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Valore della testimonianza di parte civile nel giudizio civile di rinvio (Cass. 16916/19)

25 giugno 2016, Cassazione civile

Nel giudizio civile di rinvio ex art. 622 c.p.p. non è consentita l'utilizzazione, alla stregua di una testimonianza, delle dichiarazioni rese dalla parte civile sentita quale testimone nel corso del processo penale, dovendo viceversa trovare applicazione il principio di cui all'art. 246 c.p.c., ai sensi del quale non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

(ud. 18/04/2019) 25-06-2019, n. 16916

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Presidente -

Dott. SESTINI Danilo - Consigliere -

Dott. CIGNA Mario - Consigliere -

Dott. FIECCONI Francesca - Consigliere -

Dott. DELL'UTRI Marco - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTEZA

sul ricorso 19408/2017 proposto da:

M.D., V.M., B.R., M.I., M.P., elettivamente domiciliati in ROMA, P.LE CLODIO 56 QUARTO PIANO INT. 8, presso lo studio dell'avvocato GIOVANNI BONACCIO, che li rappresenta e difende;

- ricorrenti -

contro

MA.MA., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LEONE IX 16, presso lo studio dell'avvocato GIANLUCA CARBONI, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato RAFFAELE CONTE;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 226/2017 della CORTE D'APPELLO di TRIESTE, depositata il 30/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/04/2019 dal Consigliere Dott. MARCO DELL'UTRI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l'Avvocato GIOVANNI BONACCIO;

udito l'Avvocato RAFFAELE CONTE.

Svolgimento del processo
1. Con sentenza resa in data 30/3/2017, la Corte d'appello di Trieste, decidendo quale giudice del rinvio, ex art. 622 c.p.p., a seguito della decisione emessa in sede penale dalla Corte di cassazione (sentenza n. 5069/2013), ha condannato M.I., M.D., B.R., V.M. e M.P., al risarcimento dei danni subiti dalla Ma. a seguito dei reati di lesione personale e di ingiuria commessi (il primo da tutti gli imputati e il secondo dalle sole M.I. e M.D.) ai danni della stessa.

2. A fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato la piena attendibilità delle dichiarazioni rese in sede penale dalla persona offesa, quale testimone, siccome ampiamente corroborate dagli elementi di prova documentale e testimoniale specificamente indicate in motivazione, così pervenendo all'accertamento della responsabilità degli originari imputati (così come in precedenza specificata) e all'entità dei danni subiti dalla Ma..

3. Avverso la sentenza d'appello, M.I., M.D., B.R., V.M. e M.P., propongono ricorso per cassazione sulla base di un unico complesso motivo d'impugnazione, illustrato da successiva memoria.

4. Ma.Ma. resiste con controricorso.

Motivi della decisione
1. Con l'unico motivo d'impugnazione proposto, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per erroneità, contraddittorietà, irrazionalità e manifesta illogicità della motivazione; violazione delle statuizioni della sentenza di rinvio; omesso esame di un fatto decisivo controverso; violazione dell'art. 2697 c.c., e degli artt. 627 e 533 c.p.p. (in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere il giudice del rinvio accertato la responsabilità degli odierni ricorrenti in assenza di elementi di prova certi e inequivocabili, sulla base di un percorso motivazionale del tutto illogico, privo di alcun riferimento agli elementi di prova contrastanti con i contenuti delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, come tali pienamente idonei a infirmarne l'attendibilità.

2. Sotto altro profilo, i ricorrenti evidenziano l'impossibilità, nell'ambito di un giudizio civile, di attribuire alcuna credibilità alla narrazione di fatti a sè favorevoli operata dalla parte attrice, dovendo ritenersi idonee a provare i fatti di causa le sole dichiarazioni testimoniali rese da terzi, nonchè i fatti di natura confessoria a sè sfavorevoli che le parti eventualmente narrino nel corso dell'interrogatorio formale o dell'interrogatorio libero delle parti, tanto in relazione al fatto dannoso in sè, quanto alle relative conseguenze pregiudizievoli, nella specie infondatamente ed erroneamente ricostruite nella sentenza impugnata.

3. Il motivo è fondato nei termini di cui appresso.

4. Osserva il Collegio come la corte territoriale, decidendo in sede di rinvio ex art. 622 c.p.p., (e dunque quale giudice civile competente in grado di appello a seguito di annullamento, da parte delle Corte di cassazione penale, dei capi civili di una sentenza emessa dal giudice penale), abbia giudicato fondata la pretesa risarcitoria originariamente spiegata da Ma.Ma. nei confronti delle controparti, sulla base delle dichiarazioni rese in sede penale dalla stessa Ma. (parte civile costituita nel procedimento penale instaurato nei confronti degli odierni ricorrenti, sentita come testimone), siccome ampiamente corroborate dagli elementi di prova documentale e testimoniale specificamente indicate in motivazione.

5. Tale decisione, valutata nell'insieme dei suoi passaggi argomentativi, riprende e si salda coerentemente con l'indirizzo della Corte di legittimità, ai sensi del quale "il giudizio di rinvio avanti al giudice civile designato che abbia luogo a seguito di sentenza resa dalla Corte di cassazione in sede penale, ai sensi dell'art. 622 c.p.p., è da considerarsi come un giudizio civile di rinvio del tutto riconducibile alla normale disciplina del giudizio di rinvio quale espressa dall'art. 392 c.p.c. e ss." (Sez. III, 9 agosto 2007, n. 17457, Rv. 600508 01). Un indirizzo, nel cui solco si collocano tutte le pronunce di legittimità che, sia pure in relazione alla risoluzione di questioni di natura particolare, confermano, coerentemente alla premessa, la riconducibilità del giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., alla normale disciplina del giudizio di rinvio ex art. 392 c.p.c., e dal suo carattere "chiuso" ai sensi dell'art. 394 c.p.c. (cfr., ad es., Sez. III, 10 aprile 2015, n. 7175, Rv. 635029 - 01; Sez. III, 22 settembre 2016 n. 18595, non mass.; Sez. III, 20 dicembre 2018, n. 32929, Rv. 652072 - 01).

6. In linea con tali premesse, la decisione oggetto dell'odierna impugnazione dichiara di volersi uniformare allo specifico orientamento in passato fatto proprio da questa Corte di cassazione (richiamato dallo stesso giudice a quo), ai sensi del quale - preso atto che la parte civile può legittimamente rendere testimonianza nel processo penale (non esistendo all'interno del processo penale una norma, come l'art. 246 c.p.c., che tale testimonianza preclude), e che tale testimonianza può essere sottoposta al cauto e motivato apprezzamento del giudice, legittimato a fondare la sentenza di condanna anche soltanto su di essa - le dichiarazioni testimoniali rese dalla parte civile conservano il loro valore anche quando, con l'accoglimento del ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato, il solo processo civile prosegua dinanzi al giudice di rinvio, ex art. 622 c.p.p., giacchè in tal caso continuano ad applicarsi, in parte qua, le regole proprie del processo penale e la deposizione giurata della parte civile, ormai definitivamente acquisita, dev'essere esaminata dal giudice di rinvio esattamente come avrebbe dovuto esaminarla il giudice penale se le due azioni non si fossero occasionalmente separate (così Sez. 3, Sentenza n. 13068 del 14/07/2004, Rv. 574569 - 01).

7. L'assegnazione al giudice civile, investito del rinvio ex art. 622 c.p.p., del compito di decidere la causa sulla base di criteri o regole probatorie propri del giudizio penale rappresenta, ad avviso di questo Collegio, un'opzione interpretativa non soddisfacente, imponendosi, al riguardo, una più appagante rilettura dei rapporti e delle questioni connesse all'esercizio dell'azione civile nel seno del processo penale.

8. Varrà preliminarmente considerare come la disciplina dell'esercizio dell'azione civile nel processo penale abbia subito radicali trasformazioni nel passaggio dal codice di procedura penale del 1930 a quello del 1988, ispirati a principi profondamente differenti. Mentre, nel precedente sistema inquisitorio, essa appariva improntata al principio della unitarietà della funzione giurisdizionale - e quindi del primato della giurisdizione penale e della sua pregiudizialità - nel no-vellato ordinamento processuale, ispirato al sistema accusatorio, si afferma il diverso principio della parità dei diversi ordini giurisdizionali e della sostanziale autonomia e separazione dei relativi giudizi.

8.1. Va premesso, in proposito, che il diritto del danneggiato di introdurre l'azione risarcitoria nel processo penale non è oggetto di garanzia costituzionale, giacchè l'art. 24 Cost., comma 1, assicurando la possibilità di agire in giudizio a tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, "non eleva a regola costituzionale quella del simultaneus processus, ma lascia al legislatore ordinario ampia discrezionalità quanto ai tempi e alle modalità di tale azione" (Corte Cost. n. 98 del 1996). Peraltro, con riguardo alla diversa questione della compatibilità dell'esperimento dell'azione civile nel processo penale (che introduce un nuovo thema decidendum e rende necessari ulteriori adempimenti processuali) con la ragionevole durata del processo (prescritta dall'art. 6 CEDU e art. 111 Cost., comma 2) è stato opportunamente osservato, in dottrina, che, per un verso, alla luce della cronica lentezza del processo civile, il regime del cumulo potrebbe meglio assicurare la ragionevole durata, e che, dall'altro, sebbene l'esercizio dell'azione civile in seno al processo penale possa comportarne un appesantimento, è altrettanto vero che, ragionando in termini di economia non del processo ma dei processi, il concentrare in un'unica sede l'esame dei risvolti penalistici e di quelli civilistici di uno stesso fatto appare invece un fattore di snellimento.

8.1.1. Il nuovo codice di procedura penale - pur disattendendo la proposta di escludere tout court dal processo la possibilità di costituzione della parte civile, in quanto istituto storicamente coerente con sistemi processuali di tipo inquisitorio - ha previsto un assetto dell'azione civile nel processo penale profondamente diverso da quello del codice previgente, ispirandosi al principio della parità ed origina-rietà dei diversi ordini giurisdizionali e della separazione e dell'autonomia dei giudizio civile rispetto a quello penale, eliminando la pregiudizialità necessaria del processo penale rispetto a quello civile di danno e ridimensionando notevolmente gli effetti della sentenza penale irrevocabile nel processo civile in cui venga proposta la domanda di risarcimento.

L'art. 75, al comma 2, prevede, difatti, l'assoluta autonomia dell'azione civile rispetto al parallelo processo penale: venuta meno la sospensione necessaria del processo civile fino alla pronuncia della sentenza penale irrevocabile, l'azione civile proposta innanzi al giudice civile prosegue in tale sede ove non venga trasferita nel processo penale alle condizioni previste dall'art. 75 c.p.p., comma 1, e vengono distinti il ruolo della persona offesa dal reato - portatore di un interesse penale finalizzato alla repressione del fatto criminoso - e quello del danneggiato dal reato che, costituendosi parte civile, mira soltanto al risarcimento dei danni cagionati dal reato.

8.2. Pur mantenendo la possibilità della costituzione di parte civile, il codice del 1988 incentiva, nella sostanza, l'esercizio dell'azione civile nella sede sua propria, prevedendo, in tal caso, che, ove il processo penale si concluda con una sentenza irrevocabile di condanna, tale sentenza abbia efficacia di giudicato nel giudizio civile quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso (art. 651 c.p.p.) ed escludendo invece analoga efficacia alla sentenza irrevocabile di assoluzione, la quale - grazie alla "clausola di salvaguardia" contenuta nella parte finale dell'art. 652 c.p.p., comma 1, - non produce effetti nel giudizio civile ove l'azione civile sia stata proposta davanti al giudice civile prima della sentenza penale di primo grado, e non sia stata trasferita nel processo penale.

