Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Trojan informatico non può registrare ovunque (Cass. 27100/15)

26 giugno 2015, Cassazione penale

Tag

Nel caso di virus informatico del tipo "trojan", si tratta di una tecnica di captazione che presenta delle specifiche peculiarità e che aggiunge un quid pluris, rispetto alle ordinarie potenzialità dell'intercettazione, costituito dalla possibilità di captare conversazioni tra presenti non solo in una pluralità di luoghi , a seconda degli spostamenti del soggetto, ma - ciò che costituisce il fulcro problematico della questione- senza limitazione di luogo. Ciò è inibito dal precetto costituzionale di cui all'art. 15 Costituzione.

La norma costituzionale pone il fondamentale principio secondo il quale la libertà e la segretezza delle comunicazioni sono inviolabili, ammettendo una limitazione soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria e con le garanzie stabilite dalla legge: una corretta ermeneutica della norma di cui all'art. 15 Cost. osta infatti all'attribuzione al disposto dell'art. 266 c.p.p., comma 2 di una latitudine operativa così ampia da ricomprendere intercettazioni ambientali effettuate in qualunque luogo. 

Le videoregistrazioni effettuate in ambito domiciliare, ai fini del procedimento penale, sono acquisite illecitamente e sono perciò inutilizzabili, anche se la tutela costituzionale del domicilio va limitata ai luoghi con i quali la persona abbia un rapporto stabile, sicchè, quando si tratta di tutelare solo la riservatezza, la prova atipica può essere ammessa con provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria. Vanno dunque tutelate dall'autorità giudiziaria (p.m. o giudice) le riprese visive che, pur non comportando intrusione domiciliare, violino la riservatezza personale.

L'intercettazione di conversazioni tramite il c.d. agente intrusore, che consente la captazione "da remoto" delle conversazioni tra presenti mediante l'attivazione, attraverso il c.d. virus informatico, del microfono di un apparecchio telefonico smartphone, dà luogo ad un'intercettazione ambientale che può ritenersi legittima, ai sensi dell'articolo 266/2 cpp in relazione all'art 15 Costituzione, solo quando il decreto autorizzativo individui con precisione i luoghi in cui espletare l'attività captativa. 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Sent., (ud. 26/05/2015) 26-06-2015, n. 27100

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MILO Nicola - Presidente -

Dott. PETRUZZELLIS Anna - Consigliere -

Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere -

Dott. DI SALVO Emanue - rel. Consigliere -

Dott. BASSI Alessandra - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.G. N. IL (OMISSIS);

avverso l'ordinanza n. 2001/2014 TRIB. LIBERTA' di CATANIA, del 04/11/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMANUELE DI SALVO;

lette/sentite le conclusioni del PG Dott. CANEVELLI Paolo, rigetto;

Udito il difensore Avv. N.

Svolgimento del processo


M.G. ricorre per cassazione avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame di Catania, in data 4-11-2014, che ha confermato l'ordinanza applicativa della misura intramurale, in ordine al delitto di cui all'art. 416 bis cod. pen. per avere partecipato all'associazione di tipo mafioso, armata, operante in Biancavilla e denominata "clan Mazzaglia- Toscano-Tomasello", affiliata alla famiglia catanese di Cosa Nostra Santapaola- Ercolano.

Il ricorrente deduce, con il primo e il terzo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto il pubblico ministero, in relazione alle utenze telefoniche in uso ai coimputati Ma.

R. e G.S., ha disposto sia l'intercettazione d'urgenza telematica,tramite agente intrusore (virus informatico), di tutto il traffico dati, in relazione agli apparecchi utilizzati dai predetti, sia di tutte le conversazioni tra presenti, mediante l'attivazione, attraverso il predetto virus, del microfono e della videocamera dei relativi Smartphone.

Ciò ha comportato una invasiva e illegittima apprensione dei contenuti della memoria dei predetti apparecchi cellulari, che ha consentito, in violazione dell'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la generale captazione di tutti i dati propri della sfera privata dei rispettivi utilizzatori, operazione esulante dalla normativa prevista in tema di intercettazioni. In secondo luogo, utilizzando il sistema del virus informatico sul telefono cellulare, le intercettazioni effettuate non sono soggette ad alcuna restrizione nè temporale nè spaziale. Il telefono cellulare è divenuto ormai oggetto che accompagna ogni nostro movimento ed è in grado, se utilizzato con finalità captatorie, di sottoporre l'individuo ad un indiscriminato controllo, non solo di tutta la sua vita privata ma anche dei soggetti che gli stanno vicino. L'intercettazione potrà dunque divenire ambientale e anche effettuarsi all'interno di un domicilio, poichè il telefono cellulare diviene un microfono e la sua telecamera una spia video.

