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Tribunale del riesame può integrare motivazione scarna ma non apparente (Cass. 6230/16)

15 febbraio 2016, Cassazione penale

Non può invocarsi il potere dì annullamento del tribunale del riesame quando vi sia motivazione scarna,  non vertendosi in una ipotesi di motivazione inesistente ovvero non autonoma rispetto alla richiesta del P.m. e comunque di motivazione non adeguata rispetto alle allegazioni difensive dedotte dall'indagato. 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

(ud. 15/10/2015) 15-02-2016, n. 6230

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente -

Dott. PEZZULLO Rosa - Consigliere -

Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere -

Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere -

Dott. AMATORE Rober - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.D., nato a (OMISSIS);

avverso l'ordinanza n. 765/2015 del Trib. Libertà Firenze del 15.06.2015;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. AMATORE Roberto;

udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. PINELLI Mario, che ha concluso per la inammissibilità del ricorso;

assente il difensore del ricorrente.

Svolgimento del processo

1. Con la ordinanza impugnata il Tribunale di Firenze aveva confermato integralmente il provvedimento emesso in data 27 maggio 2015 dal Gip presso il Tribunale di Livorno, provvedimento con il quale era stata disposta la custodia cautelare in carcere per il reato di cui in rubrica.

1.1 Avverso la predetta ordinanza ricorre l'indagato, per mezzo del suo difensore, affidando la sua impugnativa ad un unico motivo di doglianza.

1.2 Il ricorso proposto nell'interesse dell'indagato deduce invero la violazione di legge in relazione all'art. 309, comma 9, del codice di rito, così come novellato dalla L. n. 47 del 2015, in combinato disposto con l'art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c bis e art. 275 c.p.p., comma 3 bis, giacchè il Tribunale del Riesame di Firenze avrebbe dovuto pronunciare l'annullamento dell'ordinanza cautelare impugnata, anzichè provvederne ad integrare il deficit motivazionale con autonoma e sostitutiva motivazione, e ciò in violazione di quanto disposto dalla predetta L. n. 47 del 2015. Più in particolare, osserva la parte ricorrente che l'originaria ordinanza applicativa della misura cautelare custodiale non aveva dato conto, nel suo percorso motivazionale, delle ragioni per le quali non erano state ritenute rilevanti le allegazioni difensive, già dedotte in sede di udienza di convalida dell'arresto, che avrebbero consentito una diversa valutazione del presupposto della adeguatezza della misura cautelare domiciliare rispetto a quella irrogata della custodia cautelare in carcere.

Deduce, peraltro, la parte ricorrente che il Gip non aveva neanche dato conto, nella sua motivazione, della disponibilità dell'indagato alla cosiddetta detenzione domiciliare rafforzata, non motivando in alcun modo in ordine all'adeguatezza della diversa misura extra muraria attraverso l'utilizzo del braccialetto elettronico.

Rilevava pertanto la parte ricorrente che la motivazione del provvedimento genetico era affetta da nullità ai sensi dell'art. 292, comma 2, lett. c bis e art. 275, comma 3 bis, e che pertanto sulla scorta del nuovo disposto normativo di cui all'art. 309, comma 9, ultimo alinea, del codice di rito, come recentemente novellato dalla legge n. 47/2015, il Tribunale del Riesame non avrebbe potuto, come invece poi ha fatto, integrare la motivazione dell'ordinanza emessa dal primo giudice, ma avrebbe dovuto limitarsi a decretare l'annullamento del provvedimento impugnato per violazione di legge.

Osserva altresì la parte ricorrente che l'interpretazione restrittiva fornita nella ordinanza impugnata dal Tribunale fiorentino in ordine alla esegesi dell'articolo 309, comma nove, e cioè in relazione alla possibilità di integrazione della motivazione carente sotto il profilo dell'adeguatezza della misura cautelare applicata, collide frontalmente con la lettura della norma da ultimo menzionata laddove quest'ultima prevede espressamente l'annullamento della ordinanza cautelare in caso di mancata motivazione degli elementi forniti dalla difesa anche in ordine al profilo della adeguatezza della misura cautelare da applicarsi all'indagato.