8.3. Solo in via d'eccezione l'art. 75, comma 3, dispone che il processo civile rimanga sospeso in attesa del giudicato penale - destinato ad esercitare la sua efficacia, in questo caso, non soltanto se di condanna, ai sensi dell'art. 651 c.p.p., ma anche se di assoluzione, ai sensi dell'art. 652 c.p.p. - qualora l'azione sia stata proposta in sede civile dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado.

8.4. Ai sensi dell'art. 652 c.p.p., l'efficacia di giudicato nel giudizio civile di danno della sentenza irrevocabile di assoluzione è poi limitata all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima, e si esplica solo nei confronti del danneggiato che si sia costituito o sia stato posto in condizioni di costituirsi parte civile, e non abbia esercitato l'azione civile in sede propria ai sensi dell'art. 75 c.p.p., comma 2. E' stato affermato, in proposito, che l'art. 652 c.p.p., trova comunque applicazione nel solo caso di giudizio autonomamente instaurato innanzi al giudice civile, dal primo grado, e non anche nel caso di annullamento con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d'appello ai sensi dell'art. 622 c.p.p.: in quest'ultimo caso, infatti, la sentenza di assoluzione dell'imputato, annullata su ricorso della parte civile, pur restando ferma agli effetti penali, non produce effetti extrapenali (Cass. 24 novembre 1998, n. 11897). In proposito, secondo l'insegnamento di una pressochè unanime dottrina, nei casi in cui sia prevista l'efficacia extrapenale della sentenza penale irrevocabile ove non debba aver luogo la sospensione del processo civile, si afferma che la sentenza penale avrà efficacia nel giudizio civile soltanto ove il giudicato penale si formi in tempo utile per essere fatto valere in sede civile (con la conseguenza che, nel caso opposto, potrà solo utilizzarsi, ricorrendone i presupposti, il rimedio della revocazione di cui all'art. 395 c.p.c.).

8.5. Il codice di procedura penale del 1988, infine, all'art. 538, comma 1, ha continuato a collegare (nonostante le contrarie proposte avanzate in sede di progetto preliminare) in via esclusiva la decisione sulla domanda della parte civile alla condanna dell'imputato ("... quando pronuncia sentenza di condanna, il giudice decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, proposta a norma dell'art. 74 e ss.").

8.5.1. La condanna penale è, pertanto, l'indispensabile presupposto dell'accoglimento dell'azione civile: e il collegamento stabilito dall'art. 538 c.p.p., tra la decisione sulle questioni civili e la condanna dell'imputato - che riflette il carattere accessorio e subordinato dell'azione civile proposta nel processo penale rispetto agli obiettivi propri dell'azione penale, che si focalizzano sull'accertamento della responsabilità penale dell'imputato - è stato ritenuto (Corte Cost. n. 12 del 2016) non in contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., atteso che "l'impossibilità di ottenere una decisione sulla domanda risarcitoria, laddove il processo penale si concluda con una sentenza di proscioglimento per qualunque causa (salvo che nei limitati casi previsti dall'art. 578 c.p.p.) costituisce uno degli elementi di cui il danneggiato deve tener conto nel quadro della valutazione comparativa dei vantaggi e degli svantaggi delle due alternative che gli sono offerte". In tale occasione, la Consulta ha avuto altresì occasione di affermare la compatibilità di tale assetto con il principio di ragionevole durata del processo, in quanto "la preclusione della decisione sulle questioni civili, nel caso di proscioglimento dell'imputato per qualsiasi causa - compreso il vizio totale di mente - se pure procrastina la pronuncia definitiva sulla domanda risarcitoria del danneggiato, costringendolo ad instaurare un autonomo giudizio civile, trova però giustificazione nel carattere accessorio e subordinato dell'azione civile proposta nell'ambito del processo penale rispetto alle finalità di quest'ultimo, e segnatamente nel preminente interesse pubblico (e dello stesso imputato) alla sollecita definizione del processo penale che non si concluda con un accertamento di responsabilità, riportando nella sede naturale le istanze di natura civile fatte valere nei suoi confronti. Ciò, in linea, una volta ancora, con il favore per la separazione dei giudizi cui è ispirato il vigente sistema processuale".

8.6. Di sicuro rilievo appare anche l'affermata compatibilità del sistema nazionale con l'art. 16, paragrafo 1, della direttiva 25 ottobre 2012, n. 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, e stabilisce l'obbligo degli Stati membri di garantire alla vittima "il diritto di ottenere una decisione in merito al risarcimento da parte dell'autore del reato nell'ambito del procedimento penale entro un ragionevole lasso di tempo", trattandosi di obbligo "espressamente subordinato alla condizione che "il diritto nazionale (non) preveda che tale decisione sia adottata nell'ambito di un altro procedimento giudiziario". Il che è proprio quanto si verifica, secondo l'ordinamento italiano, nell'ipotesi in esame".

8.7. Tuttavia, con la sentenza penale di condanna, la domanda civile non necessariamente deve essere accolta, in quanto, ove il giudice ritenga non sussistere il danno dedotto (ovvero che tale danno non sia connesso al reato), egli rigetterà la domanda di parte civile: l'art. 538 c.p.p., comma 1, prevede, infatti, che, quando pronuncia sentenza di condanna, il giudice "decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno", con disposizione innovativa rispetto al vecchio codice. In tal caso, la sentenza di condanna penale, pronunciando altresì sull'azione civile, ha efficacia preclusiva di un nuovo giudizio in sede sua propria - a meno che, nel successivo e autonomo giudizio civile, il danneggiato già costituitosi parte civile non faccia valere diverse e distinte ragioni di danno, ovvero in tutti i casi in cui il petitum sia diverso da quello originario.

8.8. In caso di sentenza penale di assoluzione o di non doversi procedere, invece, il giudice non si pronuncia sull'azione civile, la quale potrà essere comunque sempre riproposta nella sede sua propria, in quanto, a differenza che nel codice abrogato, il codice vigente non prevede formule di proscioglimento preclusive alla sua riproposizione, ma soltanto accertamenti ostativi, se fatti valere in sede civile, all'accoglimento del merito della domanda di chi si pretende danneggiato dal reato. L'art. 652 c.p.p., infatti, a differenza dell'art. 25 del codice abrogato, non prevede, in caso di sentenza dibattimentale di assoluzione, il divieto di riproporre l'azione civile in sede propria, ma soltanto l'efficacia di giudicato, nel giudizio civile di danno, di taluni accertamenti contenuti nella sentenza irrevocabile di assoluzione nei confronti di chi sia costituito o sia stato posto in grado di costituirsi parte civile, e non abbia esercitato l'azione civile ai sensi dell'art. 75 c.p.p., comma 2, cioè ab initio nella sede propria.

8.9. Il codice di rito penale introduce, peraltro, una disposizione di carattere eccezionale (così, Cass. sez. un. 29 settembre 2016, n. 46688, Schirru) rispetto alla regola secondo cui il giudice penale non si pronuncia sull'azione civile in caso di sentenza di proscioglimento contenuta nell'art. 578 c.p.p., a mente della quale, se è stata pronunciata condanna, anche generica, dell'imputato alle restituzioni o al risarcimento dei danni a favore della parte civile, il giudice di appello o la Corte di cassazione, nel dichiarare estinto il reato per amnistia o per prescrizione, decidono comunque sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili. La norma, ispirata ad esigenze di economia processuale (cioè quella di evitare che il giudizio sulle restituzioni o il risarcimento debba ricominciare da capo davanti al giudice civile quando nel processo penale, nel grado precedente, si sia ritenuta la sussistenza del reato e della responsabilità civile) prevede quindi un caso in cui, con la sentenza di proscioglimento (di non doversi procedere per estinzione del reato) il giudice penale si pronuncia anche sull'azione civile, confermando o revocando le statuizioni civili contenute nella sentenza impugnata.

8.10. Si deve ancora rammentare come il codice del 1988 riconosca, all'art. 576, a differenza del codice abrogato, il potere della parte civile di impugnare (e quindi anche appellare) le sentenze di proscioglimento (e ciò anche dopo le modificazioni introdotte dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 6: Corte Cost. n. 32 del 2007 e n. 3 del 2008; Cass. sez. un., 29 marzo 2007, n. 27614, Poggiali). Le Sezioni unite penali (Cass. Sez. un., 11 luglio 2006 n. 25083, Negri) hanno ritenuto, in proposito, che l'art. 576 c.p.p. conferisca al giudice dell'impugnazione il potere di decidere sulla domanda al risarcimento e alle restituzioni pur in mancanza di una precedente statuizione sul punto, in quanto "il giudice dell'impugnazione ha, nei limiti del devoluto e agli effetti della devoluzione, i poteri che il giudice di primo grado avrebbe dovuto esercitare. Se si convince che tale giudice ha sbagliato nell'assolvere l'imputato, ben può affermare la responsabilità di costui agli effetti civili e (come indirettamente conferma il disposto di cui all'art. 622 c.p.p.) condannarlo al risarcimento e alle restituzioni, in quanto l'accertamento incidentale equivale virtualmente oggi per allora - alla condanna di cui all'art. 538 c.p.p., comma 1, che non venne pronunciata per errore"; con la conseguenza che, ove l'impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento sia stata proposta anche agli effetti penali, la Corte d'appello che dichiari l'estinzione del reato per prescrizione o amnistia può condannare l'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile impugnante agli effetti civili.

8.11. Pertanto, il principio secondo cui lo stesso giudice penale può pronunciarsi sulla domanda risarcitoria o restitutoria solo in quanto contestualmente giudichi e accerti la sussistenza della responsabilità penale, alla quale consegue la statuizione sulla responsabilità civile, subisce (nonostante il contrario avviso di una dottrina e di una giurisprudenza minoritaria) una importante eccezione nel caso di accoglimento dell'impugnazione proposta dalla parte civile avverso la sentenza di proscioglimento, ai sensi dell'art. 576 c.p.p..

8.12. In proposito, va ancora ricordato che l'art. 573 c.p.p., prevede che "l'impugnazione per i soli effetti civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale", e ciò anche se con essa non concorra alcuna impugnazione agli effetti penali: e proprio in ordine alle regole di giudizio cui deve attenersi il giudice in presenza di un appello della sola parte civile avverso una sentenza di assoluzione di primo grado, la più recente giurisprudenza penale di legittimità, come si è già avuto modo di sottolineare, ha ritenuto di poter affermare che, "poichè l'azione civile è esercitata nel processo penale, il suo buon esito presuppone l'accertamento della sussistenza del reato, anche solo ai limitati effetti civili" con la conseguenza che "il giudice del gravame deve valutare la sussistenza della responsabilità dell'imputato, secondo i parametri del diritto penale e non facendo applicazione di regole proprie del diritto civile che evocano ipotesi di inversione dell'onere della prova o, peggio ancora, di responsabilità oggettiva" (Cass. Sez. IV, 18 giugno 2015, n. 42995, Gentile, che ha annullato con rinvio al giudice civile la sentenza di condanna ai soli effetti civili, pronunciata dal giudice di appello che aveva ritenuto sussistente la responsabilità civile dell'imputato sulla base dell'art. 2051 c.c.).

8.13. Infine, con riferimento al mutato quadro ordinamentale, la Corte costituzionale ha affermato due rilevanti principi ai fini che occupano il Collegio, con riguardo agli effetti "irreversibili" derivanti dalla scelta del danneggiato di esercitare l'azione civile nel processo penale, ed al principio di separatezza tra giudizio civile e penale.

