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Testimone in TV, lesione diritto all'immagine (C.App. Campobasso, 84/19)

21 febbraio 2019, Corte di Appello di Campobasso

La violazione del diritto all'immagine, il quale rientra fra i diritti della personalità che integrano prerogative inviolabili della persona, attribuisce al titolare il diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali.

L'articolo 10 c.c. subordina l'esposizione e la pubblicazione dell'immagine altrui alla condizione che la stessa non rechi pregiudizio al decoro o alla reputazione dell'interessato, facendo tuttavia salve le ipotesi in cui le predette forme di utilizzazione siano consentite dalla legge: tali ipotesi sono previste dall'art. 97 della L. n. 633 del 1941, il quale, nel richiedere in via generale il consenso della persona ritratta, ne esclude la necessità quando la riproduzione dell'immagine sia giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, ovvero quando la riproduzione sia collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.

Le norme di attuazione del codice di procedura penale disciplinano le riprese audiovisive dei dibattimenti all'art. 147 disp. att. c.p.p.: il giudice, se le parti consentono, può autorizzare in tutto o in parte la ripresa fotografica, fonografica o audiovisiva ovvero la trasmissione radiofonica o televisiva del dibattimento, ed in via di eccezione, l'autorizzazione può essere data anche senza il consenso delle parti stesse "quando sussiste un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento".

Ciò riguarda tuttavia le "parti" del processo e, dunque, la pubblica accusa da un lato e l'imputato dall'altro: l'art. 147, co.3, disp.att. c.p.p. prevede invece che anche quando autorizza la ripresa o la trasmissione a norma dei commi 1 (su consenso delle parti) e 2 (interesse sociale rilevante), il giudice vieta la ripresa delle immagini di parti, testimoni, periti, consulenti tecnici, interpreti e di ogni altro soggetto che deve essere presente, se i medesimi non vi consentono o la legge ne fa divieto.

La diffusione dell'immagine altrui non può sempre considerarsi legittima, al solo fine di garantire l'esercizio del diritto di cronaca, dovendo essere rispettati i diritti previsti dagli artt. 96 e 97 della legge sul diritto d'autore n. 633/1941, dagli artt. 137 e 139 del Dlgs n. 196/2003 sulla privacy e dell'art. 8 del codice deontologico dei giornalisti, poiché è necessario sempre contemperare il diritto di cronaca con il diritto a vedere tutelata la propria immagine.

Il requisito della specificità dei motivi si configura, secondo una verifica da effettuarsi in concreto, allorché l'atto di impugnazione consenta di individuare con certezza le ragioni del gravame e le statuizioni impugnate, onde permettere al giudice di comprendere il contenuto delle censure ed alle controparti di svolgere senza alcun pregiudizio la propria attività difensiva. Viceversa, non è richiesta né l'indicazione delle norme di diritto che si assumono violate, né una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a supporto del gravame.

 La spontanea esecuzione della pronunzia di primo grado sfavorevole non comporta acquiescenza alla sentenza, trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione.

Diritto all'immagine, la giurisprudenza Corte EDU: https://www.echr.coe.int/Documents/FS_Own_image_ENG.pdf

CORTE DI APPELLO DI CAMPOBASSO

sentenza 21 febbraio 2019 n. 84

dr. Maria Grazia d'ERRICO - Presidente rel. dr. Gianfranco PLACENTINO - Consigliere dr. Marco Giacomo FERRUCCI - Consigliere ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di appello n. 182/2016 R.G. avverso la sentenza n. 54/2016 emessa dal Tribunale di Campobasso in composizione monocratica (nel proc. n. 1848/2011 R.G.)

