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Verbali infedeli, interpreti poliziotti, empatia emotiva: violati però i diritti della difesa (Tr. Firenze,14.1.2015)

4 febbraio 2016, Tribunale di Firenze

Nessuna condanna qualora emergano condotte operative da parte di funzionare o ausiliari della polizia del tutto irrituali, omissioni sulle garanzie difensive, e documentazione nei verbali incompleta e quindi infedele.

E' irrituale e quindi inopportuna la scelta di interpreti fra il personale della polizia  perchè si trovano in una condizione di consonanza professionale nei confronti dei colleghi che procedono alle indagini.

L'interprete durante gli interrogatorio di polizia deve essere scelto in un contesto indifferente ed estraneo, come un qualunque interprete che svolge attività nel procedimento penale deve essere, proprio all'evidente ed elementare fine di evitare contaminazioni che si riverberino sulla tenuta professionale dell'ausiliario.

Se l'interprete non è estraneo agli interessi coinvolti - della parte sentita e dell'autorità investigativa -, è inevitabilmente, anche in maniera inconsapevole, portato ad assumere contegni di vicinanza, anche solo emotiva, ad interessi di parte: pubblici, se investigativi, privati, se della persona coinvolta. Di contro, solo la sua estraneità al contesto investigativo e privatistico ne garantisce la professionalità, da esercitare nella maniera la più trasparente.

Il sentimento di spontanea solidarietà espresso da interpreti o funzionari di polizia non è  richiesto dall'unico protocollo di riferimento utile e ammissibile nella circostanza, cioè il codice di procedura penale ed il suo apparato di attuazione e regolamentare.

Ciò che conta nell'interrogatorio di un indagato non è il rifornimento di cibo o bevande o gesti di umana solidarietà: in un contesto professionale del genere, l'unico attento approccio richiesto verso l'indagato -  anzi, imposto -  è quello di renderlo edotto dei suoi diritti di difesa, dichiarati inviolabili, non a caso, dalla nostra Carta Costituzionale (art. 24). Ciò per l'evidente e scolastico motivo che si trattava di soggetto che doveva essere posto nelle condizioni di difendere, inviolabilmente, la propria libertà personale a fronte del potere autoritativo delle Stato, poiché questi, in quel frangente, ne aveva già individuato, per il tramite degli investigatori, la sua condizione di indagata.

Gli investigatori non devono lasciarsi andare ad atteggiamenti di solidarietà nei confronti di un soggetto in istato di inferiorità, finanche più propriamente emotiva: ciò all'evidente fine di salvaguardare la dignità personale dell'indagato, che  è quella di un soggetto al cospetto dell'autorità che procede nei suoi confronti ed i cui diritti fondamentali vanno tutelati, proprio al fine di impedire prevaricazioni dell'autorità medesima, magari con modalità oblique e surrettizie. Questo, infatti, è lo scopo e lo spirito precipuo e di fondo delle regole processuali vigenti, sin dalle prime batture delle indagini. Non trattamenti amichevoli, amorevoli o materni, dunque, erano dovuti - e neppure consentiti, per le ragioni appena cennate -, ma solo il rispetto dei diritti strumentali di difesa, qualificati come inviolabili per la loro natura servente rispetto alle situazioni soggettive sostanziali primarie implicate nella relazione tra autorità statuale e soggetto che si imbatta in un procedimento penale.

La durata ossessiva degli interrogatori, portati avanti di giorno e di notte, condotti da più persone nei confronti di una giovane e straniera, che non comprendeva né parlava affatto bene la lingua italiana, ignara dei propri diritti, privata della assistenza di un difensore, al quale avrebbe avuto diritto essendo ormai di fatto indagata per delitti tanto gravi, ed assistita, per di più, da una interprete che anziché limitarsi a tradurre la induceva a sforzarsi di ricordare, spiegando che, forse a causa del trauma subito, era confusa nei ricordi, rende del tutto comprensibile che ella si trovasse in una situazione di notevole pressione psicologica - che definire di stress appare riduttivo - tale da far dubitare della effettiva spontaneità delle dichiarazioni.

 

TRIBUNALE DI FIRENZE

SECONDA SEZIONE PENALE

IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA

 persona del giudice dott. GIAMPAOLO BONINSEGNA,

all'udienza del 14/1/2015,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nei confronti di

K.A.M., n S., U., il (...),difesa di fiducia da ... ed elettivamente domiciliata presso il difensore Avv. ..;

IMPUTATO

Come da foglio allegato

TRIBUNALE DI FIRENZE

Ufficio del Giudice per le indagini preliminari

DECRETO CHE DISPONE IL GIUDIZIO

- articolo 429 c.p.p. -

Il Giudice Anna D. Liguori,

all'esito dell'udienza preliminare nei confronti di:

K.A.M. nata a S. (W.) il (...)

assente rappresentata dai difensori avv.ti ..

IMPUTATA

del reato di cui agli artt. 81 primo comma, 368 e 61 nn. 2) e 10) c.p., perché, con le dichiarazioni rese in data 13.03.2009 dinanzi alla Corte d'Assise di Perugia, presieduta dal dr. G.M. e ai P.M. dr. G.M. e dr.ssa. M.C. sostituti, nel processo n. 08/08 RG., per l'omicidio in danno della cittadina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord K.M., nel quale la K. era imputata unitamente a S.R., sapendola innocente, incolpava l'interprete di lingua inglese della Questura di Perugia D.A. (che aveva svolto le sue funzioni in occasione dell'assunzione a sommarie informazioni della stessa K. data 6.11.2007, h. 01,45 e 05,45 e che aveva deposto come teste nella stessa udienza), dei delitti di cui agli artt. 372 c.p., 115 e 368 c.p. in danno di D.L. detto "P." (in origine coindagato nello stesso procedimento per omicidio della K. n. 9066/07/21), accusandola falsamente di avere taciuto, in sede di deposizione testimoniale, il fatto che la stessa K. avesse confermato la versione dei fatti fornita in precedenza e di averle suggerito di ricordare di essere stata con il predetto "P." nella casa di via della Pergola e di avere comunque assistito ad un rapporto sessuale dello stesso D. con M.K. e all'uccisione di quest'ultima da parte del primo.

Sempre nella stessa occasione, incolpava inoltre, sapendoli innocenti, l'Isp. Capo F.R. e gli Assistenti Z.L. e R.I., la prima e la seconda in servizio presso la Squadra Mobile di Perugia e il terzo presso lo SCO di Roma e la stessa D.A., del reato di cui agli artt. 110, 479 e 61 n.9) c.p., in relazione allo stesso verbale di sommane informazioni del 6.1 L2007 h. 01,45, per non essere state riportate fedelmente le sue dichiarazioni, nonché i primi tre dei reato di cui agli artt. 110, 611 - 368 e 61 n. 9) c.p., avendoli falsamente accusati di averla percossa alla testa per indurla a commettere il delitto di calunnia in danno dello stesso D.L. detto "P.", e inoltre il dr. G.M., degli stessi reati, quale suggeritore delle loro condotte;

b) del reato di cui agli artt. 81 primo comma, 368 e 61 nn. 2) e 10) c.p., perché, con le dichiarazioni rese in data 12 e 13 giugno 2009, dinanzi alla Corte di Assise di Perugia, in sede di esame svolto dal difensore di parte civile avv. Carlo Pacchi e del controesame svolto dai P.M. M. e C. all'udienza dibattimentale nello stesso processo n. 08/08 R.G. e 9066/07/21 Procura di Perugia, per l'omicidio in danno della cittadina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord K.M., nel quale la K. era imputata unitamente a S.R., sapendoli innocenti, incolpava:

- gli Ispettori Capo S.L. e R.F. e l'Ass. D.F., tutti della Squadra Mobile di Perugia, con il D. con funzioni di interprete, per il verbale di sommarie informazioni del 2.11.2007, h. 15,30;

- gli Ispettori F.A. e F.R., nonché l'Interprete M.B., per il verbale di sommarie informazioni dei 3.11.2007, h 14,45;

- il Vice Questore Aggiunto dr. E.G. (S.C.O. Polizia di Stato - Roma, il Vice Questore Aggiunto dr. M.C., della Squadra Mobile di Perugia, il Sost. Commissario M.N. della Squadra Mobile di Perugia e l'interprete dott.sa A.C., in servizio presso la Questura di Perugia, per il verbale di sommarie informazioni del 4.11.2007, h. 14,45;

- l'Isp. Capo F.R., gli Ass.ti capo Z.L., della Squadra Mobile di Perugia e R.I., in servizio presso lo SCO di Roma e l'interprete D.A., in servizio presso la Questura di Perugia, per il verbale di sommarie informazioni del 6.11.2007, h. 01,45, e l'isp. Capo F.R. e D.A. per il verbale di spontanee dichiarazioni del 6.11.07 ore 05,45;

dei reati di cui agli artt. 110, 81 cpv, 611, 61 n. 9) c.p., 378 e 368 c.p., poiché gli stessi, secondo quanto riferito dalla stessa K., l'avrebbero costretta con violenza ad affermare che M. era stata violentata nel verbale del 6.11.2007, h. 01,45 e l'avrebbero costretta ad accusare P.D.L. della violenza sessuale stessa e dell'omicidio (vds. p. 45 del verbale di udienza del 12.06.09 e 30 del 13.06.09), nonché il dr. G.M., quale suggeritore delle loro condotte, presente alla redazione del verbale di spontanee dichiarazioni della K.A. il 6.11.2007 h. 05,45.

Con le aggravanti di avere commesso il reato contro pubblici ufficiali a causa dell'adempimento delle loro funzioni e al fine (...) di conseguire l'impunità del delitto di omicidio in danno di M.K.. In Perugia il 13.03.2009 il 12 e 13.06.09.

Identificate le persone offese in: D.A. (Questura Perugia); F.R. (Squadra Motbile Questura Perugia), Z.L. (Squadra Mobile Questura Perugia); R.I. (SCO Roma); S.L. (Squadra Mobile Questura Perugia); D.F. (Questura Perugia);

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

L'imputata veniva citato a giudizio dal Gip sede con decreto del 20/3/2015, per i fatti di cui all'imputazione.

