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"Ti denuncio!" E' reato? (Tr. Firenze, 27/7/2017)

27 giugno 2017, Tribunale di Firenze

Ai fini della configurabilità del reato di estorsione, la minaccia può avere ad oggetto anche l'esercizio di una facoltà legittima, come la proposizione di una denuncia, in quanto essa, anche se apparentemente non è ingiusta, diventa tale nel momento in cui sia finalizzata a conseguire un profitto non dovuto - come appunto la dazione di una somma di denaro per non presentare la denuncia -, quando cioè l'esercizio della facoltà sia strumentalizzato dal soggetto per raggiungere un fine diverso da quello per il quale essa è riconosciuta.

La minaccia, ancorché non penalmente apprezzabile quando è legittima e tende a realizzare un diritto riconosciuto e tutelato dall'ordinamento giuridico, diviene "contra ius" quando, pur non essendo antigiuridico il male prospettato, si faccia uso di mezzi giuridici per scopi diversi da quelli per i quali sono stati apprestati dalla legge. Conseguentemente, in tema di estorsione la minaccia di un male legalmente giustificato assume il carattere di ingiustizia quando sia fatta non già per esercitare un diritto, ma con il proposito di coartare la volontà di altri per soddisfare scopi personali non conformi a giustizia.

In tema di estorsione, la minaccia di adire le vie legali, pur avendo un'esteriore apparenza di legalità, può integrare l'elemento costitutivo del delitto di cui all'art. 629 cod. pen. quando sia formulata non con l'intenzione di esercitare un diritto, ma con lo scopo di coartare l'altrui volontà e conseguire risultati non conformi a giustizia.

Tribunale di Firenze

SECONDA SEZIONE PENALE

COMPOSIZIONE MONOCRATICA d.ssa Bilosi

sentenza 27/07/2017

Il Tribunale di Firenze in composizione monocratica nella persona del Giudice dr. Barbara Bilosi ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei confronti di :

1) S.R. nato a C. il (...) res. in via R., 94 S. elettivamente dom.to .. presso Avv. .. - libero assente

- difeso dall'avv. di ufficio RV del foro di Firenze con studio in,

IMPUTATO

(..)

IMPUTATO

del delitto di cui agli artt. 56, 629 cod. pen. perché, con condotte reiterate, consistenti in minacce formulate direttamente o in modo indiretto a G.D. e C.A. nella loro qualità di legali rappresentanti della soc. coop. A&D, di denunciare la cooperativa per asserite irregolarità, tra cui il mancato versamento dei contributi I.N.P.S. e quindi di rovinarli e di far chiudere la cooperativa, nonché di usare loro violenza fisica ("dove sono i miei soldi, domani mattina vengo lì e vi metto le mani addosso, vi farò passare il peggio, vi insegno io a vivere") compiva atti idonei, diretti in modo non equivoco a costringere i suddetti a versargli la somma non dovutagli, di Euro 7.000, e così a conseguire un ingiusto profitto con altrui danno, non riuscendo nell'intento per cause estranee alla sua volontà, ossia per avere le persone offese resistito alle minacce.

In Firenze dall'8 agosto, quantomeno fino al 25 settembre 2012.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Ritiene questo Giudice accertata la penale responsabilità dell'imputato in ordine al reato ascrittogli.

La prova si fonda sui documenti prodotti e sulle deposizioni testimoniali rese all'udienza del 1.6.17 dinanzi a questo giudice a seguito di rinnovazione istruttoria per il mutamento del giudice in origine assegnatario del procedimento.

In particolare, la persona offesa G.D. ha riferito che, in qualità di co-amministratore insieme ad A.C. della società cooperativa A&D, aveva assunto l'odierno imputato nel 2012 per lo svolgimento dell'attività di montaggio di infissi con un periodo di prova di sei mesi, al termine del quale veniva deciso di non rinnovare il contratto a causa delle lamentele ricevute dai clienti per il comportamento tenuto dallo S. durante l'attività lavorativa.

