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Videoconferenza senza confidenzialità fra avvocato e detenuto viola diritto a processo equo (Corte Edu, Zagaria, 2007)

27 novembre 2007, Corte europea per i diritti dell'Uomo

Violato il diritto al giusto processo quando all’imputato che segue il proprio processo in videoconferenza non è assicurata la possibilità, coessenziale all’equità del processo, di comunicare in via confidenziale con il proprio difensore, nel momento in cui in giudizio si discute il merito dell’imputazione e vengono prodotte le prove.

 L’art. 6, letto nel suo insieme, riconosce all’imputato il diritto di partecipare realmente al proprio processo. Ciò include, in linea di principio, anche il diritto non solo di assistere, ma anche di ascoltare e seguire le udienze (precedente Stanford c. Regno Unito, sentenza del 23 febbraio 1994). Da questo punto di vista la partecipazione al dibattimento in videoconferenza non è in sé contraria alla Convenzione, ma deve avere un fine e delle modalità compatibili con il rispetto del diritto alla difesa. La compatibilità di tale strumento, come disciplinato dall’ordinamento italiano, era già stata valutata dalla Corte con la sentenza Marcello Viola c. Italia del 5 ottobre 20061.

Il diritto dell’accusato di comunicare confidenzialmente con il proprio avvocato costituisce una esigenza elementare dell’equo processo. Ciò non esclude la possibilità di sottoporre a restrizioni il contatto dell’imputato con il proprio avvocato, purché sussistano valide ragioni per farlo e purché la restrizione non abbia avuto l’effetto di privare l’imputato del diritto ad un equo processo, in quanto ogni atto restrittivo dei diritti alla difesa deve essere assolutamente necessario e quando una misura meno restrittiva di un’altra può essere sufficiente, questa deve essere applicata (precedente Vanna Mechelen ed altri c. Paesi Bassi, sentenza del 23 aprile 1997).

Nella fattispecie, la Corte ha constatato che l’ascolto della conversazione telefonica del ricorrente con il proprio avvocato da parte del sorvegliante era priva di base legale e che quindi il sorvegliante aveva violato la regola della confidenzialità delle consultazioni tra difensore ed imputato prevista dall’art. 146 bis delle disposizioni di esecuzione del codice di procedura penale. Pertanto, la Corte ha constatato la violazione del diritto dell’imputato ad esercitare in modo effettivo il diritto alla difesa e quindi la violazione del combinato disposto dei paragrafi 1 e 3 lett. c) dell’art. 6 CEDU.

 Corte europea per i diritti dell'Uomo  

SECONDA SEZIONE
 
 
CASO DI ZAGARIA c. ITALIA
 
 
(ricorso n. 58295/00)
 

STRASBURGO
  
27 novembre 2007 
 
FINALE
 
07/07/2008
 
  
Questa sentenza diventerà definitiva alle condizioni definite nell'Articolo 44 § 2 della Convenzione. Può essere sottoposta a correzioni.

Nel caso di Zagaria altri v. Italia
la Corte europea dei diritti dell'uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
MMEF. Tulkens, presidente,
MM.A.B. Baka
Mr. Ugrekhelidze,
V. Zagrebelsky,
MmesA. Mularoni,
D. Jočienė,
MM.D. Popović, giudici,
e la signora S. Dollé, commessa,
Dopo aver deliberato in privato il 6 novembre 2007,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in quest'ultima data:

PROCEDURA

1. L'origine della causa risiede in un ricorso (n. 58295/00) contro la Repubblica italiana presentato alla Corte da un cittadino di quello Stato, il sig. Vincenzo Zagaria ("il richiedente") il 15 Giugno 2000 ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la protezione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione").

2. Il richiedente, che era stato ammesso al gratuito patrocinio, è rappresentato da Mes M. Esposito e M. Vetrano, avvocati che esercitano a Napoli. Il governo italiano ("il governo") è rappresentato dal loro agente, sig. I.M. Braguglia, nonché dal loro copresidente, sig. F. Crisafulli, e dal vicedirettore, sig. N. Lettieri.

