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Vale più la gallina o il cane? Uccisione di animali (Cass.49672/18)

30 ottobre 2018, Cassazione penale

L'art. 544-bis cod. pen. punisce chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagioni la morte di un animale: nella nozione di "necessità" degli art. 544-bis e ter cod. pen. rientra anche lo stato di necessità previsto dall'art. 54 cod. pen. nonché ogni altra situazione che induca all'uccisione o al maltrattamento dell'animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l'aggravamento di un danno alla persona o ai beni ritenuto altrimenti inevitabile.

La morte della gallina, animale da cortile destinato alla produzione di uova o alla macellazione, non rappresenta un danno giuridicamente apprezzabile tale da giustificare l'uccisione del cane, animale non solo di maggior valore economico, ma soprattutto d'affezione, e quindi tutelato dall'art 544-bis cod. pen.

 
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

(ud.26/04/20189, depositata 30/10/2018 n.49672

 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da BF, nato a Brescia;
 
avverso la sentenza in data 15.11.2017 della Corte d'appello di Brescia;
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
 
udita la relazione svolta dal consigliere Ubalda Macrì;
 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Paolo Canevelli, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza in data 15.11.2017, la Corte d'appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa città in data 24.1.2014, ha deciso di revocare la condanna di BF al pagamento della somma di € 4.500,00 a favore della parte civile e di rimettere le parti al giudice civile per la liquidazione del danno, confermando nel resto l'impugnata sentenza e quindi la condanna per il reato di cui all'art. 544-bis cod. pen., perché, per crudeltà e senza necessità, con il proprio fucile regolarmente detenuto, aveva sparato al cane razza Springer Spaniel Inglese di proprietà di MG, uccidendolo.
 
 
2. Con il primo motivo di ricorso, l'imputato deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., per errata applicazione dell'art. 544-bis cod. pen. anche in relazione all'art. 54 cod. pen. 
 
La Corte territoriale aveva ritenuto che il pericolo conseguente al comportamento aggressivo del cane, intrufolatosi nel pollaio di sua proprietà, era terminato, poiché l'animale stava scappando con una gallina in bocca.
 
Ritiene che non era stata valutata correttamente l'assenza della necessità.

Precisa che, al fine, doveva aversi riguardo alla L. n. 189/2004, cosiddetta del "benessere animale". L'introduzione dell'art. 544-bis cod. pen. non rappresentava il riconoscimento della titolarità da parte degli animali di veri e propri diritti nei confronti dell'uomo, ma, seguendo una concezione antropocentrica, offriva una tutela penale al sentimento di pietà che determinati atti compiuti sugli animali potevano destare nella comunità umana. 
 
L'oggetto materiale dell'azione criminosa era quindi rappresentato pur sempre dall'animale. Già in rapporto all'originario art. 727 cod. pen. era opinione condivisa che la tutela penale fosse circoscritta ai soli animali che, in ragione del loro grado di sensibilità, fossero suscettivi di generare sentimenti di pietà e compassione nell'uomo. Con le modifiche della L. n. 473/1993 si era ritenuto che il concetto di animale dovesse essere inteso in un'accezione moderatamente più ampia, sicché l'area di protezione penalistica si era estesa a tutte le specie verso cui l'uomo poteva adottare atteggiamenti socialmente apprezzabili. 
 
In questo contesto si era prestata tutela ad una serie di animali, tra cui le galline ovaiole, tant'era vero che il d. Lgs. n. 267/2003, in attuazione delle direttive 1999/74/CE e 2002/4/CE aveva previsto una serie di imposizioni minime da rispettare nel relativo allevamento. Precisa che la tutela penale era svincolata dal criterio di economicità dell'animale ed aveva ad oggetto tutti quegli animali che potevano avere atteggiamenti socialmente apprezzabili nei confronti dell'uomo, tra cui anche le galline, la cui uccisione ingiustificata poteva ingenerare un sentimento di pietà soprattutto in chi, allevandole, aveva con le stesse un contatto giornaliero.

La stessa parte civile era quindi imputata nel processo ex art. 638 cod. pen. innanzi al Giudice di pace per l'uccisione della gallina da parte del cane.

Argomenta che alla gallina era riconosciuta la medesima tutela che al cane.