Tale decisione dell'azienda aveva infastidito l'odierno imputato che, con una prima telefonata nei primi giorni di agosto 2012, dopo uno o due giorni dalla fine dal rapporto di lavoro, minacciava di denunciarli asserendo che la ditta non era a norma e non versavano i contributi e, successivamente, con una seconda telefonata a fine agosto, ricevuta personalmente dal G., chiedeva un incontro in azienda, durante il quale pretendeva il pagamento della somma di 7.000,00 Euro, in mancanza del quale minacciava di sporgere denuncia alla Guardia di Finanza ed all'Ispettorato del lavoro (pagg. 7-9 verb. sten. ud. 18.11.2015). Nonostante il rifiuto oppostogli dal G., verso i primi giorni di settembre (8 o 10 settembre) era tornato in azienda per ritirare la busta paga ed aveva chiesto ancora denaro: in tale occasione era presente anche P.P., ex maresciallo dei Carabinieri e parente del G., chiamato in aiuto da quest'ultimo per gestire la difficile situazione venutasi a creare con l'ex dipendente.

Il G. ha precisato che in tale occasione lo S. aveva anche minacciato danni fisici, dicendo loro in modo provocatorio e intimidatorio "perché non venite fuori se ne parla da uomo a uomo? Almeno vi insegno a vivere", "io vi rovino" (pagg. 11 e 12 verbale fonoregistr. ud. 18.11.2015). A seguito della contestazione del P.M., il teste G. ha confermato di essere stato nuovamente contattato telefonicamente il 25.9.2012 (il giorno precedente la presentazione della querela) dall'imputato il quale, oltre a reiterare la richiesta dei soldi, minacciava di mettergli le mani addosso.

Nonostante la presentazione della querela e le diffide inviategli dai legali, l'imputato aveva continuato a minacciarli: in particolare, verso fine settembre il G. era stato costretto a chiamare i Carabinieri perché lo S., presentatosi nuovamente in azienda con le medesime pretese, aveva iniziato a "sbraitare" nonostante la presenza di altre persone in negozio, e non voleva andarsene. Aveva inoltre contattato alcuni lavoratori della società cooperativa per informarli che la ditta non pagava i contributi, che il capannone non era a norma e che li avrebbe rovinati, tanto da ingenerare malumore fra i dipendenti e costringere i titolari dell'azienda a mostrare loro i modelli F24 da cui risultava il regolare pagamento dei contributi. Il teste G. ha infine precisato che la somma di 7000 Euro richiesta dall'imputato non era a lui dovuta, atteso che il lavoratore aveva già regolarmente ricevuto dall'azienda il pagamento degli stipendi mensili a mezzo di bonifico bancario.

Tali circostanze risultano sostanzialmente confermate dalla p.o. C.A., anch'egli amministratore e legale rappresentante della società cooperativa A&D, il quale ha riferito di essere a conoscenza del periodo di prova svolto dall'imputato, della richiesta di pagamento della somma di 7000 Euro, nonché dell'atteggiamento minaccioso dallo stesso tenuto nell'estate del 2012 a seguito del mancato rinnovo del contratto a tempo determinato, avendovi anche assistito personalmente un paio di volte: "io c'ero un paio di volte se non mi sbaglio, tra l'altro una volta è venuto col cane, a minacciare che voleva 'sti famosi 7000 Euro, non so perché li voleva, minacciando che li voleva velocemente perché aveva anche dei problemi personali, soprattutto dovuti al fatto che non gli si rinnovava il contratto (pag. 39 verbale fonoregistr. ud. 18.11.2015) ed ha specificato di essere stato era presente insieme a G. e P. quando lo S. si era presentato nello showroom dell'azienda con un cane pitbull, mettendoli "in apprensione" e che lo stesso pretendeva la somma di 7000,00 Euro a titolo di rimborso dei danni subiti per il mancato rinnovo del contratto, sebbene il contratto non lo prevedesse, minacciando che altrimenti avrebbe mandato la A.S.L. a controllare il capannone che la società stava cercando di risistemare e mettere a norma con i maniglioni antipanico.

Il PM ha prodotto il contratto di lavoro stipulato nel 2012 fra la società cooperativa A&D e lo S. e la lettera di diffida del 17.9.2012.