8.13.1. Il primo principio (Corte Cost. n. 353 del 1994) è quello secondo il quale "l'inserimento dell'azione civile nel processo penale pone in essere una situazione in linea di principio differente rispetto a quella determinata dall'esercizio dell'azione civile nel processo civile anche ove si tratti di azione di restituzioni o di risarcimento dei danni derivanti da reato, e ciò in quanto tale azione assume carattere accessorio e subordinato rispetto all'azione penale, sicchè è destinata a subire tutte le conseguenze e gli adattamenti derivanti dalla funzione e dalla struttura del processo penale, cioè dalle esigenze, di interesse pubblico, connesse all'accertamento dei reati e alla rapida definizione dei processi" - con la conseguenza che, laddove il codice di procedura penale prevede una disciplina dell'azione civile esercitata nel processo penale diversa da quella prevista dal codice di procedura civile, ove questa dipenda dalle "finalità tipiche del processo penale", non può scorgersi alcun profilo di irrazionalità, stante la preminenza dell'interesse pubblico all'accertamento dei reati e alla rapida definizione dei processi rispetto a quelle collegate alla risoluzione delle liti civili, e considerato che "l'azione per il risarcimento o le restituzioni ben può avere ab initio una propria autonomia nella naturale sede del giudizio civile con un iter del tutto indipendente rispetto al giudizio penale, nel quale non sussistono quei condizionamenti che, viceversa, la legge impone nel caso in cui si sia preferito esercitare l'azione civile nell'ambito del procedimento penale; condizionamenti giustificati dal fatto che oggetto dell'azione penale è l'accertamento della responsabilità dell'imputato" (Corte Cost. n. 532 del 1995). Pertanto, una volta che il danneggiato, previa valutazione comparativa dei vantaggi e degli svantaggi insiti nella opzione concessagli, scelga di esercitare l'azione civile nel processo penale, anzichè nella sede propria, "non è dato sfuggire agli effetti che da tale inserimento conseguono, per via della struttura e della funzione del processo penale" (Corte Cost. n. 94 del 1996, che ha dichiarato infondata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 540 c.p.p., comma 1, censurato nella parte in cui, a differenza dell'art. 282 c.p.c., non prevede la provvisoria esecutività ex lege delle disposizioni civili della sentenza di primo grado. In termini analoghi si esprimono anche Corte Cost. n. 424 del 1998 e n. 12 del 2016). Di converso - e l'affermazione appare di pregnante significato ai fini che occupano il Collegio - ove non sia rinvenibile una ragione attinente alla struttura e alla funzione del processo penale che la giustifichi, la differenza di disciplina dell'azione civile esercitata nel processo penale che privi l'imputato-convenuto di poteri che il rito civile gli riconosce deve ritenersi irragionevole (Corte Cost. n. 353 del 1994, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 600 c.p.p., comma 3, in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui prevede che il giudice d'appello può disporre la sospensione dell'esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale "quando possa derivarne grave e irreparabile danno", anzichè "quando ricorrono gravi motivi", così come previsto dall'art. 283 c.p.c.), con l'ulteriore conseguenza della non irragionevolezza della diversificazione dei diritti e dei poteri processuali attribuiti alla parte civile ed all'imputato, ritenute in più occasioni, dalla stessa Corte costituzionale, "situazioni soggettive non omologabili".

8.13.2. Il secondo principio di rilievo affermato dalla Consulta è quello secondo il quale "l'assetto generale del nuovo processo penale è ispirato all'idea della separazione dei giudizi, penale e civile", essendo "prevalente, nel disegno del codice, l'esigenza di speditezza e di sollecita definizione del processo penale, rispetto all'interesse del soggetto danneggiato di esperire la propria azione nel processo medesimo" (Corte Cost. n. 168 del 2006; in senso analogo, Corte Cost. n. 23 del 2015).

9. Ai sensi dell'art. 622 c.p.p. ("Annullamento della sentenza ai soli effetti civili"), qualora, in sede di legittimità, la sentenza sia annullata, "fermi gli effetti penali", limitatamente alle disposizioni o ai capi riguardanti l'azione civile, ovvero sia accolto il ricorso della (sola) parte civile contro la sentenza di proscioglimento, la Corte "rinvia, quando occorre, al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l'annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile". Il giudizio di rinvio innanzi al giudice civile può aver luogo, pertanto:

a) a seguito dell'impugnazione della sentenza penale di condanna e del suo annullamento ai soli effetti civili;

b) a seguito di impugnazione, proposta dalla sola parte civile, della sentenza di proscioglimento, annullata ai soli effetti civili.

9.1. La ratio della norma è concordemente individuata nell'esigenza di far cessare la giurisdizione del giudice penale qualora l'accertamento penalistico possa ritenersi definitivamente compiuto, onde il giudizio di rinvio davanti al giudice civile possa celebrarsi secondo le regole (anche probatorie) proprie del processo civile, derogando alla regola, enunciata dall'art. 573 c.p.p., secondo cui l'impugnazione per i soli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale.

9.2. Sul piano dell'interpretazione storica, la norma riproduce, in parte qua, la disposizione di cui all'art. 541 del codice del 1930, che disciplinava l'ipotesi di impugnazione di una sentenza penale di condanna anche agli effetti civili, annullata dalla Corte di cassazione ai soli effetti civili (ad esempio, per un errore nella liquidazione dei danni). Il novum dell'art. 622, nella parte in cui prevede il rinvio al giudice civile in caso di accoglimento, da parte della Corte di cassazione, del ricorso della (sola) parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato, è frutto del recepimento, da parte del legislatore del 1988, dell'interpretazione estensiva dell'art. 541 c.p.p., abrogato (Cass. sez. un. 30 novembre 1974, n. 306; Corte Cost. n. 1 del 1970 e n. 29 del 1972).

9.3. Non è questa la sede per ripercorrere le tappe del pensiero di larga parte della dottrina processualpenalistica, che si espresse in forme assai critiche nei confronti del legislatore, accusato, a tacer d'altro, di essere incorso in un vero e proprio "lapsus normativo" equiparando, non coerentemente, due fattispecie del tutto eterogenee (quella dell'annullamento dei capi civili, ad esempio perchè i danni risultano mal liquidati, e quella dell'accoglimento del ricorso della parte civile contro un proscioglimento). Mette invece conto di rammentare come l'art. 622, sia stato ritenuto applicabile dalle Sezioni unite della Cassazione (Sez. un., 18 luglio 2013, n. 40109, Sciortino) anche nel caso di accoglimento del ricorso per cassazione proposto dall'imputato avverso la sentenza con cui il giudice di appello, dichiarando non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato (o per intervenuta amnistia), abbia confermato le statuizioni civili senza motivare, a tal fine, in ordine alla responsabilità dell'imputato. Venne così risolto il contrasto, sorto nella giurisprudenza di legittimità, che si era pronunciata talvolta a favore dell'annullamento con rinvio al giudice penale, altre volte per l'applicabilità tout court dell'art. 622 c.p.p.; e, in quella fondamentale pronuncia, il giudice penale di legittimità, nel suo più alto consesso, affermò espressamente che "il tema proposto involge scelte di sistema attinenti ai rapporti tra azione civile ed azione penale nell'attuale assetto codicistico, ispirato al favor separationis; al contempo, comporta ricadute immediate sull'ampiezza della tutela riconosciuta alla parte civile, attese le diverse forme del giudizio di rinvio, a seconda che esso sia disposto verso il giudice civile ovvero verso il giudice penale, con le consequenziali, diverse regole procedimentali e probatorie".

Venne, in particolare, valorizzato l'argomento secondo cui la ratio della scelta del rinvio al giudice civile, operata dall'art. 622 c.p.p., fosse da ravvisarsi "nel principio di economia che vieta il permanere del giudizio in sede penale in mancanza di un interesse penalistico alla vicenda", senza che una diversa conclusione potesse ipotizzarsi neppure alla luce "della considerazione che la disciplina che rinvia al giudice civile ogni questione superstite sulla responsabilità civile nascente dal reato rende inevitabile l'applicazione delle regole e delle forme della procedura civile, che potrebbero ritenersi meno favorevoli agli interessi del danneggiato dal reato rispetto a quelle del processo penale, dominato dall'azione pubblica di cui può ben beneficiare indirettamente il danneggiato dal reato. Si tratta però di evenienza che il danneggiato può ben prospettarsi al momento dell'esercizio dell'azione civile nel processo penale, di cui conosce preventivamente procedure e possibili esiti, comprese le eventualità che, in presenza di cause di estinzione del reato o di improcedibilità dell'azione penale, venga a mancare un accertamento della responsabilità penale dell'imputato, e che, in caso di translatio judicii, l'azione per il risarcimento del danno debba essere riassunta davanti al giudice civile competente per valore in grado di appello. Resta naturalmente fermo che, in presenza di un danno da reato, il danneggiato, in sede di rinvio, può sollecitare davanti al giudice civile anche il riconoscimento del danno non patrimoniale, negli ampi termini definiti dalla giurisprudenza civile, mentre, sul versante delle aspettative dell'imputato, il perseguimento dell'interesse a un pieno accertamento della sua innocenza, anche ai fini della responsabilità civile, può ben essere assicurato dall'opzione di rinuncia alla prescrizione - art. 157 c.p., comma 7, - o all'amnistia - Corte Cost., sent. n. 175 del 1971 -. Va infine osservato, per completezza, che l'ampia dizione dell'art. 622 c.p.p., non ammette distinzioni di sorta in relazione alla natura del vizio che inficia le statuizioni civili assunte dal giudice penale; che potranno riguardare sia vizi di motivazione in relazione ai capi o ai punti oggetto del ricorso sia violazioni di legge, comprese quelle afferenti a norme di natura procedurale, relative al rapporto processuale scaturente dall'azione civile nel processo penale".

9.4. L'interpretazione dell'art. 622, adottata dalle Sezioni unite penali di questa Corte appaiono in linea con la giurisprudenza civile di legittimità in punto di applicabilità, nel giudizio cd. "di rinvio", delle regole del giudizio civile, tanto processuali quanto (e soprattutto) probatorie. La via dell'annullamento con rinvio al giudice penale viene, pertanto, considerata sempre impraticabile, e ciò sia nell'ipotesi di un ricorso dell'imputato che investa solo il capo relativo alla responsabilità civile "restando preclusa, in virtù del principio devolutivo, ogni incidenza sul capo penale, su cui è stata espressa una decisione irrevocabile", sia in quella per cui l'imputato ritenga di impugnare formalmente anche il capo penale, dovendosi in tal caso ritenere inammissibile il ricorso "in virtù del principio, già affermato dalle stesse Sezioni unite, secondo cui, in presenza dell'accertamento di una causa di estinzione del reato, non sono deducibili in sede di legittimità vizi di motivazione che investano il merito della responsabilità penale", pena lo stravolgimento delle finalità e dei meccanismi decisori della giustizia penale "in dipendenza da interessi civili ancora sub iudice che devono essere invece isolati e portati all'esame del giudice naturalmente competente ad esaminarli". 9.5. Applicando in extensum i principi della sentenza Sciortino, il più recente (ed ormai consolidato) orientamento del giudice penale di legittimità (ex aliis, Cass. 8 giugno 2017, n. 34878; 21 aprile 2016, n. 29627; 23 febbraio 2012, n. 15015) è nel senso che "il rilevamento in sede di legittimità della sopravvenuta prescrizione del reato unitamente ad un vizio di motivazione della sentenza di condanna impugnata in ordine alla responsabilità dell'imputato comporta l'annullamento senza rinvio della sentenza stessa e, ove questa contenga anche la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile, l'annullamento delle statuizioni civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello".

