Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Sospetti o indizi? (Cass. 28559/20)

14 ottobre 2020, Cassazione penale

Gli indizi a fini di prova si differenziano dalle mere congetture perché sono costituiti da fatti ontologicamente certi che, collegati tra loro, sono suscettibili di una ben determinata, devono corrispondere a dati di fatto certi - e, pertanto, non consistenti in mere ipotesi, congetture o giudizi di verosimiglianza - e devono, essere gravi - cioè in grado di esprimere elevata probabilità di derivazione dal fatto noto di quello ignoto - precisi - cioè non equivoci - e concordanti, cioè convergenti verso l’identico risultato; devono altresì rivestire il carattere della concorrenza, nel senso che in mancanza anche di uno solo di essi gli indizi non possono assurgere al rango di prova idonea a fondare la responsabilità penale.

Il procedimento della valutazione indiziaria si articola in due distinti momenti: il primo diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e di precisione di ciascuno di essi, isolatamente considerato, il secondo costituito dall’esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità. Il giudice di legittimità deve verificare l’esatta applicazione dei criteri legali dettati dall’art. 192 c.p.p., comma 2, e la corretta applicazione delle regole della logica nell’interpretazione dei risultati probatori.

Gli indizi sono gli elementi probatori raggiunti attraverso un ragionamento inferenziale, che partendo da un fatto noto (indizio) conduce ad un fatto ignoto (il fatto da provare - in tal caso, la partecipazione dell’imputato al furto -), in virtù dell’applicazione di regole scientifiche ovvero di massime di esperienza; il sospetto è una nozione che oscilla tra due estremi semantici, ovvero tra il significato di fenomeno soggettivo, congettura, quindi di ipotesi senza prove, o meglio, alla ricerca di prove, ed il significato di indizio equivoco, e quindi debole; comunque, il concetto connota gli elementi suscettibili di assecondare distinte ed alternative ipotesi, anche contrapposte, nella spiegazione dei fatti oggetto di prova.

Il sindacato di legittimità sulla gravità, precisione e concordanza della prova indiziaria è limitato alla verifica della correttezza del ragionamento probatorio del giudice di merito, che deve fornire una ricostruzione non inficiata da manifeste illogicità e non fondata su base meramente congetturale in assenza di riferimenti individualizzanti, o sostenuta da riferimenti palesemente inadeguati: il controllo di legittimità può avere ad oggetto la verifica sul se la decisione abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulta priva di una pur minima plausibilità.

Corte di Cassazione

sez. V Penale

sentenza 14 settembre – 14 ottobre 2020, n. 28559
Presidente Pezzullo – Relatore Riccardi