La Corte territoriale, a differenza del primo Giudice, aveva riconosciuto tale principio, ma ritenuto, al contempo, che il pericolo, derivante dal comportamento aggressivo del cane nei confronti delle galline, fosse cessato perché il cane stava uscendo dalla proprietà.

Sennonché, il cane non stava uscendo semplicemente dalla proprietà, ma ne stava uscendo con la gallina in bocca. Ritiene che l'uccisione o il maltrattamento ingiustificati della gallina costituivano dei danni giuridicamente rilevanti, con la conseguenza che integrava la necessità scriminante l'uccisione di altro animale che avesse cagionato l'illecito. Il diritto al risarcimento del danno da parte dell'imputato per la gallina uccisa non escludeva, in altri termini, la necessità di uccidere il cane. 
 
In ogni caso, poteva ritenersi la sussistenza di una situazione di pericolo imminente, quanto meno putativa. Il cane aveva dimostrato un atteggiamento predatorio, essendosi introdotto nel pollaio ed avendo attaccato le galline, sicché era ragionevole temere che avrebbe attaccato anche eventuali persone presenti. Segnala che l'uccisione era stata dovuta alla limitata capacità di autodeterminazione per la concitazione del momento e lo spavento derivato da un illegittimo ed improvviso turbamento della propria tranquillità domestica.
 
 
2.1. Con il secondo motivo, lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., per errata applicazione dell'art. 544-bis cod. pen., anche in relazione agli art. 43, 47, comma 1, 59, ultimo comma, cod. pen. 
 
Precisa che, nell'atto d'appello, aveva sostenuto che si era rappresentato la sua azione come necessaria. Sebbene non avesse reso una dichiarazione specifica in tal senso nel corso del dibattimento, la percezione della situazione di pericolo era chiaramente estrapolabile dalle circostanze emergenti dalle dichiarazioni dei testimoni (aggressione del cane alle galline, gallina ancora in bocca al cane, donna e bambino sotto il portico). 
 
L'agente doveva rappresentarsi l'assenza della necessità della propria azione ed agire accettando l'evento. Contesta la frase attribuitagli dalla parte civile, secondo cui egli uccideva i cani che entravano nella sua proprietà. Censura la parte della motivazione della sentenza impugnata nella quale non erano stati evidenziati gli elementi sostanzianti il dolo. La Corte territoriale si era limitata a rilevare che egli non aveva dato una versione alternativa alla frase attribuita. In ogni caso, la prova del dolo non poteva essere desunta dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa, la quale non poteva considerarsi attendibile, se, come emerso in dibattimento, in una precedente occasione non aveva provveduto a risarcire la morte della gallina sua spante ma a seguito di una specifica richiesta.
 
 
2.2. Con il terzo motivo, censura la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. 
 
Se la gallina era da considerarsi un animale che il proprietario aveva diritto di difendere, anche uccidendo l'animale aggressore, non si vedeva perché la situazione di pericolo potesse considerarsi cessata se il cane portava ancora la gallina in bocca. Era emerso chiaramente che il cane non stava fuggendo solitario, dopo aver assaltato il pollaio e azzannato le galline, ma stava ancora procurando un danno portando la gallina in bocca e sottraendola al proprietario.

Era illogico ritenere che il pericolo non fosse attuale.

Segnala che la Corte territoriale era incorsa in una palese contraddizione, perché, ritenendo che la persona offesa fosse stata reticente nell'ammissione di fatti a sé sfavorevoli, avrebbe dovuto valutare le dichiarazioni nella sua complessità. In tema di dolo, era evidente che ricorressero delle circostanze di fatto che avevano determinato la percezione da parte di un uomo medio di una situazione attuale di pericolo. I Giudici non avevano preso in considerazione gli elementi fattuali emergenti, ma si erano limitati a ritenere non provato il dolo perché egli non aveva offerto una versione alternativa dei fatti. 
 
Inoltre, nell'escludere la richiesta di derubricazione del reato contestato nella fattispecie di cui all'art. 638 cod. pen., avevano ritenuto che non fosse sussistita la consapevolezza dell'altruità dell'animale.