Oggetto : risarcimento danni da lesione del diritto all'immagine

TRA

(...) spa (p. Iva (...)), in persona del l.r.p.t. avv. Fr.Sp. in virtù di procura per atto del Notaio (...) di R. dell'(...) n. rep. (...)/n. racc. (...), rappresentata e difesa dall'avv. Ca.Pu., con domicilio eletto in Campobasso presso lo studio dell'avv. Fu.Di., in virtù di procura a margine della citazione in appello

APPELLANTE ed APPELLATA INCIDENTALE E

(...) (c.f. (...)), elettivamente domiciliato in Campobasso presso lo studio dell'avv. Pa.Ri., che lo rappresenta e difende in virtù di procura a margine della comparsa di costituzione in appello

APPELLATO ed APPELLANTE INCIDENTALE

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

- Con citazione notificata il 5/12/2011, (...) ha convenuto dinanzi al Tribunale di Campobasso la (...) spa, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, quantificati complessivamente in 200.000,00 Euro o nella somma da determinare equitativamente, causatigli dalla trasmissione, nel corso del programma "Un giorno in pretura - Cattivi maestri" del 1/03/2008, nonostante egli avesse negato il consenso, delle sue immagini relative alla deposizione testimoniale resa in un processo penale svoltosi dinanzi alla Corte di Assise di Campobasso il 15/11/2006; ha chiesto inoltre di vietare alla R. l'ulteriore diffusione di tali riprese mediante qualsiasi mezzo.

La R. spa ha eccepito l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento della media- conciliazione (eccezione disattesa dal Tribunale in corso di causa) e ne ha chiesto il rigetto nel merito, sostenendo che dalla trascrizione del verbale di udienza non risultava che il (...), presidente provinciale dell'associazione "(...)", avesse chiesto di non essere ripreso durante la testimonianza; ha aggiunto che sussisteva in ogni caso un rilevante interesse pubblico alla diffusione, nel corretto esercizio del diritto di cronaca, dell'udienza dibattimentale in questione, concernente il caso dell'omicidio di una donna e della sua bambina commesso nel piccolo centro di Ferrazzano, in provincia di Campobasso, che aveva suscitato molto scalpore anche perché l'imputato era stato ritenuto colpevole in concorso con il noto pregiudicato (...) - già condannato per il cd. "massacro del Circeo"-, il quale si trovava in regime di semilibertà a Campobasso e lavorava alle dipendenze della suddetta associazione; ha infine rilevato la carenza di prova degli asseriti darmi.

- Con la sentenza n. 54 depositata il 26/01/2016 e notificata il 22/02/2016, il Tribunale ha accertato -a seguito della ctu disposta sul DVD riproducente la trasmissione televisiva e sul floppy disk della fonoregistrazione dell'udienza del 15/11/2016-, che il (...) aveva espressamente dichiarato di non volere essere ripreso (avendo chiesto di "non andare in video"), onde la convenuta, trasmettendo le riprese della sua testimonianza -pur non comportante in sè conseguenze infamanti o degradanti per l'attore-, ne aveva comunque leso il diritto all'immagine, con conseguente danno non patrimoniale, quantificato equitativamente in 50.000,00 Euro oltre rivalutazione ed interessi dalla domanda, sulla scorta della consulenza di parte prodotta dallo stesso attore, che ne attestava la reazione ansioso-depressiva cronica.

Il primo giudice ha invece rigettato la richiesta dell'attore di risarcimento del danno patrimoniale, ritenuto non provato; ha inoltre condannato la (...) spa a rimborsare al (...) le spese processuali e di ctu ed ha fatto divieto alla convenuta di trasmettere o diffondere con qualsiasi mezzo le immagini oggetto di causa, se non "coperte" o rese non riconoscibili.

- Con citazione notificata il 23/03/2016, la (...) spa ha proposto appello avverso la suddetta sentenza, chiedendone la riforma con il rigetto delle domande dell'attore ovvero, in via gradata, la riduzione del risarcimento secondo equità nella misura ritenuta di giustizia, in ogni caso con vittoria delle spese del doppio grado.

Costituitosi tempestivamente con comparsa depositata il 27/06/2016, (...) ha eccepito l'inammissibilità in rito dell'appello per violazione delle prescrizioni di cui all'art. 342 c.p.c.; in subordine, ha chiesto il rigetto dell'appello principale con conferma della sentenza impugnata nella parte relativa alla condanna della (...) spa al risarcimento in suo favore del danno non patrimoniale; in via incidentale, ha inoltre chiesto che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, l'appellante principale sia condannata al risarcimento anche del danno patrimoniale subito da esso appellante, da stimare in 100.000,00 Euro o nella somma da determinare anche in via equitativa, con condanna della (...) spa alle spese di giudizio.