10. Il tema dei rapporti tra illecito penale e illecito civile nell'ipotesi di giurisdizioni concorrenti appare, a giudizio del Collegio, di decisiva rilevanza in ordine alle questioni poste con l'odierno ricorso, in quanto, da un lato, a fondamento della tesi della natura autonoma del giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., sul piano tanto strutturale che funzionale, si ipotizza l'autonomia della fattispecie di responsabilità di cui all'art. 185 c.p., rispetto a quella di cui all'art. 2043 c.c.; dall'altro, alcune recenti sentenze penali rivendicano il potere della Corte di cassazione penale di porre, in sede di annullamento agli effetti civili ex art. 622 c.p.p., vincoli al giudice civile relativi all'applicazione di regole probatorie penalistiche nella prosecuzione del giudizio, così mostrando di riconoscere una diversità di natura all'azione civile esercitata nel processo penale rispetto all'azione civile "ordinaria".

10.1. Sia pur per brevi cenni, va rammentato come sia discusso, in dottrina, se l'art. 185 c.p., costituisca una norma meramente riproduttiva dell'art. 2043 c.c., oppure se sia dotata di un ruolo autonomo.

10.1.1. Alla tesi secondo cui l'art. 185 c.p., costituirebbe un mero duplicato della norma civilistica (con la conseguenza che l'illiceità penale si configura quale "categoria polivalente, idonea a dar luogo a due forme distinte di responsabilità, l'una rilevante sul piano strettamente penalistico, l'altra di natura aquiliana) si contrappone quella di chi ritiene trattarsi, invece, di una responsabilità concorrente che si verifica in quanto lo stesso fatto integra al tempo stesso un illecito penale ed un illecito civile di natura extracontrattuale, contenendo il reato tutti gli elementi dell'illecito ex art. 2043 c.c., ma senza che sia lecito discorrere di una sovrapposizione di norme che crea una duplicazione di responsabilità: la responsabilità resta unica, come è confermato dal richiamo operato dall'art. 185 alle norme civili, ma è di maggior estensione perchè oggetto del risarcimento è, oltre il danno patrimoniale, quello non patrimoniale, che non è ordinariamente risarcibile, ma lo diventa solo se ed in quanto ciò sia previsto da norme specifiche (art. 2059 c.c.), una delle quali è, appunto l'art. 185 c.p..

10.1.2. La prima tesi, che nega un ruolo autonomo alla norma di cui all'art. 185 c.p., rispetto al principio posto dall'art. 2043 c.c., è stata fatta propria, in tempi non recenti, anche dalla Corte di Cassazione penale (Sez. VI, 21 gennaio 1992, n. 2521, secondo cui il diritto della persona danneggiata dal reato alla restituzione ed al risarcimento del danno ha natura prettamente civilistica, e la disposizione dell'art. 185 c.p., nulla aggiunge, ai fini del suo riconoscimento, al generale principio dell'art. 2043 c.c., secondo cui qualunque fatto, doloso o colposo, che cagioni ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno. Non vale a modificare l'intrinseca natura privatistica di un fatto illecito, che sia definibile tale alla stregua delle citate norme civili, l'ulteriore condizione che il medesimo fatto sia punito dalla legge penale, espletando le due normative (quella civile, con le regole che essa richiama in funzione integratrice, e quella penale) una diversa funzione precettiva e sanzionatoria, talchè si è potuto giustamente affermare che tra le due fattispecie esiste esclusivamente una mera connessione genetica, mentre il diritto al risarcimento nasce non già dal reato, ma dal fatto storico che l'ordinamento configura come reato. Nè tale conclusione è inficiata dalla constatazione che l'art. 185 c.p., comma 2, prevede anche il risarcimento del danno non patrimoniale, perchè tale risarcibilità è pur essa affermata dalla norma civile (art. 2059) che ne fa un'enunciazione ed un'applicazione addirittura più ampia di quella penale, onde l'art. 185 diviene anch'esso regola integratrice dell'istituto civilistico, alla stregua delle altre ipotesi, prive di rilevanza penale, cui l'art. 2059 c.c., fa esplicito riferimento.

10.1.3. Una seconda tesi, invece, esclude che l'art. 185 c.p., costituisca una mera duplicazione nel sistema penale dell'art. 2043 c.c., rivestendo, di converso, il carattere di norma autonoma, che pone in primo piano il reato, cioè un fatto necessariamente tipico, "per suo conto antigiuridico", mentre l'art. 2043 fa riferimento ad un fatto tendenzialmente atipico ed illecito in quanto causa di un danno ingiusto: danno che, soltanto eventuale rispetto al reato, rappresenta invece l'elemento costitutivo della responsabilità aquiliana. La norma penale si porrebbe, rispetto all'art. 2043 c.c., in un rapporto di specie a genere, dove la specialità è data dalla qualificazione di reato dell'illecito, qualificazione che il sistema ritiene decisiva al fine dell'ampliamento dell'obbligazione risarcitoria sino a ricomprendere il danno non patrimoniale" (altri autori ritengono, poi, che la responsabilità civile da reato non costituisca nemmeno una species della responsabilità aquiliana, bensì un'autonoma fattispecie di illecito civile: l'autonomia dell'illecito civile e della sua disciplina, che deve continuare ad applicarsi a fatti di reato non più penalmente perseguibili, è dimostrata dalla previsione dell'art. 198 c.p., che stabilisce l'inestinguibilità delle conseguenze civilistiche risarcitorie nonostante l'avvenuta estinzione della rilevanza penale di una determinata fattispecie).

10.2. Sul tema, si rammenterà come le Sezioni unite civili di questa Corte, nella fondamentale sentenza n. 500 del 1999, abbiano evidenziato, per un verso, come il giudizio civile di danno abbia concretamente assunto configurazione, carattere e ambiti che ne hanno esaltato la totale originarietà ed autonomia, attribuendo poi natura primaria alla norma di cui all'art. 2043 c.c., che non prevede soltanto una sanzione rispetto ad altre norme di divieto, ma riveste il carattere di clausola generale espressa dalla formula "danno ingiusto", in virtù della quale è risarcibile il danno che presenta le caratteristiche dell'ingiustizia, in quanto lesivo di interessi ai quali l'ordinamento attribuisce rilevanza, con la conseguenza che, avuto riguardo al carattere atipico del fatto illecito, non è possibile individuare in via preventiva gli interessi meritevoli di tutela, spettando viceversa al giudice, attraverso la comparazione tra gli interessi in conflitto, accertare se, e con quale intensità, l'ordinamento appresta tutela risarcitoria all'interesse del danneggiato, ovvero comunque lo prenda in considerazione sotto altri profili, manifestando, in tal modo, un'esigenza di protezione. Nè minor rilievo può essere attribuito al fin troppo noto superamento, ad opera del giudice delle leggi e della unanime giurisprudenza civile di legittimità, della lettura testuale dell'art. 2059 c.c., la categoria del danno non patrimoniale essendo ormai comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona costituzionalmente rilevante che abbia cagionato tale danno, risarcibile non soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge, come quello in cui sia derivato da un reato, come previsto dall'art. 185 c.p., (l'autonomia dei giudizi, come predicata delle Sezioni unite civili di questa Corte, appare poi vieppiù rafforzata dalla consolidata giurisprudenza di legittimità che ha chiarito come la condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che quel giudice abbia riconosciuto che la parte civile vi ha diritto, non esige alcun accertamento in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, ma postula soltanto l'accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e della probabile esistenza di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, salva restando, nel successivo giudizio civile di liquidazione del quantum, la possibilità di escludere l'esistenza stessa di un danno unito da rapporto eziologico con il fatto illecito).

10.3. L'autonomia dei due giudizi, civile e penale, ha infine trovata la sua definitiva consacrazione anche sul piano della diversità del regime probatorio applicabile al nesso di causalità nell'illecito civile e nell'illecito penale, avendo le sezioni unite civili definitivamente chiarito (Cass. sez un. 576 del 2008) che ciò che muta tra giudizio penale e giudizio civile è la regola probatoria che nel giudizio penale può essere sintetizzata nella regola della prova "oltre il ragionevole dubbio" e che in quello civile può essere riassunta nella regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non".

11. Nell'ottica di un definitivo chiarimento sulla natura, sulla portata, sugli effetti, sulle regole probatorie e procedurali applicabili al giudizio di rinvio in sede civile ex art. 622 c.p.p., quanto alla decisione sulla domanda risarcitoria, appare necessario distinguere, sul piano teorico, le due principali ipotesi di rinvio del giudice penale a quello civile ricomprese nell'ambito della norma de qua.

11.1. La prima ipotesi di annullamento si verifica quando il rinvio al giudice civile viene disposto a seguito dell'annullamento su ricorso della parte civile "ai soli effetti della responsabilità civile", ex art. 576 c.p.p., della sentenza di assoluzione ("di proscioglimento", recita con formula più ampia l'art. 622), limitatamente agli effetti civili.

11.2. La seconda ipotesi si verifica quando il rinvio al giudice civile viene disposto:

a) a seguito dell'annullamento delle sole disposizioni o capi della sentenza penale di condanna dell'imputato che riguardano l'azione civile (su ricorso dell'imputato ex art. 574 c.p.p., o della parte civile ex art. 576 c.p.p.), ovvero, b) quando - pronunciata, nel precedente grado di giudizio, condanna, anche generica alle restituzioni e al risarcimento dei danni - il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare estinto il reato per amnistia o prescrizione, decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti civili (art. 578 c.p.p.).

11.3. Giova evidenziare che i due casi ricondotti a tale seconda ipotesi di annullamento sono accomunati dal fatto che, a differenza che nella prima ipotesi - ove l'annullamento ha ad oggetto ai fini civili la sentenza di assoluzione - l'annullamento ha ad oggetto le statuizioni civili della sentenza di condanna (o di non doversi procedere per estinzione del reato), e si differenziano a loro volta tra loro perchè, mentre nel primo caso la sentenza penale di condanna, almeno agli effetti penali, passa in giudicato, nella seconda non si forma un giudicato penale di condanna.

11.4. Procedendo nell'esame della natura dell'istituto dell'annullamento della sentenza agli effetti civili, va sottolineato che, in relazione ad entrambe le ipotesi, viene costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, sia pur ai fini, per lo più, dell'individuazione del giudice competente, che il giudizio di rinvio avanti al giudice civile designato che abbia luogo a seguito di sentenza resa dalla Corte di cassazione in sede penale ai sensi dell'art. 622 c.p.p., è da considerarsi come un giudizio civile del tutto riconducibile alla normale disciplina del giudizio di rinvio quale espressa dall'art. 392 c.p.c. e ss. (Cass. 9 agosto 2007, n. 17457; in senso conforme, da ultimo, Cass. 20 dicembre 2018, n. 32929).

11.4.1. A tale conclusione si è giunti attraverso un'esegesi dell'art. 622 c.p.p., che, pur non essendo rubricato con un espresso riferimento al "rinvio", avrebbe pur tuttavia riguardo all'effetto di rinvio della statuizione della Cassazione penale, con un'espressione che evoca chiaramente l'istituto del giudizio rinvio in sede civile come disciplinato dall'art. 392 c.p.c. e ss., - comportando, cioè, che la fase successiva non si presenti autonoma dalla vicenda del processo penale, ma ne rappresenti (sia pure ai fini della sola statuizione sugli effetti civili) la prosecuzione avanti alla giurisdizione civile successivamente all'intervenuta fase di cassazione in sede penale (nella descrizione del fenomeno del passaggio dal giudizio penale di legittimità a quello di rinvio, la terminologia cui ricorre la giurisprudenza di questa Corte è la più varia, discorrendosi, di volta in volta, di trasmigrazione della contesa civile dalla sede penale a quella civile; di separazione del rapporto penale da quello civile, ovvero ancora di translatio: così, rispettivamente, Cass. 8 agosto 1990, n. 7999; Cass. 22 maggio 2006, n. 11936; Cass. 20 giugno 2017, n. 15182 e 25 settembre 2018, n. 22570).

