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Veterinario rimuove microchip da cani rubati: riciclaggio (Cass. 39401/19)

26 settembre 2019, Cassazione penale

Il delitto di riciclaggio sotto il profilo materiale si connota per l'idoneità della condotta ad ostacolare l'identificazione della provenienza del bene, cui deve accompagnarsi l'elemento soggettivo, costituito dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di ostacolare l'accertamento della provenienza delittuosa dei beni e nella consapevolezza di tale provenienza: rileva peraltro anche il dolo nella forma eventuale, configurabile quando l'agente si rappresenta la concreta possibilità, accettandone il rischio, della provenienza delittuosa del bene.

 
CORTE DI CASSAZIONE

SEZ. II PENALE

SENTENZA dd. 26 settembre 2019, n.39401 

consigliere estensore Anna Maria De Santis Presidente Geppino Rago

 

sui ricorsi proposti da 1) B: MAURIZIO n. ad Angolo Terme il 13/9/1957 2) C. COSTANTINO n. ad Adrara S. Martino il 18/6/1947 avverso la sentenza resa in data 28/9/2018 dalla Corte d'Appello di Brescia Visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita nell'udienza pubblica del 9/9/2019 la relazione del Cons. Anna Maria De Santis; udita la requisitoria del Sost.Proc.Gen., Dott. Giulio Romano, che ha concluso per il rigetto del ricorso proposto nell'interesse di B: Maurizio e l'inammissibilità del ricorso relativo all'imputato C. Costantino; udito il difensore della parte civile C. Walter, Avv. IP, che ha depositato conclusioni scritte e nota spese ; uditi i difensori, Avv.ti Eb e SC, che hanno insistito per l'accoglimento dei ricorsi
 
RITENUTO IN FATTO

 
1.Con l'impugnata sentenza la Corte d'Appello di Brescia,per quanto in questa sede rileva e con riguardo alla posizione del B:, in parziale riforma della decisione del GUP del locale Tribunale, dichiarava la nullità della decisione censurata limitatamente al capo 11; assolveva l'imputato dai delitti ascrittigli al capo 1 e al capo 78 con varie formule e rideterminava la pena per i residui addebiti in anni sei e mesi sei di reclusione; confermava il giudizio di penale responsabilità nei confronti di C. Costantino per i capi 29 e 226 nonché il trattamento sanzionatorio irrogato ( anni uno, mesi dieci di reclusione ed euro 3mila di multa), revocando nei confronti del medesimo la condanna al risarcimento del danno in favore di AM.

1.1 Al B: si addebitano plurime truffe consumate tra il 2015 e il 2017, realizzate materialmente con modalità seriali dai coimputati T. e G., ai danni di aziende ed esercizi commerciali attraverso l'utilizzo di documenti falsi e assegni contraffatti forniti dal prevenuto, i cui proventi venivano stoccati in locali nella disponibilità del B: con successiva ripartizione tra i correi del ricavato della vendita. Il C., di professione veterinario, risponde del delitto ex art. 554 ter cod.pen. in concorso con il B: e con la convivente del medesimo, SA, ( capo 29) in relazione al taglio della coda e delle orecchie effettuato su un cane di razza dobermann di sei mesi, provento del delitto di truffa commesso in danno dell'azienda agricola GE, nonché del delitto di riciclaggio continuato ascritto al capo 226 della rubrica con riguardo all'operazione di rimozione e sostituzione dei microchip identificativi a cinque cani di razza chihuahua, frutto di truffe commesse ai danni degli allevamenti Zanna Bianca e Dolcemela.
 
2. Hanno proposto ricorso per Cassazione i difensori degli imputati, deducendo: l'Avv. EB nell'interesse di B: Maurizio
 
2.1 l'inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 192, comma 3, e 530 cod.proc.pen. e correlata mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione con riguardo alla valutazione delle dichiarazioni del coimputato G. Carlo. La difesa lamenta che, a fronte della denunziata assenza di riscontri alle dichiarazioni accusatorie di G. Carlo in relazione ai capi 84,86,88,90,103 e 105, la Corte territoriale si è limitata a ribadire l'attendibilità del coimputato, la disponibilità da parte di costui di documenti falsi che solo il B: avrebbe potuto predisporre e l'utilizzo in relazione agli addebiti in esame del medesimo modus operandi delle ulteriori contestazioni. Secondo il ricorrente, la motivazione dei giudici d'appello è apodittica e inidonea a confutare la rilevata mancanza di riscontri individualizzanti alle dichiarazioni del G.;
2.2 la violazione dell'art. 62 bis cod.pen. e il vizio della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento della prevalenza delle già concesse circostanze attenuanti generiche e al contenimento della pena al minimo edittale. Secondo la difesa, la Corte territoriale ha reso una motivazione meramente apparente in punto di dosimetria della pena, senza considerare l'ammissione di responsabilità dell'imputato e l'effettivo disvalore della condotta. 
 
