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Vajont, fu disastro colposo con previsione dell'evento (Cass., 1971)

25 marzo 1971, Cassazione penale e Nicola Canestrini

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"Vajont è il nome del torrente che scorre nella valle di Erto e Casso per confluire nel Piave, davanti a Longarone e a Castellavazzo, in provincia di Belluno (Italia).

La storia di queste comunità venne sconvolta dalla costruzione della diga del Vajont, che determinò la frana del monte Toc nel lago artificiale. 

Nella tarda sera del 9 ottobre 1963, alle 22.39, sulla linea di confine tra le provincie di Belluno e di Udine - là dove si ergeva e si erge una delle più alte dighe del mondo a sbarrare la strada al torrente Vajont, formando un bacino artificiale di 150 milioni di metri cubi d'acqua - il disastro si è scatenato improvviso, cogliendo di sorpresa i centri abitati a monte e a valle della diga, sui quali si avventava una mostruosa valanga d'acqua e di fango.

La catastrofe è così descritta dalla Relazione della Commissione di inchiesta nominata dal Ministro dei Lavori Pubblici:

"Alle ore 22,39 del 9 ottobre 1963 il movimento franoso delle pendici del Toc, già in atto, assumeva un andamento percipite, irruento, irresistibile. L'acqua del lago artificiale subiva una formidabile spinta: con andamento di 50 Km all'ora la frana avanzava, raggiungeva la sponda destra della diga, urtava contro questa e vi scorreva sopra.

La tremenda pressione della massa spostava un volume di 50 milioni di metri cubi d'acqua.

Sono stati commessi tre fondamentali errori umani che hanno portato alla strage: l'aver costruito la diga in  una valle non idonea sotto il profilo geologico; l'aver innalzato la quota del lago artificiale oltre i margini di sicurezza; il non aver dato l'allarme la sera del 9 ottobre per attivare l'evacuazione in massa delle popolazioni residenti nelle zone a rischio di inondazione."
(fonte: Tragedia della diga del Vajont. 9 ottobre 1963, https://www.certifico.com/categorie/274-news/6979-tragedia-della-diga-del-vajont-9-ottobre-1963).

Ecco uno dei molti articoli di cronaca in occasione del 40esimo anniversario. 

"Si sono dimenticati tutti del Vajont. Oggi, a 40 anni di distanza, quanti ragazzi sanno di quella tragedia? Se ne sono dimenticati tutti, e se n'è dimenticata anche la giustizia. Ma non ora: trent'anni fa, quando la Cassazione mise la parola fine a una vicenda tragica. Con un finale tragicomico: il conto dei morti accertati arriva a 1917, quello della condanna per quello scempio si ferma a due per 'inondazione aggravata dalla previsione dell'evento". L'evento: la frana, con i suoi morti. A tanti anni di distanza, l'unico imputato sembra essere lo Stato. Lo Stato fatto di incuria e di approssimazione. Di serate mondane al Lido di Venezia invece di sopralluoghi sulla diga che già scricchiolava. Di compravendita di licenze da ambulante trasformate in cornucopie, da cui è uscito per anni denaro pubblico finito nelle tasche sbagliate. Processi, suicidi, professionisti messi alla gogna. Non se ne ricorda più nessuno, tutto dimenticato.

C'è un sito internet che si chiama www.vajont.net, realizzato dal Comune di Longarone. Coordinati da Andrea Losso, gli autori dipingono un quadro che fa rabbrividire, ma aiutano a mantenere viva la memoria. Proviamo a ricostruire.

Tre giorni dopo la strage, il presidente del Consiglio (Giovanni Leone, accompagnato dal ministro dei Lavori pubblici Benigno Zaccagnini, visita i luoghi della tragedia. «Presidente, vogliamo giustizia», grida la gente. Il futuro capo dello Stato è avvocato e ama le frasi importanti. «E giustizia avrete», declama. Promessa mai mantenuta.