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza emessa il 25.05.2018 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano del 04.05.2011, ha confermato l’affermazione di responsabilità nei confronti di T.S.A. in relazione ai reati di furto pluriaggravato di materiale elettronico (macchine fotografiche, videocamere, telefoni cellulari, ecc.) all’interno dell’(…) del centro commerciale (omissis) (capo 6A) e del centro commerciale (…) di (omissis) (capo 10A), commessi sfondando un porta antipanico utilizzando come ariete una vettura precedentemente rubata (di cui, rispettivamente, ai capi 6B e 10B), ed ai reati di tentato furto all’interno del centro commerciale il (omissis) (capo 12) e del centro commerciale (omissis) ; in parziale riforma, ha applicato la diminuente del rito abbreviato, rideterminando la pena in 2 anni, 9 mesi e 4 giorni di reclusione ed Euro 613,00 di multa.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di T.S.A. , Avv. DS, deducendo tre motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge processuale ed il vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi 6A e 6B: denuncia l’inutilizzabilità patologica della prova costituita dal rilevamento dell’impronta palmare, in quanto nè la consulenza tecnica dei RIS di Parma, nè la testimonianza del c.c. U. hanno chiarito la provenienza dell’impronta; risulta che i c.c. avevano inviato ai RIS solo delle copie trasferite su acetato delle impronte, non già gli oggetti e le superfici toccate; sicché non risulta su quale superficie sia stata rinvenuta l’impronta dell’imputato, nè la sua ubicazione (dentro o fuori il Centro Commerciale, in quale negozio o reparto); essendo l’impronta palmare l’unico elemento sul quale è stata fondata la condanna, la sentenza deve essere annullata in relazione ad entrambi i capi 6 A e 6B, in assenza di ulteriori elementi.
2.2. Con un secondo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi 10A e 10B: la condanna per il furto del 8.7.2009 ai danni del negozio (…) di (omissis) è fondata soltanto sulla circostanza che l’utenza nella disponibilità del T. avesse agganciato le celle ubicate in paesi limitrofi a (omissis) , non riguardando le intercettazioni l’odierno ricorrente, ma solo il coimputato Caldaras; tuttavia, l’aggancio delle celle è una prova indiretta, indiziaria, insufficiente, ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 2, a fondare un’affermazione di responsabilità; nè può ritenersi elemento indiziario la commissione di un precedente reato di furto con le medesime modalità dell’"ariete” (capi 6A e 6B), anche perché i complici sarebbero diversi, e T. è imputato anche di furti, tentati, commessi senza l’utilizzo di “ariete” (capi 12 e 13). L’unico indizio resterebbe dunque l’aggancio delle celle, di per sé insufficiente a fondare l’affermazione di responsabilità.
2.3. Con un terzo motivo deduce la violazione di legge in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 12: la sentenza impugnata è stata emessa all’esito di un provvedimento di restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale di 1 grado; tuttavia, la sentenza di primo grado era già stata impugnata dal difensore d’ufficio, ed era stata emessa sentenza della Corte di Appello di Milano del 3.1.2012. Tanto premesso, lamenta che la Corte di Appello, nel giudizio disposto in seguito alla restituzione nel termine, non abbia considerato le doglianze proposte dal difensore d’ufficio con il primo atto di appello proposto nel 2011, ed in particolare non abbia valutato la richiesta di riconoscimento della disciplina della continuazione con i fatti giudicati con la sentenza del Tribunale di Monza del 22.9.2008, e che pure era stata riconosciuta dalla Corte di Appello nella sentenza del 2012.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato limitatamente al secondo motivo, essendo inammissibile nel resto.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato, oltre che generico.
Invero, il ricorrente deduce l’inutilizzabilità patologica del rilevamento dell’impronta palmare sostenendo che non sia stata esplicitata la “provenienza” della stessa.
La doglianza è innanzitutto generica, in quanto il ricorso richiama l’elaborato tecnico dei RIS dei c.c. e la testimonianza del Mar. U. , senza tuttavia menzionare, nè produrre, il verbale del rilievo dell’impronta, che, riguardando atti irripetibili, è stato acquisito al fascicolo del dibattimento (Sez. 2, n. 17423 del 23/01/2009, Trokthi, Rv. 244344: "I verbali delle operazioni di polizia giudiziaria volte al prelievo sul luogo del fatto di impronte digitali, in quanto relativi ad atti irripetibili, sono acquisiti al fascicolo per il dibattimento senza che possa rilevare in senso contrario l’assenza del previo avviso al difensore dell’indagato, che ha solo diritto di assistere agli accertamenti irripetibili"); del resto, l’elaborato dei RIS non concerne la fase (propedeutica) del "rilievo" dell’impronta, atto privo di natura valutativa, bensì quella (successiva) dell’"accertamento" della riferibilità ad una persona, che assume invece dimensione valutativa, sicché non appare pertinente alla doglianza proposta.
Peraltro, la sentenza impugnata, motivando in ordine al medesimo profilo di censura proposto con l’atto di appello, ha evidenziato che i "rilievi tecnici", in seguito ai quali è stata esaltata l’impronta papillare dell’imputato, sono stati effettuati "sul luogo del fatto", cioè sul luogo in cu è stato consumato il furto.
In ogni caso, l’obbligo di redazione degli atti indicati dall’art. 357 c.p.p., comma 2, tra i quali rientrano le operazioni e gli accertamenti urgenti, nelle forme previste dall’art. 373 c.p.p., non è previsto a pena di nullità od inutilizzabilità. Per le attività di polizia giudiziaria è infatti sufficiente la loro documentazione, anche in un momento successivo al compimento dell’atto e, qualora esse rivestano le caratteristiche della irripetibilità, è necessaria la certezza dell’individuazione dei dati essenziali, quali le fonti di provenienza, le persone intervenute all’atto e le circostanze di tempo e di luogo della constatazione dei fatti (Sez. 1, n. 34022 del 06/10/2006, Delussu, Rv. 234884, che, in applicazione di questo principio, ha ritenuto che fosse legittimamente contenuta nel fascicolo del pubblico ministero, e quindi utilizzabile nel rito abbreviato, la documentazione relativa agli accertamenti dattiloscopici effettuati dalla polizia giudiziaria su impronte papillari rinvenute nel luogo e nell’immediatezza dei fatti sul corpo di reato, anche in mancanza della redazione del verbale dei rilievi).
Ciò posto, è pacifico che il risultato delle indagini dattiloscopiche offre piena garanzia di attendibilità e può costituire fonte di prova senza elementi sussidiari di conferma anche nel caso in cui sia relativo all’impronta di un solo dito, purché evidenzi almeno sedici o diciassette punti caratteristici uguali per forma e posizione, in quanto fornisce la certezza che la persona con riguardo alla quale detta verifica è effettuata si è trovata sul luogo in cui è stato commesso il reato; ne consegue che il risultato legittimamente è utilizzato dal giudice ai fini del giudizio di colpevolezza, in assenza di giustificazioni o prova contraria su detta presenza (Sez. 5, n. 54493 del 28/09/2018, J, Rv. 274167).