Alla luce di quanto sopra, risulta puntuale ed assolutamente credibile la ricostruzione operata dai testi di accusa ed in particolare dalle pp.oo. che, non costituitesi parte civile, hanno riferito di più episodi in cui lo S. aveva cercato di ottenere la somma di denaro di 7000 Euro a lui non dovuta ad alcun titolo, mediante l'impiego di minacce anche alla loro incolumità fisica.

Alcun dubbio può sollevarsi in ordine alla loro attendibilità - tenendo in considerazione il dato di comune esperienza secondo cui la p.o., in quanto portatrice di interessi in posizione di antagonismo reale o virtuale con quelli dell'imputato, può rivelarsi psicologicamente disponibile ad alterare in malam partem la percezione e la rappresentazione del fatto, atteso che, per il particolare ruolo assunto nella vicenda processuale, non versa nella posizione di terzietà tipica del testimone - per la presenza di riscontri soggettivi alla loro deposizione, integrati dalle deposizione dei testi P.P. e P.A..

Il P. ha invero confermato l'episodio verificatosi nella prima decade del mese di settembre 2012, riferendo di essere stato invitato in azienda dal G. (in quanto suo parente ed ex maresciallo dei Carabinieri in pensione) poiché un operaio al quale non era stato rinnovato il contratto lo aveva minacciato. In tale occasione l'imputato era entrato nell'ufficio del G. dicendo "hai parlato con il tuo socio?" "allora sti soldi me li dai a me o n. che io vo alla finanza perché sennò tu non c'hai il capannone a regola, a norma" e poi allontanandosi aveva detto "intanto ci rivediamo, a me non mi conoscete" (pagg. 23 e 24 verbale fonoregistr. ud. 18.11.2015).

Il P., impiegato amministrativo della società cooperativa A&D (con orario lavorativo 13.30 - 19.30), ha dichiarato di aver assistito più di una volta ai comportamenti minacciosi tenuti dall'imputato all'interno dei locali dell'azienda: era stato presente all'incontro avvenuto al rientro dalle ferie fra S., P. e G. in quanto lui stesso aveva appuntamento con lo S. che non aveva "digerito" la mancata assunzione al termine del periodo di prova ed avanzava richieste a livello economico - una sorta di buona uscita - minacciando di far valutare alle autorità competenti il fatto che la società possedesse un capannone non a norma, precisando che in tale occasione la conversazione intercorse fra lo S. e il G. e poi anche fra lo S. e il sig. P.P., e che nel corso di tale incontro "i toni si sono accesi con varie parolacce e minacce fisiche": la conversazione "all'inizio tranquilla e poi è degenerata in offese, minacce ... minacce fisiche insomma", "il tono era minaccioso ecco", "di S. nei confronti del G. e poi nei confronti del signor P." (pagg. 27 e 28 verbale fonoregistr. ud. 18.11.2015); nonché di avere assistito all'episodio in cui l'imputato si si era presentato nello showroom dell'azienda con il cane.

Infine, il teste P. ha confermato che la somma di denaro richiesta da S.R. non era a lui dovuta in quanto egli non avanzava crediti nei confronti della società, recriminando solo di non aver avuto un preavviso per potersi organizzare e trovare un'altra attività lavorativa da cui trarre il proprio sostentamento: di fatto, avanzava la pretesa senza averne alcun titolo, poiché il contratto di lavoro era a termine, senza preavviso per entrambe le parti, con previsione di un periodo di prova, esaurito il quale poteva esservi o la riconferma, oppure la cessazione del rapporto di lavoro alla quale non seguiva il diritto di percepire alcuna indennità poiché, in sostanza, il rapporto di lavoro non si era mai perfezionato non essendosi superato il periodo di prova.

Il teste P. ha precisato quindi che nel mese di settembre l'imputato era andato a prendere la "busta delle rimanenze", "qualche centinaio di Euro e non aveva diritto più a niente altro".