11.5. Il meccanismo del rinvio, per un verso, assicurerebbe, secondo tale ricostruzione, il legame con lo svolgimento del processo penale e, quindi, anche con la relativa azione civile (altrimenti, si afferma, si sarebbe disciplinata la sorte dell'azione civile in altro modo, cioè prevedendo ch'essa potesse esercitarsi ex novo in sede civile); per l'altro, sottrae - nel caso di cassazione penale della sentenza di proscioglimento - il giudizio su detta azione al vincolo del giudicato (che altrimenti deriverebbe, nei limiti stabiliti dall'art. 652 c.p.p., dalla statuizione assolutoria agli effetti penali).

11.6. Con riguardo alla prima ipotesi, relativa agli effetti dell'annullamento della sentenza penale di assoluzione nel giudizio di rinvio, la giurisprudenza civile della Corte ritiene pacificamente - sia nel vigore dell'art. 541 c.p.p. del 1930, sia in base al vigente art. 622 c.p.p. - che la sentenza assolutoria della responsabilità penale dell'imputato con rinvio al giudice civile per la decisione sul risarcimento del danno, determini la separazione del rapporto penale da quello civile, che prosegue dinanzi al giudice di rinvio e non è influenzato dal giudicato penale di assoluzione (Cass. 24 novembre 1998, n. 11897; 20 dicembre 2018, n. 32929. Nello stesso ordine di idee, il risalente precedente di cui a Cass. 8 agosto 1990, n. 7999). In tale ambito, il giudizio di rinvio instauratosi a seguito di annullamento della sentenza d'appello non si pone in parallelo con alcun precedente grado del processo, ma ne costituisce fase del tutto nuova ed autonoma, ulteriore e successivo momento del giudizio (cd. iudicium rescissorium) funzionale all'emanazione di una sentenza che non si sostituisce ad alcuna precedente pronuncia (nè di primo, nè di secondo grado) riformandola o modificandola, ma statuisce, direttamente e per la prima volta, sulle domande proposte dalle parti (come implicitamente confermato dal disposto dell'art. 393 c.p.c., a mente del quale, all'ipotesi di mancata, tempestiva riassunzione del giudizio, non consegue il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, bensì la sua inefficacia), poichè, nel sistema delle impugnazioni, soltanto all'appello va legittimamente riconosciuto carattere "sostitutivo" rispetto alla precedente pronuncia, nel senso che la sentenza di secondo grado è destinata a prendere il posto di quella di primo grado, che, pertanto, non rivive per l'effetto della cassazione con rinvio della pronuncia d'appello (tanto che spetta al giudice del rinvio il compito di provvedere, in ogni caso, sulle spese di tutti i precedenti gradi di giudizio, incluso il primo). Da ciò consegue che la mancata riassunzione del giudizio di rinvio determina, a norma dell'art. 393 c.p.c., l'estinzione non solo di quel giudizio, ma dell'intero processo, con la derivata caducazione di tutte le sentenze emesse nel corso dello stesso, eccettuate quelle già coperte dal giudicato (in quanto non impugnate), restando inapplicabile al giudizio di rinvio l'art. 338 c.p.c., che regola gli effetti dell'estinzione del procedimento di impugnazione (Cass. 22 maggio 2006, n. 11936).

12. Dalla affermata natura del giudizio ex art. 622 c.p.p. come riconducibile alla normale disciplina del giudizio di rinvio ex art. 392 c.p.c., e dal suo carattere "chiuso" ai sensi dell'art. 394 c.p.c., discendono questioni complesse, anche con riferimento ai vincoli per il giudice di rinvio che derivano dalle determinazioni contenute nella sentenza penale della Corte per entrambe le ipotesi di annullamento considerate.

12.1. In ambito soggettivo, si è ritenuto non consentito l'intervento del terzo il quale non abbia partecipato al processo penale, se non nei limiti in cui egli deduca la titolarità di un diritto autonomo, al fine di prevenire un pregiudizio attuale che, dalla esecuzione della sentenza, potrebbe a lui derivare, tale da legittimare la proposizione dell'opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. (Cass. 10 aprile 2015, n. 7175; 20 novembre 1998, n. 11743).

12.2. In ambito oggettivo, è stato poi affermato, da una giurisprudenza peraltro risalente nel tempo (e non utile ai fini che occupano il Collegio, come meglio si dirà più innanzi) che, pur quando si tratti di rinvio dopo annullamento delle sole disposizioni civili di sentenza penale, i limiti e l'oggetto del giudizio di rinvio sono fissati dalla sentenza di cassazione, sicchè anche in questo caso il giudice di rinvio è chiamato a compiere l'esame della controversia, rimanendo entro il solco tracciato da questa ultima sentenza" (Cass. 26 luglio 1985, n. 4353; 22 marzo 1991, n. 3063; 29 aprile 1994, n. 4164), precisandosi ancora che l'efficacia preclusiva riconosciuta alla sentenza di cassazione riguarda non soltanto le questioni dedotte nel giudizio di legittimità ma anche quelle che in tale giudizio avrebbero potuto essere prospettate dalle parti o rilevate d'ufficio dalla Corte di cassazione quale necessario presupposto della sentenza, come ad esempio l'esistenza di un giudicato interno. Pertanto anche in caso di rinvio dopo annullamento delle sole disposizioni civili di sentenza penale, i limiti e l'oggetto del giudizio di rinvio sono fissati esclusivamente dalla sentenza di cassazione, la quale non può essere sindacata o elusa dal giudice di rinvio neppure se fosse eventualmente erronea (Cass. 28 giugno 1997, n. 5800).

12.2.1. In ordine al contenuto dell'atto di riassunzione, appare consolidato l'insegnamento (di recente, Cass. 19 dicembre 2017, n. 30529) secondo cui l'atto di riassunzione della causa innanzi al giudice di rinvio, poichè non dà luogo ad un nuovo procedimento, ma ad una prosecuzione dei precedenti gradi di merito, non deve contenere, ai fini della sua validità, la specifica riproposizione di tutte le domande, eccezioni e conclusioni originariamente formulate, essendo sufficiente che siano richiamati l'atto introduttivo del giudizio ed il contenuto del provvedimento in base a cui avviene tale riassunzione. Ne consegue che il giudice innanzi al quale sia stato riassunto il processo non incorre nel vizio di ultrapetizione qualora pronunci su tutta la domanda proposta nel giudizio ove fu emessa la sentenza annullata e non sulle sole diverse conclusioni formulate con il suddetto atto di riassunzione.

12.3. Quanto alla disciplina processuale, si è ritenuto che anche il regime dei nova sia quello proprio del giudizio di rinvio disciplinato dall'art. 394 c.p.p., cioè quello del divieto per le parti di nuova attività assertiva o probatoria, che non si renda necessaria in conseguenza della pronuncia di cassazione.

12.3.1. In particolare, con riguardo alla delicata tematica dell'utilizzabilità o meno, nel giudizio di rinvio, della testimonianza resa dalla persona offesa in sede penale, si è ritenuto (del tutto incon-divisibilmente, come di qui a breve meglio si dirà) che essa conservi il suo valore di prova giacchè in tal caso continuano ad applicarsi in parte qua le regole proprie del processo penale e la deposizione giurata della parte civile, ormai definitivamente acquisita ed ineludibile, deve essere esaminata dal giudice di rinvio esattamente come avrebbe dovuto esaminarla il giudice penale se le due azioni non si fossero occasionalmente separate (Cass. 14 luglio 2004, n. 13068), mentre, per altro verso (e in modo non del tutto consonante), il ricorso alle presunzioni semplici da parte del giudice di rinvio è stato ritenuto ammissibile nell'ambito del solco tracciato dalla sentenza di cassazione penale sugli stessi fatti di cui alla contestazione originaria (Cass. 20 dicembre 2018, n. 32929).

12.4. Definitivamente superato appare, poi, l'iniziale (e non condivisibile) orientamento di questa Corte (Cass. 19 gennaio 1996, n. 417, ripreso ancora, di recente, da Cass. 8 aprile 2015, n. 7004) in merito al quesito se si formi o meno un giudicato interno in ordine all'azione civile in caso di condanna generica al risarcimento dei danni non impugnata dalla parte civile riguardo all'omessa liquidazione dei danni - orientamento secondo cui il giudicato interno formatosi nei vari gradi del processo penale deve ritenersi operante nel giudizio civile di rinvio: allorchè nel giudizio penale di merito il giudice si sia limitato a pronunciare condanna generica al risarcimento e la mancata liquidazione del danno non abbia formato oggetto di impugnazione, non è consentito al giudice civile di appello, cui la causa sia stata rimessa a seguito di annullamento, ai soli effetti civili, da parte della Corte di cassazione, ampliare i limiti del decisum propri della sentenza impugnata, procedendo alla liquidazione del danno -. Un recente arresto del 2017, condiviso dalla successiva giurisprudenza, viceversa, ha condivisibilmente affermato che, nell'ipotesi di annullamento ai soli effetti civili della sentenza penale contenente condanna generica al risarcimento del danno, si determina una piena translatio del giudizio sulla domanda risarcitoria al giudice civile competente per valore in grado di appello, il quale può procedere alla liquidazione del danno anche nel caso di mancata impugnazione dell'omessa pronuncia sul quantum ad opera della parte civile, atteso che, per effetto dell'impugnazione dell'imputato contro la pronuncia di condanna penale - la quale estende la sua efficacia a quella di condanna alle restituzioni ed al risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 574 c.p.p., comma 4, - deve escludersi che si sia formato il giudicato interno sull'azione civile, sicchè questa viene sottoposta alla cognizione del giudice del rinvio nella sua integrità, senza possibilità di scissione della decisione sull'an da quella sul quantum (Cass. 20 giugno 2017, n. 15182; in senso conforme, Cass. 25 settembre 2018, n. 22570 e 20 dicembre 2018, n. 32930).

12.4.1. Viene così valorizzato, in primo luogo, il fondamento dell'impostazione, "nuova rispetto alla tradizione", adottata dal legislatore del 1988 ed orientata verso l'evidente valorizzazione dell'autonomia della giurisdizione civile rispetto a quella penale, specificandosi ancora che il contenuto del giudizio di rinvio non può essere compresso e/o ridotto dal giudice remittente in contrasto con il dettato normativo: il remittente indicherà al giudice del rinvio quel che ancora deve essere accertato, ma non potrà vietargli di pervenire alla decisione conclusiva sulla domanda civile, poichè l'art. 622 non gli attribuisce il potere di imporre a chi ha esercitato l'azione civile in sede penale in modo completo - e quindi non chiedendo soltanto una condanna generica - una obbligatoria scissione della decisione sull'an da quella sul quantum, costringendolo ad un processo ulteriore, e quindi ad un - incostituzionale, perchè di per sè non necessario - incremento del tempo necessario per far valere compiutamente il proprio diritto.

13. Sulla base di tali premesse, il Collegio è chiamato ad affrontare la questione dell'assegnazione al giudice civile, investito del rinvio ex art. 622 c.p.p., del compito di decidere la causa sulla base di criteri o regole probatorie propri del giudizio penale, ovvero dei criteri o regole probatorie propri del giudizio civile.

14. La soluzione della questione appena esposta dipende in larga misura dalla configurazione strutturale e funzionale del giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., in ordine alla quale vengono adombrate tre diverse tesi, tra loro alternative.