- E' infondata l'affermazione della parte appellata, verbalizzata in occasione della prima udienza di trattazione, secondo la quale vi sarebbe stata acquiescenza dell'appellante principale alla sentenza di primo grado, avendo questa provveduto al pagamento degli importi di cui alla pronuncia di primo grado.

Come dedotto dalla difesa della (...) spa, non comporta acquiescenza ai sensi dell'art. 329 c.p.c. l'avere dato esecuzione (anche prima dell'intimazione di precetto) ad una sentenza fornita di efficacia esecutiva - cfr. fra le altre Cass. 2014/n.14368; Cass. 2013/n.17788- ed anche senza riserva di ripetizione - Cass. 2014/n.13492-.

L'acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione, configurabile comunque solo anteriormente alla proposizione del gravame - giacchè successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all'impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge -, consiste infatti nell'accettazione della sentenza, e cioè in una "libera, totale e incondizionata accettazione del decisum" (Cass. n. 19747 del 2011), cioè nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita: in quest'ultimo caso, l'acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l'interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione.

Ne consegue che la spontanea esecuzione della pronunzia di primo grado sfavorevole non comporta acquiescenza alla sentenza, trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione.

- Va respinta l'eccezione di inammissibilità dell'appello per mancata osservanza delle prescrizioni dettate dall'art. 342 c.p.c., sollevata dall'appellato: il concetto di specificità dei motivi di appello ai sensi dell'art. 342 c.p.c. cit., come modificato dall'art.54 D.L. n. 83 del 2012 conv. con L. n. 134 del 2012, si concretizza "nell'esposizione delle ragioni della critica rivolta dall'appellante alle motivazioni addotte in sentenza dal giudice di primo grado, ragioni che debbono essere potenzialmente dotate dell'attitudine alla confutazione logica o giuridica del fondamento della decisione" (cfr. Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 12608 del 18/06/2015; Cass. sez. un. 2017/n. 27199); la S.C. ha anche precisato che "il requisito della specificità dei motivi di cui all'art. 342 c.p.c. si configura, secondo una verifica da effettuarsi in concreto, allorché l'atto di impugnazione consenta di individuare con certezza le ragioni del gravame e le statuizioni impugnate, onde permettere al giudice di comprendere il contenuto delle censure ed alle controparti di svolgere senza alcun pregiudizio la propria attività difensiva. Viceversa, non è richiesta né l'indicazione delle norme di diritto che si assumono violate, né una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a supporto del gravame", ovvero che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto. Nel caso, come si vedrà più compiutamente esaminando le motivazioni a sostegno dell'appello -ed a prescindere dalla fondatezza o meno dell'impugnazione- la citazione indica gli specifici punti della sentenza di primo grado sottoposti a critica e le asserite violazioni di legge, nonché le modifiche richieste relativamente alla ricostruzione dei fatti ed alla decisione.

- Con il primo motivo di appello principale, la (...) spa lamenta l'errata interpretazione da parte del Tribunale dei presupposti per il risarcimento del danno e l'errata valutazione in concreto della sussistenza di un danno risarcibile; con il secondo motivo, la stessa appellante

principale sostiene l'ingiusto riconoscimento di un danno non allegato e non provato, in difetto di prova del nesso causale, e l'erronea valutazione della documentazione medica in atti.

La sentenza di primo grado ha ritenuto che dalla trasmissione televisiva risultasse chiaro il ruolo di mero testimone del (...), in sé non certo degradante, e che le dichiarazioni rese dallo stesso non avessero carattere compromettente o infamante; ha aggiunto che, tuttavia, la messa in onda dell'immagine dell'attore gli aveva causato un danno non patrimoniale, essendo avvenuta contro la sua volontà ed avendogli causato emozioni negative di notevole gravità e note d'ansia reattive (secondo la diagnosi formulata dal responsabile del Dipartimento di salute mentale dell'Asrem, prodotta dallo stesso (...)), ed ha stimato equitativamente tale danno in 50.000,00 Euro.