Gli altri due testimoni, pur non avendo direttamente assistito ad episodi di minaccia, hanno potuto confermare che la società coop. A&D per cui lavoravano versava regolarmente i contributi. In particolare, il teste S.K. - che ha confermato le S.I.T rese il 28.11.2012 (già acquisite al fascicolo del dibattimento ex art. 512 c.p.p. col consenso dalle parti) - ha riferito che nel mese di settembre 2012, un operaio di nome R., assunto da circa un mese dalla soc. coop. A&D, gli aveva telefonato per avvisarlo di aver scoperto che la ditta per cui lavoravano non versava i contributi Inps. Conseguentemente, S. aveva chiesto spiegazioni al datore di lavoro G.D., il quale gli aveva mostrato la documentazione a dimostrazione del regolare versamento dei contributi.

Infine, il teste G.R., pur non ricordandosi in sede di esame testimoniale di aver ricevuto la telefonata dall'imputato e di avere parlato dei contributi non versati dalla ditta, ha confermato di aver parlato con i datori di lavoro del versamento dei contributi e di essersi accertato, tramite i consulenti del lavoro, del loro regolare versamento.

Alla luce della compiuta istruttoria dibattimentale, deve ritenersi integrato il delitto di tentata estorsione di cui agli artt. 56 e 629 c.p. contestato, il quale si configura quando sono posti in essere comportamenti violenti o minacciosi diretti in modo non equivoco ed idonei a costringere il titolare dell'interesse patrimoniale protetto dalla norma incriminatrice a fare od omettere qualcosa con ingiusto profitto per il soggetto agente ed altrui danno patrimoniale. In particolare, nel reato di estorsione la minaccia può avere ad oggetto la lesione o messa in pericolo di qualsiasi bene del soggetto passivo, sia esso di natura patrimoniale o di natura non patrimoniale come l'incolumità fisica, determinando uno stato di coazione psichica della vittima che si risolve nella compressione della sua libertà di autodeterminazione: in conseguenza del comportamento criminoso del reo, la persona offesa viene difatti a trovarsi di fronte all'ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto oppure di subire il male minacciato.

Questo giudice ritiene che la condotta realizzata dall'odierno imputato integri gli estremi della minaccia richiesta dalla norma incriminatrice ai fini della configurabilità del reato in quanto, alla luce delle dichiarazioni sopra riportate rese dai testimoni nel corso dell'istruttoria, risulta provato che lo S., nel periodo ricompreso fra la prima decade del mese di agosto e la fine di settembre 2012, ha posto in essere reiterate minacce nei confronti dei legali rappresentanti della società cooperativa A&D al fine di ottenere il versamento di una somma di denaro a lui non dovuta: sia minacce all'incolumità fisica delle persone offese - avendo l'imputato pronunciando frasi come "perché non venite fuori se ne parla da uomo a uomo ? Almeno vi insegno a vivere", "io vi rovino" ed essendosi presentato nei locali dell'azienda con un cane pitbull, razza canina notoriamente molto aggressiva, con chiaro intento intimidatorio - , sia minacce in cui veniva prospettata ai soci la presentazione di denunce alle Autorità competenti per informarle della presenza di un capannone non a norma nonché di asserite irregolarità dell'azienda nel versamento dei contributi all'I.N.P.S.

Sotto quest'ultimo profilo si rileva come, ai fini della configurabilità del reato di estorsione, la minaccia possa avere ad oggetto anche l'esercizio di una facoltà legittima, come la proposizione di una denuncia, in quanto essa, anche se apparentemente non è ingiusta, diventa tale nel momento in cui sia finalizzata a conseguire un profitto non dovuto - come appunto la dazione di una somma di denaro per non presentare la denuncia -, quando cioè l'esercizio della facoltà sia strumentalizzato dal soggetto per raggiungere un fine diverso da quello per il quale essa è riconosciuta.

La Suprema Corte ha infatti affermato che "la minaccia, ancorché non penalmente apprezzabile quando è legittima e tende a realizzare un diritto riconosciuto e tutelato dall'ordinamento giuridico, diviene "contra ius" quando, pur non essendo antigiuridico il male prospettato, si faccia uso di mezzi giuridici per scopi diversi da quelli per i quali sono stati apprestati dalla legge. Conseguentemente, in tema di estorsione la minaccia di un male legalmente giustificato assume il carattere di ingiustizia quando sia fatta non già per esercitare un diritto, ma con il proposito di coartare la volontà di altri per soddisfare scopi personali non conformi a giustizia" (Cass. sez. 2, n. 3380 del 23.3.1992). Ed ancora, "in tema di estorsione, la minaccia di adire le vie legali, pur avendo un'esteriore apparenza di legalità, può integrare l'elemento costitutivo del delitto di cui all'art. 629 cod. pen. quando sia formulata non con l'intenzione di esercitare un diritto, ma con lo scopo di coartare l'altrui volontà e conseguire risultati non conformi a giustizia" (Cass. sez. 2 n. 36365 del 7.5.2013).

