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Spacciare in casa è più grave che spacciare in strada? (Cass.21163/20)

16 luglio 2020, Cassazione penale

Non c'è ragione di ritenere più scaltro lo spacciatore che operi stando in casa propria, piuttosto che quello che smerci in una piazza di spaccio o altrove: al contrario, desta maggiori sospetti il viavai di persone che tale modalità di spaccio necessariamente comporta, ciò che consente alle autorità di polizia di operare una più efficace azione repressiva per individuare e controllare gli acquirenti e quindi raccogliere prove dell’attività illecita.

 

Nell’ipotesi in cui l’unico indice ostativo al fatto di lieve entità della detenzione ai fini di spaccio sia costituito dal dato ponderale della sostanza stupefacente non si può prescindere dalla valutazione dell’entità del principio attivo presente nel reperto

L'elemento ponderale ha un ruolo centrale nell’apprezzamento giudiziale, dovendo maggiore o minore espressività del dato quantitativo essere determinata in concreto nel confronto con le altre circostanze del fatto rilevanti secondo i parametri normativi di riferimento, ferma la possibilità che, nel rispetto delle condizioni illustrate, tale dato possa assumere comunque valore negativo assorbente.

Mere congetture difensive, nemmeno rappresentate dall'imputato, non possono fondare un’alternativa ricostruzione del fatto, comunque estranea ai confini del giudizio di legittimità.

 

Corte di Cassazione

sez. III Penale

sentenza 23 giugno – 16 luglio 2020, n. 21163

Presidente Di Nicola – Relatore Reynaud

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 23 maggio 2019, la Corte d’appello di Potenza ha respinto il gravame proposto da P.S. avverso la sentenza con cui il medesimo era stato condannato alla pena di anni due di reclusione e 5.200 Euro di multa in ordine al reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1, per aver ceduto a S.M. un pezzettino di hashish ed aver illecitamente detenuto altro stupefacente della stessa natura per gr. 2,33 di principio attivo.

2. Avverso la sentenza di appello, a mezzo del difensore fiduciario, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con il primo motivo, la violazione degli artt. 350 e 357 c.p.p. per essere state illegittimamente utilizzate le dichiarazioni, rese del S. , di aver acquistato l’hashish dal P. . Di queste dichiarazioni non era infatti stato redatto apposito verbale e si era illegittimamente ritenuto che fosse sul punto utilizzabile la deposizione resa de relato dalla polizia giudiziaria e che potesse comunque farsi uso delle dichiarazioni del S. al proposito contenute nel verbale di perquisizione nei suoi confronti espletata, pur essendo le stesse non attinenti alla documentazione delle attività compiute.

3. Con il secondo motivo di ricorso si lamentano violazione dell’art. 73 T.U. stup. e vizio di motivazione per essere stata ritenuta la detenzione illecita dell’hashish con motivazione illogica e assertiva, in assenza di elementi sintomatici dell’attività di spaccio, non essendo utilizzabili - per quanto sopra osservato - le dichiarazioni del S. e non potendosi ricavare univoche conclusioni dal fatto che lo stupefacente rinvenuto in casa dell’imputato fosse confezionato od "occultato" nel divano.

4. Con il terzo motivo di ricorso si deducono violazione dell’art. 73, comma 5, T.U. stup. e vizio di motivazione per non essere stata riconosciuta l’ipotesi del fatto di lieve entità, benché la detenzione riguardasse un modesto quantitativo di stupefacente, dal valore commerciale irrisorio, e sull’illogico rilievo che il fatto fosse grave perché lo spaccio avveniva all’interno dell’abitazione dell’imputato.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo ricorso è inammissibile per genericità, poiché la sentenza impugnata attesta che in quella di primo grado "non si fonda la declaratoria di responsabilità penale sulla richiamata dichiarazione" del S. , bensì su indizi gravi precisi e concordanti di diversa natura, condivisi dal giudice d’appello. In particolare, la prova della cessione era stata rivenuta dall’attività di appostamento della polizia giudiziaria (che aveva visto S.M. recarsi in auto a casa di P.S. , entrarvi ed uscirvi pochi minuti dopo) e dal fatto che il S. , immediatamente dopo perquisito, era stato trovato in possesso di un pezzettino di hashish che presentava le stesse modalità di confezionamento delle analoghe 14 dosi di hashish poi rinvenute in casa del P. e, soprattutto, la stessa percentuale di principio attivo, donde la prova anche della illecita detenzione.

