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Tenuità del fatto anche nel reato continuato (Cass. 16502/19)

16 aprile 2019, Cassazione penale

Non costituisce elemento ostativo alla applicazione della particolare tenuità del fatto la presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, qualora questi riguardino azioni commesse nelle medesime circostanze di tempo e di luogo e nei confronti della medesima persona, posto che da tutti questi elementi emerge una unitaria e circoscritta deliberazione criminosa, che costituisce un elemento incompatibile con la condizione negativa della abitualità della condotta presa in considerazione, quale fattore di esclusione della applicabilità della norma, dall’art. 131 bis c.p.

La logica antinomia fra reato continuato e particolare tenuità del fatto è rilevabile solo nel caso in cui le violazioni espressione del medesimo disegno criminoso siano in numero tale da costituire di per sé dimostrazione di un certa serialità nel delinquere ovvero di una progressione criminosa, indicative di una particolare intensità del dolo o della versatilità offensiva tali da porre in evidenza un insanabile contrasto con il giudizio di particolare tenuità dell’offesa in tal modo arrecata, ovvero, in altre parole, ove detta reiterazione non sia espressiva di una chiara tendenza od inclinazione al crimine.

Non può essere rilevata la particolare tenuità del fatto quando vi siano indicatori di dimestichezza e familiarità del soggetto agente con il delinquere, che rendono ex se il fatto commesso tale da rivestire un non trascurabile o, comunque, non assai modesto disvalore sociale.

In particolare, per quanto attiene alla molteplicità delle condotte realizzate, il legislatore ha fatto puntuale riferimento ad aggettivi riferiti alle condotte (plurime, abituali, reiterate) aventi un ben chiaro spettro semantico, dovendo ritenersi che una condotta sia reiterata ove la stessa, con identiche modalità fenomeniche, sia ripetuta nel tempo, che essa sia abituale ove la stessa, non essendo episodica, si segnali per una sua certa metodicità, mentre una condotta è plurima ove essa, ancorché sotto diverse guise, intervenga un considerevole numero di volte.

La nozione di condotta plurima, presuppone la esistenza di almeno tre condotte fra loro disomogenee, posto che la valenza di significato del lemma utilizzato dal legislatore, appunto l’espressione plurima, si discosta dal concetto di semplice pluralità della azione, richiedendo il relativo concetto un quid pluris, costituito da un ulteriore elemento fattuale che si aggiunga alla mera pluralità, la quale richiede anche la sola duplicità dei comportamenti. 

   
Corte di Cassazione

sez. III Penale, sentenza 20 novembre 2018 – 16 aprile 2019, n. 16502
Presidente Lapalorcia – Relatore Gentili

Ritenuto in fatto

Con sentenza del 17 gennaio 2018 il Tribunale di Asti ha dichiarato non punibili P.C.V. , H.N.A. e N.A.G. , ai sensi dell’art. 131 bis c.p., in ordine ai reati loro contestati aventi ad oggetto la violazione dei sigilli ed il tentato furto aggravato, essendo stata ritenuta dal giudice di primo grado la particolare tenuità dei fatti loro addebitati.
Avverso detta sentenza ha interposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti, deducendo un unico motivo di impugnazione, con il quale, pur consapevole della esistenza di un orientamento giurisprudenziale indirizzato nel senso della compatibilità fra la figura della non punibilità del fatto per la sua particolare tenuità e la continuazione fra i reati, egli ha sollecitato questa Corte ad annullare la sentenza impugnata sulla scorta del rilievo, avallato da altro diverso orientamento di questa Corte, secondo il quale, essendo la contestazione mossa nei confronti degli imputati riferita ad una pluralità di reati, vi sarebbe un ostacolo normativo, rappresentato dal fatto che è inibita la qualificazione del fatto come di particolare tenuità ove lo stesso "presenta una dimensione plurima", che impedirebbe la possibilità di applicare in favore degli imputati la particolare causa di non punibilità ritenuta, invece, dal Tribunale astigiano.