Valutato il contesto in cui sono maturate le minacce poste in essere dall'imputato e l'ingiustizia del profitto che lo stesso intendeva perseguire, nessun dubbio sussiste circa l'idoneità ed univocità della condotta minacciosa tenuta dallo S. a costringere le persone offese a versargli la somma, non dovutagli, di Euro 7.000 così da conseguire un ingiusto profitto con danno per i titolari dell'azienda.

La circostanza che si trattasse di una somma non dovuta allo S. risulta da quanto dichiarato dai testimoni G. e P. (i quali hanno riferito che l'imputato aveva già regolarmente ricevuto dall'azienda il pagamento di tutti gli stipendi e non aveva diritto ad alcuna indennità per la mancata prosecuzione del rapporto di lavoro non avendo avuto esito positivo il periodo di prova), nonché da quanto contrattualmente previsto dalla società coop. A&D e S.R. nella lettera di assunzione del 21.5.2012, la quale è stata prodotta all'odierna udienza in copia non firmata dal teste C., legale rappresentante ed amministratore della società cooperativa, il quale la ha però riconosciuta in udienza (non essendo stato possibile rinvenire l'originale sottoscritto in quanto i documenti sono stati archiviati poiché l'azienda è in liquidazione ed è cessata l'attività).

In particolare, dalla lettura di tale contratto emerge che l'imputato era stato assunto a tempo pieno e determinato dal 21.5.2012 al 31.1.2012 ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001 a causa dell'intensificazione dell'attività lavorativa, con mansioni di montatore esterno con espressa previsione che la costituzione del rapporto di lavoro era "subordinata al favorevole esito di un periodo di prova della durata di 6 mesi di calendario che scadrà, salvo eventuali interruzioni del rapporto, il giorno 20.11.2012. Durante tale periodo resta salva la sua e la nostra facoltà di recesso in qualunque momento, senza bisogno di alcun preavviso e/o la corresponsione di un'indennità sostitutiva".

Corretta deve pertanto ritenersi la qualificazione del fatto concreto come delitto di estorsione nella forma tentata, non essendo l'imputato riuscito a portare a compimento la condotta soltanto per l'intervento di una causa estranea alla sua volontà, ossia per il rifiuto oppostogli dalle persone offese che, nonostante le minacce subite, non hanno versato la somma di denaro da lui richiesta.

In ragione del contesto in cui è maturata la vicenda - nell'ambito di un rapporto di lavoro che è improvvisamente cessato senza alcun preavviso al lavoratore che si è trovato nell'impossibilità di trovare nell'immediatezza un'altra attività lavorativa per il proprio sostentamento - e della sostanziale incensuratezza dell'imputato, si ritengono concedibili nel caso di specie le circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p.

La pena da irrogarsi va dunque così determinata: pena base per il tentativo di estorsione, valutati i criteri di cui all'art. 133 c.p., anni uno mesi otto di reclusione ed Euro 330,00 di multa, ridotta per le generiche ad anni uno mesi quattro di reclusione ed Euro 300,00 di multa.

L'imputato può usufruire del beneficio della sospensione condizionale della pena.

Alla condanna segue l'obbligo di pagare le spese processuali.

P.Q.M.
Letti gli artt. 533, 535 c.p.p.,

dichiara l'imputato responsabile del reato a lui ascritto e lo condanna, concesse le attenuanti generiche, alla pena di anni uno mesi quattro di reclusione ed Euro 300,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

Pena sospesa.

Visto l'art. 544 co. 3 c.p.p.,

fissa il termine di giorni 60 per il deposito della motivazione.

Così deciso in Firenze, il 1 giugno 2017.

Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2017.