a) Sostiene l'appellante, quanto al primo motivo, che tale motivazione andrebbe contro il principio del necessario previo accertamento, rispetto all'obbligo risarcitorio, della verificazione effettiva del danno non patrimoniale, non configurabile in re ipsa: dalla stessa sentenza si ricaverebbe piuttosto che nessun danno si era concretizzato, in considerazione delle modalità di trasmissione della testimonianza del (...) (ripreso per pochi secondi mentre rendeva dichiarazioni del tutto "neutre" e non individuato mediante nome e cognome, ma quale "presidente provinciale dell'associazione (...)", in base alle scritte presenti nel "sottopancia" delle immagini); lo stesso attore aveva peraltro ricordato nell'atto introduttivo la propria notorietà nella città di Campobasso in virtù di tale carica, onde anche l'eventuale trasmissione della testimonianza con il suo volto oscurato non ne avrebbe impedito il riconoscimento da parte di familiari e conoscenti.

b) Relativamente al secondo motivo, la (...) spa sottolinea che il Tribunale avrebbe fondato sulla certificazione medica prodotta dalla stessa parte attrice il proprio giudizio sulla riferibilità causale alla trasmissione in questione dello stato di ansia reattiva diagnosticato al (...); tale certificazione considerava arbitrariamente la condizione del paziente come conseguenza della trasmissione oggetto di causa, pur essendo stata redatta circa quattro anni dopo.

Entrambi i motivi sono infondati.

al) Quanto al primo motivo, è corretta la valutazione del primo giudice secondo la quale l'aver trasmesso le immagini del (...) nonostante il suo espresso dissenso ha comportato la violazione del suo diritto all'immagine, il quale rientra fra i diritti della personalità che integrano prerogative inviolabili della persona, la cui violazione attribuisce al titolare il diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali.

Le norme di attuazione del codice di procedura penale disciplinano le riprese audiovisive dei dibattimenti all'art. 147 disp. att. c.p.p.: il giudice, se le parti consentono, può autorizzare in tutto o in parte la ripresa fotografica, fonografica o audiovisiva ovvero la trasmissione radiofonica o televisiva del dibattimento, ed in via di eccezione, l'autorizzazione può essere data anche senza il consenso delle parti stesse "quando sussiste un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento".

Ciò riguarda tuttavia le "parti" del processo e, dunque, la pubblica accusa da un lato e l'imputato dall'altro: l'art. 147, co.3, disp.att. c.p.p. prevede invece che anche quando autorizza la ripresa o la trasmissione a norma dei commi 1 (su consenso delle parti) e 2 (interesse sociale rilevante), il giudice vieta la ripresa delle immagini di parti, testimoni, periti, consulenti tecnici, interpreti e di ogni altro soggetto che deve essere presente, se i medesimi non vi consentono o la legge ne fa divieto.

Il Tribunale ha citato Cass. civ. Sez. III, 16/05/2008, n. 12433, secondo la quale "l'illecita pubblicazione dell'immagine altrui obbliga l'autore al risarcimento dei danni non patrimoniali sia ai sensi dell'art. 10 cod. civ., sia ai sensi dell'art. 29, L. 31 dicembre 1996, n. 675 - ove la fattispecie configuri anche violazione del diritto alla riservatezza- sia in virtù della protezione costituzionale dei diritti inviolabili della persona, di cui all'art. 2 Cost.: protezione costituzionale che di per sé integra fattispecie prevista dalla legge (al suo massimo livello di espressione) di risarcibilità dei danni non patrimoniali, ai sensi dell'art. 2059 cod. civ.".

Come inoltre precisato dalla S.C. (v. Cass. civ. Sez. I Sent., 22/07/2015, n. 15360), la presenza delle condizioni legittimanti l'esercizio del diritto di cronaca non implica, di per sé, la legittimità della pubblicazione o diffusione anche dell'immagine delle persone coinvolte, la cui liceità è subordinata:

a) al rispetto delle prescrizioni contenute negli artt. 10 c.c., 96 e 97 della L. n. 633 del 1941, nonché dell'art. 137 del D.Lgs. n. 196 del 2003 (il cui secondo comma prevede che il trattamento dei dati personali per finalità giornalistiche possa essere effettuato anche senza il consenso dell'interessato), e dell'art. 8 del codice deontologico dei giornalisti - che ha valore di fonte normativa in quanto richiamato dall'art. 139 del detto D.Lgs. n. 196 del 2003-;

b) alla verifica in concreto della sussistenza di uno specifico ed autonomo interesse pubblico alla conoscenza delle fattezze dei protagonisti della vicenda narrata, nell'ottica della essenzialità di tale divulgazione ai fini della completezza e correttezza della informazione fornita.