La vicenda rappresenta un seguito di altra più complessa e grave, relativa all'omicidio di M.K., giovane studentessa inglese, accaduto in Perugia, tra l'1 ed il 2/11/2007. Il relativo procedimento si era concluso con l'assoluzione della imputata per l'omicidio, contestatole unitamente al fidanzato R.S., e con la sua condanna per calunnia in danno di P.L., dopo lo svolgimento di due dibattimenti di Assise in Perugia, con prima condanna seguita da assoluzione, un annullamento parziale della Cassazione, per l'omicidio, un altro dibattimento di appello in Firenze, ed, infine, l'annullamento definitivo delle condanne di secondo grado pronunciate in sede di rinvio.

Quindi, in questo processo sono state inevitabili non solo le evocazioni continue di quello principale e dei suoi atti, alcuni dei quali sono stati acquisiti. Ciò per ricostruire complessivamente e con completezza il contesto investigativo in cui si sono svolte quelle attività, rispetto alle quali sono state lamentate le condotte che oggi vengono rimproverate, come falsamente esposte dalla K., a danno delle persone offese e delle parti civili.

Quanto all'incedere del dibattimento, all'udienza del 9/6/2015, venivano ammesse le prove richieste dalle parti ed alla successiva del 3/9/2015 si dava inizio alla istruzione dibattimentale.

Agli atti, si rappresenta preliminarmente, erano già contenuti i verbali delle udienze citate nell'imputazione formulata dal PM e durante le quali la imputata avrebbe reso le dichiarazioni le cui falsità le vengono ora contestate, comprensivi delle relative trascrizioni.

Da tali atti emerge che, all'udienza del 13/3/2009, presso la Corte di Assise di Perugia, A.K. rendeva dichiarazioni spontanee secondo cui i testi esaminati alla medesima udienza, genericamente indicati (erano stati esaminati B., M., D., C.. D., V.), non avrebbero riferito che la stessa K. avrebbe confermato sempre la medesima versione, "anche quando io ho detto che R. (S.) avrebbe detto che io sarei uscita da casa. C'era questa insistenza aggressiva sul messaggio ricevuto da P. (D.L.), proprio aggressivissimi! Hanno chiamato stupida bugiarda, da tutte le parti... anche c'era questa storia del trauma che questa D. mi ha raccontato e poi successivamente ha suggerito che questo sarebbe stata anche la stessa situazione per me. Nel senso che proprio mentre io non ricordavo bene perché io ero traumatizzata e così dovevo provare di ricordare qualcos'altro. Poi c'è questi scappellotti sulla testa che ho veramente ricevuto ...è vero, mi dispiace, è così!" (si è riportata la trascrizione agli atti, fgl 20).

All'udienza del 12/6/2009 (fgl 43 e ss), l'imputata aveva reso ulteriori dichiarazioni durante il suo esame, riferendo che alcuni poliziotti, non specificamente indicati, "sono arrivati a sedere con me, hanno iniziato a chiedermi le stesse domande che mi hanno fatto da quando era successo. Per esempio chi avrei potuto immaginare che fosse la persona che avesse ucciso M., e ho detto ma non lo so, ancora non lo so, e quindi quello che è stato fatto mi hanno portato in un'altra stanza dove si fanno le interrogazioni, e una volta che ero lì ho chiesto di ripetere tutto quello che avevo detto prima, per esempio quello che avevo fatto quella notte. Mi hanno chiesto di vedere il mio telefono, il quale ho dato loro, guardavamo nel mio telefono e questo è stato quando è stato trovato il messaggio, quando hanno trovato il messaggio mi hanno chiesto se avevo mandato un messaggio di risposta, che non ricordavo aver fatto. Questo è stato il momento in citi sono diventati molto duri con me, mi hanno chiamato stupida bugiarda e hanno detto che stavo cercando di proteggere qualcuno, ma non stavo proteggendo nessuno, e quindi non sapevo come rispondere loro, hanno detto che ero andata via dalla casa di R. e ciò non era vero, e ciò che ho negato, ma continuavano a chiamarmi stupida bugiarda, mi mettevano il cellulare davanti e mi facevano guarda, guarda i messaggi, stavi per incontrare qualcuno? E quando ho negato continuavano a chiamarmi stupida bugiarda e poi da quel punto in poi, da quel momento in poi avevo tanta paura, mi trattavano così male e io non capivo perché, mentre ero lì c'era un interprete che mi ha spiegato un'esperienza accaduta in cui aveva avuto una esperienza traumatica e non poteva ricordare per nulla e ha suggerito che io ero traumatizzata e non potevo ricordare la verità. Come prima cosa mi è sembrato ridicola questa cosa a me, perché mi ricordavo di essere stata a casa di R. sicuramente per certo, mi ricordo di aver fatto delle cose alla casa di R., ho guardato le e-mail poi abbiamo visto il film, abbiamo parlato e abbiamo cenato, e non avevo lasciato l'appartamento in quel frangente, in quel momento, ma insistevano su, volevano mettere tutto sui dei segmenti orari, e dato che io non avevo guardato l'orologio non ero in grado di dire loro a che ora esattamente avevo fatto tutto. Insistevano che io avevo lasciato l'appartamento per un certo periodo di tempo per incontrarmi con qualcuno, che per me non era accaduto ma l'interprete diceva che probabilmente lo avevo dimenticato.

(...)

Devo spiegare quello che ho bisogno di dire.

(...)

Quello che è successo poi mi è stato detto di cercare di ricordare, quello che apparentemente secondo loro avevo dimenticato e sotto la quantità di pressione e tutti che mi urlavano e con loro che mi dicevano che mi avrebbero messo in prigione per cercare di proteggere qualcuno, che io non proteggevo e non potevo ricordare, ho cercato di immaginare che in qualche modo potessero, era molto difficile perché quando ero lì a un certo momento non potevo sapere perché loro erano così sicuri che io sapessi tutto, e quindi nella mia confusione ho iniziato ad immaginare che forse ero traumatizzata come mi era stato detto, continuavano a dire che avevo incontrato qualcuno e continuavano a mettere così tanta enfasi sul messaggio che avevo ricevuto da P. e quindi io quasi ero convinta che lo avevo incontrato ma ero confusa."

A domanda dell'Avvocato P., che chiedeva se avesse incontrato P. e perché fosse convinta di averlo incontrato, la imputata rispondeva che no, non lo aveva incontrato e che in quel momento, durante le informazioni rese alla Polizia, era confusa.

L'Avv. P. faceva riferimento ad un verbale del 6/11/2007 ore 1.45 e ad altro delle ore 5.45. In relazione al verbale sit del 6/11, ore 1.45, l'imputata rispondeva che "le dichiarazioni sono state prese contro la mia volontà e quindi tutto ciò che ho detto è stato detto sotto pressione e in confusione e perché suggerito dal PM".

L'Avv. P. osservava che alle ore 1.45 il PM non era presente e che c'era solo la PG e l'imputata rispondeva che "mi mettevano anche loro sotto pressione", L'avvocato chiedeva se "glielo hanno detto loro di dire così, oppure lo ha detto lei di sua spontanea volontà" e K. rispondeva che "loro suggerivano la via il percorso, quindi la prima cosa che ho detto, va be' P., poi mi hanno detto va bene dove lo hai incontrato? Lo hai incontrato a casa tua, lo hai incontrato vicino a casa tua, non so vicino a casa, e poi la memoria mi si è mescolata, altri giorni ricordavo di aver incontrato P. in Piazza Grimana e quindi ho detto va bene Piazza Grimana. Non è come se io avessi detto sì, è come è successo".

L'Avv. P chiedeva se M., prima di essere uccisa, avesse fatto sesso e l'imputata rispondeva "non lo so" e il legale contestava la circostanza che la K. nel verbale del 6/11/2007, ore 1.45, aveva riferito che M. prima di morire aveva fatto sesso. La imputata rispondeva che "sotto pressione ho immaginato tante cose diverse, durante i giorni in cui ero stata sentita dalla Polizia hanno suggerito che lei era stata violentata". Avv. Pacelli: "glielo ha quindi suggerito la polizia di dire questo?" K. "sì" Avv. P: "e per farle dire questo l'hanno picchiata?" K. "Sì".

(...)

Inoltre, K. dichiarava anche che "quando stavo con la polizia loro mi hanno chiesto se io ho sentito le urla di M., io ho detto no, e loro hanno detto ma come sarebbe che tu non hai sentito le urla di M. se tu fossi là, io ho detto guarda non lo so forse avevo le orecchie tappate e hanno detto va bene scriviamo così e poi va bene". (...) "Nella mia confusione e sotto la pressione della polizia dovevo provare a seguire un ragionamento che loro hanno suggerito e questo sarebbe che io avrei sentito le urla di M., il fatto che io non ricordavo questo fatto hanno suggerito che forse avrei tappato le orecchie, per cui ho seguito questo suggerimento. (...) Mi hanno picchiato due volte prima di dire P. per farmi dire un nome che io non potevo dare. (...) sempre un suggerimento , seguendo un ragionamento di loro, quindi loro mi hanno chiesto se io ero nella stanza di M. quando lei era stata uccisa, gli ho detto di no, mi hanno detto ma dove eri? Gli ho detto non lo so mi hanno detto forse eri nella cucina così ho detto ok va bene. (...) tutto l'interrogatorio è durato tanto tempo, per tanto tempo io sempre dicevo che io non avevo niente da fare con queste cose e che io ricordavo di essere nell'appartamento con R., poi con tanto tempo mi hanno urlato e c'è questo svolgimento di confusione proprio a seguito l'atto che per ore e per loro mi hanno chiamato una stupida bugiarda e quindi non lo so come dire uno stato di confusione, perché alla fine ero confusa un po' così, sì ero confusa ma perché non sapevo di che cosa essere confusa, proprio ero confusa a diversi livelli, ero stranissima ero sotto pressione".