3. Il richiedente ha affermato in particolare che l'ascolto di una conversazione con il suo avvocato aveva violato i suoi diritti a un processo equo e al rispetto delle sue comunicazioni.

4. Con decisione del 18 gennaio 2005, il consiglio ha dichiarato la domanda parzialmente ammissibile.

5. Il Governo presentò ulteriori osservazioni scritte (Articolo 59 § 1 del regolamento), ma non il richiedente (Articolo 59 § 1 del regolamento).

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO

6. Il richiedente è nato nel 1956 ed è attualmente detenuto nel penitenziario di Novara.
7. Il 21 aprile 1996 il richiedente fu arrestato e posto in detenzione preventiva in esecuzione di un ordine emesso dal giudice istruttore preliminare ("il GIP") del tribunale di Napoli nel contesto di un'indagine riguardante un'associazione di Criminali di tipo mafioso con sede in Campania (Procedura n. 8/98 RG).
8. L'11 luglio 1997 il Ministero della Giustizia emise un ordine che imponeva al richiedente il regime di detenzione speciale previsto dalla sezione 41 bis della legge sull'amministrazione penitenziaria (n. 354 del 26 luglio 1975).
9. L'8 aprile 1998 il richiedente fu processato dinanzi al Tribunale Assise di Santa Maria Capua Vetere. I dibattiti sono iniziati il ​​3 luglio 1998.
10. Il richiedente, tuttavia, non vi ha partecipato personalmente, poiché, ai sensi dell'articolo 146 bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale ("il PCC"), introdotto dalla legge n. 11 del 7 gennaio 1998, i detenuti accusati di l'associazione di criminali di tipo mafioso partecipa a dibattiti remoti. L'articolo in questione prevede l'uso di un collegamento audiovisivo tra l'aula giudiziaria in cui si svolge il processo e il luogo di detenzione dell'imputato, che può consultare il suo avvocato mediante comunicazione telefonica riservata, al fine di garantire la riservatezza della conversazione (vedere la descrizione della legge nazionale pertinente, paragrafi 19-21 di seguito).
11. Il 7 marzo 2000 l'avvocato del ricorrente trovò in un fascicolo relativo al suo cliente e presentò alla cancelleria della Corte d'appello di Santa Maria Capua Vetere, un rapporto relativo ad alcune conversazioni telefoniche. Quest'ultimo aveva avuto luogo tra lui e il ricorrente il 15 aprile 1999, nel corso di un'audizione tenutasi nell'ambito di un altro processo (n. 9/98 R.G.), al quale anche il ricorrente aveva partecipato a distanza.
12. Nel suo "rapporto di servizio riservato" del 15 aprile 1999, indirizzato all'amministrazione carceraria di Ascoli Piceno, un supervisore presente nella sala di videoconferenza affermava quanto segue:
"Verso le 16.30 ho sentito il detenuto Zagaria Vincenzo (partecipare al suo processo a distanza) mentre parlava al telefono con il suo avvocato Maître ML e gli diceva: Riceverai un fax da GC, rispondigli, sarà in grado di farlo fammi sapere. Ho anche sentito che l'uomo chiamato Zagaria si è lamentato del fatto che nulla era stato pubblicato sui media nelle ricerche sui corpi forzati contro di lui e ha aggiunto che aveva parlato con il procuratore generale e ha presentato una denuncia contro gli agenti di sorveglianza che avevano partecipato a questi scavi. Ha anche chiesto perché non era stato costretto a spogliarsi il giorno in cui ha incontrato il procuratore. Ha chiesto al suo avvocato di fornirgli un documento che gli proibiva di costringere un detenuto a spogliarsi durante una perquisizione personale. (...) ".

13. Il giorno seguente, il direttore della prigione ha inviato queste dichiarazioni, tra l'altro, alle "autorità giudiziarie sequestrate [e] il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria". Aveva suggerito di trasferire il richiedente e un altro detenuto accusato al fine di ripristinare "un clima operativo pacifico".