3. Il terzo motivo è inammissibile, in quanto concerne una questione nuova, non devoluta con l’atto di appello proposto in seguito alla restituzione nel termine per impugnare, bensì con un diverso atto di appello, proposto dal difensore d’ufficio avverso la sentenza contumaciale (ed oggetto di una distinta sentenza di Appello, che è stata successivamente revocata).
L’atto di impugnazione oggetto della sentenza impugnata, invero, non ha proprio riguardato il reato contestato al capo 12, nè, tanto meno, ha sollecitato il riconoscimento della continuazione con altri fatti-reato (che, dunque, può essere richiesta in sede di esecuzione).

4. Il secondo motivo è fondato.

La sentenza impugnata, e la stessa sentenza di primo grado, hanno fondato l’affermazione di responsabilità nei confronti dell’odierno ricorrente per i furti commessi l’8 luglio 2008 nel centro commerciale (…) di (omissis) sull’elemento probatorio costituito dall’aggancio dell’utenza in uso al T. delle celle prossime al luogo ove è stato commesso il furto.

Tuttavia, la Corte territoriale non ha innanzitutto chiarito il profilo della "localizzazione" dell’utenza dell’imputato, rispondendo alle censure di genericità dell’appellante nel senso che l’utenza è stata localizzata "in zone confluenti con quella ove è stato commesso il furto aggravato ai danni del centro commerciale (…) in (omissis) ", considerando la "complessità del sistema di agganciamento delle celle".

Oltre a tale profilo, che non risulta argomentato in termini appaganti, va rilevato che l’affermazione di responsabilità è stata fondata su un elemento indiziario - la cui consistenza, come si è già rilevato, va chiarita - indiretto, dal quale è possibile desumere, sotto il profilo logico, la presenza del T. in una zona limitrofa al luogo del furto; tuttavia, si tratta di un unico elemento indiziario, che non appare suscettibile di essere riscontrato dalle "stesse modalità" del furto commesso con la tecnica dell’arietè il 15 dicembre 2007 (contestato al capo 6A).

Al riguardo, appare utile sottolineare la distinzione concettuale tra "sospetti" ed "indizi": il "sospetto" è una nozione che oscilla tra due estremi semantici, ovvero tra il significato di fenomeno soggettivo, congettura, quindi di ipotesi senza prove, o meglio, alla ricerca di prove, ed il significato di indizio equivoco, e quindi debole; comunque, il concetto connota gli elementi suscettibili di assecondare distinte ed alternative ipotesi, anche contrapposte, nella spiegazione dei fatti oggetto di prova. Al contrario, gli "indizi" sono gli elementi probatori raggiunti attraverso un ragionamento inferenziale, che partendo da un fatto noto (indizio) conduce ad un fatto ignoto (il fatto da provare - in tal caso, la partecipazione dell’imputato al furto -), in virtù dell’applicazione di regole scientifiche ovvero di massime di esperienza (Sez. 5, n. 17231 del 17/01/2020, Mazza, Rv. 279168: "In tema di prova, gli "indizi", suscettibili di valutazione ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 2, sono elementi di fatto noti dai quali desumere, in via inferenziale, il fatto ignoto da provare sulla base di regole scientifiche ovvero di massime di esperienza, mentre il "sospetto" si identifica con la congettura, un fenomeno soggettivo di ipotesi con prove da ricercare, ovvero con l’indizio debole o equivoco, tale da assecondare distinte, alternative - ed anche contrapposte ipotesi nella spiegazione dei fatti oggetto di prova").