Riguardo al memoriale scritto in Questura il 6/11/2007, la K. riferiva che "no, questo io ho scritto perché ero confusa, io volevo spiegare alla polizia la mia confusione, perché quando ho detto a loro che non ero sicura che non potevo fare da testimone, che io ho pensato che era tutto uno sbaglio e loro non volevano sentirmi, mi hanno detto che io avrei ricordato tutto dopo che dovevo avere pazienza, che dovevo stare con loro sempre ricordare queste cose, io sentendo non comode di queste dichiarazioni che io ho fatto precedentemente, ho chiesto poi a questi di spiegarmela mia confusione, perché non ero sicura a quel punto. (...) C'era tanta confusione durante la notte e tante ore di interrogazione, il mio senso di tempo si è sparito. (...) la polizia e l'interprete mi hanno detto che forse io non ricordavo queste cose e che io dovevo ancora provare a ricordare, quindi il fatto che sarebbe stata un'immaginazione una realtà non era importante, che io dovevo ricordare la verità con tempo, quindi il fatto che io ricordavo di aver fatto qualcos'altro per me era confusione, perché io ricordavo una cosa, ma immaginavo una cosa sotto la pressione della polizia, quindi ero confusa e dovevo in qualche modo spiegare questa confusione perché loro volevano che io facessi la testimone contro una persona che io non volevo fare. (...) Io al momento che ho detto P. non sapevo se era, se lui era innocente o no, io ho detto soltanto perché io ho seguito questo suggerimento della polizia, poi quando io ho scritto nel memoriale che io non potevo accertare quelle cose che io ho detto nella Questura questo per dire che io non sapevo che lui fosse l'assassino o no, per me io sapevo soltanto che io non ero là in quella casa. (...) sapevo che loro hanno arrestato lui, perché gli ho detto io il nome, ma loro erano le persone che mi hanno suggerito il nome, quindi alla fine loro volevano che io facessi la testimonianza contro di lui e non mi piaceva questa cosa. (...) Io ho scritto nel memoriale che tutte le cose che ho detto non potevano essere vere, perché io non ricordavo queste cose, e poi quando la polizia andava per esempio per darmi dei fogli e tutto quanto, loro mi trattavano dicendo o ce l'hai un'altra verità così, quindi io ho scritto sul memoriale, questo era il mio modo di dire che tutto quello che ho detto in Questura non era utilizzabile. (...) sinceramente non avevo buoni rapporti con la polizia dopo quel periodo, anche per il fatto, anche con il pubblico ministero però perché ha suggerito anche lui delle cose di scrivere nelle dichiarazioni, quindi io non sapevo a chi rivolgermi sentivo più ad agio a parlare con i miei difensori invece di parlare con la polizia. (...) Volevo riconoscere il fatto che io ho detto delle cose e che io non potevo sapere queste cose, ma allo stesso tempo in questo memoriale volevo spiegare quello che sapevo io e quindi io ho riconosciuto il fatto che ho pensato che in Questura che questa cosa sarebbe successo, che lui fosse l'assassino, poi in quel memoriale ho detto che tutte quelle cose che ho detto in Questura io non potevo sapere che io ero confusa e che quindi quello che ho detto non era usabile."

L'imputata riferiva anche che "c'erano tantissime persone che entravano e uscivano e dopo che uno è entrato e uscito, un altro poliziotto mi ha detto che io sono uscita da appartamento suo, almeno R. avrebbe detto che io sarei uscito dalla casa sua" (...) "durante l'interrogazione c'erano tutte le persone davanti a me davanti indietro così, e qualcuno urlava da qua, un persona diceva n. no no, forse non ricordi qua, un altro urlava con questo qua e poi c'era una poliziotta dietro di me che mi ha fatto così. (...) due volte, la prima volta ha fatto così e abbiamo girato verso di lei e poi mi ha fatto un'altra" ; "loro mi hanno portato delle cose soltanto dopo che ho fatto dichiarazioni, quindi stavo là, loro stavano urlando a me e io volevo soltanto andare via perché pensavo che mia mamma arrivava e quindi ho detto guarda posso avere il mio telefono perché voglio chiamare la mamma hanno detto di n. e poi c'era tutto questo casino mi urlavano, mi dicevano che, mi minacciavano proprio, poi era soltanto dopo che ho fatto le dichiarazioni che aveva detto non ti preoccupare ti proteggiamo dai, così è venuto. (...) dopo un bel po' di tempo mi hanno detto che dovevo stare in Questura, così sono rimasta in Questura (...) stavo dicendo a loro guarda io sono proprio confusa, questa cosa non mi sembra quello che io, io ricordo cosa diversa loro hanno detto no, no, no, devi soltanto stare qui, tranquilla e aspetta, aspetta, aspetta, perché dobbiamo fare accertamenti, poi non so perché a quel punto non ho capito niente, infatti anche il senso del tempo ho perso. (...) quello che posso dire che sono rimasta un bel po' di tempo in Questura e in quel periodo di tempo che provavo a spiegare alla polizia che quello che ho detto non ero sicura, anche il tempo che loro mi hanno preso le mie scarpe, hanno fatto queste foto, hanno fatto tutti questi, mi hanno spogliato poi per fare le foto e quindi era tanto tempo."

In data 13/6/2009, avanti alla medesima Corte di Assise di Perugia, l'imputata si sottoponeva all'esame rispondendo alla domanda del Pm che chiedeva chi le avesse suggerito il nome di P.L., rispetto al quale poi la imputata era stata condannata per calunnia in via definitiva; chi le avesse fatto pressioni; chi l'avesse picchiata e in che modo. L'imputata rispondeva riferendo che (fgl. 20 e ss trascrizione) "io sto rispondendo di quello che mi è successo il 5, la notte del 5 e poi la mattina del 6 novembre 2007. (...) loro hanno chiesto di nuovo di continuare e di riparlare di quello che ho fatto io la sera. Hanno cominciato sempre da quando ...ultima volta che ho visto M. e poi andando avanti fino alla mattina dopo. Quindi, dovevamo ripetere di nuovo, sempre ripetendo quello che io ho fatto. (...) ma qualcuno dice che tu sei stata a casa di R.. R. dice che tu non sei stata in questi orari a casa tua. (...) Ma sei sicura di quello che dici? Se tu non sei sicura di quello che dici, quando noi andiamo a dobbiamo parlare davanti a un Giudice, noi ti mettiamo in carcere, se tu non stai dicendo la verità. E poi mi hanno detto questa cosa del fatto che R. avrebbe detto che io sarei uscita dalla casa. Io ho detto guarda, è impossibile. Io non so se lui ti dice queste cose o no, ma guarda che io non sono uscita dalla casa. Quindi, loro hanno detto n. tu stai dicendo una bugia, tu devi ricordare per bene quello che hai fatto, perché sennò noi ti mettiamo in carcere per trent'anni, perché sei una bugiarda. Io ho detto no, non sei una bugiarda e loro ma sei sicura che non stai proteggendo qualcuno? Io non sto proteggendo nessuno e loro continuavano, n. non siamo convinti che tu stati proteggendo qualcuno. Chi è? Chi è? Chi è? Chi hai incontrato quando sei andata fuori di casa di R.? (...) Allora c'era il fatto del telefono che a un certo punto hanno detto: Allora abbiamo questo messaggio, ma tu hai mandato un messaggio a P.? Io ho detto non penso, loro, n. sei una bugiarda. Guarda questo è il tuo telefono che.. c'è questo messaggio che tu volevi incontrare lui, io non ricordo che ho fatto questo messaggio, ma va bene, ho fatto, loro, ma vuol dire che tu volevi incontrare lui, questo è un punto. Poi è il fatto che c'era questo interprete vicino a me che diceva ma sei ...tu sei una stupidissima bugiarda o tu sei una persona che non ricordi quello che hai fatto. Io ho detto, ma come sarebbe questo?

Forse tu hai visto qualcosa di così tragico, così grave che tu non riesci a ricordare, perché io in un momento ho avuto un incidente, ho rotto proprio le gambe, ho spezzato la mia gamba e... (...) c'era tanta confusione, c'era tanta gente che stava parlando. Quindi, uno che diceva Ah ma forse non è così, forse non ricordi, un altro che dice no, è una stupida bugiarda. Così. (...)

Perché è difficile dire se una persona ha detto una cosa esattamente, Oh era lui. No, era il fatto che c'erano questi piccoli suggerimenti, poi c'era una persona che voleva dire che ...allora, c'è questo telefonino, poi c'era il fatto che questo qua ... e poi la cosa che era più per me che mi faceva pensare di provare ...pensare qualcos'altro, era il fatto che mi hanno detto: Allora, forse tu sei confusa, c'era questo comune che di loro che mi dicevano: ma forse tu sei confusa, forse tu devi provare di ricordare qualcos'altro. Prova a ricordare quest'altra memoria che evidentemente hai perso in qualche modo, che tu devi provare e ricordare. Quindi, io stavo là proprio pensando ma che cosa ho dimenticato? Ho dimenticato qualcosa, ok, sto pensando, che ho dimenticato? Che ho dimenticato? loro dai, dai , dai. Ricordi? Ricordi? Ricordi? boom, sulla testa, ricordati, io, mamma mia, ricordi? (...) questi sono gli scappellotti

A darle gli scappellotti era "un poliziotto, ma non conoscevo il loro nome. (...) Perché c'erano tantissime persone che mi davano delle domande, ma la persona che ha cominciato a parlare con me era una poliziotta con i capelli lunghi, castano scuro, ma non la conosco. Poi nel giro delle persone che erano attorno di me c'erano certe persone che mi chiedevano. Per esempio, c'era un uomo che aveva questo telefonino, che proprio metteva questo telefonino nella mia faccia dicendo: guarda questo telefonino, ma chi è questo? Ma che, volevi incontrare lui? Poi c'erano gli altri che, per esempio, questa donna che conduceva era la persona che anche a un certo punto era dietro di me, perché loro si spostavano, erano proprio attorno a me, proprio sopra di me. Io ero su una sedia, poi c'era l'interprete su una sedia e loro tutti in piedi attorno a me. Io non ho visto chi mi ha dato il primo scappellotto, perché ero indietro, poi mi sono girata e ho visto la donna e poi un altro alla mia testa. (...) Quello che era attorno di me...mi sa che il loro pensi ero...allora, ci sono tantissime persone, quindi c'erano tantissime persone che hanno suggerito nel modo che mi hanno chiesto: allora, tu hai incontrato qualcuno, io no, loro, sì invece, perché qua abbiamo questo telefonino che dice che tu vuoi incontrare qualcuno. Volevi incontrare lui? io non, non mi ricordo, Ah, ricordati per bene, perché sennò ti mettiamo in carcere per trent'anni, ma io non ricordo, forse hai incontrato lui? Forse hai incontrato lui e non hai ricordato? Era questa cosa. (...) Il fatto che io ho ricevuto questo messaggio di P., che loro erano molto, molto presi da questo. Quindi, il fatto che ho ricevuto un messaggio da lui... (...) Allora, per questo fatto che loro dicevano che io avrei incontrato una persona. Poi, hanno detto di questa cosa del messaggio, chiedendomi ma sei sicura che non ricordi? È vero, hai incontrato questa persona, perchè hai scritto questo messaggio. (...) In quel periodo dovevo pensare prima in inglese, fare una traduzione e poi scrivere. (...) Allora, questa circostanza era il fatto che loro volevano un nome, quindi, il fatto che questo messaggio era ..."