14.1. Un primo orientamento considera il giudizio civile di rinvio ex art. 622 c.p.p., come prosecuzione strcto iure di quello penale, con la conseguenza, tra le altre, che il danneggiato non potrà far valere in questa fase fatti costitutivi diversi da quelli che integrano la fattispecie di reato contestata in sede penale. Su tale premessa si fondano le argomentazioni della più recente giurisprudenza penale di legittimità, più volte ricordata (supra, sub 7.2), secondo cui "l'azione civile che viene esercitata nel processo penale è quella per il risarcimento del danno patrimoniale o non, cagionato dal reato, ai sensi dell'art. 185 c.p., e art. 74 c.p.p., con la conseguenza che, nella sede civile, la natura della domanda non muta: si dovrà, cioè, valutare incidentalmente l'esistenza di un fatto di reato in tutte le sue componenti obiettive e subiettive".

14.2. La seconda tesi ricostruisce il giudizio di rinvio ex art. 622, in termini di procedimento autonomo su di un piano tanto morfologico quanto funzionale, atteso che, a seguito dell'annullamento ai soli effetti civili, si realizzerebbe una scissione strutturale tra giudizi e una divaricazione funzionale tra materie a seguito della "restituzione" dell'azione civile così ripristinata all'organo giudiziario cui essa appartiene naturalmente. Soltanto formalmente sarebbe lecito discorrere, pertanto, di una "prosecuzione" del giudizio, mentre neanche su di un piano formale appare legittimo qualificarla come continuazione del giudizio penale, il giudizio di rinvio svolgendosi solo tecnicamente secondo la disciplina dettata dagli artt. 392 e 394 c.p.c..

14.3. Una terza tesi, intermedia tra le prime due, è infine quella (suggestivamente prospettata in dottrina) secondo la quale, da un canto, il giudizio di rinvio sarebbe "vicenda autonoma rispetto al processo penale, non rappresentandone - sia pure ai fini della sola statuizione sugli effetti civili - la prosecuzione avanti alla giurisdizione ordinaria civile, successivamente alla intervenuta fase di cassazione in sede penale" e pertanto "dotata di autonomia strutturale e funzionale essendosi verificata una scissione tra le materie sottoposte a giudizio mediante il ritorno dell'azione civile alla cognizione del suo giudice naturale"; dall'altro, tuttavia (ma non del tutto coerentemente con la premessa strutturale), "il giudice civile dovrebbe uniformarsi al principio di diritto contenuto nella pronuncia penale di legittimità, e ciò perchè egli è investito della controversia esclusivamente entro i limiti segnati dalla sentenza di cassazione e dalle questioni da essa decise, secondo il combinato disposto dell'art. 384 disp. att. c.p.c., comma 2, e art. 143 disp. att. c.p.c.)". La sentenza della Cassazione penale "vincolerebbe, pertanto, il giudice di rinvio non solo in ordine al principio di diritto affermato, ma anche quanto alle questioni di fatto costituenti il presupposto necessario ed inderogabile della pronuncia".

15. Mentre l'adozione della prima tesi (e, sul piano procedurale, della terza) risolverebbe tout court le questioni sopra elencate, escludendone in radice la rilevanza, la seconda ne impone inevitabilmente l'esame, rimuovendosi, con essa, i limiti connessi alla collocazione originaria dell'azione civile in seno al processo penale; in altri termini:

a) se si ritiene che il giudizio dinanzi alla Corte d'appello civile costituisca, formalmente e sostanzialmente, la fase rescissoria dell'impugnazione svoltasi innanzi alla Corte di cassazione penale, si dovrà riconoscere a quest'ultima il potere di enunciare il principio di diritto al quale il giudice del rinvio deve (al di la della sua correttezza) uniformarsi, in base alle regole stabilite, in guisa sostanzialmente speculare, dai codici di rito penale e civile (art. 173 disp. att. c.p.p., comma 2, e art. 384 c.p.c.;

b) se invece si ritiene che, a seguito dell'annullamento con rinvio al giudice civile ex art. 622 c.p.p. l'azione civile (ri)acquisti la sua autonomia morfologica e funzionale rispetto al giudizio penale ormai concluso, in ragione della scissione determinatasi a seguito della valutazione compiuta dal giudice penale al riguardo, andrà negato il potere della Corte di cassazione penale di enunciare un principio di diritto, procedurale e/o probatorio, al quale il giudice del rinvio deve uniformarsi.

16. La soluzione della questione sottoposta all'esame del Collegio non può prescindere dal significativo principio affermato nella più volte ricordata sentenza Sciortino delle stesse Sezioni unite penali di questa Corte, che ritengono applicabili, nel giudizio civile di rinvio ex art. 622 c.p.p., le regole e le forme della procedura civile: e non sembra potersi seriamente dubitare che tale affermazione abbia riguardo alla disciplina processuale e probatoria del processo civile, tali essendo, rispettivamente e inconfutabilmente, le forme e le regole di quel giudizio. Nè meno illuminante appare il dictum delle stesse sezioni unite penali della Corte (Cass. ss.uu. 29 maggio 2008, n. 40049), a mente del quale spetta alle sezioni civili della Corte il compito di fornire la corretta interpretazione delle disposizioni che regolano gli effetti nei giudizi civili delle decisioni adottate in altre sedi, compresa quella penale: il giudice penale deve, quindi, quanto meno tendere ad un'interpretazione uniforme, che tenga conto del diritto vivente applicato dai giudici civili, e che eviti contrasti di giurisprudenza tanto più gravi in quanto non è prevista una sede deputata alla loro composizione.

17. E', ancora, la meno recente giurisprudenza penale ad affermare che, una volta venuto meno lo spazio per ulteriori pronunce del giudice penale, mancherebbe la stessa "ragion d'essere della speciale competenza promiscua (penale e civile) attribuita al giudice penale in conseguenza della costituzione di parte civile" (Cass. pen., 27/04/2010, n. 32577; Cass. pen. 17/04/2013, n. 23944), facendo difetto quell'interesse penalistico alla vicenda che giustifica il permanere della questione in sede penale: in virtù del principio di economia processuale, la decisione sugli aspetti civili viene rimessa al giudice civile, competente a pronunciarsi sia sull'an che sul quantum, avendo il giudizio di rinvio, disposto ai sensi dell'art. 622 c.p.p., ad oggetto "un tema ed una situazione giuridica soggettiva autonomi rispetto a quelli concernenti il dovere di punire, pur avendo in comune il fatto, quale presupposto del diritto al risarcimento".

17.1. Si deve conseguentemente dubitare che la Corte di cassazione penale abbia il potere di stabilire, in sede di annullamento con rinvio al giudice civile, quali siano le regole e le forme da applicare in tale giudizio, poichè tale compito deve ritenersi demandato integralmente al giudice civile di appello, e alla stessa Corte di cassazione civile investita dell'eventuale impugnazione della decisione emessa in sede di rinvio ex art. 622 c.p.p..

17.2. La definitività, l'irretrattabilità, l'intangibilità della decisione adottata in ordine alla responsabilità penale dell'imputato, determinate dalla pronuncia con la quale la Corte di cassazione (penale) annulla le sole disposizioni o i soli capi che riguardano l'azione civile (promossa in seno al processo penale), ovvero accoglie il ricorso della parte civile avverso il proscioglimento dell'imputato, deve, a giudizio del Collegio, ritenersi tale da provocare il radicale e definitivo dissolvimento delle ragioni che avevano originariamente giustificato, a seguito della costituzione della parte civile nel procedimento penale, le rilevanti e consistenti deroghe alle modalità di istruzione e di accertamento dell'azione civile, imponendone i condizionamenti, i termini, i limiti e le latitudini proprie del codice di rito penale, dei suoi profili funzionali e delle sue specifiche finalità, giusta l'insegnamento dello stesso Giudice delle leggi più volte ricordato, che deve ritenersi, peraltro, limitato proprio (e solo) all'ambito del giudizio penale ed al suo definitivo esaurimento.

17.3. Varrà, infatti, considerare come, una volta consentito l'inserimento dell'azione civile nella struttura del processo penale, l'accertamento della sussistenza dei presupposti per il suo accoglimento (prospettato come richiesta risarcitoria e/o restitutoria conseguente alla commissione, da parte dell'imputato, dei fatti indicati nel capo d'accusa come reato) necessariamente presupponga la pronuncia di una condanna dell'imputato; sì che, coerentemente, il giudice penale di primo grado è abilitato a pronunciare sull'azione civile nel solo caso in cui ("quando") pronunci una sentenza di condanna (art. 538 c.p.p., comma 1), dovendo, in caso di proscioglimento dell'imputato per qualsiasi causa, astenersi dal pronunciare sull'azione civile. Viceversa, là dove, in sede d'appello, il giudice penale ritenga di dover riformare la condanna pronunciata dal primo giudice (prosciogliendo l'imputato), ovvero sia investito della sola impugnazione proposta dalla parte civile avverso l'assoluzione dell'imputato, detto giudice, non potendo restituire l'azione civile alla sede sua propria, dovrà al contrario procedere e decidere su di essa secondo i canoni propri del rito penale (art. 578 c.p.p.), essendo tale conseguenza imposta, da un lato, dal potenziale persistere del conflitto sui capi penali (come nel caso di eventuale ricorso per cassazione della parte pubblica) e, dall'altro, dalla circostanza costituita dal trattarsi (in caso di impugnazione della sola parte civile) di una decisione comunque emessa da un giudice penale, su un'impugnazione proposta avverso una sentenza penale e nel corso di un processo penale, sia pure arricchito dall'originaria, strutturale, legittima connessione delle due azioni (civile e penale).

17.4. Varrà, in proposito considerare ancora:

- che il giudizio innanzi al giudice del rinvio si introduce mediante citazione, anzichè con atto riassuntivo;

- che la citazione deve essere notificata alla parte personalmente e non nelle forme previste dall'art. 170 c.p.c., dettato (come precisa la rubrica dell'articolo) per la ipotesi del procedimento in corso;

- che dal disposto dell'art. 393 c.p.c. (a mente del quale all'ipotesi di mancata, tempestiva riassunzione del giudizio, non consegue il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, bensì la sua inefficacia), si desume in via indiretta che la sentenza del giudice del rinvio non si sostituisce ad alcuna precedente pronuncia (nè di primo, nè di secondo grado), riformandola o modificandola, ma statuisce, direttamente e per la prima volta, sulle domande proposte dalle parti (Cass. 22/05/2006, n. 11936);

- che il giudice del rinvio ha il compito di provvedere sulle spese di tutti i precedenti gradi di giudizio, incluso il primo, proprio perchè la sua sentenza non ha carattere sostitutivo di alcuna precedente pronuncia (Cass. 22/05/2006, n. 11936).

17.5. Deve, pertanto, definitivamente affermarsi che, essendo ormai intervenuto un giudicato agli effetti penali, ed essendo venuta meno, con l'esaurimento della fase penale del giudizio, la ragione stessa di attrazione dell'illecito civile nell'ambito delle regole della responsabilità penale, risulta coerente con la stessa ragion d'essere dell'intero sistema normativo che la domanda risarcitoria venga esaminata secondo le regole proprie dell'illecito aquiliano - regole la cui peculiarità è conseguenza della attuale funzione della responsabilità civile, volta all'individuazione del soggetto su cui, secondo il sistema del diritto civile, far gravare le conseguenze risarcitorie del danno verificatosi nella sfera giuridica della vittima, e non (più) a comminargli una sanzione (penale).

17.5.1. Imponendo al giudice civile di pronunciarsi sull'esatta interpretazione di norme penali e sull'applicazione delle regole, processuali e probatorie, di un giudizio (erroneamente) ritenuto "prosecutorio", del resto, si correrebbe il rischio che la Corte di Cassazione, nelle sue articolazioni, civile e penale, pervenga a soluzioni interpretative contrastanti all'interno del medesimo processo, suscettibili di indebolire la funzione nomofilattica dell'indirizzo ermeneutico espresso dal giudice di legittimità.