14. Il richiedente era stato trasferito al carcere di Tolmezzo il 31 maggio 1999.

15. Con ordinanza dell'8 marzo 2000, il presidente della Corte di Assise di appello  di Santa Maria Capua Vetere ha rifiutato di autorizzare l'avvocato del richiedente ad ottenere una copia della relazione del supervisore, in quanto, da un lato, si trattava di un atto confidenziale e, dall'altro, sembrava necessario trasmettere all'accusa la richiesta dell'avvocato per l'apertura del procedimento (l'atto era quindi coperto dal segreto d'indagine). Il 17 luglio 2000, il Tribunale di Ascoli Piceno ha archiviato il procedimento contro l'agente di sorveglianza responsabile della trascrizione.

16. Successivamente, negli istituti penali sono state installate migliori cabine telefoniche insonorizzate.

17. Dal fascicolo risulta che non è stato avviato alcun procedimento disciplinare nei confronti dell'autorità di vigilanza e ciò a causa della classificazione del caso.

18. Con sentenza del 27 ottobre 2000, pronunciata nella procedura n. 8/98 del R.G., la corte d'assise di Santa Maria Capua Vetere ha condannato il richiedente per complicità nell'omicidio. La condanna fu confermata in appello nel gennaio 2002 e in cassazione nel maggio 2003. Secondo le informazioni fornite dal richiedente il 29 aprile 2005, i procedimenti n. 9/98 R.G. erano, a quella data, ancora pendenti in primo grado.

II. LEGGE E PRATICA NAZIONALI RILEVANTI

19. La legge n. 11 del 7 gennaio 1998 ha introdotto, tra le disposizioni di attuazione del PCC, un articolo 146 bis che, nelle sue parti pertinenti e in vigore al momento dell'ascolto della conversazione del richiedente con il suo avvocato, era formulato come segue:

"1. Nel contesto di un procedimento relativo a uno dei reati di cui all'articolo 51, paragrafo 3 bis del codice [si tratta principalmente di reati connessi alle attività della mafia e di altri reati gravi], per la persona che, per qualsiasi motivo, è detenuta in un penitenziario, la partecipazione al procedimento si svolge a distanza (a distanza) nei seguenti casi:

a) quando vi sono gravi requisiti di sicurezza o di ordine pubblico;

b) quando i dibattiti sono particolarmente complessi e la partecipazione remota sembra necessaria per evitare ritardi nei loro progressi. L'obbligo di evitare ritardi nei procedimenti viene valutato anche in relazione al fatto che sono allo stesso tempo pendenti contro lo stesso accusato in processi separati dinanzi a tribunali diversi.

c) se è un detenuto per il quale sono state ordinate le misure previste dalla sezione 41bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (...).

2. La partecipazione a procedimenti remoti è decisa, possibilmente d'ufficio, dal presidente della corte o dalla corte d'assise (...) durante la fase degli atti preliminari, o dal giudice (...) durante i dibattiti. L'ordine viene comunicato alle parti e ai difensori almeno dieci giorni prima dell'udienza.

3. Quando viene ordinata la partecipazione a distanza, viene attivato un collegamento audiovisivo tra l'aula giudiziaria e il luogo di detenzione, con procedure volte a garantire la visione simultanea, efficace e reciproca delle persone presenti nei due luoghi e l'opportunità di ascoltare ciò che viene detto. Se la misura viene adottata contro diversi imputati che, per qualsiasi motivo, sono detenuti in luoghi diversi, ciascuno [di essi] è in grado, attraverso lo stesso meccanismo, di vedere e ascoltare gli altri.

4. Il difensore o il suo sostituto hanno sempre il diritto di essere presenti nel luogo in cui si trova l'imputato. Il difensore o il suo sostituto presenti in aula e l'imputato possono consultarsi in modo confidenziale, utilizzando strumenti tecnici adeguati.

5. Il luogo in cui l'imputato è collegato tramite collegamento audiovisivo all'aula di tribunale è trattato come quest'ultimo (è equiparato all’aula d'udienza).

6. Un ausiliario abilitato ad assistere il giudice (...) è presente nel luogo in cui si trova l'imputato e ne certifica l'identità, affermando che non vi sono ostacoli o limitazioni all'esercizio diritti e facoltà di cui è titolare. Riconosce inoltre il rispetto delle disposizioni del paragrafo 3 e della seconda frase del paragrafo 4, nonché, in caso di esame, le precauzioni adottate per garantirne la regolarità (...). A tal fine, consulta, se necessario, l'imputato e la sua difesa. (...)