3. la mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione e la violazione degli artt. 192 e 533 cod.proc.pen. con riguardo all'asserita mancanza di riscontri e alla negata attendibilità della finalità terapeutica degli interventi di caudotomia e conchectomia in relazione al delitto di maltrattamenti di animali di cui al capo 29. La difesa lamenta che la Corte territoriale ha negato credibilità alle dichiarazioni dell'imputato in ordine alla natura terapeutica degli interventi eseguiti sul cucciolo di doberman, senza tuttavia considerare l'aspetto del cane successivo all'intervento, documentato fotograficamente in atti, dal quale emerge che il taglio delle orecchie era minimo, ispirato a finalità conservative e non dettato da motivi estetici. I giudici territoriali hanno, inoltre, incongruamente desunto il giudizio di responsabilità per il capo 29 non da prove positive o indizi gravi ma dalla mancanza di prove a discarico e hanno illogicamente valorizzato l'assenza di dichiarazioni dei coimputati -Suciu Anca e B:- circa la fuga del doberman sebbene la prima non sia mai stata sottoposta ad interrogatorio e non abbia mai reso dichiarazioni sugli interventi di caudotomia e conchectomia del cane mentre il B: solo nel secondo interrogatorio ha genericamente riferito di avere chiesto al veterinario di tagliare code e orecchie al cucciolo. Inoltre, le intercettazioni eseguite si collocano ad oltre un mese di distanza dagli interventi contestati e a due settimane dall'abbandono del cane da parte del B: e della compagna. Parimenti illogica è la considerazione dei giudici d'appello circa il fatto che l'animale nel corso della fuga non aveva, secondo l'imputato, riportato ferite su parti del corpo diverse dalla coda e dalle orecchie, trattandosi di parti notoriamente più esposte all'attacco di altri cani mentre la mancanza di documentazione sanitaria circa gli interventi eseguiti in ambulatorio nulla prova, dal momento che l'imputato ha riferito di aver scattato delle fotografie (seppur non salvate) e, comunque, non era tenuto per legge a registrare e documentare l'intervento eseguito ma semplicemente a rilasciare un certificato al cliente da allegare al libretto sanitario. Né la Corte ha fornito una congrua risposta ai rilievi difensivi circa la possibilità che i tagli della coda e delle orecchie del dobernnan fossero in origine attribuibili al B:, nonostante anche in tal caso l'intervento del C. risulterebbe chiaramente dettato da esigenze terapeutiche;

3.1 la violazione degli artt. 43 cod.pen. e 648 bis cod.pen. e la mancanza di motivazione sulla sussistenza del dolo di riciclaggio in relazione alla provenienza delittuosa dei chihuahua ( capo 226). La difesa del ricorrente deduce che la Corte d'appello ha ritenuto integrato l'elemento soggettivo del delitto di riciclaggio in relazione a 5 cani di razza chihuahua provento di truffa ai danni degli allevamenti Dolcemela e Zanna Bianca, ai quali l'imputato aveva sostituito gli originari microchip,in assenza di prova circa la consapevolezza in ordine alla provenienza delittuosa degli animali ovvero dell'accettazione del rischio di siffatta provenienza , in contrasto con la giurisprudenza di legittimità che esclude la rilevanza del mero sospetto. Nella specie, la sentenza impugnata fa leva esclusivamente sull'assenza di controlli sui microchip sostituiti, ovvero su una mancanza di diligenza insuscettibile di integrare gli estremi del dolo anche in forma eventuale, e non tiene conto delle dettagliate spiegazioni fornite dal prevenuto circa le giustificazioni fornite dalla Suciu a sostegno della richiesta di sostituzione dei microchip ai cani, che ella sosteneva di aver introdotto in Italia dalla Romania in assenza della doverosa documentazione sanitaria, della modestia del compenso percepito, della tracciabilità dei microchip inseriti.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
3.Il ricorso proposto nell'interesse di B: Maurizio è inammissibile per manifesta infondatezza delle doglianze proposte che reiterano rilievi già vagliati dalla Corte territoriale che li ha disattesi con adeguata motivazione esente da patenti illogicità. Invero, la difesa lamenta la conferma del giudizio di responsabilità per i capi 84,86,88,90, 103 e 105 in quanto fondato sulla chiamata in correità del coimputato G. in assenza di riscontri individualizzanti. Trattasi di due episodi di truffa consumati ed uno tentato ai danni di gioiellerie, materialmente eseguite da G. Carlo, e connessi reati di falso relativi a documenti di identità che il G. ha riferito essergli stati forniti dal prevenuto unitamente ai titoli spesi, anch'essi contraffatti.
 