Considerato in diritto

Il ricorso, essendo risultato infondato, non è, pertanto, meritevole di accoglimento.

Il punctum attorno al quale si snoda il ricorso del Pm astigiano è afferente alla compatibilità fra la affermazione della particolare tenuità del fatto e, pertanto, la sua non punibilità ai sensi dell’art. 131 bis c.p., e la contestazione di più reati.

Rileva il Tribunale di Asti nella sentenza impugnata che non sussisterebbe quanto ai fatti contestati ai prevenuti alcuna della condizioni obbiettive ostative alla riconducibilità degli stessi alla ipotesi di non punibilità prevista dalla disposizione sopra richiamata posto che: si tratta di reati che ambedue prevedono una pena edittale inferiore nel massimo ai 5 anni di reclusione; dagli atti non risulta che i soggetti agenti abbiano operato per motivi abbietti o futili ovvero abbiano agito con crudeltà, adoperando sevizie in danno della persona offesa ovvero profittando delle condizioni di minorata difesa di quest’ultima;dal fatto non sono derivare lesioni gravissime né la morte di chicchessia; i prevenuti non risultano avere precedenti relativi a reati della stessa indole né sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza.

Il Tribunale ha altresì rilevato che non vi erano elementi per ritenere la abitualità della condotta ovvero la reiterazione della medesima.

Tanto considerato il giudicante, valutati gli indici rilevanti ai sensi dell’art. 133 c.p., ha ritenuto che si debba ritenere l’episodio sottoposto alla sua attenzione processuale inequivocabilmente segnalato dal carattere della particolare tenuità della offesa arrecata ai beni interessi tutelati dalle disposizioni in ipotesi violate ed ha, pertanto, dichiarato la non punibilità dei prevenuti.

Nel formulare il ricorso introduttivo del presente giudizio il rappresentante della pubblica accusa ha, viceversa, osservato che, la stessa disposizione legislativa di favore prevede che, laddove il "fatto" contestato presenti una dimensione "plurima" non possa essere attribuita rilevanza all’eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui essi si sia articolato e che, pertanto, ove si sia in presenza di più reati ascritti ad un medesimo soggetto, senza che abbia una qualche rilevanza la circostanza che gli stessi risultino o meno avvinti sotto lo schema della continuazione ai sensi dell’art. 81 c.p., cpv., viene meno la possibilità di qualificare ciascun fatto come di minimo disvalore penale, per cui, in una siffatta evenienza, viene meno in radice la possibilità applicare per ciascuno ovvero per taluno di essi la disciplina dettata dall’art. 131 bis c.p..

Ritiene il Collegio che la tesi esposta dal ricorrente con l’atto introduttivo del presente giudizio, pur certamente non trascurabile né ignota alla giurisprudenza di questa Corte, debba tuttavia essere disattesa.

Come accennato in seno a questo supremo consesso giudiziario sono state espresse tesi fra loro divergenti; infatti, ancora in tempi assai recenti questa Corte, anzi questa stessa Sezione, ha avuto modo di affermare che la causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131 bis c.p., non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione in quanto anche il reato continuato configura un’ipotesi di "comportamento abituale", ostativa al riconoscimento del beneficio (Corte di cassazione, Sezione III penale, 4 maggio 2018, n. 19159); la Corte ha in tal senso ulteriormente declinato un principio che, sostanzialmente negli stessi termini, era già stato applicato da questa Corte, sulla base del rilievo che la continuazione fra reati configura appunto un comportamento abituale caratterizzato dalla reiterazione di condotte penalmente rilevanti costituenti un segnale rivelatore di una devianza "non occasionale", che come tale è priva di quel carattere di trascurabile offensività che, invece, deve essere indefettibile indice del fatto ove lo si voglia sussumere entro il rigido paradigma normativo dell’art. 131 bis c.p. (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 24 gennaio 2018, n. 3353) ed è stato anche successivamente reiterato attraverso la automatica sussunzione della continuazione fra reati nell’ambito del "comportamento abituale", impeditivo della ricognizione della particolare tenuità del fatto (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 8 ottobre 2018, n. 44896).