Il citato art. 10 c.c. subordina l'esposizione e la pubblicazione dell'immagine altrui alla condizione che la stessa non rechi pregiudizio al decoro o alla reputazione dell'interessato, facendo tuttavia salve le ipotesi in cui le predette forme di utilizzazione siano consentite dalla legge.

Tali ipotesi sono previste dall'art. 97 della L. n. 633 del 1941, il quale, nel richiedere in via generale il consenso della persona ritratta, ne esclude la necessità quando la riproduzione dell'immagine sia giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, ovvero quando la riproduzione sia collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.

La predetta disciplina costituisce espressione di un principio fondamentale il quale non può subire restrizioni se non in casi eccezionali, tassativamente previsti dalla legge, secondo cui le sembianze di una persona non possono essere esposte, riprodotte o messe in commercio contro la sua volontà.

Tale principio trova giustificazione nella natura stessa dell'immagine, che in quanto rappresentazione delle sembianze individuali, attiene ad uno dei modi di essere della persona.

Il relativo diritto, concretandosi nella facoltà di apparire se e quando si voglia, costituisce una manifestazione della libertà individuale, che si traduce nella possibilità di mostrarsi agli altri solo quando si abbia interesse a farlo o non si abbia interesse a non farlo, ed è tutelato dalla legge anche nel caso in cui la riproduzione o la diffusione non arrechino pregiudizio all'onore o alla reputazione dell'interessato.

In quest'ottica, la mera circostanza che l'immagine pubblicata appartenga ad un soggetto cui è riferibile una vicenda rispetto alla quale sia configurabile un interesse alla conoscenza da parte del pubblico non può considerarsi sufficiente a legittimarne la riproduzione e la diffusione, occorrendo a tal fine un quid pluris, consistente nella necessità che tale divulgazione risulti essenziale per la completezza e la correttezza dell'informazione fornita (Cass. civ. Sez. I, Ord., 9/07/2018, n. 18006).

b1) La decisione merita conferma anche sotto il profilo della sussistenza del rapporto causale fra la trasmissione televisiva in questione ed il pregiudizio al diritto all'immagine derivatone sul piano non patrimoniale al (...).

Il primo giudice ha valorizzato la relazione medica prodotta dall'attore - proveniente dal responsabile del Dipartimento di salute mentale dell'Asrem dr. (...), la quale ha attestato le ripercussioni della trasmissione in termini di ansia reattiva per il (...): la portata probatoria di tale relazione è contestata dall'appellante (che assume la necessità della valutazione al riguardo di un tecnico d'ufficio) con riferimento al tempo decorso dai fatti in questione rispetto alla sua redazione, nonché alla impossibilità di demandare a terzi la verifica sulla sussistenza dei presupposti dell'illecito civile.

Ritiene la Corte che non occorra effettuare l'accertamento tecnico d'ufficio invocato, risultando comunque pacifico dall'esito della ctu espletata sui supporti audio e video prodotti in atti (anche a prescindere dalle dedotte ricadute sulla salute fisio-psichica dell'appellato) che il volto del (...), ripreso in primo piano e perfettamente riconoscibile, fosse visibile nel corso della puntata del programma "(...)", nonostante la contraria volontà dallo stesso manifestata all'inizio della sua audizione quale testimone, il che, secondo i principi esposti, ha concretato la violazione del diritto all'immagine dell'appellato.

-Il terzo motivo di appello principale concerne l'asserita erronea quantificazione del danno non patrimoniale, attesa la carenza di motivazione sui parametri di riferimento in base ai quali tale danno è stato determinato nella sentenza appellata in via equitativa.

Il Tribunale afferma in proposito, dopo avere richiamato la relazione medica già citata, che "...il danno non patrimoniale, da valutarsi secondo equità, può essere quantificato in Euro cinquantamila. Somma che, alla luce di quanto appena illustrato, è ritenuta sufficiente a ristorare il signor (...) dalle subite disagevoli conseguenze".