18. Le premesse così tracciate in ordine ai rapporti tra l'azione penale e l'azione civile promossa nell'ambito processuale della prima consentono di dar conto della natura e delle ragioni effettive della disciplina di cui all'art. 622 c.p.p., ai sensi del quale "fermi gli effetti penali della sentenza, la corte di cassazione, se ne annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l'azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato, rinvia quando occorre al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l'annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile". In tal caso, non potendo più prospettarsi alcuna potenziale persistenza di un conflitto sui capi penali, il legislatore processuale si è trovato dinanzi ad una scelta:

a) disporre un ritorno della causa al giudice penale d'appello, ciò che avrebbe coerentemente soddisfatto la circostanza costituita dal trattarsi di una decisione comunque emessa da un giudice penale, su un'impugnazione proposta avverso una sentenza penale e nel corso di un processo penale, sia pure arricchito dall'originaria, strutturale connessione delle due azioni (come, peraltro, previsto dal codice di procedura penale nelle altre ipotesi in cui il giudizio permane in sede penale, sebbene coinvolga questioni relative alla sola azione civile esercitata nel processo penale, nelle quali è del tutto pacifico che il giudice applichi alla azione civile le regole penali, come nel caso di appello proposto dalla sola parte civile avverso la sentenza di proscioglimento, ove la Corte di merito decide l'impugnazione previo accertamento incidentale della sussistenza o meno della responsabilità penale applicando le regole penali, come previsto dall'art. 573 c.p.p.);

b) ovvero prendere coerentemente atto, rimettendo le parti dinanzi al giudice civile, del definitivo dissolvimento di quelle ragioni che avevano originariamente giustificato, a seguito della costituzione di parte civile, il "sacrificio" dell'azione civile alle ragioni dell'accertamento penale.

18.1. Significativamente, la scelta legislativa ha privilegiato tale ultima soluzione, imponendo il ritorno dell'azione civile alla sede sua propria, e discorrendo di una forma di 'rinviò (quello di cui all'art. 622 c.p.p.) la cui natura, tuttavia, solo formalmente (attesane l'infungibilità lessicale) evoca i principi propri di quel giudizio, ma che non può in alcun modo configurarsi alla stregua di una "prosecuzione" del processo penale (ogni interesse penalistico dovendosi ritenere ormai definitivamente dissolto), bensì alla stregua di giudizio autonomo (sia pur sui generis), sia in senso strutturale che funzionale, essendosi realizzata la definitiva scissione tra le materie sottoposte a giudizio, mediante la restituzione dell'azione civile - con il giudizio di "rinvio", che più opportunamente andrebbe definito di rimessione all'organo giudiziario cui essa appartiene naturalmente (in proposito, non appare senza significato che autorevole dottrina abbia prospettato l'esigenza di riflettere, de iure condendo, sull'opportunità di lasciare alla competenza del giudice penale anche il giudizio di rinvio ai soli effetti civili, in linea con la strada suggerita dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 29 del 1972: soluzione, questa, che avrebbe l'indubbio pregio di ricondurre a coerenza il sistema, al pari di quella, affatto speculare, e pure adombrata in dottrina e nei lavori preparatori del codice di rito penale, di escludere tout court la parte civile dal processo penale).

18.2. Di difficile comprensione, viceversa, sarebbe il dettato normativo nella parte in cui, con l'inciso "quando occorre", consentirebbe (ed anzi imporrebbe, in forza del principio costituzionale del giusto processo, che vuol dire anche processo celere) al giudice penale di risolvere la questione civilistica rigettando sic et simpliciter la domanda, in applicazione dei propri criteri di giudizio alla fattispecie risarcitoria.

18.3. Il giudizio di rinvio, pertanto, solo formalmente costituisce una prosecuzione di quello penale, attesa la sopravvenuta impossibilità - una volta esauritasi definitivamente ogni questione riguardante il preliminare accertamento in concreto di un reato (in quanto tale) - di rinvenire alcuna giustificazione a fondamento delle deroghe alle modalità di istruzione e di accertamento dell'azione civile.

18.4. Si è dunque al cospetto, giusta il disposto dell'art. 622 c.p.p., di una sostanziale, definitiva ed integrale translatio iudicii dinanzi al giudice civile, con la conseguenza che rimane del tutto estranea all'assetto del giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., la possibilità di applicazione di criteri e regole probatorie, processuali e sostanziali, tipiche della fase penale esauritasi a seguito della pronuncia della Cassazione, atteso che la funzione di tale pronuncia, al di là della restituzione dell'azione civile all'organo giudiziario a cui essa naturaliter appartiene, è limitata a quella di operare un trasferimento della competenza funzionale dal giudice penale a quello civile, essendo propriamente rimessa in discussione la res in iudicium deducta, nella specie costituita da una situazione soggettiva ed oggettiva del tutto autonoma (il fatto illecito) rispetto a quella posta a fondamento della doverosa comminatoria della sanzione penale (il reato), attesa la limitata condivisione, tra l'interesse civilistico e quello penalistico, del solo punto in comune del "fatto" (e non della sua qualificazione), quale presupposto del diritto al risarcimento, da un lato, e del dovere di punire, dall'altro.

19. Deve pertanto essere rimeditata tout court la stessa questione dei limiti processuali imposti dalla natura c.d. chiusa del giudizio di rinvio ex art. 394 c.p.c., comma 3.

19.1. La morfologia di quel giudizio, ricostruita in termini di autonomia strutturale e funzionale rispetto al processo penale ormai conclusosi, consente di ritenere legittima, oltre alla possibilità di formulazione di nuove conclusioni sorte in conseguenza di quanto rilevato dalla sentenza di cassazione penale, anche l'emendatio della domanda ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell'illecito civile, sia pur nei limiti del sistema generale delle preclusioni fissato dall'art. 183 c.p.c., alla luce del recente insegnamento delle sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. U, 15 giugno 2015 n. 12310: in termini, di recente, per l'ammissibilità della modificazione dell'originaria domanda risarcitoria - formulata da un investitore nei confronti dell'intermediario finanziario - in quella di risoluzione per inadempimento, Cass. 25 maggio 2018 n. 13091; ancora, per ammissibilità della sostituzione della originaria domanda di adempimento di un'obbligazione contrattuale con quella di ingiustificato arricchimento, Cass. Sez. U., 13 settembre 2018 n. 22404). L'emendatio della domanda sarebbe oggetto di legittima formulazione dalla parte, e di altrettanto legittimo esame da parte del giudice, stante la disciplina del codice di rito penale che, con riferimento alle formalità della costituzione di parte civile, impone modalità contenutistiche e formali sostanzialmente omologhe a quelle previste dal codice di rito civile per il contenuto della citazione - analogamente a quanto si legge all'art. 163 c.p.c., comma 3, n. 4, nel codice di rito penale viene previsto sia che la dichiarazione di costituzione contenga, tra l'altro, "l'esposizione delle ragioni che giustificano la domanda" (art. 78 c.p.p., comma 1, lett. d)), sia che la citazione del responsabile civile contenga la specifica "indicazione delle domande che si fanno valere" nei suoi confronti (art. 83, comma 3, lett. b). Pertanto, da un verso, si prevede la precisazione della causa petendi al momento della costituzione di parte civile, dall'altro si sancisce l'obbligo per la parte civile di precisare il petitum depositando conclusioni scritte comprendenti, se è richiesto il risarcimento, anche la determinazione del suo ammontare (art. 523 c.p.p., comma 2).

19.2. Dovrà parimenti ritenersi ammessa, in sede di giudizio dinanzi alla Corte d'appello in unico grado, un'eventuale, diversa valutazione dell'elemento soggettivo (colpa anzichè dolo) e un'eventuale, diversa qualificazione del titolo di responsabilità ascritta al danneggiante, ove i fatti costitutivi posti a fondamento dell'atto di costituzione di parte civile siano gli stessi che il giudice di appello è chiamato ad esaminare. La tutela del diritto di difesa del danneggiato sarà, in tal caso, garantita dal disposto dell'art. 101 c.p.c., comma 2, poichè, in presenza di una rilevazione officiosa del giudice, gli sarà consentito il deposito di memorie contenenti osservazioni sulla questione a seguito della riserva di decisione prevista dalla norma citata, così operandosi un equo bilanciamento tra le contrapposte posizioni di chi non ha spiegato tutte le necessarie difese in sede penale e che, di converso, si vede sottratto un grado di giudizio per far valere il proprio diritto risarcitorio.

20. In conclusione, pur nella sostanziale consonanza delle regole di enunciazione del "principio di diritto" (nel sistema processuale penale e civile) indirizzate al giudice del rinvio perchè ad esse si uniformi (art. 173 disp. att. c.p.p., comma 2, e art. 384 c.p.c.), esse tuttavia presuppongono che di vero e proprio giudizio di rinvio si tratti, e non risultano applicabili allorquando, come nella specie, l'azione civile si sia ormai affrancata dal giudizio penale in ragione della scissione determinatasi a seguito della valutazione compiuta dal giudice penale che, chiusa la fase penale e "fermi gli effetti penali della sentenza", rimette ai soli effetti civili la cognizione del giudice civile competente in grado di appello.

20.1. Offre ulteriore conforto alla soluzione predicativa della valenza soltanto lessicale dell'espressione "rinvio al giudice civile", va ripetuto, la considerazione che non è consentito al giudice penale, nel sistema vigente - ispirato al principio di separazione dei processi e all'indipendenza dei giudicati - di decidere anche sulle domande civili quando prosciolga l'imputato, tenuto conto che gli accertamenti al riguardo sarebbero del tutto impropri, perchè compiuti da un giudice penale che, dovendo prosciogliere, rimane privo di competenza sull'azione civile.

20.2. In particolare, se, nel processo penale, a differenza che in quello civile, la parte civile può legittimamente rendere testimonianza, in mancanza di una norma speculare a quella dell'art. 246 c.p.c., e tale testimonianza può essere sottoposta al cauto e motivato apprezzamento del giudice penale, che può fondare la sentenza di condanna anche soltanto su di essa, l'efficacia probatoria di tale atto processuale deve essere vagliata alla stregua delle regole processuali del codice di rito civile.

20.3. In proposito, questa Corte, in passato, ha (non condivisibilmente) ritenuto che la testimonianza resa dalla parte civile nel processo penale conservi il suo valore anche quando, con l'accoglimento del ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato, il solo processo civile prosegua dinanzi al giudice di rinvio, fondando tale convincimento sul (non condivisibile) presupposto secondo il quale, in tal caso, continuerebbero ad applicarsi, in parte qua, le regole proprie del processo penale, e la deposizione giurata della parte civile, ormai definitivamente acquisita, andrebbe esaminata dal giudice del rinvio esattamente come avrebbe dovuto esaminarla il giudice penale se le due azioni non si fossero occasionalmente separate (Cass. 14 luglio 2004, n. 13068).

20.4. Dalle argomentazioni che precedono, viceversa, deve ritenersi illegittima l'eventuale ricostruzione del fatto dannoso - ovvero qualsiasi eventuale riconoscimento di efficacia probatoria - che faccia riferimento alle dichiarazioni rese in sede penale, in veste di testimone, dalla parte civile. Una diversa interpretazione si porrebbe, difatti, in contrasto con il principio che vincola il giudice del rinvio ex art. 622 c.p.p., al rispetto dei canoni sostanziali e processuali propri del giudizio civile, tra cui quello di cui all'art. 246 c.p.c., ai sensi del quale "non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio".