Nel far ciò, aveva citato la teste che aveva riferito che, a causa della pioggia, non si capiva di che animale si trattasse. Tale motivazione era ontologicamente contraddittoria. Se egli avesse agito per punire il cane, allora doveva argomentarsi che era conscio che si trattava di quello della parte civile che era già entrato nella sua proprietà, donde l'applicazione dell'art. 638 cod. pen.; se invece non fosse stato in grado di riconoscere il cane, allora riviveva logicamente l'ipotesi del pericolo attuale, non sapendo di che animale si trattasse e se fosse comunque aggressivo. Censura ancora la parte della motivazione in cui la Corte territoriale aveva utilizzato l'elemento dell'irriconoscibilità dell'animale solo per giustificare la mancata derubricazione del reato, ma non per valutare il dolo.
 
 
2.3. Con il quarto motivo, deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., per errata applicazione degli art. 544-bis e 638 cod. pen., perché la Corte territoriale aveva ritenuto non condivisibile la richiesta di derubricazione del reato in quello di uccisione e danneggiamento di animali altrui. Reitera gli argomenti già spesi a sostegno della tesi dell'assenza del dolo.
 
 
2.4. Con il quinto motivo, denuncia la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per omessa motivazione delle spese liquidate alla parte civile.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
 
3.1. Il Giudice di prime cure ha ben spiegato che, pacifici i fatti storici, la morte della gallina, animale da cortile destinato alla produzione di uova o alla macellazione, non rappresentava un danno giuridicamente apprezzabile tale da giustificare l'uccisione del cane, animale non solo di maggior valore economico, ma soprattutto d'affezione, e quindi tutelato dall'art. 544-bis cod. pen.; che il danno patrimoniale dell'imputato poteva essere risarcito con la dazione del controvalore della gallina, come già avvenuto in un'occasione, mentre l'uccisione del cane, come si poteva arguire anche dalla testimonianza della moglie dell'imputato, costituiva un'immotivata ritorsione per le reiterate molestie recate dai cacciatori; che la tesi difensiva, secondo cui l'uccisione si era resa necessaria per proteggere il dipendente e la sua bambina dal pericolo di aggressione del cane, era smentita dal fatto che il fatto era avvenuto nel retro della proprietà, mentre il dipendente e la bambina stavano piuttosto sotto il portico davanti. Ha inoltre chiarito che l'imputato era consapevole di star abbattendo il cane di un cacciatore - circostanza ricavata sempre dalla testimonianza della donna - donde l'impossibilità della derubricazione ai sensi dell'art. 638 cod. pen..
 
 
3.2. La Corte territoriale ha risposto puntualmente a tutte le doglianze reiterate in questa sede, ad eccezione di quella sulle spese del giudizio liquidate alla parte civile che sembrerebbe essere stata formulata per la prima volta nel presente ricorso per cassazione come desumibile dalla parte narrativa della stessa sentenza impugnata.
 
Ha osservato che, nella specie, difettava in concreto la necessità di uccidere il cane, perché lo stesso aveva già azzannato la gallina e stava uscendo dalla proprietà dell'imputato quando questi gli aveva sparato, con la conseguenza che il pericolo poteva considerarsi in atto al momento dell'aggressione della gallina, ma cessato, siccome la gallina era stata presa ed il cane si stava allontanando con la preda.
 
Quanto all'elemento psicologico, la persona offesa ha dichiarato che l'imputato aveva affermato che lui i cani che entravano nella sua proprietà li uccideva, frase che l'imputato stesso non aveva contestato. La Corte territoriale ha quindi concluso che l'imputato non aveva sparato al cane perché stava difendendo la sua proprietà ma solo per punirlo dei danni ricevuti e dell'invasione della sua proprietà. Del resto, la moglie aveva riferito che ben quattro galline ovaiole erano state uccise dai cani.
 
Infine, la Corte territoriale ha ritenuto corretta la contestazione dell'art. 544-bis cod. pen., proprio sulla base della testimonianza della moglie dell'imputato secondo cui, a causa della pioggia, non si comprendeva di che animale si trattasse e non ricorreva la consapevolezza che il cane fosse di proprietà altrui potendo essere anche randagio.
 
 
3.3. Ritiene il Collegio che la Corte territoriale abbia fatto buon governo dei principi di diritto consolidati in materia.
 
Ed invero, l'art. 544-bis cod. pen. punisce chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagioni la morte di un animale.