In senso sostanzialmente analogo - sia pure con riferimento ad una fattispecie materiale (si trattava della violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12) nella quale il legislatore ha espressamente commisurato la entità della sanzione penale al numero delle infrazioni della norma precettiva commesse dal soggetto agente - in altra occasione la Corte a ribadito che la ipotesi della continuazione fra reati si pone come ontologicamente ostativa, in quanto manifestazione di un comportamento abituale deviante, alla qualificazione del fatto in termini di particolare tenuità (Corte di cassazione, Sezione I penale, 12 dicembre 2017, n. 55450).

In altre occasioni, invece, questa stessa Corte ha espresso un orientamento che, seppure con qualche opportuna precisazione connessa alla peculiarità del caso di volta in volta sottoposto alla sua attenzione, appare decisamente mitigare la rigidità e la apparentemente generale applicazione del principio quale dianzi esposto.

Come, infatti, è stato affermato di recente da questa Corte, non costituisce elemento ostativo alla applicazione dell’art. 131 bis c.p., la presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, qualora questi riguardino azioni commesse nelle medesime circostanze di tempo e di luogo e nei confronti della medesima persona, posto che da tutti questi elementi emerge una unitaria e circoscritta deliberazione criminosa, che costituisce un elemento incompatibile con la condizione negativa della abitualità della condotta presa in considerazione, quale fattore di esclusione della applicabilità della norma, dall’art. 131 bis c.p. (Corte di cassazione, Sezione V penale, 5 febbraio 2018, n. 5358).

Principio che è stato confermato anche dalla coeva sentenza n. 9495 del 2018, ove è stato puntualizzato che la logica antinomia fra reato continuato e particolare tenuità del fatto è rilevabile solo nel caso in cui le violazioni espressione del medesimo disegno criminoso siano in numero tale da costituire di per sé dimostrazione di un certa serialità nel delinquere ovvero di una progressione criminosa,l indicative di una particolare intensità del dolo o della versatilità offensiva tali da porre in evidenza un insanabile contrasto con il giudizio di particolare tenuità dell’offesa in tal modo arrecata, (Corte di cassazione, Sezione II penale, 2 marzo 2018, n. 9495), ovvero, in altre parole, ove detta reiterazione non sia espressiva di una chiara tendenza od inclinazione al crimine (Corte di cassazione, Sezione II penale, 24 settembre 2018, n. 41011), e che già era stato in precedenza enunciato in termini precisamente e puntualmente definiti (Corte di cassazione, Sezione V penale, 19 luglio 2017, n. 35590).

Ritiene il Collegio, come già dianzi anticipato, che questo secondo orientamento sia, oltre che più conforme allo stesso tenore letterale della disposizione in questione, certamente espressivo di una più generale coerenza di sistema con altre norme dell’ordinamento.

Quanto al primo profilo sopra accennato) si osserva che lo stesso legislatore, nell’individuare i fattori impeditivi la qualificazione del fatto come espressivo della particolare tenuità della offesa arrecata al bene interesse tutelato dalla norma precettiva, richiama, per quanto ora interessa, oltre che la pregressa dichiarazione a carico dell’autore del fatto siccome delinquente abituale, professionale o per tendenza, la medesimezza dell’indole dei reati commessi ove ci si trovi di fronte a più reati,ovvero la circostanza che si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate.

Si tratta, come è evidente, di elementi che, evidenziando una qualche dimestichezza e familiarità del soggetto agente con il delinquere, rendono ex se il fatto commesso tale da rivestire un non trascurabile o, comunque, non assai modesto disvalore sociale.