7. Se durante le udienze è necessario procedere a uno scontro o al riconoscimento dell'imputato o ad un altro atto che comporta l'osservazione della sua persona, il giudice, se lo ritiene essenziale, dopo aver ascoltato le parti, ordina la presenza dell'imputato in aula per il tempo necessario a completare l'atto. "

20. Tale disposizione è stata quindi modificata dalla legge n. 4 del 19 gennaio 2001, che sopprimeva la lettera c) dal primo paragrafo e inseriva un paragrafo 1 bis, così formulato: "Ad eccezione dei casi previsti al paragrafo 1, la partecipazione a i dibattiti si svolgono anche a distanza nel contesto di procedimenti contro un detenuto che è stato oggetto delle misure previste dalla sezione 41bis, paragrafo 2, della legge n. 354 del 26 luglio 1975 ( ...). "

21. La giurisprudenza nazionale che applica l'articolo 146 bis delle disposizioni di attuazione del CPP e il pertinente diritto internazionale relativo alla partecipazione di un accusato ai procedimenti mediante videoconferenza sono descritti in Marcello Viola v. Italia, n. 45106/04, §§ 20-25, 5 ottobre 2006.

IN DIRITTO

I. VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 6 §§ 1 E 3 DELLA CONVENZIONE

22. Il richiedente lamenta un ostacolo al suo diritto alla difesa a causa dell'impossibilità di comunicare in modo confidenziale con il suo avvocato. Fa affidamento sull'articolo 6 della Convenzione.
Nelle sue parti pertinenti, questa disposizione recita come segue:
"1. Ogni individuo ha diritto a un processo equo ... da parte di un tribunale indipendente e imparziale ... che deciderà ... il merito di qualsiasi accusa penale proposta Lei. (...)

3. Tutti gli imputati hanno il diritto, in particolare: (...)

c) difendersi o avere l'assistenza di un difensore di sua scelta (...). "

23. Il governo si oppone a questa tesi.


A. Argomenti delle parti

1. Il governo

24. Il Governo ha ritenuto che nessuna violazione dei diritti della difesa potesse essere trovata nella presente causa. Sostiene che un ufficiale ha "ascoltato inavvertitamente" le conversazioni del richiedente durante il suo servizio di sorveglianza, senza quindi utilizzare un sistema di ascolto; non "trascrisse il contenuto di una bobina", ma "riferì ciò che ricordava da una frase direttamente e involontariamente percepita" e che "gli sembrava in ogni caso estraneo all'attività di difesa ". Questa iniziativa mirava a "salvaguardare la sicurezza di uno stabilimento in cui erano detenuti prigionieri molto pericolosi" e altri soggetti al regime speciale previsto dalla sezione 41bis della legge n. 354 del 1975. Il governo indica anche che per "Per evitare intercettazioni accidentali", le autorità competenti hanno dotato le sale di videoconferenza di migliori cabine telefoniche insonorizzate.
25. Secondo il Governo, devono essere presi in considerazione i seguenti fatti: (a) il supervisore non era autorizzato ad ascoltare le frasi dette per telefono dal richiedente al suo avvocato; b) il suo rapporto riservato non può essere considerato come prova e non è stato utilizzato nel corso di un processo contro il richiedente; c) il supervisore è stato perseguito per le sue azioni e la classificazione delle azioni penali può essere spiegata solo dal fatto che aveva ascoltato involontariamente e senza usare dispositivi; d) l'incidente denunciato non ha avuto alcun impatto sul procedimento penale avviato contro il richiedente. Inoltre, il richiedente ha appreso di essere stato ascoltato circa un anno dopo gli eventi, il che ha reso la sua accusa di aver rinunciato alla sua difesa perché temeva di essere sentito un po 'credibile.
2. Il richiedente

26. Il richiedente sostiene che "l'impossibilità o la semplice incertezza di poter comunicare liberamente con il suo avvocato potrebbe aver contribuito alla [sua] condanna", il che equivale a una violazione del diritto alla difesa.