Motivi della decisione

2. Il ricorso è infondato.

2.1 La questione dedotta dalla ricorrente verte tutta sull'interpretazione dell'art. 309, comma 9 del codice di rito, così come riformulato della L. n. 47 del 2015, art. 11, e della conseguente delimitazione della circoscrizione applicativa del potere di annullamento del tribunale del riesame nella ipotesi di mancanza ovvero di inadeguatezza della motivazione del provvedimento di applicazione della misura cautelare personale.

2.1.1 Orbene, la L. n. 47 si segnala anche per le rilevanti modifiche apportate sia alle disposizioni del codice di rito che individuano i requisiti dell'ordinanza applicativa di una misura cautelare, sia a quelle che regolano le conseguenze derivanti dalla mancanza dei predetti requisiti: modifiche chiaramente volte ad evitare, come emerge dall'esame dei lavori parlamentari, la redazione di motivazioni "appiattite su quelle del pubblico ministero richiedente". Ed invero, ci si riferisce in particolare, da un lato, alla L. n. 47 del 2015, art. 8, che ha inserito all'art. 292, comma 2, lett. c) e c bis), accanto alla "esposizione", l'ulteriore requisito della "autonoma valutazione" degli elementi ivi indicati, e cioè esigenze cautelari, indizi, irrilevanza delle argomentazioni difensive; dall'altro, all'art. 11 della legge, che è intervenuto sull'art. 309, comma 9, delineando i poteri decisori attribuiti al Tribunale del riesame nelle ipotesi di carenze motivazionali.

In realtà, già il testo originario dell'art. 292 disponeva che l'ordinanza cautelare contenesse tra l'altro, a pena di nullità, "l'esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per cui assumono rilevanza" (cfr. art 292, comma 2, lett. c).

E' successivamente intervenuta la L. n. 332 del 1995, che ha modificato il comma 2 dell'art. 292, sia precisando che la nullità in questione è "rilevabile d'ufficio", sia inserendo nella citata lett. c) la necessità di tener conto anche del "tempo trascorso dalla commissione del reato", sia aggiungendo una lettera c-bis) contenente i seguenti ulteriori requisiti motivazionali dell'ordinanza cautelare: "l'esposizione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, nonchè, in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, l'esposizione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all'articolo 274 non possono essere soddisfatte con altre misure".

2.1.2 Sul punto, giova ricordare che in dottrina i rilievi critici più serrati hanno riguardato il difetto di coordinamento tra la rilevabilità d'ufficio della nullità, per difetto di uno dei requisiti di cui alle lett. c) e c bis) , e la disciplina del giudizio di riesame, atteso che dell'art. 309, comma 9 (fino ad ora vigente) consentiva sempre al tribunale, in quella sede, di annullare o riformare il titolo cautelare anche per motivi diversi da quelli enunciati, ovvero di confermarlo per ragioni diverse da quelle enunciate nella motivazione del provvedimento stesso. E' stato dunque evidenziato, su tali basi, che l'effetto pienamente devolutivo collegato alla richiesta di riesame implicava la trasformazione delle cause di nullità in motivi di gravame, e la conseguente possibilità di colmare, con i poteri integrativi ex art. 309, tutte le lacune contenutistiche del provvedimento applicativo della misura cautelare, comprese quelle rilevate ex officio.