Si muove la magistratura. Il procuratore di Belluno Fabio Mandarino apre un fascicolo che porterà il 20 febbraio del 1968 al deposito della sentenza di rinvio a giudizio nei confronti di 11 persone: Alberico Biadene, Mario Pancini, Pietro Frosini, Francesco Sensidoni, Curzio Batini, Francesco Penta, Luigi Greco, Almo Violin, Dino Tonini, Roberto Marin e Augusto Ghetti. Il processo viene fissato davanti al Tribunale de L'Aquila per il 29 novembre dello stesso anno. Ma sul banco degli imputati siedono solo 8 persone: Penta e Greco nel frattempo sono morti, Pancini si è tolto la vita il giorno prima.

L'aula è stracolma.

C'è gente arrivata dal Friuli e dal Veneto con ogni mezzo.

Il dibattimento va avanti un anno. Figure meschine e autentiche gemme di civiltà come l'arringa dell'avvocato di parte civile, Sandro Canestrini.

Parla per 16 ore, il suo intervento diventerà un libro che vale la pena leggere: 'Il genocidio dei poveri".

Il 17 dicembre del 1969, i giudici pronunciano la sentenza: il pm aveva chiesto 21 anni per tutti gli imputati (tranne che per Violin: 9) per disastro colposo aggravato e omicidio colposo plurimo. Ma i giudici sono di altro avviso: Biadene, Batini e Violin sono condannati a 6 anni, di cui 2 condonati, per omicidio colposo. Sono colpevoli di non aver avvertito la gente e di non aver messo in moto lo sgombero. Il cardine dell'accusa, la prevedibilità dell'evento, finisce nel cestino.

Non resta che sperare nell'Appello. Il giudizio di secondo grado inizia sempre a L'Aquila nell'estate del 1970, con lo stralcio della posizione di Batini, gravemente malato. La sentenza il 3 ottobre: Biadene e Sensidoni sono riconosciuti colpevoli di non aver previsto la frana, del disastro che ne seguì, degli omicidi colposi: la condanna per loro è rispettivamente a 6 anni a Biadene e 4 e mezzo a Sensidoni, di cui tre condonati. Frosini e Violin vengono assolti per insufficienza di prove, Marin e Tonini assolti perché il fatto non costituisce reato, Ghetti per non aver commesso il fatto.

La pietra tombale sulle responsabilità la mette la Cassazione il 15 marzo del 1971 con la sentenza qui allegata: Biadene e Sensidoni vengono riconosciuti colpevoli di un solo reato: inondazione aggravata. I giudici leggono la sentenza solo due settimane prima della data in cui sarebbe scattata la prescrizione. Ma questa sarebbe stata una beffa troppo grande."

(da Il Messaggero veneto, 5 ottobre 2003, Disastro del Vajont, la giustizia negata)

Di seguito la sentenza della Suprema Corte di Cassazione, davanti alla quale tra il 15 e il 25 marzo del 1971 si era svolto processo: Biadene e Sensidoni vengono riconosciuti colpevoli di un unico disastro: inondazione aggravata dalla previsione dell'evento compresa la frana e gli omicidi. Biadene viene condannato a cinque anni, Sensidoni a tre e otto mesi, entrambi con tre anni di condono. Tonini viene assolto per non aver commesso il fatto; gli altri verdetti restano invariati. La sentenza avvenne quindici giorni prima della scadenza dei sette anni e mezzo dell'avvenimento, giorno nel quale sarebbe intervenuta la prescrizione.

 

Corte di Cassazione

Sezione IV penale

sentenza 25 marzo 1971

Pres. Rosso P., Est. Bonadonna, P. M. Lapiccirella (concl. parz. diff.); ric. Biadene ed altri

tratta da Il Foro Italiano Vol. 94, No. 12 (DICEMBRE 1971), pp. 717/718-751/752 (18 pages)