Il primo giudice, con valutazione condivisa dalla Corte distrettuale, ha ritenuto non solo la piena affidabilità delle dichiarazioni del chiamante ma ha, altresì, evidenziato la stretta contiguità temporale tra gli episodi di cui trattasi e quelli contestati ai capi da 63 a 78 in relazione ai quali- pacificamente- documenti e titoli sono stati procacciati e forniti dal ricorrente, evidenziando, inoltre, che nel periodo d'interesse non sono emersi contatti del G. con falsari diversi dal B.
 
3.1 La giurisprudenza di legittimità ha precisato in tema di chiamata in correità che gli altri elementi di prova da valutare, ai sensi dell'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen., unitamente alle dichiarazioni del chiamante, non devono avere necessariamente i requisiti richiesti per gli indizi a norma dell'art. 192, comma secondo, cod. proc. pen., essendo sufficiente che essi siano precisi nella loro oggettiva consistenza e idonei a confermare, in un apprezzamento unitario, la prova dichiarativa dotata di propria autonomia rispetto a quella indiziaria (Sez. 1, n. 34712 del 02/02/2016, Ausilio, Rv. 267528).
 
Pertanto, i riscontri esterni alla chiamata in correità possono consistere in elementi di qualsivoglia natura, anche di carattere logico, e, oltre ad essere individualizzanti, e quindi ad avere direttamente ad oggetto la persona dell'incolpato in relazione allo specifico fatto a questi attribuito, debbono essere esterni alle dichiarazioni accusatorie, allo scopo di evitare che la verifica sia circolare ed autoreferente (Sez. 6, n. 1249 del 26/09/2013 - dep. 2014, Ceroni, Rv. 258759; Sez. 1, n. 33398 del 04/04/2012, Madonia e altri, Rv. 252930; n. 1560 del 21/11/2006 - dep. 2007, P.G. in proc. Missi, Rv. 235801).

Nel caso a giudizio la continuità temporale tra le condotte di cui si discute, commesse nei mesi di giugno e luglio 2015, e quelle contestate, ad esempio, ai capi 65,67,73 realizzate con identiche modalità operative nel maggio precedente, costituisce indubbio elemento di conferma della chiamate in reità, non constando, peraltro, come pure evidenziato dai giudici di merito, che il G. avesse nel periodo di interesse contatti con falsari diversi dal prevenuto e risultando del tutto inverosimile l'ipotesi che, nell'ambito di una collaborazione C.data, trasfusa nella commissione di decine di truffe anche in epoca successiva, il chiamante abbia fatto ricorso ad un canale alternativo d'approviggionamento di documenti e titoli di pagamento falsi per i soli addebiti in esame.
 
4. Precluso dalla mancata devoluzione in appello e, comunque, palesemente infondato risulta anche il secondo motivo proposto nell'interesse del B: che censura il mancato riconoscimento della prevalenza delle già concesse attenuanti generiche rispetto alla contestata e ritenuta recidiva reiterata e specifica. Al riguardo va rimarcato che nell'atto d'appello il difensore risulta essersi limitato ( pag. 11) ad invocare il riconoscimento delle attenuanti ex art. 62 bis cod.pen., pacificamente già accordate dal primo giudice per effetto della (seppur parziale) ammissione degli addebiti. La giurisprudenza di legittimità ha precisato che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450; n. 31531 del 16/05/2017 , Pistilli, Rv. 270481).
 
Nella specie, il primo giudice, con valutazione non specificamente confutata in sede di gravame e aderente agli esiti processuali, ha argomentato l'equivalenza come soluzione idonea all'attingimento di una sanzione congrua, tenuto conto della pluralità di episodi delittuosi per cui è intervenuta condanna e delle pianificate e spregiudicate modalità attuative. Del tutto generici risultano, inoltre, i rilievi in punto di dosimetria della pena a fronte di un computo della sanzione base e degli aumenti a titolo di continuazione improntato a continenza e supportato da idonea giustificazione.
 