In questo quadro applicativo, si è affermato in giurisprudenza che "atteso l'effetto interamente devolutivo che caratterizza il riesame delle ordinanze applicative di misure cautelari, deve ritenersi che il tribunale del riesame, cui è conferito il potere di annullare, riformare o confermare il provvedimento impugnato anche per ragioni diverse da quelle in esso indicate, possa sanare, con la propria motivazione, le carenze argomentative di detto provvedimento, pur quando esse siano tali da dar luogo alle nullità, rilevabili d'ufficio, previste dall'art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c) e c bis)" (così, anche Cass., Sez. 6, 16 gennaio 2006, n. 8590 ). Peraltro, per quanto qui di interesse, si è ulteriormente precisato che "il tribunale del riesame non può annullare il provvedimento cautelare impugnato ravvisando difetto di motivazione, potendo il solo giudice di legittimità pronunciare il relativo annullamento per tale vizio, ma deve provvedere integrativamente ad un'autonoma valutazione del quadro indiziario già conosciuto dal giudice delle indagini preliminari (Cass., Sez. 2, 30 novembre 2011, n. 7967 ).

2.1.3 Va tuttavia precisato, per obbligo di completezza, che, a tale orientamento si è contrapposto nella giurisprudenza della Suprema corte un diverso indirizzo, secondo cui "il potere-dovere attribuito al giudice del riesame dall'art. 309 c.p.p., comma 9, ultima parte, di confermare le ordinanze coercitive impugnate "per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso" non è esercitabile allorquando la motivazione di quest'ultimo sia radicalmente assente o meramente apparente, dovendo, in tali ipotesi, essere rilevata la nullità del provvedimento impugnato per violazione di legge" (Cass., Sez. 2, 4 aprile 2014, n. 12032).

Nella medesima direzione, si è peraltro precisato che il potere integrativo "non opera, oltre che nel caso di carenza grafica, anche quando l'apparato argomentativo, nel recepire integralmente il contenuto di altro atto del procedimento, o nel rinviare a questo, si sia limitato all'impiego di mere clausole di stile o all'uso di frasi apodittiche, senza dare contezza alcuna della ragioni per cui abbia fatto proprio il contenuto dell'atto recepito o richiamato, o comunque lo abbia considerato coerente rispetto alle sue decisioni" (Cass., Sez. 6, 4 aprile 2014, n. 12032).

2.2 Orbene, in tale contesto applicativo è ora intervenuto l'art. 8 della legge sopra menzionata, che ha "arricchito" dell'art. 292, lett. c) e c bis), di un ulteriore requisito motivazionale, prevedendosi oggi che l'ordinanza cautelare debba contenere non solo "l'esposizione", ma anche "l'autonoma valutazione" degli elementi ivi rispettivamente indicati. Peraltro, va precisato che tale ennesima interpolazione operata sull'art. 292 ricalca quanto già previsto sia nella lett. c) che nella lett. c bis) che già prevedevano "l'esposizione" non solo degli elementi fattuali, ma anche dei percorsi valutativi adottati dal giudice e posti a fondamento del titolo cautelare.

2.3 Occorre a questo punto sottolineare e per quanto qui interessa che - a differenza di quanto avvenuto nel 1995 - la L. n. 47 del 2015 ha modificato anche i poteri attribuiti, in fase decisoria, al tribunale del riesame. Ed invero, è stato aggiunto, dell'art. 309, comma 9, il seguente periodo: "Il tribunale annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene l'autonoma valutazione, a norma dell'art. 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa".

E' dunque evidente che la nuova disposizione costituisce una deroga al già citato generale principio - anch'esso contenuto dell'art. 309, comma 9 - della possibilità di confermare il provvedimento impugnato anche per ragioni diverse da quelle indicate nella sua motivazione.

Più in particolare, il potere integrativo è in primo luogo precluso "se la motivazione manca", trovando dunque oggi un'esplicita conferma, nella legge, il richiamato indirizzo giurisprudenziale secondo cui il tribunale del riesame deve annullare il provvedimento cautelare nelle ipotesi di motivazione mancante in senso grafico, alla quale deve continuarsi ad equiparare quella in cui la motivazione è meramente apparente, situazione quest'ultima riscontrabile quando l'apparato argomentativo si risolva in mere clausole di stile o in proposizioni apodittiche.

Inoltre, il dovere di annullare l'ordinanza, senza poter procedere ad integrazioni, viene oggi previsto proprio con riferimento all'ipotesi in cui la motivazione sia viziata nel requisito di nuova introduzione, ovvero se non contenga "l'autonoma valutazione, a norma dell'art. 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa".