Alla domanda del Presidente che chiedeva in relazione a cosa volevano un nome gli interroganti, la K. rispondeva che ciò era richiesto in relazione "a chi ha fatto questo delitto proprio. Dicevano a me che io sapevo e che io non volevo dire, se io non volevo dire perché non ricordavo o perché ero una stupida bugiarda. Poi, sempre questo fatto, sul messaggio, sul fatto che proprio hanno messo nella mia faccia ... "Ah guarda che sei una stupida bugiarda, non ricordi questo? Io nella prima parte non ho ricordato che ho fatto questo messaggio, poi il fatto che c'era quest'interprete vicino a me e che mi diceva sempre ma forse non ricordi, forse non ricordi, io ho provato...Poi c'erano queste persone che dicevano ma prova a ricordare qualcos'altro, prova a ricordare questo fatto che hai incontrato una persona. Quindi, stavo là pensando ok, ricordati, ricordati, ricordati, e poi c'era questo che dietro proprio mi ...non è che mi ha fatto proprio male fisicamente, ma mi ha spaventato".

Il Presidente ha quindi chiesto "Le hanno detto di' che è stato lui?" e l'imputata ha risposto "No". Rispetto a dichiarazioni precedentemente rese e contestate dal PM in udienza, l'imputata riferiva che "ho spiegato meglio adesso".

L'imputata proseguiva l'esame riferendo che "prima ho cominciato a piangere. Poi, dopo un certo punto, questi poliziotti tutti insieme mi dicevano ma tu devi dire perché, come è stato, volevano tutti questi dettagli, che non sapevo come dire, come darli, perché alla fine quello che è successo è questo, che quando ho detto P., ho proprio cominciato ad immaginare un tipo di scena, ma sempre con quest'idea di immagine che non concordavano, ma immagine che forse avrebbe potuto spiegare la situazione. Quindi, la faccia di P., poi Piazza Grimana, poi la mia casa, poi una cosa verde che loro hanno spiegato a me che potrebbe essere il divano. Quindi, seguendo questa cosa, loro volevano avere i dettagli. Tuto quello che ho fatto... io non sapevo come dire, quindi loro, parlando con me, hanno detto: Allora, sei uscita dalla casa, ok, va bene, hai incontrato P., dove hai incontrato P.? non lo so, forze Piazza Grimana, forse vicino a questo...perché non lo so, ho quest'immagine di Piazza Grimana; ok, va bene, comunque sei andata con lui alla tua casa, ok, va bene, come hai aperto? Non lo so ho chiavi della mia casa hai aperto la casa, ok, sì, e poi che hai fatto? Non lo so , ma è andata lui ...era lei già là? Non lo so, ok va bene, in qualche modo lei arriva o era già là? Ok, chi era là con te, non lo so, c'era soltanto lui o c'era anche R., non lo so. C'era il fatto che... e questo sempre anche quando il PM è venuto, perché lui mi chiedeva: ma scusa non capisco, non c'è senso. Hai sentito questo rumore, per esempio, delle urla? No, ma come non hai sentito urla? Non lo so, forse avevo le orecchie tappate. Quindi, è sempre questo non lo so, forse, immaginare."

Ad una successiva contestazione, il presidente osservava che "Scusate, per favore, però su questo l'imputata dice: sulla base di questi elementi, io ho cercato di ricostruire la scena che poteva essersi verificata. Ecco in questi termini, non perché...ma ha elaborato mentalmente e con l'immaginazione, questo a me è sembrato di capire, come la scena poteva essersi verificata, con questi elementi ai quali ci si era progressivamente avvicinati. Questo era."

L'imputata chiosava l'osservazione del Presidente dicendo: "Certo, esatto". K., nel prosieguo dell'esame riferiva che "la confusione è venuta perché io non capivo, prima cosa, perché la polizia mi trattava così, poi perché loro, quando ho spiegato che io stavo con R. tutto il tempo, loro dicevano: no sei una bugiarda, c'era sempre questa cosa di ...io o sono una bugiarda o non ricordo. Quindi, il fatto che io ripetevo , ripetutamente, sempre la mia storia e loro dicevano no, tu vai in carcere adesso, se tu non dici la verità e io dico non, sì ho detto la verità, no sei una bugiarda, adesso vai in carcere per trent'anni perché o sei una stupida bugiarda o hai dimenticato, e se hai dimenticato devi per forza adesso ricordare per bene quello che è successo, e questo è perché ero confusa, perché non capivo, non capivo perché, non capivo più niente, perché in quel momento avevo così paura, ero impressionata da questa cosa, che a un certo punto ho pensato, cavolo, forse toro hanno ragione, forse io ho dimenticato".

L'imputata proseguiva riferendo che "il fatto di questo è che io ero portata proprio a credere che in qualche modo io ho dimenticato una realtà e, quindi, con questa idea che ho dimenticato, avevo anche io...ero quasi convinta anche io che in qualche modo veramente ho dimenticato e che quest'immaginazione, che io proprio mi sforzavo di immaginare, erano veramente i ricordi persi. Quindi, io non ero sicura se queste immaginazioni erano realtà o no. Ma, spiegando questo ai poliziotti, loro non volevano ascoltare il fatto che io non ero sicura. Loro mi trattavano come in qualche modo ho ricordato tutto e tutto stava bene e che io potevo fare da testimone in tribunale contro una persona, per accusare una persona. Io non sentivo sicura di questa, non sentivo..."

(...)

" Io non sapevo come spiegare nemmeno dentro me stessa, perché avrei avuto anche queste immagini, perché non sapevano se erano ricordi o no. Quindi, volevo dire che, sì, ho fatto queste dichiarazioni che loro mi hanno chiesto di firmare e tutto quanto, ho fatto questo, ma volevo in questo memoriale spiegare questo dubbio, questo fatto che non ero sicura, perché nessuno mi voleva sentire quando ho detto guarda, non lo so".

Circa la confusione tra immaginazione e realtà nel ricordo delle situazioni di fatto, l'imputata riferiva di "no, non avevo mai questo problema, ma allo stesso tempo non ero mai interrogata in questo modo".

Il PM contestava il contenuto del memoriale del 7/11/2007 in cui la imputata si esprimeva nel senso che "non ho mentito quando ho detto che pensavo che l'assassino fosse P.. In quel momento ero molto stressata ed ho veramente pensato che fosse lui l'assassino. Ma ora ricordo che non posso sapere chi è l'assassino, perchè io non sono tornata a casa", L'imputata rispondeva riferendo che "Sì, perché ero convinta che in qualche modo io avrei potuto dimenticare. Quindi, in quel momento... ". Il PM chiedeva, "che poteva essere vero quello che diceva?" e la donna riferiva che "Sì, che poteva essere vero, ma in quel momento. Poi quando io ho potuto ripensare sui fatti, era più chiaro che non c'era senso, che era proprio ridicolo quello che ho pensato, che ho immaginato.

(...)

"Alla Questura ho proprio detto io guarda, non sono sicura, e loro non volevano sentire, non volevano ascoltare perché mi ha detto no, ti ricorderai dopo, devi soltanto avere il tempo per ricordare per bene questi fatti. Io ho detto non, non penso che è così, ma non volevano ascoltare".

(...)

Secondo me dipende dalla situazione, io posso parlare soltanto della mia esperienza, che era io dovevo...mi sforzavo proprio, perché loro dicevano che dovevo ricordare qualcos'altro, di ricordare qualcos'altro. Quindi, mi sforzavo così tanto che provavo ad immaginare che fosse la realtà che avrei dimenticato, poi mi confondevo se la cosa che io ho immaginato veramente era un ricordo o un'immaginazione, perché erano frammenti. Quindi, erano soltanto immagini che, immagino, ho visto nella mia vita. Per esempio, piazza Grimana l'ho vista tutti i giorni, P. l'ho visto quasi tutti i giorni, Queste cose che erano frammentate, che non sapevo se appartenevano a quella sera, in quella..., seguendo quello svolgimento di ragionamento. Non sapevo e quindi, non sapendo qual'era la realtà, qual'era la mia immaginazione, questo stato di confusione".

Sulla presenza dell'interprete durante l'interrogatorio del 5/11/2007. la donna riferiva che "era un colloquio in due proprio, lei stava qua, ma ... lei aveva sempre questa conversazione proprio nelle mie orecchie, dicendo allora dai smettila, dici la verità perché io voglio andare a casa. Dai forse non ricordi, quindi sempre questo, non è che traduceva quello che dicevano loro. Sì, faceva anche quello, ma sempre si parlava nell'orecchio così. (...) ...mi hanno chiesto che immagini? Io... forse immagini questo? E allora hanno detto ok, scriviamo così e poi tu dici se va bene o no. Quindi loro scrivevano dicendo ok, tu hai incontrato P. a piazza Grimana, per esempio, tu hai visto questo, tu hai tappato le orecchie, io va bene, va bene. (...) Loro mi hanno chiesto se ho sentito un urlo di M.. Io ho detto di n. e loro mi hanno chiesto: ma come sarebbe che non hai sentito lei urlare, mentre lei era stata uccisa? Io non so perché loro mi hanno chiesto domanda, ma io ho risposto di n. e loro mi hanno detto come sarebbe? E io ho detto forse avevo le orecchie tappate".