B. Giudizio del Tribunale

1. Principi generali

27. La Corte ribadisce che i requisiti di cui all'articolo 6, paragrafo 3, della Convenzione rappresentano particolari aspetti del diritto a un processo equo garantito dal paragrafo 1 di questa disposizione. Di conseguenza, la Corte esaminerà le varie denunce del richiedente dal punto di vista di questi due testi combinati (vedi, tra gli altri, Van Geyseghem contro Belgio [GC], n. 26103/95, § 27, CEDU 1999-I) .

28. L'articolo 6, letto nel suo insieme, riconosce il diritto dell'imputato a partecipare efficacemente al suo processo. Ciò include in linea di principio, tra l'altro, il diritto non solo di partecipare, ma anche di ascoltare e seguire il procedimento (Stanford v. Regno Unito, sentenza del 23 febbraio 1994, serie A n. 282-A, pag. 10 , § 26).

29. A questo proposito, la Corte ha riscontrato che la partecipazione degli accusati al procedimento mediante videoconferenza non era, di per sé, contraria alla Convenzione. Tuttavia, deve garantire che la sua applicazione in ogni singolo caso persegua un obiettivo legittimo e che le sue procedure siano compatibili con i requisiti di rispetto dei diritti della difesa. La possibilità di videoconferenza prevista dal legislatore italiano persegue obiettivi legittimi in relazione alla Convenzione, vale a dire la difesa dell'ordine pubblico, la prevenzione della criminalità, la protezione dei diritti alla vita, la libertà e la sicurezza dei testimoni e delle vittime di reati, nonché il rispetto del requisito del "tempo ragionevole" per la durata dei procedimenti giudiziari. Inoltre, la legge italiana fornisce importanti garanzie, incluso il diritto del difensore di parlare in modo confidenziale con il suo cliente (Marcello Viola citata sopra, §§ 63-77).

30. Il diritto dell'imputato di comunicare con il suo avvocato al di fuori dell'udienza di una terza persona è uno dei requisiti di base di un processo equo in una società democratica e deriva dall'articolo 6 § 3 (c) del Convenzione. Se un avvocato non potesse parlare al suo cliente senza supervisione e ricevere da lui istruzioni riservate, la sua assistenza perderebbe gran parte della sua utilità (S. v. Svizzera, sentenza del 28 novembre 1991, serie A n. 220, p. 16, § 48). L'importanza della riservatezza delle interviste tra l'imputato e i suoi avvocati per i diritti della difesa è stata affermata in numerosi testi internazionali, tra cui testi europei (Brennan c. Regno Unito, n. 39846/98, §§ 38 -40, CEDU 2001-X). Tuttavia, l'accesso di un imputato al suo avvocato può essere soggetto a restrizioni per motivi validi. La domanda in ogni caso è se, alla luce dell'intera procedura, la restrizione abbia privato l'imputato di un processo equo (Öcalan c. Turchia [GC], n. 46221/99, § 133 , CEDU 2005-IV). Se non è necessario per il richiedente dimostrare che la restrizione ha avuto un effetto dannoso sul corso del processo, anche se è possibile fornire tali prove, deve essere in grado di affermare che la restrizione ha direttamente interessato nell'esercizio dei diritti della difesa (Brennan citata sopra, § 58).

31. Infine, va ricordato che, tenuto conto del ruolo preminente del diritto alla corretta amministrazione della giustizia in una società democratica, qualsiasi misura che limiti i diritti della difesa deve essere assolutamente necessaria. Non appena una misura meno restrittiva può essere sufficiente, è quella che deve essere applicata (Van Mechelen e altri c. Paesi Bassi, sentenza del 23 aprile 1997, Rapporti di sentenze e decisioni 1997-III, pag. 712, § 58).