5. Parimenti inammissibile risulta il ricorso proposto nell'interesse del C. e fondato su motivi che reiterano doglianze ampiamente scrutinate e disattese dalla Corte territoriale con un supporto argomentativo che non presta il fianco a censura per completezza e congruenza logica. Ed, infatti, con riguardo agli interventi di conchectomia e caudotomia effettuati sul cucciolo di razza doberm

an a richiesta del B: e della compagna, la sentenza impugnata (pag. 93 e segg.) ha diffusamente e persuasivamente confutato la tesi difensiva circa la natura terapeutica degli stessi, evidenziando come i committenti-coimputati non abbiano mai fatto cenno alla fuga del cane, che si sarebbe in quella circostanza procurato lesioni alla coda e alle orecchie; come risulti inverosimile la mancata rilevazione di ferite ulteriori sul corpo dell'animale e del tutto implausibile la prospettazione di un intervento estetico tentato in prima persona dal B:, che avrebbe coinvolto il ricorrente successivamente e al solo fine di evitare infezioni conseguenti alla maldestra esecuzione dei tagli.
 
5.1 Quanto al denunziato difetto di prova in ordine alla ricorrenza del dolo di riciclaggio in relazione all'addebito di cui al capo 226, la sentenza impugnata ha rimarcato che il prevenuto non ha esitato a rimuovere i microchip a ben 5 cani di razza chihuahua, sostituendoli con nuovi strumenti di identificazione degli animali e rilasciando nuovi libretti sanitari con date anteriori rispetto all'intervento eseguito.

Devesi aggiungere che già il primo giudice aveva ampiamente scrutinato il profilo relativo alla sussistenza del dolo ( pagg. 55/57), richiamando a sostegno della piena integrazione della fattispecie ascritta sia le dichiarazioni eteroaccusatorie rese dal B: in ordine alla 'consapevole intraneità di C. Costantino al traffico di cani chihuahua allestito con la complicità della compagna SA' che i riscontri rivenienti dalle conversazioni ambientali, nel corso delle quali i due coimputati, pur criticando le scarse doti professionali del C., manifestavano la necessità di 'tenerlo buono' in quanto sarebbe presto servito ' per fare le altre cose agli altri cani' e la S, in particolare, asseriva ' quello lì per i soldi fa di tutto'.

Il Tribunale ha, altresì, rilevato l'assoluta genericità delle allegazioni difensive in punto di buona fede, ritenendo del tutto implausibile che l'imputato, veterinario di lungo corso, possa aver prestato credito alle fumose dichiarazioni della S circa l'importazione dei cani dalla Romania e, pur in presenza di conclamate violazioni alla disciplina amministrativa che regola la circolazione degli animali da affezione, abbia omesso i controlli sulla provenienza degli animali, prestandosi - in assenza di qualsivoglia cautela-a munirli di una nuova identità.

Né è privo di rilevanza segnalare che, quantunque il C. abbia riferito di aver avuto contatti in due sole occasioni con la S e mai con il B:, dai servizi di osservazione svolti dalla P.G. risulta documentato un accesso del prevenuto nell'abitazione dei coimputati e ulteriori contatti emergono dalle annotazioni riportate sull'agenda sequestrata al ricorrente.

Le sentenze di merito hanno, dunque, dato congruo conto delle circostanze dalle quali hanno concordemente desunto il dolo generico integrativo della fattispecie.

Questa Corte è ferma nel ritenere che il delitto di riciclaggio sotto il profilo materiale si connota per l'idoneità della condotta ad ostacolare l'identificazione della provenienza del bene, cui deve accompagnarsi l'elemento soggettivo, costituito dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di ostacolare l'accertamento della provenienza delittuosa dei beni e nella consapevolezza di tale provenienza (Sez. 2, n. 48316 del 06/11/2015, Berlingeri, Rv. 265379; Sez. 5, n. 25924 del 02/02/2017 , Bassanello, Rv. 270199).

Peraltro, la giurisprudenza di legittimità non ha mancato di rilevare che -ai fini dell'integrazione del reato- rileva anche il dolo nella forma eventuale, configurabile quando l'agente si rappresenta la concreta possibilità, accettandone il rischio, della provenienza delittuosa del bene (Sez. 2, n. 36893 del 28/05/2018, PG c/ Franchini, Rv. 274457; Sez. 5, n. 21925 del 17/04/2018, Ratto e altri, Rv. 273185).

5. Alla stregua delle considerazioni che precedono deve emettersi declaratoria d'inammissibilità dei ricorsi con conseguente condanna dei proponenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi ragioni d'esonero. Al solo B: fanno, altresì, carico le spese di assistenza e difesa sostenute nell'odierno grado dalla parte civile C. Walter, liquidate - giusta notula- come da dispositivo. 
 
P.Q.M. 
 
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende, nonché il solo B: Maurizio alla rifusione delle spese di assistenza e difesa sostenute nel grado dalla parte civile C. Walter, che liquida in euro 3.510,00 oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, CPA ed IVA.
 
Così deciso in Roma il 9 settembre 2019