Circa il memoriale scritto K. riferiva che "per me era importante dire la verità delta situazione, non è che io sono entrata in Questura per dire queste cose della mia volontà, era contro la mia volontà, che poi... che sono stata proprio confusa, il fatto del dubbio, il fatto di confusione, il fatto che io non... non capivo come mi sono trovata in quella situazione, quindi il fatto che volevo dire la verità, che io... della situazione, perché...".

Al fascicolo del dibattimento venivano anche acquisiti, con l'accordo delle parti, tutti verbali delle informazioni testimoniali rese dalla K. e citati nelle imputazioni, nonché le trascrizioni degli esami dei testi indicati dal Pm e assunti nel procedimento di primo grado in Perugia, nell'ambito del dibattimento per il processo principale di omicidio.

All'udienza del 3/9/2015 venivano esaminati alcuni testi, in parte comuni al Pm ed alla difesa.

F.R., ispettore capo della Questura di Perugia, riferiva i momenti salienti dell'indagine per l'omicidio di M.K. e in particolare le attività compiute con la partecipazione di A.K..

L'ispettore si era occupato di assumere sit dalla K., nei giorni del 2, 3 e 6/11/2007. Quanto al primo verbale. la teste riferiva che l'attività di sit era durata circa quattro ore, mentre il secondo molto meno, ed il verbale del 6/11 iniziato alle ore 1.45 era stato preceduto da un colloquio con la K., per poi essere iniziato ed interrotto allorché la ragazza aveva fatto riferimento a P.L. come autore del delitto su cui si stava indagando. L'attività di assunzione di sit era durata circa due ore. dipoi le dichiarazioni stesse erano state confermate davanti al PM con verbale iniziato alle ore 5.45, per una quindicina di minuti circa.

Sul punto, va osservato come le dichiarazioni rese nel primo verbale, ma anche quelle del secondo verbale del 6/11, siano state ritenute non utilizzabili dalla Corte di Cassazione (con provvedimento acquisto agli su richiesta della difesa), in sede cautelare, perché la ragazza doveva essere sentita con le garanzie riservate agli indagati sin dall'origine, atteso che sostanzialmente tale era da ritenere, attesi gli sviluppi investigativi via via maturati, e non come semplice teste.

Di seguito, tale rilievo impone di evidenziare come le attività di indagine, per quanto emerge dalla relativa documentazione e per come descritte dai numerosi testi esaminati, compresa la F., si fossero caratterizzate da molteplici condotte operative, ma anche da singolari omissioni, del tutto irrituali, in fase di documentazione di quelle: oltre al mancato rispetto della procedura relativa all'assunzione di informazioni da soggetto già indiziato, per come constatato dalla Corte di Cassazione, tutti i verbali erano mancanti dell'orario di chiusura, dell'attività; due degli interpreti, D. e C., erano impiegati civili della Questura, colà in servizio come interpreti, e D. - utilizzato pur esso come interprete, per la sua personale conoscenza della lingua inglese - era, di più, un assistente capo della Questura, direttamente appartenente, cioè, al personale preposto alle indagini; alcune affermazioni della teste F. non sono rappresentate a verbale del 6/11/2007 ore 1.45, come ad esempio, la circostanza di aver ricevuto da una collega la notizia che R.S., fidanzato della ragazza e separatamente sentito in contemporanea, non aveva più sostenuto l'alibi della ragazza, riferendo che questa intorno alle ore 20.30 dell'1/11/2007 aveva lasciato casa sua, fatto, invece, contestato alla K. durante l'assunzione dell'atto medesimo; così come altrettanto omessa è, nello stesso verbale, la circostanza relativa al telefono di K., che è stato preso da un collega della F., esaminato e rammostrato alla stessa, in relazione ad un messaggio ricevuto e scambiato con P.L., senza un formale provvedimento di sequestro da adottare nei confronti di una persona nei cui confronti evidentemente si nutrivano già gravi ragioni indiziarie; tutti i pv di sit e le dichiarazioni spontanee rese al PM sono molto brevi, a fronte di attività indicate come durate, in alcuni casi, anche alcune ore, dai testi medesimi e dalla F. in particolare.

Tale approssimazione, che non soddisfa il canone della sintesi nella redazione dei verbali, ha finito, inevitabilmente, per non rappresentare fedelmente l'attività svolta nei suoi dettagli. Infedeltà che coinvolge anche gli orari di apertura dei verbali o di intervento dei partecipanti, in alcuni casi (si vedano le dichiarazioni dei testi D. e D., che si riportano più oltre).

D.F., assistente capo della Questura, riferiva di ave partecipato in qualità di interprete allo svolgimento dell'atto del 2/11/2007, in quanto conoscitore dell'inglese, e di essere intervenuto dopo due circa l'inizio dell'atto, intono alle ore 17.30. mentre il verbale indica come inizio del medesimo le ore 15.30, con presenza del teste per quell'ora. Verbale in cui, singolarmente, non sono riportare domande e con indicazione che la K. rispondeva a domande solo a pagina 3.

Il teste riferiva di aver condotto la K. per il fotosegnalamento dopo lo svolgimento delle sit.

R.I., assistente capo in servizio presso il Servizio Centrale operativo della polizia, di Roma, riferiva di aver partecipato all'assunzione di sommarie informazioni testimoniali dalla K. la notte del 6/11/2007, ore 1.45.

Rappresentava che la ragazza era stata rassicurata, durante lo svolgimento dell'atto, anche con un contatto fisico (circostanza dapprima esclusa dalla teste F.) e che lui stesso, in particolare, le teneva la mano; gesto, di cui non v'è traccia a verbale, ritenuto, erroneamente, dal teste, commendevole e di umano significato, ma del tutto anomalo ed inopportuno, in sé, e spia tangibile di quegli equivoci procedurali che hanno condotto poi alla sanzione di inutilizzabilità delle dichiarazioni medesime, per vizi rilevati dalla Cassazione citata (assunzione di sit da persona in effetti indagata).

Circa il messaggio che la K. aveva scambiato con P.L., il teste riferiva che la circostanza era stata contestata alla ragazza, fatto che parimenti non risulta a verbale, come già rilevato.

Il teste C., vice capo della Squadra Mobile di Perugia al tempo, riferiva le attività svolte, in particolare della sua partecipazione al verbale del 4/11/2007, senza tuttavia indicare circostanze particolarmente rilevanti o dissonanti dagli altri testi, anche perché il suo ruolo era stato marginale. nell'economia del verbale che interessa.

A.C., funzionario linguistico del Ministero degli interni, con funzioni di interprete presso la Questura di Perugia, riferiva che K. parlava in inglese e che lei aveva tradotto le sue dichiarazioni assunte il 4/11/2007. alle ore 14.45. L'atto era durato circa un'ora. Dopo l'assunzione delle sit, la ragazza si era accomodata in una saletta in compagnia della stessa teste, per ivi rimanere in tale situazione per un certo tempo.

La ragazza aveva steso un memoriale il 6/11/2007, che poi era stato tradotto in equipe, con il contributo degli interpreti che avevano svolto attività nell'occasione, tra cui la stessa teste C.. Veniva mostrato alla teste il memoriale e la sua traduzione, consistente in alcune cartelle stampate da computer, non accompagnate da alcuna verbale di consegna o relazione, non firmate, e la teste riconosceva il lavoro come proprio del gruppo di persone in questione, cui ella stessa aveva partecipato.

D.A., collega della C. e nella medesima posizione lavorativa di questa, riferiva dell'attività dal lei svolta, in relazione al verbale del 6/11, ore 1.45, rappresentando che la sua attività come interprete aveva avuto inizio alle ore 00.30 circa, cioè prima dell'orario di inizio indicato a verbale, di cui non si conosce, come per tutti gli altri, l'orario di chiusura. Ciò risulta essere un ulteriore motivo di inaffidabilità della relativa documentazione, anche circa l'orario di apertura dell'attività svolta.

La teste confermava di aver raccontato alla K. l'episodio di vita personale, che l'aveva vista coinvolta in un sinistro a seguito del quale aveva conseguito la rottura di una gamba, rappresentando alla ragazza, che continuava a sostenere che non rammentava le circostanze su cui era interrogata, di comprendere il suo stato di persona che, al momento, non era in grado di ricordare, come a lei stessa era capitato in quell'occorso. Circostanza, pure questa, non risultante a verbale e che la teste sosteneva di aver narrato per spontaneo senso di solidarietà nei confronti della K..

Nel merito dell'attività investigativa, la teste riferiva che le domande erano svolte per più volte alla K.. come questa ha sostenuto in punto di indefinita ripetizione delle domande che le venivano fatte, specie in relazione alla ricostruzione dei suoi movimenti serali.

La teste riferiva anche che la K. aveva, in un primo tempo, riferito di non aver risposto al messaggio ricevuto dal P.L., pur risultando dal verbale soltanto che la K. aveva dichiarato, al contrario, di aver risposto a P. che si sarebbero visti più tardi. Anzi, la teste confermava che la perifrasi a verbale, see you later, andrebbe intesa come invito ad un del tutto genericamente futuribile incontro, equivalente ad un a presto o simili, piuttosto che ad un invito imminente e certo.

L'esaminata confermava di aver riferito che le dichiarazioni della K. erano ritenute delle bugie, ma riferiva anche che non rammentava se la affermazione, relativa in ispecie alla negazione di aver risposto al messaggio di L. fosse stata espressa di sua iniziativa o perché traduzione di una valutazione degli operanti che stavano conducendo l'interrogatorio. Anche tale circostanza, per quanto esposta con perplessità circa la riferibilità della qualificazione in questione, segnala comunque la condizione dell'interprete non indifferente, che soffre inevitabilmente della contaminazione anomala del suo ruolo con il coinvolgimento quantomeno emotivo determinato dalla colleganza con gli operatori di PG che in quel momento stavano svolgendo l'attività di indagine.

All'udienza del 7/9/5015 venivano esaminati altri testi del Pm, alcuni dei quali comuni anche alla difesa.

Il dott. M., all'epoca dei fatti pubblico ministero che aveva condotto le indagini, riferiva il loro avvio e lo svolgimento successivo.