Va subito sottolineato che il legislatore non ha ritenuto di prevedere l'obbligo di annullamento nell'ipotesi - anch'essa prevista dell'art. 292, comma 2, lett. c bis) - in cui il difetto di autonoma valutazione riguardi l'inadeguatezza di misure meno afflittive della custodia in carcere.

Inoltre, va aggiunto che, sempre in un'ottica volta ad interpretare tassativamente la portata della nuova disposizione derogatoria, il potere integrativo appare tuttora esercitabile qualora la motivazione difetti non già nell'autonoma valutazione, ma nella "esposizione" di taluno degli elementi indicati nell'art. 292.

3. Tutto ciò premesso e venendo all'esame della fattispecie concreta, va subito evidenziato che nel provvedimento genetico esisteva comunque una motivazione, quantunque succinta, in ordine al profilo della non adeguatezza della diversa misura richiesta degli arresti domiciliari rafforzati dall'uso del braccialetto, sicchè il Tribunale del Riesame si è limitato semplicemente a rafforzare tale motivazione, con l'esercizio di un potere integrativo che comunque gli è riconosciuto, come sopra affermato, dalla legge, perchè non si verteva propriamente in una ipotesi di mancanza di motivazione ovvero di mancata autonomia di valutazione degli elementi indicati nel nono comma del sopra ricordato art. 309.

3.1 Ne discende che, pur non potendosi accogliere la tesi restrittiva, perorata anche dal Tribunale del Riesame, in ordine all'esegesi dell'art. 309, comma 9, ultimo alinea, secondo cui - per la definizione della circoscrizione applicativa del potere rescindente ora attribuito al Tribunale del Riesame l'annullamento della ordinanza impugnata debba essere limitato -in riferimento agli elementi forniti dalla difesa - solo a quelle allegazioni difensive che riguardino le esigenze cautelari e gli indizi e non già i profili di adeguatezza della misura, occorre tuttavia evidenziare che non possa invocarsi nel caso di specie il reclamato potere dì annullamento coniato dal nuovo comma 9 della norma in esame, non vertendosi in una ipotesi di motivazione inesistente ovvero non autonoma rispetto alla richiesta del P.m. e comunque di motivazione non adeguata rispetto alle allegazioni difensive dedotte dall'indagato.

3.2 Ed invero, solo nell'ipotesi di una motivazione inesistente ovvero non autonoma sulle esigenze cautelari, sugli indizi e sugli elementi forniti dalle difesa ( che potrebbero investire, in ipotesi, anche gli elementi di valutazione dell'adeguatezza della misura ) è possibile invocare l'obbligo caducatorio del Tribunale del Riesame che non deve pertanto poter integrare la motivazione, così gravemente inficiata nei suoi elementi costitutivi. Del resto, va anche detto che l'art. 292, comma 2 e bis, prevedeva e prevede tuttora (anche dopo la riforma del 2015) in modo esplicito l'ipotesi di nullità rilevabile d'ufficio della "esposizione delle ragioni per le quali le esigenze di cui all'art. 274 non possono essere soddisfatte con altre misure", con la ulteriore conseguenza, sul piano esegetico, che le "ragioni" richiamate dalla norma da ultimo citata non possono non essere riferite anche agli "elementi forniti dalla difesa".

3.3 In realtà, l'interpretazione restrittiva dell'art. 309, comma 9, del codice di rito cui si faceva sopra cenno potrebbe ritenersi condivisibile solo nell'ipotesi in cui manchino allegazioni di parte sulla scelta della misura, e ciò proprio in omaggio alla considerazione che la disposizione di nuova introduzione non si riferisce direttamente al profilo dell'adeguatezza della misura, ma a quello delle "esigenze cautelari" e a quello "degli indizi".

Ne discende il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Ricorre nel caso di specie l'ipotesi di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, con necessità pertanto che copia del provvedimento sia trasmessa a cura della cancelleria al ricorrente.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2015.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2016