In particolare, per quanto attiene alla molteplicità delle condotte realizzate, il legislatore ha fatto puntuale riferimento ad aggettivi riferiti alle condotte (plurime, abituali, reiterate) aventi un ben chiaro spettro semantico, dovendo ritenersi che una condotta sia reiterata ove la stessa, con identiche modalità fenomeniche, sia ripetuta nel tempo, che essa sia abituale ove la stessa, non essendo episodica, si segnali per una sua certa metodicità, mentre una condotta è plurima ove essa, ancorché sotto diverse guise, intervenga un considerevole numero di volte.

Questa Corte, già in passato, ebbe a precisare che, la nozione di condotta plurima, presuppone la esistenza di almeno tre condotte fra loro disomogenee, posto che la valenza di significato del lemma utilizzato dal legislatore, appunto l’espressione plurima, si discosta dal concetto di semplice pluralità della azione, richiedendo il relativo concetto un quid pluris, costituito da un ulteriore elemento fattuale che si aggiunga alla mera pluralità, la quale richiede anche la sola duplicità dei comportamenti (cfr. Corte di cassazione, Sezione III penale, 30 novembre 2015, n. 47256; sul concetto di condotte plurime come espressivo della esecuzione, almeno tre volte, di distinte e molteplici condotte si veda anche Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 6 aprile 2016, n. 13681).

Da quanto sopra sembra di potere escludere che nei comportamenti addebitati ai prevenuti sia riscontrabile una delle condizioni ostative alla riconoscibilità della particolare tenuità dell’offesa posto che, non essendo alcuno dei prevenuti già stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, né essendo i reati contestati espressivi di una medesima indole criminale, le condotte ascritte ai tre prevenuti sono numericamente solo due ei per come descritte nel capo di imputazione e verificate in esito al dibattimento di primo grado) esse non appaiono né espressive di una certa abitualità criminosa né hanno comportato la reiterazione di un medesimo modus operandi da parte dei prevenuti che evidenzi la loro proclività ad una determinata azione delinquenziale.

Osserva, peraltro, ancora il Collegio che considerare di per sé la contestazione di più condotte, tanto più se le stesse appaiano, come nel caso di specie, primo visu affasciate dal vincolo della continuazione, esulanti rispetto al fuoco della disposizione normativa contenuta nell’art. 131 bis c.p., è soluzione che si presenta, inoltre, eccentrica rispetto alla stessa sistematica sanzionatoria di cui è espressione l’art. 81 c.p..

Infatti l’automatismo della valutazione della pluralità delle condotte siccome ostative alla riconducibilità del fatto nell’ambito della particolare tenuità ex art. 131 bis c.p., anche nel caso in cui la contestualità di esse deponga inequivocabilmente nel senso della unicità della volizione antidoverosa dell’agente, comporterebbe una ingiustificata, ed ingiustificabile, disparità di trattamento con la figura, per ampi tratti identicamente considerata dal legislatore ed identicamente configurante una unificazione di più illeciti operante esclusivamente quoad poenam, del concorso formale fra reati, prevista dall’art. 81 c.p., comma 1, in cui la unicità della condotta, pur considerata la risultante pluralità di violazioni commesse, consentirebbe, diversamente da quanto si ritiene sulla base dell’orientamento interpretativo ora avversato, l’eventuale applicabilità dell’art. 131 bis c.p..

Considerato che nel nostro caso, per come descritte nel capo di imputazione, le condotte attribuite ai prevenuti, in relazione alle quali è riscontrabile un’evidente unità di tempo e di luogo, rendono manifesto che le stesse costituiscono le modalità di estrinsecazione di un unico disegno criminoso, correttamente il Tribunale di Asti ha, con la sentenza impugnata, ritenuto ad essi applicabile il regime di favore di cui all’art. 131 bis c.p., e, conseguentemente, il ricorso avverso detto provvedimento deve essere rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.