Questa Corte ha in plurime occasioni chiarito che nella nozione di "necessità" degli art. 544-bis e ter cod. pen. rientra anche lo stato di necessità previsto dall'art. 54 cod. pen. nonché ogni altra situazione che induca all'uccisione o al maltrattamento dell'animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l'aggravamento di un danno alla persona o ai beni ritenuto altrimenti inevitabile (Cass., Sez. 3, n. 44822/07, Borgia, Rv.238456, che ha anche ricostruito la genesi della norma, Sez. 2, n. 43722/10, Rv Calzoni, Rv 248999, che ha annullato con rinvio la sentenza di merito che aveva escluso la necessità dell'uccisione di un pastore tedesco che aveva aggredito il cane dell'imputato e messo in pericolo l'incolumità della moglie, e n. 50329/16, Vitali, Rv. 268646, in un caso di uccisione di alano per tutelare l'incolumità dell'imputato e quella del suo cane di piccola taglia, aggredito e morso poco prima; si veda poi anche la sentenza n. 36715/14 Vullo, non massimata, che ha escluso la "necessità" in un caso in cui l'imputato, preavvertito della reazione del cane per il trattamento igienico forzato, non s'era limitato a liberarsi del cagnolino, ma l'aveva scaraventato per le scale e colpito a calci).

Nella specie, i Giudici di merito hanno escluso decisamente la "necessità", perché hanno accertato che il cane non aveva messo in pericolo l'incolumità di persone e beni, ma aveva aggredito la gallina ed era stato ucciso mentre si allontanava dopo aver compiuto il misfatto, quindi in un momento - è stato ampiamente chiarito - in cui non sussisteva più il pericolo ma si era già verificato il danno, che, per giunta, era stato valutato dai Giudici di entità economica inferiore a quello provocato con l'uccisione del cane.

Orbene, il tema d'indagine non e quello suggestivamente proposto dal ricorrente dello scontro di tutela della vita di animali, il cane da una parte e la gallina ovaiola dall'altra, tant'è vero che per l'uccisione della gallina lo stesso ricorrente ha affermato essere pendente un processo innanzi al Giudice di pace, bensì quello della verifica della necessità giustificante l'uccisione del cane. L'apprezzamento complessivo della vicenda da parte dei Giudici di merito, non sindacabile in questa sede, giacché non manifestamente illogico o irragionevole, è stato nel senso di una ritorsione dell'imputato dovuta alla rabbia per le pregresse uccisioni di galline ovaiole.
 
3.4. Quanto all'elemento psicologico, va ribadito che, allorché l'uccisione avvenga senza necessità, basta il dolo generico, a differenza dell'ipotesi di uccisione con crudeltà, per la quale è richiesto il dolo specifico. Nella specie, i Giudici di merito hanno adeguatamente esplorato anche l'elemento soggettivo, valorizzando le dichiarazioni della persona offesa nonché della moglie dell'imputato. Si tratta di un accertamento di fatto non censurabile con il ricorso per cassazione.
 
 3.5. Con riferimento alla qualificazione del fatto, la Corte territoriale ha parimenti applicato in modo corretto le norme, dopo aver verificato che, a causa della pioggia, non ricorreva la consapevolezza che il cane fosse altrui potendo anche essere randagio.

In questo modo, ha corretto la deduzione del Giudice di prime cure secondo cui il cane apparteneva a dei cacciatori, circostanza che poneva poi l'ulteriore problema della sufficiente determinatezza della nozione di proprietà privata ai fini dell'applicazione dell'art. 638 cod. pen. (Sui rapporti tra le due norme, si veda in particolare Cass., Sez. 2, n. 24734/10, Zanzurino, Rv 247744, secondo cui in tema di delitti contro il sentimento per gli animali, le nuove fattispecie di uccisione e maltrattamento di animali degli artt. 544-bis e 544-ter cod. pen. si differenziano dalla fattispecie di uccisione o danneggiamento di animali altrui di cui all'art. 638 cod. pen. sia per la diversità del bene oggetto di tutela penale - proprietà privata nell'art. 638 cod. pen. e sentimento per gli animali nelle nuove fattispecie -, sia per la diversità dell'elemento soggettivo, giacché nel solo art. 638 cod. pen. la consapevolezza dell'appartenenza dell'animale ad un terzo è elemento costitutivo del reato).
 
 
3.6. Infine, sulle spese liquidate a favore della parte civile, la doglianza si appalesa generica in considerazione del fatto che la Corte territoriale ha liquidato al di sotto dei minimi previsti dal decreto ministeriale in vigore al momento della pronuncia.
 
 
3. 7. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
 

P.Q.M.
 
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
 
Così deciso, il 26 aprile 2018.