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Silenzio dell'imputato è indice di colpevolezza (Cass. 46664/19)

18 novembre 2019, Cassazione penale

Non è precluso valutare la condotta processuale dell'imputato, coniugandola con ogni altra circostanza sintomatica, con la conseguenza che il giudice, nella formazione del suo libero convincimento, ben può considerare, in concorso di altre circostanze, la portata significativa del silenzio su circostanze potenzialmente idonee a scagionarlo.

Lo ius tacendi, pur essendo al centro della nozione di processo equo, non è espressione di un diritto assoluto. Una condanna non può fondarsi esclusivamente o essenzialmente sul silenzio dell'imputato, ma non è esclusa la configurabilità di situazioni in cui la mancata risposta può indirettamente nuocere all'imputato. 

La regola dell'"al di là di ogni ragionevole dubbio", secondo cui il giudice pronuncia sentenza di condanna solo se è possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e plausibilità, impone all'imputato che, deducendo il vizio di motivazione della decisione impugnata, intenda prospettare, in sede di legittimità, attraverso una diversa ricostruzione dei fatti, l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza, di fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Sent., (ud. 20/09/2019) 18-11-2019, n. 46664

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VERGA Giovanna - Presidente -

Dott. DE SANTIS Anna Maria - Consigliere -

Dott. PELLEGRINO Andrea - Consigliere -

Dott. AIELLI Lucia - Consigliere -

Dott. DI PISA Fabio - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

R.R., nato a (OMISSIS);

V.A., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 06/07/2018 della CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. DI PISA FABIO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. LORI PERLA, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità dei ricorsi.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 06/07/2018 la Corte di Appello Milano confermava la sentenza del Tribunale di Pavia in data 23/11/2017 in forza della quale R.R. e V.A. era stati ritenuti responsabili dei reati di rapina aggravata e ricettazione di un motociclo e condannati alla pena ritenuta di giustizia.

2. Contro la suddetta sentenza propongono ricorsi per Cassazione entrambi gli imputati a mezzo dei loro difensori.

2.1. R.R., con due motivi fra loro connessi, lamenta nullità della sentenza ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione all'art. 190 c.p.p. e art. 192 c.p.p., commi 1 e 2.

Rileva, in estrema sintesi, che la valutazione dell'insieme degli elementi probatori emersi nel corso dell'istruttoria dibattimentale era stata effettuata in modo fuorviante e che il ragionamento dei giudici di merito appariva di natura solo apparente, illogica e congetturale.

Nel confutare analiticamente la valenza di tutti gli elementi indiziari valorizzati dai giudici di merito e nel richiamare le censure mosse con l'atto di appello assume che i giudici territoriali avevano del tutto omesso di valutare la compatibilità fra le dichiarazioni rese dall'imputato ed il materiale probatorio acquisito in atti, ivi compresi i tabulati telefonici.

Evidenzia che l'affermazione della responsabilità dell'imputato quanto ai reati di rapina e ricettazione contestati era totalmente svincolata dai significativi dati probatori acquisiti agli atti e che la tesi alternativa offerta dalla difesa era stata disattesa solamente tralasciando del tutto l'esame degli elementi portati in favore dell'imputato.

2.2. V.A., con un unico motivo deduce violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione all'art. 530 c.p.p., comma 2.

Evidenzia, in sintesi, che la corte si era limitata a valorizzare dei dati indiziari che non erano gravi, precisi e concordanti e per altro verso aveva finito per incorrere in un errore clamoroso creando una inversione dell'onere della prova, valorizzando, in particolare, il dato relativo alla circostanza che l'imputato non aveva fornito una spiegazione persuasiva circa il suo incontro con il coimputato poche ore dopo la rapina.

Motivi della decisione

1. Il ricorso di R.R. è inammissibile in ragione della manifesta infondatezza delle censure proposte.

1.2. Occorre premettere che il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non può quindi estendersi all'esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa.

Nè, la Suprema Corte può trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Invero, solo l'argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato può essere sottoposto al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all'esigenza della completezza espositiva (Sez. 6, n. 40609 del 01/10/2008, Ciavarella, Rv. 241214).