2. Applicazione di questi principi al caso di specie

32. La Corte osserva innanzitutto che nella fattispecie l'interferenza lamentata non aveva una base giuridica; al contrario, l'articolo 146 bis delle disposizioni di attuazione del CPP prevede che "il difensore o il suo sostituto presente in aula e l'imputato possono consultarsi reciprocamente in modo confidenziale, mediante strumenti tecnici adeguati" ( vedere il paragrafo 19 sopra). Ascoltando la conversazione telefonica del richiedente con il suo legale, il supervisore ha quindi violato la regola di riservatezza richiesta da questa disposizione. Nessuna giustificazione valida per tale comportamento è stata fornita dal governo, che si è limitato a invocare "intercettazioni involontarie" (vedere paragrafo 24 sopra). In queste circostanze, non si può concludere che l'ascolto della conversazione e il suo riassunto nella relazione riservata all'amministrazione carceraria di Ascoli Piceno fosse "assolutamente necessario".

33. Per quanto riguarda gli effetti dell'atto impugnato, la Corte ha osservato che la conversazione in questione si era svolta durante un'audizione dinanzi alla Corte d'assise di Santa Maria Capua Vetere. Il legale del ricorrente era in aula, mentre il ricorrente seguiva il procedimento in videoconferenza dal suo luogo di detenzione. Secondo la Corte, la possibilità per un accusato di impartire istruzioni riservate alla sua difesa durante la discussione del suo caso e la presentazione delle prove dinanzi al tribunale è un elemento essenziale di un processo equo.

34. È vero che la conversazione intercettata, riguardante l'invio di un fax e le proteste sulle ricerche del corpo (vedi paragrafo 12 sopra), non sembra avere alcuna relazione diretta con il merito delle accuse o strategia di difesa. È inoltre necessario tener conto del fatto che il richiedente e il suo avvocato sembrano essere stati a conoscenza dell'audizione in questione, che ha avuto luogo il 15 aprile 1999, solo più di dieci mesi dopo, il 7 marzo 2000 (punti 11- 12 sopra). Il governo lo sottolinea giustamente (si veda il paragrafo 25 sopra).

35. Resta il fatto che la Corte non ha potuto sottoscrivere l'argomentazione del Governo secondo cui non sarebbe molto credibile che, temendo di essere ascoltato, il richiedente avrebbe dovuto rinunciare a dare istruzioni dettagliate al suo avvocato. A questo proposito, va notato che nel marzo 2000, la procedura n. 8/98 RG era ancora pendente in primo grado e che ulteriori audizioni dovevano svolgersi dinanzi alla Corte d'assise di Santa Maria Capaua Vetere e alla giurisdizione appello, prima del quale il processo non si è concluso fino al gennaio 2002. La procedura n. 9/98 RG, dal canto suo, era ancora in corso al 29 aprile 2005 in primo grado (si veda il precedente paragrafo 18). Vista la debole reazione dello Stato al supervisore che ha violato l'obbligo di riservatezza, che ha beneficiato della classificazione delle accuse penali e non è stato oggetto di procedimenti disciplinari (paragrafi 15 e 17 ci sopra), non vi era alcuna garanzia per il ricorrente che l'incidente non si sarebbe ripetuto. Di conseguenza, avrebbe potuto ragionevolmente temere che fossero ascoltate altre conversazioni, il che avrebbe potuto dargli motivi per esitare prima di affrontare questioni che potrebbero essere importanti per l'accusa (vedi, mutatis mutandis, Brennan supra, § 62).

36. Di conseguenza, la Corte ha riscontrato che l'ascolto della conversazione telefonica del ricorrente con il suo avvocato del 15 aprile 1999 ha violato il diritto del ricorrente di esercitare efficacemente i diritti della difesa. Di conseguenza, c'è stata una violazione dell 'Articolo 6 § 3 (c) della Convenzione, presa insieme all' Articolo 6 § 1.

II. VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

37. Il richiedente considera illegale l'ascolto della conversazione telefonica con il suo avvocato. Si basa sull'articolo 8 della Convenzione, che recita come segue:
“1. Ogni individuo ha il diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, della sua casa e della sua corrispondenza.

2. Non vi possono essere interferenze da parte di un'autorità pubblica nell'esercizio di questo diritto a meno che non sia previsto dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza sicurezza nazionale, pubblica sicurezza, benessere economico del paese, difesa dell'ordine e prevenzione dei reati, protezione della salute o della morale o protezione dei diritti e delle libertà di altri. "

38. Il governo si è opposto a questa tesi. Ritiene che si debbano distinguere due ipotesi: a) intercettazioni illegali e intenzionali, che non potrebbero mai essere utilizzate e dovrebbero portare all'apertura di procedimenti contro l'autore; b) ascolto involontario. Nel secondo caso, se i nastri delle conversazioni ascoltati rivelassero un pericolo per la sicurezza pubblica, ci sarebbe un "obbligo sociale" di metterli in relazione.