Va tenuto presente che il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, non è in re ipsa, ma costituisce un danno conseguenza, che deve essere allegato e provato da chi ne domandi il risarcimento (Cass., ord., 24/09/2013, n. 21865), il che tuttavia non toglie che tale prova possa essere data anche a mezzo dipresunzioni semplici (v. Cass. 14/05/2012, n. 7471; Cass. 18/11/2014, n. 24474, Cass. 31/07/2015, n. 16222); queste costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento, nell'esercizio del potere discrezionale istituzionalmente demandatogli di scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione.

Rilevano, nel caso: l'ampia diffusione sul territorio nazionale delle immagini trasmesse dalla (...) spa; le ridotte dimensioni della città di Campobasso, luogo di residenza del (...); la posizione soggettiva dello stesso, responsabile legale dell'associazione cui gli imputati erano stati ammessi, con la conseguente associabilità della sua persona al grave delitto in questione, anche solo sotto il profilo della sua incapacità di giudizio su tali soggetti; a fronte di tanto, la durata contenuta (14 secondi circa) e la scarsa significatività delle dichiarazioni testimoniali del (...) oggetto della ripresa (concernenti l'importo del saldo di un c/c).

Al fine della relativa quantificazione equitativa, la Corte reputa utile fare riferimento -pur tenendo conto della differenza esistente fra le ipotesi ivi valutate e la fattispecie in esame- alle nuove tabelle elaborate dall'Osservatorio sulla giustizia civile del Tribunale di Milano il 14/03/2018, relative al danno non patrimoniale da diffamazione a mezzo stampa, apparendo raffrontabile al caso di specie l'ipotesi in cui il mezzo diffamatorio abbia una significativa diffusione ed il diffamante sia soggetto mediamente noto, per la quale il risarcimento oscilla da 21.000,00 a 30.000,00 Euro (mentre la persona offesa può ottenere sino a 50.000,00 Euro a titolo di ristoro per il danno subito, qualora la notorietà del diffamante sia elevata, gli episodi diffamatori abbiano un'ampia diffusione e vi sia stato l'utilizzo di espressioni denigratorie).

Ne deriva, in parziale accoglimento dell'appello proposto, la riduzione del risarcimento del danno non patrimoniale subito dal (...) a 25.000,00 Euro, oltre agli accessori previsti dalla sentenza appellata, in ordine alle quali modalità di computo non vi è impugnazione.

- Con l'appello incidentale. (...) ribadisce la richiesta di condanna della (...) spa al risarcimento del danno patrimoniale, rigettata dal Tribunale in quanto ritenuta non provata.

L'appellante incidentale dichiara genericamente di "insistere in tutte le istanze istruttorie già formulate in primo grado", con riferimento alla richiesta di ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. già accolta in primo grado, ed a suo dire rimasta inevasa da parte della (...) spa.

Al riguardo si sottolinea che (a parte ogni considerazione circa l'effettiva attuazione o meno, nel caso, dell'ordine impartito, nonché circa la mancata reiterazione della richiesta istruttoria in sede di conclusioni in primo grado) la disposizione invocata non prevede una sanzione per il caso di inottemperanza all'ordine di esibizione, né il provvedimento è suscettibile di esecuzione coattiva, salva restando la possibilità per il giudice di trarre argomenti di prova a danno della parte onerata.

Tanto chiarito, l'appello non merita accoglimento.

Il (...) invoca i precedenti giurisprudenziali (v. ad es. Cass. civ. Sez. III Sent., 16/05/2008, n. 12433) secondo i quali "l'illecita pubblicazione dell'immagine altrui obbliga al risarcimento dei danni patrimoniali, che consistono nel pregiudizio economico che la vittima abbia risentito dalla pubblicazione e di cui abbia fornito la prova. In ogni caso, qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di danno patrimoniale, la parte lesa può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto per dare il suo consenso alla pubblicazione: somma da determinarsi in via equitativa, con riferimento al vantaggio economico conseguito dall'autore dell'illecita pubblicazione e ad ogni altra circostanza congruente con lo scopo della liquidazione, tenendo conto, in particolare, dei criteri enunciati dall'art. 128, comma 2, L. 22 aprile 1941, n. 633 sulla protezione del diritto di autore".