20.5. Quanto alle prove dichiarate inutilizzabili nel processo penale, il giudice penale di legittimità, nell'annullare senza rinvio agli effetti penali, con rinvio agli effetti civili ex art. 622 c.p.p., per vizio di motivazione, la sentenza fondata su dichiarazioni di un ufficiale di polizia giudiziaria ritenute inutilizzabili perchè assunte in violazione del divieto posto dall'art. 195 c.p.p., comma 4, ha ritenuto che "la prova inutilizzabile nel processo penale, perchè assunta in violazione di un espresso divieto probatorio, non possa essere utilizzata nel giudizio civile, atteso che diversamente, si realizzerebbe una sostanziale elusione dell'accertamento compiuto in sede penale" (Cass. 8 febbraio 2018, n. 43896).

20.5.1. A tale principio non può darsi alcun seguito.

Con particolare riferimento alla questione dell'inutilizzabilità delle prove, difatti, questa Corte, seppure con riguardo ad un giudizio civile autonomamente instaurato e non proveniente da un annullamento con rinvio ex art. 622 c.p.p., (senza che tale circostanza segni alcuna differenza di regime probatorio, per la ragioni poc'anzi esposte), ha condivisibilmente affermato che, nell'ordinamento processualcivilistico, mancando una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purchè idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se e in quanto non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze del processo (Cass. 25 marzo 2004, n. 5965). In base al principio del libero convincimento, pertanto, il giudice civile può autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le prove raccolte in un processo penale e, segnatamente, le dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali. In tale contesto, deve ritenersi che il giudice civile possa trarre elementi di convincimento - sempre che li sottoponga ad adeguato vaglio critico - anche dalle dichiarazioni c.d. autoindizianti rese da un soggetto in un procedimento penale, non potendo la sanzione di inutilizzabilità prevista dall'art. 63 c.p.p., posta a tutela dei diritti di difesa in quella sede, spiegare effetti al di fuori del processo penale. L'utilizzabilità, difatti, è categoria del solo rito penale, ignota al processo civile, e le prove precostituite, quali gli stessi documenti provenienti da un giudizio penale, entrano legittimamente nel processo, attraverso la produzione e nella decisione in virtù di un'operazione di logica giuridica, e tali risultanze probatorie appaiono contestabili solo se svolte in contrasto con le regole, rispettivamente, processuali o di giudizio, che vi presiedono (Cass. 4 giugno 2014, n. 12577, con riferimento, in particolare, al valore probatorio delle dichiarazioni indizianti ex art. 63 c.p.p.).

20.6. Va parimenti data continuità all'orientamento di questa Corte secondo il quale, con specifico riferimento ai poteri di valutazione delle risultanze probatorie riservati al giudice di merito, l'obbligo di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale (imposto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo con la sentenza 21 settembre 2010, Marcos Barriosfitalia, in relazione all'art. 6, par. 1 della Convenzione EDU) si impone soltanto in ambito penalistico ogni qualvolta si intenda riformare la sentenza assolutoria di primo grado in ossequio della regola di giudizio "al di la di ogni ragionevole dubbio" e della garanzia costituzionale della presunzione di non colpevolezza di cui all'art. 27 Cost., comma 2, ma non è applicabile ai giudizi risarcitori civili, governati - in tema di accertamento del nesso causale tra condotta illecita e danno - dalla diversa regola probatoria del "più probabile che non", e ciò tanto più ove venga richiesta in appello l'affermazione della responsabilità del presunto danneggiante (nella specie, responsabilità da circolazione stradale) negata dal giudice di primo grado (Cass. 30 settembre 2016, n. 19430).

21. A non diversa soluzione deve giungersi quanto all'individuazione delle regole probatorie applicabili in tema di nesso causale.

21.1. La questione se, ai fini dell'accoglimento della domanda di risarcimento del danno, nel giudizio di rinvio debbano continuare ad applicarsi le regole processuali penali che hanno governato il processo fino all'annullamento da parte della Corte di cassazione - con la conseguenza che l'an della responsabilità debba essere accertata secondo il canone dell'al di là di ogni ragionevole dubbio (così come avviene nel giudizio penale d'impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento impugnata dalla sola parte civile) - ovvero se, una volta separata la res iudicanda penale da quella civile, a quest'ultima possano applicarsi le regole processuali civili, con la conseguente sufficienza di un minor grado certezza in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi dell'illecito, secondo il canone civilistico del "più probabile che non", trova appagante soluzione nella stessa premessa posta in ordine alla natura del giudizio di rinvio.

21.2. Alla luce degli stessi criteri di ragionevolezza, di effettività della tutela e di bilanciamento di interessi più volte affermati dalle Corti sovranazionali, non appare conforme a diritto vincolare il giudizio civile alle regole processuali penali, imponendo un trattamento differenziato a seconda che la pretesa civile della persona offesa venga azionata nel processo penale oppure in quello civile, una volta che il primo abbia definitivamente esaurito la sua funzione. Trattamento differenziato che potrebbe, oltretutto, determinare effetti paradossali nel caso in cui due persone danneggiate dallo stesso fatto illecito (danno parentale per uccisione di un congiunto) scelgano l'una di costituirsi parte civile nel giudizio penale e l'altra di esercitare l'azione di risarcimento dei danni in quello civile. In tale caso, all'esito del rinvio.

al giudice civile ex art. 622 c.p.p., in una rinnovata dimensione (soltanto) civilistica del procedimento, l'una potrebbe vedersi rigettare la domanda risarcitoria, l'altra vederla accolta dal giudice adito in conseguenza della applicazione di una diversa regola causale - così ponendosi, a tacer d'altro, un evidente problema di conformità a Costituzione di una siffatta interpretazione.

21.3. Deve pertanto, darsi seguito al più recente orientamento di questa Corte, alla luce del quale (Cass. 12 aprile 2017, n. 9358), riassunto il processo nella sede civile, il giudice di rinvio non è affatto vincolato, nella ricostruzione del fatto, a quanto accertato dal giudice penale: se, tecnicamente, il giudizio di rinvio è regolato dagli artt. 392 - 394 c.p.c., è del tutto evidente che non è per questo in alcun modo ipotizzabile un vincolo come quello che consegue all'enunciazione di un principio di diritto ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2, da parte di questa Corte: con conseguente dovere del giudice civile, nella (libera) ricostruzione dei fatti e nella loro (libera) valutazione, di applicare del criterio civilistico del "più probabile che non" nella valutazione del nesso causale, in luogo di quello tipico del processo penale dell'alta probabilità logica, e con conseguente irrilevanza sul piano processuale, dell'eventuale, contraria indicazione contenuta nella sentenza penale di rinvio ex art. 622 c.p.p..

21.4. I principi dianzi esposti sembrano trovare indiretta e ulteriore conferma nella stessa disposizione dell'art. 187 cpv. c.p., la quale, statuendo per i condannati per uno stesso reato l'obbligo in solido al risarcimento del danno, non esclude, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, ipotesi diverse di responsabilità solidale di soggetti che non siano colpiti da alcuna condanna o siano colpiti da condanna per reati diversi o siano taluni colpiti da condanna e altri no (Cass., 4 giugno 2001, n. 7507; Cass., 15 luglio 2005, n. 15030; Cass., 7 giugno 2006, n. 13272; Cass., S.U., 15 luglio 2009, n. 16503; Cass., 12 marzo 2010, n. 6041; Cass., 24 settembre 2015, n. 18899; Cass., 28 luglio 2017, n. 18753; Cass., 29 maggio 2018, n. 13365; Cass. n. 9067 del 2018, cit.; Cass. n. 1070 del 2019, cit.).

22. Dalle argomentazioni che precedono deriva, conclusivamente, che:

a) il diritto al risarcimento del danno è un diritto eterodeterminato, sicchè l'identificazione della domanda è conseguenza esclusiva dell'individuazione del relativo petitum e della relativa causa petendi, così come rappresentata dal danneggiato in sede di costituzione di parte civile;

b) i fatti costitutivi del diritto al risarcimento del danno prescindono dall'identificazione del fatto come reato;

c) all'esito della trasmigrazione del procedimento dalla sede penale, è diverso l'ambito entro il quale l'attività difensiva delle parti viene a svolgersi, dovendo le relative questioni essere trattate in base alla prospettazione del fatto sotto il profilo (non del reato, ma) dell'illecito civile ex art. 2043 c.c.;

d) all'esito del rinvio al giudice civile, il fatto perde la sua originaria connessione con il reato per riacquistare i caratteri dell'illecito civile, seguendo i canoni probatori propri di quel processo;

e) il giudice civile in sede di rinvio dovrà applicare, in tema di nesso causale, il canone probatorio del "più probabile che non" e non quello dell'alto grado di probabilità logica e di credenza razionale;

f) rispetto alla fattispecie di reato a condotta vincolata, nel giudizio civile possono essere fatte valere modalità di condotta diverse da quelle tipizzate dalla norma penale, e diversi titoli di responsabilità, che viceversa rilevino ai sensi dell'art. 2043 c.c. e ss..

g) deve ritenersi legittima una diversa valutazione dell'elemento soggettivo dell'illecito ove nel processo penale si sia proceduto per un reato doloso per il quale la legge penale non preveda una speculare punibilità a titolo di colpa, e che la valutazione dell'elemento soggettivo colposo (ove, nel giudizio penale, si sia proceduto a tale titolo) è autonoma dalla nozione di colpa penale;

h) l'esistenza di una causa di non punibilità prevista dalla legge penale e riconosciuta in quel giudizio non ne preclude un'autonoma valutazione in sede civilistica.

i) nel giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., non è consentita l'utilizzazione, alla stregua di una testimonianza, delle dichiarazioni rese dalla parte civile sentita quale testimone nel corso del processo penale, dovendo viceversa trovare applicazione il principio di cui di cui all'art. 246 c.p.c., ai sensi del quale non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio.

23. Dall'insieme delle argomentazioni che precedono, rilevata l'avvenuta ricostruzione del fatto dannoso dedotto nel presente giudizio, da parte del giudice a quo, sulla base delle dichiarazioni rese in sede penale, quale testimone, dalla parte civile costituita nel procedimento penale instaurato nei confronti degli odierni ricorrenti (dichiarazioni rispetto alle quali gli ulteriori elementi istruttori valorizzati nella motivazione appaiono riduttivamente qualificati alla stregua di meri elementi di conferma o di riscontro), deve ritenersi che detto giudice si sia posto in contrasto con il principio che vincola il giudice del rinvio ex art. 622 c.p.p., al rispetto dei canoni sostanziali e processuali propri del giudizio civile, primo fra tutti (ciò che in primo luogo rileva nel caso in esame) di quello di cui all'art. 246 c.p.c., ai sensi del quale "non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio".

24. Sulla base delle premesse sin qui illustrate, rilevata la complessiva fondatezza del ricorso, dev'essere disposta la cassazione della sentenza impugnata, con il conseguente rinvio alla Corte d'appello di Trieste, in diversa composizione, cui è rimesso (oltre che di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità) di uniformarsi al seguente principio di diritto:

"Il giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., costituisce solo formalmente una mera prosecuzione del processo penale, trattandosi, viceversa, di una sostanziale translatio iudicii dinanzi al giudice civile, con la conseguenza che rimane del tutto estranea all'assetto del giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., la possibilità di applicazione di criteri e regole probatorie, processuali e sostanziali, tipiche della fase penale esauritasi a seguito della pronuncia emessa dalla Corte di cassazione penale ai sensi dell'art. 622 c.p.p., mentre deve ritenersi imposta l'applicazione dei criteri e delle regole probatorie, processuali e sostanziali, proprie del giudizio civile.

Ciò posto, nel giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., non è consentita l'utilizzazione, alla stregua di una testimonianza, delle dichiarazioni rese dalla parte civile sentita quale testimone nel corso del processo penale, dovendo viceversa trovare applicazione il principio di cui di cui all'art. 246 c.p.c., ai sensi del quale non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio".

P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Trieste, in diversa composizione, cui è rimesso di decidere uniformandosi ai principi di diritto di cui in motivazione, oltre a provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2019