D'altronde, nel decreto del Gip non si fa riferimento alla possibilità che il detto strumento venga utilizzato anche all'interno delle private dimore dei soggetti intercettati e, comunque,non vi è alcuna indicazione dei luoghi e dei tempi della predetta captazione.

2.1.Con il secondo motivo, si deduce carenza di gravi indizi in merito al delitto di cui all'art. 416 bis cod. pen., in quanto il Tribunale fa riferimento a due conversazioni da cui non emergono, in realtà, significativi elementi a carico del ricorrente. Nella prima, infatti, non si comprende perchè il " T." , di cui si parla, dovrebbe essere identificato nel ricorrente. Nè vi è prova che quest'ultimo si sia recato sul luogo del presunto agguato. Per quanto attiene alla seconda conversazione, non si comprende come essa possa essere ricondotta al M.. Non si può comunque affermare che l'odierno imputato appartenga all'associazione indicata nell'imputazione solo perchè alcuni dei soggetti con lui tratti in arresto sono stati condannati con sentenze che dichiarano la loro intraneità alla consorteria criminale Tomasello-Toscano- Mazzaglia.

Non vi sono nemmeno elementi a sostegno dell'ipotesi che quest'ultima esista ed operi ancora, non essendovi alcun dato relativo a riunioni o a conversazioni tra gli odierni indagati, in cui si discuta delle attività da compiere, dei ruoli all'interno dell'organizzazione o della distribuzione del danaro provento delle attività criminosa.

Nè vi sono elementi in merito alla sussistenza del pactum sceieris e dell'affectio societatis.

Nemmeno vi sono indizi circa il presunto coinvolgimento del ricorrente nel programmato attentato in danno di Mo.Al..

Non vi è infatti traccia del fantomatico viaggio che il ricorrente avrebbe dovuto effettuare il (OMISSIS) nè vi sono riscontri in merito alla circostanza che il M. avesse, insieme al Ma., prenotato due posti su un pullmann di linea, per recarsi in Nord Italia, per finalità delittuose.

Si chiede pertanto annullamento dell'ordinanza impugnata.

Motivi della decisione

1. Il primo e il terzo motivo di ricorso sono fondati. La tematica proposta si articola su due versanti distinti, che si riconnettono alle due peculiarità tecniche che contraddistinguono le intercettazioni in disamina: l'attivazione, da remoto, del microfono e l'attivazione, sempre da remoto, della telecamera. Muovendo dalla prima, occorre osservare che l'attivazione del microfono da luogo ad un'intercettazione ambientale, onde occorre interrogarsi sulla legittimità della stessa. Orbene, non sembra potersi dubitare che l'art. 266 c.p.p., comma 2, nel contemplare l'intercettazione di comunicazioni tra presenti, si riferisca alla captazione di conversazioni che avvengano in un determinato luogo e non ovunque.

Una corretta ermeneutica della norma di cui all'art. 15 Cost. osta infatti all'attribuzione al disposto dell'art. 266 c.p.p., comma 2 di una latitudine operativa così ampia da ricomprendere intercettazioni ambientali effettuate in qualunque luogo. La norma costituzionale pone infatti il fondamentale principio secondo il quale la libertà e la segretezza delle comunicazioni sono inviolabili, ammettendo una limitazione soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria e con le garanzie stabilite dalla legge

. Ne deriva che le norme che prevedono la possibilità di intercettare comunicazioni tra presenti sono di stretta interpretazione, ragion per cui non può considerarsi giuridicamente corretto attribuire alla norma codicistica una portata applicativa così ampia da includere la possibilità di una captazione esperibile ovunque il soggetto si sposti. Viceversa, l'unica opzione interpretativa compatibile con il dettato costituzionale è quella secondo la quale l'intercettazione ambientale deve avvenire in luoghi ben circoscritti e individuati ab origine e non in qualunque luogo si trovi il soggetto. Tant'è che, in giurisprudenza, si ammette la variazione dei luoghi in cui deve svolgersi la captazione solo se rientrante nella specificità dell'ambiente oggetto dell'intercettazione autorizzata (Cass., Sez 6, n. 15396 dell'11-12-2007, Rv. 239634, relativa ad una fattispecie in cui l'autorizzazione dell'intercettazione ambientale aveva ad oggetto la sala colloqui della Casa circondariale in cui era ristretto l'imputato e le operazioni di captazione erano proseguite presso la sala colloqui della Casa circondariale in cui lo stesso era stato successivamente trasferito). Nella stessa prospettiva, si ammette che, una volta autorizzata la captazione delle conversazioni in un determinato luogo, l'attività deve ritenersi consentita anche nelle pertinenze, senza necessità di ulteriore specifica autorizzazione: ma ciò proprio sulla base del presupposto che la pertinenza non possa considerarsi luogo diverso dall'abitazione principale, all'interno del quale l'intercettazione sia stata autorizzata (Cass., Sez. 2 , n. 4178/11 del 15-12-2010, Rv. 249207).