A fronte di questa autosufficiente ratio decidendi, non specificamente contestata (salvo quanto di seguito immediatamente si dirà) e del tutto idonea a sorreggere l’affermazione di penale responsabilità per le condotte ascritte, non rileva, dunque, che la sentenza impugnata affermi l’inesistenza del divieto di utilizzare dichiarazioni non verbalizzate e riferite de relato dalla polizia giudiziaria, affermazione in diritto errata, poiché contrastante con l’art. 195 c.p.p., comma 4, nel testo risultante dalla declaratoria d’illegittimità costituzionale pronunciata con sent. Corte Cost. 30 luglio 2008, n. 305 (cfr. Sez. 6, n. 43896 del 08/02/2018, Luvaro, Rv. 274223; Sez. 3, n. 13205 del 23/11/2016, dep. 2017, Romano, Rv. 269327; Sez. F., n. 38560 del 26/08/2014, Cacciola e aa., Rv. 261470; v., già in precedenza, Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003, Torcasio e a., Rv. 225468). Ed invero, la doglianza è all’evidenza generica, avendo questa Corte ripetutamente affermato il difetto di specificità, con violazione dell’art. 581 c.p.p., del ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove siano entrambe autonome ed autosufficienti (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Bimonte, Rv. 272448; Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972; Sez. 3, n. 30013 del 14/07/2011, Melis e Bimonte, non massimata) e, sotto altro angolo visuale, negli stessi casi, il difetto di concreto interesse ad impugnare, in quanto l’eventuale apprezzamento favorevole della doglianza non condurrebbe comunque all’accoglimento del ricorso (Sez. 6, n. 7200 del 08/02/2013, Koci, Rv. 254506).

2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato e sottopone a questa Corte un’inammissibile richiesta di alternativa ricostruzione del fatto, compito esclusivo del giudice del merito.
Ed invero, alla Corte di cassazione sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507), così come non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico e a., Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).

Come si è sopra osservato, la sentenza impugnata ha non illogicamente ritenuto, in base agli elementi evidenziati, che S. avesse acquistato la dose di hashish trovata in suo possesso da P. - il quale ne aveva a casa altre 14, confezionate nello stesso modo e contenenti stupefacente avente la medesima percentuale di principio attivo - e l’unica contestazione mossa dal ricorrente (vale a dire che "nulla esclude che il P. fosse il cessionario della transazione illecita, ossia il soggetto passivo dell’attività di spaccio compiuto dal S. ") si fonda su una mera congettura (non risulta che nemmeno l’imputato abbia mai fatto quell’affermazione) e sollecita, appunto, un’alternativa ricostruzione del fatto che è estranea ai confini del giudizio di legittimità.
Accertata, dunque, la cessione, la motivazione sulla detenzione a fini di spaccio anche delle ulteriori 14 dosi di hashish confezionate, rinvenute - occultate - a casa del P. , è assolutamente logica.

3. È fondato, invece, il terzo motivo di ricorso.
La sentenza attesta che la sostanza rinvenuta presso l’imputato, del peso di circa 25 gr., avendo un principio attivo del 9,2%, corrispondeva a 2,336 gr. di stupefacente ed era utile a confezionare 93 dosi medie singole. L’ipotesi di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, è stata esclusa in considerazione "del quantitativo di stupefacente rinvenuto, del numero di dosi e del fatto che la condotta di spaccio avveniva all’interno dell’abitazione domestica (a riprova di una particolare scaltrezza e della scelta di asservire i propri beni all’attività illecita)".

Reputa il Collegio che tale ultima argomentazione sia manifestamente illogica, non essendovi ragione di ritenere più scaltro lo spacciatore che operi stando in casa propria, piuttosto che quello che smerci in una piazza di spaccio o altrove.

Nè tali modalità della condotta possono essere di per sé ritenute - come regola di esperienza, avulsa dalle specificità del caso concreto (può pensarsi all’utilizzo di videocamere per controllare gli accessi all’abitazione, ovvero all’utilizzo di accorgimenti per poter evitare controlli a sorpresa) - di maggior disvalore penale o più pericolose, potendo ad es. osservarsi, in contrario, che desta maggiori sospetti il via/vai di persone che tale modalità di spaccio necessariamente comporta, ciò che consente alle autorità di polizia, come nella specie avvenuto, di operare una più efficace azione repressiva per individuare e controllare gli acquirenti e quindi raccogliere prove dell’attività illecita.