39. Vista la conclusione raggiunta ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione (si veda il precedente paragrafo 36), la Corte ritiene che non sia necessario esaminare la questione se la l'intercettazione contestata violava anche l'articolo 8 della Convenzione.


III. APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

40. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione, "se la Corte dichiara che c'è stata una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se la legge interna dell'Alta Parte contraente consente di cancellare le conseguenze di tale violazione solo in modo imperfetto, la Corte concede alla parte feriti, se del caso, solo soddisfazione. "

A. Danno

41. Il richiedente ha richiesto 60.000 euro (EUR) per danni non patrimoniali.

42. Il Governo considerò che il richiedente non aveva dimostrato di aver subito alcun pregiudizio; ha anche contribuito, parlando ad alta voce a soggetti che potrebbero disturbare l'ordine in prigione, ai fatti che ha contestato.
43. Nelle circostanze del caso, la Corte considera che l'accertamento di una violazione costituisce di per sé una soddisfazione equa sufficiente per il danno morale che ha subito il richiedente
B. Costi e spese

44. Il ricorrente ha chiesto il rimborso delle spese relative al procedimento dinanzi alla Corte, che secondo una nota dei suoi avvocati ammontava a 21.938,65 EUR.
45. Il Governo ha ritenuto che questo importo fosse eccessivo.
46. ​​Secondo la costante giurisprudenza della Corte, la ripartizione dei costi e delle spese sostenute dalla ricorrente può avvenire solo nella misura in cui la loro realtà, necessità e ragionevolezza del loro tasso sono state stabilite (Belziuk v. Polonia, sentenza del 25 marzo 1998, Rapporti 1998-II, p. 573, § 49)
47. La Corte considera che l'importo richiesto per i costi e le spese relativi al procedimento dinanzi ad esso è eccessivo (21.938,65 EUR) e decide di assegnare 5.000 EUR sotto questo capo, meno l'importo pagato dal Consiglio d'Europa per assistenza legale, vale a dire 824 EUR.
48. Poiché il richiedente non ha richiesto il rimborso delle spese e delle spese sostenute internamente, la Corte ha ritenuto che questo aspetto dell'applicazione dell'articolo 41 non richiedesse un esame d'ufficio (v. Altri, Cardarelli c. Italia, sentenza del 27 febbraio 1992, serie A n. 229-G, p. 75, § 19).
C. Interesse di mora

49. La Corte considera appropriato basare il tasso di interesse di mora sul tasso di prestito marginale della Banca Centrale Europea aumentato di tre punti percentuali.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE ALL'UNANIMITÀ

1. Sostiene che c'è stata una violazione dell 'Articolo 6 §§ 1 e 3 c) della Convenzione;
 
2. Sostiene che, viste le sue conclusioni di cui sopra, non è necessario esaminare se vi sia stata anche una violazione dell'articolo 8 della Convenzione;
 
3. Sostiene che l'accertamento di una violazione fornisce di per sé la giusta soddisfazione per il danno morale che ha subito il richiedente;
 
 
4. Holds
a) che lo Stato convenuto è tenuto a pagare al richiedente, entro tre mesi, 5.000 EUR (cinquemila euro) per costi e spese, oltre a qualsiasi importo che può essere imponibile come imposta, al netto dell'importo pagato dal Consiglio per Europa per l'assistenza legale, vale a dire 824 EUR;
b) che dalla scadenza di detto periodo e fino al pagamento, tale importo sarà aumentato di un interesse semplice ad un tasso pari a quello della linea di prestiti marginali della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuali;
 
5. Respinge il resto del ricorso per  equa soddisfazione

.
Fatto in francese, quindi comunicato per iscritto il 27 novembre 2007 ai sensi dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

S. Dollé          F. Tulkens
Greffière       Présidente