Quanto al verbale di dichiarazioni spontanee della K. confezionato in sua presenza il 6/11/2007, alle ore 5.45, il teste riferiva che alle ore 23.30/24, circa, del 5/11/2007 egli era stato chiamato dal dott. P., della Squadra Mobile della Questura di Perugia, il quale gli aveva comunicato come R.S. non avesse più confermato l'alibi della K., prospettandogli la necessità di sentire la ragazza.

Successivamente, alle ore 3.30, circa, del 6/11/2007, gli veniva riferito che la ragazza aveva accusato dell'omicidio P.L. e, quindi, si recava personalmente a sentire la K. presso la Questura, procedendo così a verbalizzare le spontanee dichiarazioni delle ore 5.45.

Il verbale di sit delle ore 1.45 era stato sospeso, ma senza che fossero stati dati avvisi difensivi all'indiziata. Poi era stato compilato un processo verbale di spontanee dichiarazioni alla sua presenza, senza che fosse stata contestato alcunché, per come risulta a verbale, e l'attività era durata circa mezz'ora.

Il teste confermava che l'ispettore R. aveva abbracciato la ragazza e l'aveva accarezzata, mentre questa stava facendo dichiarazioni accusatorie nei confronti di L., tenendo un atteggiamento di tenerezza che aveva colpito il magistrato in senso positivo. A sua volta, anche la K. aveva abbracciato l'ispettore.

Successivamente, alle prime ore del mattino, era stato disposto il fermo di K., S. e L..

Non era stata concordata con la PG un particolare atteggiamento aggressivo che dovesse sfociare in una pressione nei confronti delle K., pur ritenendo che le versioni dei fatti offerte dalla stessa non fossero attendibili, per le incongruenze che presentavano.

Non risultava al teste che fossero stati aperti procedimenti a carico dei funzionari di PG per le dichiarazioni rese dalla K. sul loro conto e che ora le sono attribuite come calunniatorie.

M.N., responsabile della sezione omicidi della Questura di Perugia, riferiva di aver coordinato le indagini relative all'omicidio di M.K.. unitamente al suo collega P., In particolare erano stati sentiti numerosi testimoni nell'immediatezza dei fatti ed ella, il 4/11/2007, aveva partecipato all'assunzione di informazioni da A.K..

La ragazza era stata trattata bene ed era stato esaudito ogni suo desiderio relativo all'assunzione di bevande o cibo.

Quanto alle informazioni assunte la notte del 6/11/2007, era stata lei stessa a comunicare alla collega F.. che stava sentendo la K., l'esistenza di un messaggio telefonico rinvenuto sul cellulare della donna e relativo all'incontro con L..

La teste Z.L., della Questura di Perugia, aveva partecipato all'assunzione di informazioni dalla K. la notte del 6/11/2007, alle ore 1.45.

Alle ore 22/22.30 circa del 5/11/2007, A.K. era giunta in Questura unitamente a S.R., che era stato convocato per rendere dichiarazioni testimoniali. Nell'attesa, era stata la stessa teste a raccogliere alcune informazioni dalla ragazza, circa numeri di telefono ritenuti rilevanti per il prosieguo delle indagini. Successivamente, era giunta la notizia secondo cui S. non stava più confermando l'alibi della K., che sosteneva di essere rimasta a casa del fidanzato per la serata intera del 5/11/2007. Quindi, a fronte di tale novità investigativa, era stata chiamata l'interprete A.D., che era giunta in Questura alle ore 00.00/00.30 del 6/11/2007, interrompendosi così il colloquio tra la teste e la ragazza, peraltro, non verbalizzato. Il colloquio veniva poi ripreso alla presenza dell'interprete, allorchè questa era giunta in Questura, ma con inizio della verbalizzazione alle ore 1.45.

Il verbale in questione contiene le indicazioni relative alla persona di L. e le accuse generiche rivolte verso il medesimo ("Faccio fatica a ricordare quei momenti, ma P. ha fatto sesso con M. (...). Ricordo confusamente che l'ha uccisa lui"), ma non contiene quanto riferito dalla teste durante il suo esame, né la descrizione delle modalità con cui si era giunti ad acquisire quelle informazioni.

La teste riferiva che la D., l'interprete, aveva un atteggiamento da lei stessa definito materno nei confronti della K., tanto che le aveva anche posto una mano sulla spalla.

Venivano, quindi, acquisiti i verbali delle attività di indagine rilevanti per questo processo, in quanto citati nelle imputazioni, compreso il provvedimento di fermo del PM ed il verbale della sua esecuzione, nonché i provvedimenti della Corte di Cassazione pronunciati in sede cautelare e, su supporto informatico, anche le sentenze di primo e secondo grado di Perugia e il primo annullamento con rinvio della Cassazione, nonché le trascrizioni dei testi del processo di primo grado di Perugia, che le parti avevano concordato di acquisire. Infine, all'udienza di oggi, veniva acquisita anche la sentenza di annullamento senza rinvio della Corte di Cassazione, del 7/9/2015, che aveva reso definitiva l'assoluzione della imputata per l'omicidio della K. ed i reati connessi.

Ai fini della loro disamina più analitica, le accuse mosse nei confronti dell'imputata possono essere suddivise in due gruppi di condotte.

Le une relative a quanto sarebbe stato compiuto da appartenenti alla PG, materialmente descritte nei due capi di imputazione; le altre riferibili al pubblico ministero titolare delle indagini, che viene rappresentato dall'accusa come colui che dalle dichiarazioni della K. risulterebbe essere stato da questa indicato come l'ispiratore delle prime condotte, per averle genericamente suggerite.

In questa prospettiva, la prova della fondatezza dell'accusa non si ritiene sufficiente, per quanto riguarda il primo gruppo di condotte; mentre, per il contegno riferibile al pubblico ministero procedente, va concluso nel senso che il fatto non costituisce reato.

Il contesto investigativo, come ricostruito dai verbali delle attività di indagini, dalle testimonianze assunte e dai documenti acquisiti, in ispecie le sentenze, si segnala come non incompatibile con quanto affermato dalla ragazza.

Difatti, le attività di indagine svolte nell'immediatezza del delitto K., e che hanno coinvolto direttamente la K., sono connotate da numerose irritualità procedurali specifiche, come già segnalato, che hanno finanche condotto alla dichiarazione di invalidità degli atti stessi (si veda sul punto la sentenza Cassazione I Sezione 1/4/2008, che ha dichiarato, in sede cautelare, la inutilizzabilità dei verbali 6/1/2007, ore 1.45 e 5.45, poiché le relative dichiarazioni erano state assunte "senza le garanzie difensive da parte di una persona che aveva già formalmente assunto la veste di indagata").

Nel dettaglio, oltre quanto appena cennato e che rappresenta le conseguenze sanzionatorie più gravi dei vizi degli atti indicati, i difetti delle attività di rilievo hanno anche reso i verbali stessi inaffidabili quanto all'indicazione dell'inizio dell'attività documentata, alla presenza dei soggetti partecipi, alla fine delle attività compiute - mai indicata, poiché nessun verbale contiene l'orario di chiusura del medesimo.

Gli esempi più chiari di tali difetti sono quelli relativi al pv del 6/11/2007, il cui inizio è indicato alle ore 1.45, mentre l'interprete ha riferito di aver iniziato la propria attività intorno alle ore 0.30; nonché al pv del 2/11, allorché è data presenza di D., che invece era intervenuto due ore dopo l'inizio dell'attività, indicata alle ore 15.30. per quanto da lui stesso riferito in udienza durante il suo esame. Si veda anche quanto chiosato a immediato commento della testimonianza F..

Ma sono risultate irrituali anche la scelta, del tutto inopportuna, degli interpreti. Essi sono stati individuati tra soggetti appartenenti alla stessa Questura di Perugia e. quindi, posti, forzosamente, in una condizione di comprensibile consonanza professionale nei confronti dei colleghi che stavano procedendo alle immediate indagini per il delitto di omicidio. Posizione che si è poi tradotta, per di più, nell'assunzione di un contegno emotivamente tendente all'empatia, almeno apparente e tale da farlo a lei così percepire, nei confronti della K.. Ciò capitava in un contesto delicatissimo, oltre che per le indagini - rispetto alle quali le dichiarazioni salienti dell'indagata sono risultate giustappunto non utilizzabili -, anche per la sua stessa posizione di sostanziale ed effettiva indagata.

Tale ambiguo stato di soggetto ausiliario di PG ed. al contempo, di appartenente al corpo investigativo, è poi tralignato anche in atteggiamenti di materno ed affettuoso trasporto (ci si riferisce al comportamento, certamente non richiesto - e non a caso -, da alcuna procedura e, perciò, quantomeno anomalo, degli interpreti D. e C., nonché, e finanche, dell'ispettore R., contegno da loro stessi descritto durante l'esame testimoniale e cui si rimanda, anche per un immediato commento). Il sentimento di spontanea solidarietà espresso dalla interprete D., era affatto richiesto dall'unico protocollo di riferimento utile e ammissibile nella circostanza, cioè il codice di procedura penale ed il suo apparato di attuazione e regolamentare, e fa il paio con l'altra anomalia della stessa indole, relativa alla tenuta della mano della ragazza da parte del teste R.. Anomalia che è figlia diretta dell'originaria, rappresentata dalla circostanza che l'interprete, inopportunamente, non era stata prescelta in un contesto indifferente ed estraneo, come un qualunque interprete che svolge attività nel procedimento penale deve essere, proprio all'evidente ed elementare fine di evitare contaminazioni che si riverberino sulla tenuta professionale dell'ausiliario. Questi, se non è estraneo agli interessi coinvolti - della parte sentita e dell'autorità investigativa -, è inevitabilmente, anche in maniera inconsapevole, portato ad assumere contegni di vicinanza, anche solo emotiva, ad interessi di parte: pubblici, se investigativi, privati, se della persona coinvolta. Di contro, la sua estraneità al contesto investigativo e privatistico ne garantisce la professionalità, da esercitare nella maniera la più trasparente.

Circostanze tutte, queste rammentate, che, del tutto comprensibilmente - evidentemente, anche quale segno della consapevolezza della loro irritualità non risultano in alcun verbale.

