondo le quali si giustifica il superamento del limite all'applicabilità della custodia in carcere così attuandosi un rovesciamento della logica garantista e pro imputato che sorregge la novella legislativa.

Il ricorso non è fondato e deve essere rigettato con condanna alle spese per il ricorrente.

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato:il ricorrente,infatti, si limita a promuovere una diversa valutazione dell'episodio che ha dato origine all'aggravamento della misura senza indicare quali siano i vizi che inficiano le argomentazioni del Tribunale. In altri termini la parte ricorrente propone una diversa lettura del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito, così prospettando una diversa ricostruzione della fattispecie concreta. Sotto questo profilo deve essere ribadito che nel giudizio di cassazione, pur dopo la novella introdotta dalla L. n. 46 del 2006, alla Corte di Cassazione restano precluse sia la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisioni impugnata, sia l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Infatti il giudice di legittimità ha l'esclusivo compito di controllare se la motivazione dei giudici del merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito (Cass. n. 42369/2006).

La motivazione del Tribunale è assolutamente logica e condivisibile quando afferma che la prescrizione di non comunicare con persone estranee deve essere inteso nel senso di un divieto non solo di parlare con persone non conviventi, ma anche di stabilire contatti con altri soggetti, sia vocali che a mezzo congegni elettronici. Il messaggio diffuso sul social network, peraltro, è oggettivamente criptico per i più ed indirizzato a chi può comprendere perchè sottintende qualcosa di riservato e conosciuto da una ristretta cerchia di persone ed è chiaramente intimidatorio, a dispetto del tono volutamente suggestivo, rafforzato dalle coloratissime emoticon, ancora più esplicitamente intimidatorie.

Anche il motivo relativo all'interpretazione dell'art. 275, comma 2 bis e comma 3 non è fondato. Questa Corte, con la decisione n. 32702 del 2015 ha già avuto modo di decidere un questione analoga a quella qui all'esame ed ha dettato un principio che questo collegio condivide ed al quale ritiene di dover dare seguito, secondo cui "I limiti di applicabilità della misura della custodia cautelare in carcere previsti dall'art. 275 c.p.p., comma 2 bis, secondo periodo, (testo introdotto dal D.L. 26 giugno 2014, n. 92, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 117) possono essere superati dal giudice qualora ritenga, secondo quanto previsto dal successivo comma 3, prima parte, della norma citata, comunque inadeguata a soddisfare le esigenze cautelari ogni altra misura meno afflittiva." Applicando questa interpretazione della correlazione tra i due commi dell'articolo in questione il Tribunale del riesame ha ritenuto necessario applicare la detenzione intramuraria, poichè la violazione delle prescrizioni commessa dal G. ha rivelato, incisivamente, l'inadeguatezza della detenzione domiciliare in ragione della inaffidabilità dell'indagato.

Il ricorso, per i motivi che precedono, deve essere rigettato: al rigetto consegue la condanna alle spese.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2016