3.1. Esclusa, dunque, la logicità di quest’ulteriore argomento, a fondare il rigetto della richiesta di riqualificazione del reato resta soltanto l’aspetto quantitativo, che, da solo, è nel caso di specie tuttavia insufficiente.

Va sul punto ribadito il risalente principio di diritto - affermato sin da quando il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, configurava, con gli stessi presupposti contenuti nella norma oggi vigente, una circostanza attenuante - secondo cui la fattispecie del fatto di lieve entità può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera e aa., Rv. 216668; Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911; Sez. 6, n. 39977 del 19/09/2013, Tayb, Rv. 256610; Sez. 3, n. 32695 del 27/03/2015, Genco e aa., Rv. 264491).

Questo consolidato orientamento ha di recente trovato nuova conferma in una decisione assunta dalle Sezioni Unite, ove si afferma essere "necessario che il percorso valutativo così ricostruito si rifletta nella motivazione della decisione, dovendo il giudice, nell’affermare o negare la tipicità del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, T. U. stup., dimostrare di avere vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegare le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata a solo alcuni di essi. Il che significa, come illustrato, che il discorso giustificativo deve dar conto non solo dei motivi che logicamente impongono nel caso concreto di valutare un singolo dato ostativo al riconoscimento del più contenuto disvalore del fatto, ma altresì di quelli per cui la sua carica negativa non può ritenersi bilanciata da altri elementi eventualmente indicativi, se singolarmente considerati, della sua ridotta offensività" (Sez U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo).
Tale metodo di giudizio vale anche a proposito dell’elemento ponderale, che pure - riconosce la citata decisione - assume spesso un ruolo centrale nell’apprezzamento giudiziale, dovendo anche la maggiore o minore espressività del dato quantitativo essere determinata in concreto nel confronto con le altre circostanze del fatto rilevanti secondo i parametri normativi di riferimento e "ferma la possibilità che, nel rispetto delle condizioni illustrate, tale dato possa assumere comunque valore negativo assorbente" (Sez. U, sent. 51063/2018).
Nel caso di specie ciò non può certo affermarsi, posto che la quantità di stupefacente illecitamente detenuta era inferiore al quintuplo di quella detenibile per uso esclusivamente personale, pari a 0,5 gr. di principio attivo e a 20 dosi medie singole.

Le confezioni - corrispondenti alle "dosi" che formano oggetto di spaccio sul mercato degli stupefacenti e che abitualmente vengono richieste dai consumatori - erano, infatti, soltanto 14, sicché la quantità, lungi dal consentire di escludere la possibilità di configurare l’ipotesi di lieve entità, depone invece in questo senso, in assenza di altri opposti elementi di giudizio, non rappresentati neppure nella sentenza di primo grado, che valorizza i medesimi argomenti della sentenza impugnata. Anzi, la stessa, oggettivamente modesta, percentuale di principio attivo è dato che ulteriormente milita in favore della richiesta riqualificazione (cfr. Sez. 4, n. 24509 del 09/05/2018, Pititto, Rv. 272942, secondo cui, ai fini dell’esclusione della fattispecie del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, nell’ipotesi in cui l’unico indice ostativo sia costituito dal dato ponderale della sostanza stupefacente non si può prescindere dalla valutazione dell’entità del principio attivo presente nel reperto).

4. Giusta la previsione ricavabile dall’art. 620 c.p.p., lett. l), l’addebito può pertanto essere in questa sede qualificato come riconducibile al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, non essendo sul punto necessari, nè ragionevolmente esperibili, tenendo anche conto della particolarità del caso di specie, ulteriori accertamenti di fatto (per l’applicazione del medesimo principio con riguardo alla fattispecie in parola, cfr. Sez. 6, n. 28251 del 09/02/2017, Mascali e aa., Rv. 270397).
La necessità di rideterminare la pena alla luce della più favorevole cornice edittale prevista dalla citata disposizione impone l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla competente Corte d’appello di Salerno.
Ai sensi dell’art. 624 c.p.p., comma 2, deve dichiararsi l’irrevocabilità dell’accertamento di penale responsabilità del ricorrente.

P.Q.M.

Riqualificato il reato di cessione e detenzione illecita di hashish ai sensi del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, annulla la sentenza impugnata limitatamente alla rideterminazione della pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Salerno.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Dichiara irrevocabile l’accertamento della responsabilità per il reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5.