Tuttavia, esse sono state esposte e, finanche, sottolineate più volte dai testi esaminati, al palese scopo di segnalare il corretto, anzi, buon trattamento riservato alla K.. Con ciò i testi e le parti civili hanno inteso, verosimilmente, introdurre un argomento di riscontro alle loro dichiarazioni, negative delle accuse espresse dall'imputata nei loro stessi confronti. Ma non ci si è resi, probabilmente, conto - circostanza anche questa altrettanto singolare -, che, in un contesto professionale del genere, runico attento approccio richiesto verso la K.. anzi, imposto, era proprio quello di rendere edotta l'indagata dei suoi diritti di difesa, dichiarati inviolabili, non a caso, dalla nostra Carta Costituzionale (art. 24). Ciò per l'evidente e scolastico motivo che si trattava di soggetto che doveva essere posto nelle condizioni di difendere, inviolabilmente, la propria libertà personale a fronte del potere autoritativo delle Stato, poiché questi, in quel frangente, ne aveva già individuato, per il tramite degli investigatori, la sua condizione di indagata.

Il diverso metodo, eterodosso, per quanto apparentemente edulcorato, adottato dagli investigatori e dai loro ausiliari, gli interpreti, certo non fa da elegante contrappunto consonante - ma vi confligge, di contro, insanabilmente -, con l'immediata successiva carcerazione della donna: questa, giusto poco prima, pur in presenza di elementi indiziari a suo carico, era stata trattata, appunto, con fare materno o con amichevole affetto.

Anche tale risvolto, che certamente qualche imbarazzo deve aver creato, almeno all'interessata, andava evitato, sempre a monte, non lasciandosi, i protagonisti, andare ad atteggiamenti di solidarietà nei confronti di un soggetto in istato di inferiorità, finanche più propriamente emotiva, nel contesto investigativo dato. Ciò all'evidente fine di salvaguardarne la dignità personale, che - va sempre rammentato e lo si ripete -, è quella di un soggetto al cospetto dell'autorità che procede nei suoi confronti ed i cui diritti fondamentali vanno tutelati, proprio al fine di impedire prevaricazioni dell'autorità medesima, magari con modalità oblique e surrettizie. Questo, infatti, è lo scopo e lo spirito precipuo e di fondo delle regole processuali vigenti, sin dalle prime batture delle indagini. Non trattamenti amichevoli, amorevoli o materni, dunque, erano dovuti - e neppure consentiti, per le ragioni appena cennate -, ma solo il rispetto dei diritti strumentali di difesa, qualificati come inviolabili per la loro natura servente rispetto alle situazioni soggettive sostanziali primarie implicate nella relazione tra autorità statuale e soggetto che si imbatta in un procedimento penale.

Tali situazioni sono quelle relative alla libertà personale, come diritto fondamentale e parimenti inviolabile della persona (art. 13 Costituzione), che rappresenta diretto precipitato logico e giuridico del riconoscimento dei diritti fondamentali dell'uomo, come singolo e nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità (art. 2 Cost.). Situazioni tutte riconducibili anche al riconoscimento ultimo della pari dignità delle soggettività personali - anche nel contesto in discussione ed intese come sommatoria di diritti e di doveri -, rispetto all'autorità statuale (art. 3 Cost).

Di più, tale sistema di situazioni soggettive ed intersoggettive sostanziali, involge in sé anche i rapporti generali tra Stato e cittadino, in un'ottica che rifugge dall'autoritarismo, improntato, invece, ad uno schema di unilaterale preminenza statuale, variamente giustificato.

Il quadro d'insieme così delineato è reso con estrema chiarezza dalle disposizioni costituzionali citate, cui va aggiunta quella di cui all'art. 111. Essa conferisce senso compiuto alla relazione individuo/autorità statuale, nello specifico accidente relativo alla gestione del processo penale. Questa richiede soltanto il riconoscimento ed il rispetto di tali situazioni giuridiche, in funzione dell'ulteriore rispetto, oltre che delle soggettività individuali, anche della trasparenza nei rapporti Stato/individuo.

Di qui l'ulteriore corollario sistematico, derivante dal rifiuto di un'impronta autoritaria della relazione di cui si discorre, evidenziato finanche dalla scelta di rendere effettivo l'accollo del rischio di liberare un colpevole, piuttosto che condannare un innocente, per come emerge dall'art. 27/2 Cost. Ciò che implica sicuro affidamento nelle regole condivise, che devono essere stimate e praticate come cogenti da chiunque, anche tutti gli attori principali del processo penale.

Ne deriva, ulteriormente, la necessità di rifuggire, di contro, ogni ipocrisia, consistente nella solo formale adozione di regole destinate ad essere, in realtà, trasgredite ad libitum da taluno dei protagonisti, quelli pubblici, sia pure in modo soave e apparentemente non violento, nonché sotto la giustificazione del perseguimento dell'interesse pubblico, in questo caso, alla repressione dei delitti. Simulazione, quest'ultima. che non farebbe che riesumare, nella sostanza, il carattere autoritario della relazione procedurale in discussione, solo formalmente ed apparentemente instradato sulle corrette vie opposte, in realtà neglette.

Nel concreto, tutto quanto illustrato sarebbe stato certamente compromesso, complessivamente, da un contegno degli investigatori e dei loro ausiliari che si fossero lasciati andare a improvvisate e fuorvianti manifestazioni di emotività. In quanto tale, esso comportamento è non controllabile ed equivoco, di per sé frutto ed al tempo stesso fonte di determinazioni arbitrarie e, quindi, discriminatorie, nelle situazioni da gestire, inconciliabili con i principi di eguaglianza e di pari dignità umana. Quindi, tale contegno, conduce inevitabilmente anche alla violazione delle situazioni serventi riconducibili al diritto di difesa e segnala il mero, ma sterile - come si è in definitiva rivelato -, perseguimento di un interesse pubblico, ritenuto - in maniera discutibile, per quanto detto -, preminente: il perseguimento del delitto, stimato nella contingenza dominante, ad ogni costo, rispetto ad ogni altro scopo. Ne conseguirebbe la frustrazione finale del principio informatore espresso dalla cd presunzione di non colpevolezza.

Ciò, in effetti, è, indiscutibilmente, accaduto nel caso di specie.

Solo il rispetto delle regole tutte che governano le indagini era richiesto, e non altro, mentre si sono travalicati tali limiti, determinando contaminazioni delle procedure, che hanno condotto finanche alla loro invalidità, dichiarata in sede di legittimità.

Nel decidere la causa, ci si trova, quindi, di fronte a due fonti probatorie, le dichiarazioni della K. e quelle dei testi di accusa, confliggenti fra loro, poiché quella afferma, i secondi negano; ma le prime sono anche accompagnate da numerosi altri elementi di prova di fatti secondari ed indiretti, che per la loro natura e consistenza affievoliscono, sotto il profilo argomentativo, la capacità dimostrativa della fondatezza delle accuse nei confronti dell'imputata. Per tale ragione, le prove a carico disponibili richiederebbero, al fine di superare l'aporia determinata dalla disponibilità di fonti contrapposte e contraddittorie, la disponibilità di riscontri alle dichiarazioni puramente negative dei testi, che perlopiù sono anche persone offese, quasi tutte costituite anche parti civili, quindi direttamente interessate alla vicenda ed alla sua risoluzione orientata in senso a loro favorevole.

In punto di delibazione delle dichiarazioni che si oppongono, si segnala, condividendone il contenuto, quanto riportato dalla Corte di Assise di Appello di Perugia nella sentenza del 3/10/2011, fgl. 30 e ss. circa il contesto investigativo delineato. La Corte rappresentava che:

"Per valutare la reale portata delle dichiarazioni "spontanee" e del memoriale, scritto praticamente subito dopo, occorre tener conto del contesto nel quale sono state rese le prime e redatto il secondo.

La durata ossessiva degli interrogatori, portati avanti di giorno e di notte, condotti da più persone nei confronti di una ragazza giovane e straniera, che all'epoca non comprendeva né parlava affatto bene la lingua italiana, ignara dei propri diritti, privata della assistenza di un difensore, al quale avrebbe avuto diritto essendo ormai di fatto indagata per delitti tanto gravi, ed assistita, per di più, da una interprete che anziché limitarsi a tradurre la induceva a sforzarsi di ricordare, spiegando che, forse a causa del trauma subito, era confusa nei ricordi, rende del tutto comprensibile che ella si trovasse in una situazione di notevole pressione psicologica - che definire di stress appare riduttivo - tale da far dubitare della effettiva spontaneità delle dichiarazioni.

Spontaneità singolarmente insorta in piena notte, dopo ore ed ore di interrogatorio: le cosiddette spontanee dichiarazioni sono state rese alle ore 1.45 (piena notte) del 6/11/2007 (giorno successivo a quello in cui era iniziato l'interrogatorio) ed ancora alle 5.45 successive ed il memoriale è stato redatto poche ore dopo.

Per dimostrare che A.K. in Questura, nei giorni successivi all'uccisione di M., non era affatto turbata sono state richiamate le deposizioni di alcuni funzionari di Polizia e delle altre ragazze là convocate: A. e R. - a loro dire - si scambiavano delle effusioni e A., addirittura, nell'attesa si era esibita in qualche manovra ginnica.

In realtà, però - a parte il fatto che le effusioni, semplici tenerezze di due innamorati, potevano essere anch'esse un modo per confortarsi a vicenda ed a parte il fatto che le stesse esibizioni ginniche potevano essere anch'esse un modo per esorcizzare il clima certamente di ansia e di paura che aveva coinvolto tutti, un modo per ritrovare quella normalità quotidiana stravolta dall'accaduto - a parte tutte queste considerazioni, va osservato che tali deposizioni si riferiscono all'inizio della presenza in Questura e non già a tarda notte (1.45 e 5.45) quando le dichiarazioni cosiddette "spontanee" sono state rese: il che, al contrario dell'assunto accusatorio, sta a dimostrare che A.K., che all'inizio non aveva ragione di essere intimorita, è entrata in uno stato di oppressione e stress proprio in seguito all'interrogatorio ed alle sue modalità.