Tanto premesso, va rammentato che il sindacato di legittimità sulla gravità, precisione e concordanza della prova indiziaria è limitato alla verifica della correttezza del ragionamento probatorio del giudice di merito, che deve fornire una ricostruzione non inficiata da manifeste illogicità e non fondata su base meramente congetturale in assenza di riferimenti individualizzanti, o sostenuta da riferimenti palesemente inadeguati (Sez. 4, n. 48320 del 12/11/2009, Durante, Rv. 245880); in materia di prova indiziaria, il controllo della Cassazione sui vizi di motivazione della sentenza impugnata, se non può estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza, costituite da giudizi ipotetici a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su ripetute esperienze, ma autonomi da queste, può però avere ad oggetto la verifica sul se la decisione abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo "id quod plerumque accidie, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulta priva di una pur minima plausibilità (Sez. 1, n. 18118 del 11/02/2014, Marturana, Rv. 261992).

Va, altresì, ribadito che gli indizi a fini di prova si differenziano dalle mere congetture perché sono costituiti da fatti ontologicamente certi che, collegati tra loro, sono suscettibili di una ben determinata interpretazione (Sez. 2, n. 43923 del 28/10/2009, Pinto, Rv. 245606), devono corrispondere a dati di fatto certi - e, pertanto, non consistenti in mere ipotesi, congetture o giudizi di verosimiglianza - e devono, ex art. 192 c.p.p., comma 2, essere gravi - cioè in grado di esprimere elevata probabilità di derivazione dal fatto noto di quello ignoto - precisi - cioè non equivoci - e concordanti, cioè convergenti verso l’identico risultato. Requisiti tutti che devono rivestire il carattere della concorrenza, nel senso che in mancanza anche di uno solo di essi gli indizi non possono assurgere al rango di prova idonea a fondare la responsabilità penale. Inoltre, il procedimento della loro valutazione si articola in due distinti momenti: il primo diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e di precisione di ciascuno di essi, isolatamente considerato, il secondo costituito dall’esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità. Il giudice di legittimità deve verificare l’esatta applicazione dei criteri legali dettati dall’art. 192 c.p.p., comma 2, e la corretta applicazione delle regole della logica nell’interpretazione dei risultati probatori (Sez. 5, n. 4663 del 10/12/2013, dep. 2014, Larotondo, Rv. 258721).

Ciò posto, nel caso in esame la motivazione della Corte territoriale non risulta aver fatto buon governo delle regole interpretative e valutative dettate dall’art. 192 c.p.p., comma 2, avendo posto a fondamento dell’affermazione di responsabilità un unico indizio - la "localizzazione" dell’utenza dell’imputato -, in assenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti; il coinvolgimento del T. in un furto commesso un anno prima con "le stesse modalità", invero, non può essere ritenuto un vero e proprio indizio - fatto noto e certo dal quale desumere, in via inferenziale, il fatto ignoto -, ma una mera congettura, nella sua dimensione più debole di mero sospetto, insuscettibile di per sé di corroborare la prova logica necessaria ad un’affermazione di responsabilità.
Ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti del T. , limitatamente ai reati di cui ai capi 10A e 10B, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui ai capi 10 A e 10 B con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano per nuovo esame.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

 

In conclusione, la Cassazione afferma che «il procedimento della loro valutazione si articola in due distinti momenti: il primo diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e di precisione di ciascuno di essi, isolatamente considerato, il secondo costituito dall’esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità». In tal senso, il giudice di legittimità deve verificare l’esatta applicazione dei criteri legali dettati dall’art. 192, comma 2, c.p.p., la corretta applicazione delle regole della logica nell’interpretazione dei risultati probatori».