Secondo lo stesso orientamento giurisprudenziale invocato dal (...), la quantificazione dei danni patrimoniali, con riferimento al cd. prezzo del consenso, può risultare particolarmente difficoltosa, specie se il soggetto leso non sia persona nota, alla cui immagine possa essere attribuito un valore economico oggettivamente determinabile.

La liquidazione va, allora, compiuta, ai sensi dell'art. 2056 c.c., con riferimento agli utili presumibilmente conseguiti dall'autore dell'illecito, in relazione alla diffusione del mezzo sul quale la pubblicazione è avvenuta, alle finalità (pubblicitarie o d'altro genere) che esso intendeva perseguire, e ad ogni altra circostanza rilevante a tal fine (v. Cass. 2010/n. 11353).

Nel caso, essendo il (...) persona non notoria al pubblico dei telespettatori al di fuori del proprio ambito di residenza, ed avuto riguardo alle caratteristiche del programma nell'ambito del quale la sua immagine è stata trasmessa, non avente finalità pubblicitarie o di intrattenimento, ma di cronaca ed informazione su casi giudiziari (si veda la nota del 5/03/2013 acquisita al fascicolo di primo grado ex art. 210 c.p.c. con cui la (...) dichiara di non avere negoziato spazi pubblicitari con riferimento alla trasmissione oggetto di causa), nonché alle stesse caratteristiche di durata e contenuto delle riprese delle quali si discute, rispetto ad una puntata di 1 ora, 1 minuto e 51 secondi, non appare configurabile l'abusivo sfruttamento dell'immagine altrui per fini eminentemente commerciali, né concretamente sostenibile che il (...) avrebbe potuto conseguire un compenso per l'assenso alla messa in onda della sue immagini -come nella fattispecie esaminata dalla Cassazione 2008/n.12433 citata, riguardante la pubblicazione non autorizzata di alcune fotografie del danneggiato sulla rivista edita dalla società convenuta -.

- La soluzione adottata, che ha comportato l'accoglimento solo parziale dell'appello principale ed il rigetto dell'appello incidentale, giustifica la condanna della parte appellante al pagamento della metà delle spese processuali di entrambi i gradi con compensazione fra le parti della residua metà. Le spese vengono regolate per il primo grado sulla base della liquidazione di cui alla sentenza appellata -in mancanza di impugnazione sul quantum di tali spese- (ferma l'imposizione dei compensi di ctu all'attuale appellante), e per il presente grado applicando la tabella di cui al D.M. n. 55 del 2014 in ragione del valore della controversia determinato in base alle somme effettivamente riconosciute, parametri medi per fasi di studio, introduttiva e decisionale, da versare in favore dell'Erario ai sensi dell'art. 133 T.U.S.G., stante l'ammissione del (...) per il presente grado al patrocinio a spese dell'Erario.

P.Q.M.

La Corte,

pronunciando definitivamente sull'appello principale proposto dalla (...) spa, in persona del l.r.p.t., con citazione notificata il 23/03/2016, nei confronti di (...), nonché sull'appello incidentale proposto da quest'ultimo con comparsa depositata il 27/06/2016, avverso la sentenza n. 54/2016 emessa dal Tribunale di Campobasso in composizione monocratica, così provvede:

a) accoglie l'appello principale per quanto di ragione e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, riduce a 25.000,00 Euro oltre interessi legali e rivalutazione dalla citazione introduttiva del primo grado al saldo l'importo dovuto dalla (...) spa a (...), a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale;

b) rigetta l'appello incidentale;

c) condanna l'appellante a rimborsare all'appellato la metà delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida per tale quota, quanto al primo grado, in 1.813,50 Euro oltre rimborso forfettario del 15%, Iva e Cpa, ferma l'imposizione all'appellante delle spese di ctu, e quanto al presente appello in 1.888,50 Euro oltre rimborso forfettario del 15%, Iva e Cpa, disponendo che tale ultimo importo sia versato in favore dell'Erario, e dichiarando compensata fra le parti la residua metà delle spese di entrambi i gradi.

Così deciso in Campobasso il 13 febbraio 2019. Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2019.