Il PM, evidentemente per sostenere l'assoluta legittimità della verbalizzazione delle cosiddette dichiarazioni spontanee, all'udienza del 13/3/2009 ha chiesto alla signora D. (interprete presente al momento delle "spontanee" dichiarazioni ma citata per detta udienza in qualità di teste: " le risulta che A.K. abbia chiesto all'inizio che venissero verbalizzate anche le domande ...le risulta che abbia chiesto che venissero verbalizzate domande e risposte in lingua madre, cioè in inglese oltre che in italiano?"

Domande alle quali la signora D. ha risposto in modo negativo.

Ma forse che da una ragazza ventenne, sottoposta ad interrogatorio per ore da parte della Polizia, si poteva pretendere la prontezza e lucidità, il coraggio, addirittura, di formulare tali richieste o, prima ancora, di ipotizzare una sua facoltà di formularle?

Al di là dell'aspetto formale, il contesto nel quale sono state rese quelle dichiarazioni era chiaramente caratterizzato da una condizione psicologica divenuta per A.K. davvero un peso insopportabile: la teste D. riferisce di un vero e proprio shock emotivo di A.K., verificatosi al momento in cui venne fuori la storia del messaggio scambiatosi con L..

Ora, poiché L. era davvero estraneo all'omicidio, lo shock emotivo non può essere considerato determinato dall'essersi vista scoperta (in che cosa, nell'aver scambiato un messaggio con persona che con il delitto non c'entrava nulla?), ma piuttosto dall'avere ormai raggiunto il massimo della tensione emotiva.

In quel contesto, è comprensibile che A.K., cedendo alla pressione ed alla stanchezza, abbia sperato di mettere fine a quella situazione, dando a coloro che la stavano interrogando quello che, in fondo, essi volevano sentire dire: un nome, un assassino.

Ma perché proprio P.L.? Perché la Polizia aveva trovato sul telefonino di A.K. il messaggio da lei inviato la sera del 1 novembre a costui, "ci vediamo dopo", che poteva anche significare l'intenzione di vedersi effettivamente dopo per andare da qualche parte, magari nella casa di Via della Pergola. Donde le domande insistenti su quel messaggio, sul significato di quel messaggio e sul suo destinatario,

Dando quel nome "in pasto" a coloro che la stavano interrogando così duramente, A.K. sperava, verosimilmente, di porre un fine a quella pressione, ormai dopo lunghe ore un vero tormento, mentre aggiungere dei particolari, costruire una breve storia intorno a quel nome non era certo particolarmente difficile, se non altro perché molti particolari e molte illazioni erano apparse già il giorno successivo su molti giornali e circolavano comunque in città, considerate le modeste dimensioni di Perugia.

D'altra parte, la stessa articolazione del racconto, contenuta non solo nel verbale di spontanee dichiarazioni, ma anche nel memoriale redatto subito dopo, appare piuttosto la narrazione confusa di un sogno, sia pure macabro, che non la descrizione di una vicenda davvero accaduta: il che conferma lo stato in cui si trovava A.K. nel momento in cui rese le spontanee dichiarazioni e scrisse il memoriale ed esclude che finalità delle une e dell'altro potesse essere quella di tacere il nome dell'effettivo autore del delitto, in ipotesi a lei noto in quanto concorrente con quello di R.G..

Non è, infatti, niente affatto logico ipotizzare che A.K., se effettivamente concorrente nel delitto, potesse sperare che fare il nome di P.L. - che in tale caso avrebbe dovuto sapere essere del tutto estraneo e lontano, finanche fisicamente, dal teatro del crimine - potesse in qualche modo giovare alla sua posizione, essendo, semmai, per lei più agevole indicare il vero autore del delitto, pure ribadendo la propria assoluta estraneità: in fondo, ella abitava in quella casa e trovarsi al momento del delitto all'interno della propria stanza, magari davvero intrattenendosi con R.S., come ritenuto dalla Corte di Assise di Perugia di primo grado, sarebbe stata circostanza del tutto normale, tale da non comportare certo la responsabilità per un delitto commesso da altri nella stanza accanto.

Dunque, per A.K., qualora si fosse trovata all'interno della casa di Via della Pergola al momento dell'omicidio, la via più agevole per difendersi sarebbe stata quella di indicare il vero autore del delitto, comunque presente all'interno della casa, perché questo l'avrebbe resa credibile, e non invece indicare un soggetto del tutto estraneo, che ella non aveva alcuna ragione di sperare privo di alibi, sì da non poter smentire il racconto da lei fornito alla Polizia.

Ritiene, dunque, questa Corte che A.K. abbia indicato in L. l'autore del delitto soltanto perché in quel momento, avendo coloro che la stavano interrogando insistito sulla spiegazione del messaggio a lui inviato, le apparve come la via più breve ed agevole per porre fine alla situazione in cui si trovava.

Da qui deriva che, per quanto concerne l'omicidio, non solo non possono essere utilizzate le dichiarazioni "spontanee", ma in realtà neanche il memoriale scritto successivamente, dal momento che, benché utilizzabile sotto il profilo processuale, non merita attendibilità sotto quello sostanziale, non rappresentando il reale accadimento della vicenda.

A parte che in tale memoriale A.K. non indica, comunque, né lei stessa, né R.S. come autori del delitto, ma scrive di una confusione totale, di non essere in grado di ricordare quanto le viene richiesto, unica cosa sicura la estraneità al delitto sua e di R.S.. (fgl. 30 e ss. Sentenza citata).

La Cassazione (I Sezione 26/3/2013), in sede di primo annullamento con rinvio, parafrasando gli apprezzamenti della Corte di Assise Appello di Perugia citati, in maniera che si condivide, esponeva icasticamente che "a parere della Corte di Appello invece, il nome del L. sarebbe stato dato in pasto agli inquirenti, pur di superare senza ulteriori particolari conseguenze il momento di insopportabile pressione psicologica che si era venuta a creare su di lei, per esasperate insistenze e forzature operate al fine di ottenere indicazioni significative per Io sviluppo delle indagini". In tale contesto, "la giovane con un comportamento estremo fece il nome del L." anche e non " solo per uscire da una situazione di disagio intellettuale dove era stata condotta dall'eccesso di zelo e dall'ingiustificabile intemperanza degli operanti." (fgl. 42 e ss).

Contesto investigativo descritto nei medesimi termini e parimenti stigmatizzato dalla sentenza di annullamento definitivo senza rinvio pronunciata nel procedimento principale: "4.1. Certo, un inusitato clamore mediatico della vicenda, dovuto non solo alle drammatiche modalità della morte di una ventiduenne, tanto assurda ed incomprensibile nella sua genesi, ma anche alla nazionalità delle persone coinvolte (una cittadina statunitense, la K., accusata di concorso nell'omicidio di una coetanea, sua coinquilina nella condivisione di un'esperienza di studio all'estero; una cittadina inglese, M.K., rimasta uccisa in circostanze misteriose nel luogo in cui, verosimilmente, si sentiva più protetta, ossia a "casa sua"), e dunque ai riflessi "internazionali" della stessa vicenda, ha fatto sì che le indagini subissero un'improvvisa accelerazione, che, nella spasmodica ricerca di uno o più colpevoli da consegnare all'opinione pubblica internazionale, non ha certamente giovato alla ricerca della verità sostanziale, che, in problematiche fattispecie omicidiarie, come quella in esame, ha come ineludibile postulato non solo la tempistica, ma anche la compiutezza e correttezza dell'attività investigativa." (CASS SEZ 5, 7/9/2015, K. ed altro).

In tale condivisa prospettiva, e seguendo la premessa metodologica posta - che richiede di apprezzare ragioni di asseveramento delle accuse rivolte all'imputata, oltre alle semplici dichiarazioni dei testi, tutti variamente interessati alla vicenda -, gli elementi di convalida delle dichiarazioni testimoniali a carico dell'imputata mancano.

Il difetto non consente di superare ogni ragionevole dubbio circa la fondatezza delle accuse nei confronti della stessa, per il complessivo materiale istruttorio di cui si dispone e che ha permesso di evidenziare, nei termini descritti, come siano stati condotti gli atti di indagine salienti nel procedimento principale. Questi sono stati caratterizzati da frettolose, quanto inefficaci, strategie investigative, all'evidenza, foriere più di errori, che di risultati accettabili e tecnicamente fruibili.

Non è, pertanto, sufficiente la prova che i fatti non si siano svolti come descritto dalla K., per quanto attiene gli operanti di polizia.

Ma è anche verosimile, dato il suggestivo contesto emerso, che la K. versasse nel convincimento, o nutrisse il - ragionevole - dubbio, di essere vittima di un meccanismo ingiustamente vessatorio e prevaricatorio, da lei descritto - in maniera embrionale ed elementare, ma efficace -, all'udienza di Marzo, quanto alla posizione del magistrato del PM, evidentemente ritenuto l'ispiratore gerarchico ed istituzionalmente preposto dell'azione della PG. Questi era stato da lei, sia pure erroneamente, ritenuto artefice primo ed ideatore del suo stato di soggezione e succubanza. Con la conseguenza che, per questa parte dell'imputazione, il fatto non costituisce reato, essendo il profilo soggettivo - così delineato - del fatto contestato, insussistente, al più riconducibile al dolo eventuale, come tale, incompatibile con il delitto di calunnia.

SI può concludere, quindi, che le scelte investigative praticate abbiano indotto nell'imputata il convincimento, ovvero il ragionevole dubbio, di aver subito una pianificata azione investigativa vessatoria e ingiusta - ciò anche tenuto conto della assoluzione definitiva della K., per non aver commesso il fatto di omicidio attribuitole nel procedimento principale -, alla luce delle modalità complessive di svolgimento degli interrogatori nei suoi confronti.

Manca, quindi, la prova, oltre il ragionevole dubbio, che i fatti non si siano svolte in effetti come narrato dalla ragazza e che questa fosse pienamente consapevole dell'estraneità del magistrato del PM alle modalità di conduzione delle indagini nei suoi confronti.

P.Q.M.
Visto l' art. 530 c.p.p.,

assolve K.A.M. dal reato attribuitole al capo a), perché i fatti non sussistono, e dal reato attribuitole al capo b), perché i fatti non sussistono e perché il fatto non costituisce reato, quanto alle accuse rivolte al dr. G.M..

Motivazione in novanta giorni.

Così deciso in Firenze, il 14 gennaio 2016.

Depositata in Cancelleria il 4 febbraio 2016.