2. Nel caso di specie, la tecnica utilizzata consente, attraverso l'attivazione del microfono del telefono cellulare, la captazione di comunicazioni in qualsiasi luogo si rechi il soggetto, portando con sè l'apparecchio: ciò che, come poc'anzi evidenziato , non è giuridicamente ammissibile. Non si tratta pertanto, come erroneamente ritenuto dal Tribunale, di una semplice modalità attuativa del mezzo di ricerca della prova, costituito dalle intercettazioni. Si tratta invece di una tecnica di captazione che presenta delle specifiche peculiarità e che aggiunge un quid pluris, rispetto alle ordinarie potenzialità dell'intercettazione, costituito, per l'appunto, dalla possibilità di captare conversazioni tra presenti non solo in una pluralità di luoghi , a seconda degli spostamenti del soggetto, ma - ciò che costituisce il fulcro problematico della questione- senza limitazione di luogo. Ciò è inibito, prima ancora che dalla normativa codicistica, dal precetto costituzionale di cui all'art. 15 Cost..

2.1. Dalle considerazioni appena svolte deriva che il decreto autorizzativo deve individuare, con precisione, i luoghi nei quali dovrà essere espletata l'intercettazione delle comunicazioni tra presenti, non essendo ammissibile un'indicazione indeterminata o addirittura l'assenza di ogni indicazione, al riguardo.

E' dunque necessario verificare, nel caso in disamina, che i decreti autorizzativi contenessero una precisa individuazione dei luoghi in cui procedere ad intercettazione ambientale e che non siano state effettuate captazioni in luoghi diversi da quelli ai quali si riferiva l'autorizzazione.

Nell'affermativa, occorre espungere dall'orizzonte cognitivo e valutativo le captazioni espletate in luoghi non autorizzati e verificare, mediante la cd. "prova di resistenza", se le rimanenti risultanze siano o meno sufficienti a fondare la gravità indiziaria. Se poi i decreti autorizzativi non contenevano alcuna specificazione dei luoghi in cui effettuare l'intercettazione ambientale, le captazioni sono tutte illegittime e quindi inutilizzabili, perchè non è consentita l'effettuazione di intercettazioni tra presenti ovunque. Il Tribunale dovrà dunque, in tal caso, verificare se la gravità indiziaria possa prescindere dalle risultanze delle intercettazioni e fondarsi esclusivamente su elementi acquisiti aliunde.

3.La seconda problematica concerne l'attivazione, da remoto , della telecamera del telefono cellulare e quindi l'effettuazione di videoriprese. Al riguardo, Sez. U. 28-3-2006, n. 26795, Prisco (Rv.234267) ha condivisibilmente stabilito che le videoregistrazioni in luoghi pubblici o aperti o esposti al pubblico, non effettuate nell'ambito del procedimento penale, vanno incluse nella categoria dei documenti, ex art. 234 cod. proc. pen.. Le predette registrazioni, se vengono invece effettuate dalla p.g., anche d'iniziativa, vanno incluse nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall'art. 189 cod. proc. pen.. Ma esse non possono essere espletate ovunque, perchè le videoregistrazioni effettuate in ambito domiciliare, ai fini del procedimento penale, sono acquisite illecitamente e sono perciò inutilizzabili, anche se la tutela costituzionale del domicilio va limitata ai luoghi con i quali la persona abbia un rapporto stabile, sicchè, quando si tratta di tutelare solo la riservatezza, la prova atipica può essere ammessa con provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria. Vanno dunque tutelate dall'autorità giudiziaria (p.m. o giudice) le riprese visive che, pur non comportando intrusione domiciliare, violino la riservatezza personale (come, ad esempio,le riprese effettuate dalla polizia giudiziaria in un bagno pubblico).

3.1. Ne deriva, relativamente al caso di specie, che occorre verificare che, mediante l'attivazione da remoto della telecamera inerente al telefono cellulare, non siano state effettuate videoregistrazioni all'interno di luoghi di privata dimora o, comunque, tali da imporre la necessità di tutelare la riservatezza personale. Nell'affermativa, anche queste risultanze dovranno essere espunte dal compendio indiziario e il Tribunale dovrà effettuare la prova di resistenza. Si tratta infatti di una questione non di legittimità della tecnica di acquisizione probatoria, in sè considerata, ma di utilizzabilità delle relative risultanze.

4. Si impone pertanto l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Catania, per nuova deliberazione. Tale epilogo decisorio, comportando un pronunciamento di natura rescindente, determina l'ultroneità della disamina degli ulteriori motivi di ricorso.

P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Catania. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2015.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2015