In tema di sindacato del vizio di motivazione non è certo compito del giudice di legittimità quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito nè quello di "rileggere" gli elementi di fatto posti a fondamento della decisione la cui valutazione è compito esclusivo del giudice di merito: quando, come nella specie, l'obbligo di motivazione è stato esaustivamente soddisfatto dal giudice di merito, con valutazione critica di tutti gli elementi offerti dall'istruttoria dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logico- giuridico, degli argomenti dai quali è stato tratto il proprio convincimento, la decisione non è censurabile in sede di legittimità.

Va, ancora, rilevato che il giudizio sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova è devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilità degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche o illogiche, si sottrae al controllo di legittimità della Corte Suprema. Si è in particolare osservato che non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti. (Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011 - dep. 25/05/2011, Tosto, Rv. 25036201).

Deve, inoltre, essere ricordato che nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni dei suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che, in tal caso, debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr., Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muià ed altri, Rv. 254107).

1.3. Muovendo dalle superiori premesse le censure formulate devono ritenersi prive di pregio alcuno.

Invero la Corte di Appello, nell'esaminare e confutare i medesimi motivi di doglianza dedotti con il presente ricorso, con motivazione che non è nè carente nè illogica nè contraddittoria ha rilevato che la responsabilità dell'odierno imputato in ordine ai reati di rapina e ricettazione contestati risultava acclarata sulla scorta della "precisa e grave concatenazione indiziaria degli elementi... illustrati (luogo di sottrazione del ciclomotore, impiego dell'autovettura di proprietà ed in uso al R., riutilizzo del medesimo veicolo a poca distanza dal delitto in compagnia proprio del coimputato V.) senza che con riguardo a ciascuno e alla rispettiva valenza indiziaria sia stata offerta una valida spiegazione alternativa", precisando altresì che il R. non aveva fornito alcuna spiegazione circa la disponibilità del mezzo risultato rubato al di fuori del contesto illecito oggetto dell'imputazione.

1.4. Osserva, invero, il collegio che non è sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante e con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l'analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l'individuazione, nel loro ambito, di quei dati che - per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un'unica spiegazione - sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento. E', invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l'esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione. Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo".

1.5. In generale va osservato che il motivo in questione deve ritenersi privo di fondamento in quanto tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all'apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito e non indica in maniera specifica vizi di legittimità o profili di illogicità della motivazione della decisione impugnata ma mira solo a prospettare una ricostruzione alternativa dei fatti, indicata come preferibile rispetto a quella adottata dai giudici del merito, ricostruzione che è insuscettibile di valutazione in sede di controllo di legittimità.

Orbene a fronte di tutto quanto esposto dai giudici di merito il ricorrente contrappone unicamente contestazioni in fatto con le quali si propone solo una non consentita - in questa sede di legittimità - diversa lettura degli elementi valutati dai giudici di merito, senza evidenziare alcuna manifesta illogicità; l'imputato tenta, in realtà, di far leva sulla asserita autonomia dei singoli elementi indiziari e, quindi, di frazionare l'insieme del quadro probatorio al fine di meglio confutarlo.

Per contro, come ha ripetutamente ritenuto questa Corte, la rilevanza dei singoli dati non può essere accertata estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma devono essere posti a confronto con il complesso probatorio, dal momento che soltanto una valutazione globale e una visione di insieme permettono di verificare se essi rivestano realmente consistenza decisiva oppure se risultino inidonei a scuotere la compattezza logica dell'impianto argomentativo, dovendo intendersi, in quest'ultimo caso, implicitamente confutati.

2. Anche il ricorso di V.A. è da ritenere inammissibile in ragione della manifesta infondatezza delle censure mosse.

2.1. La motivazione in punto di affermazione della responsabilità del predetto si appalesa congrua, adeguata e del tutto coerente con gli evidenziati elementi fattuali, sicchè la censura, da considerare una mera e tralaticia riproposizione della medesima tesi difensiva disattesa in entrambi i giudizi di merito, dev'essere ritenuta inammissibile in quanto, surrettiziamente tesa ad ottenere una nuova rivalutazione del merito.

2.2. Va, peraltro, rimarcato che la regola dell'"al di là di ogni ragionevole dubbio", secondo cui il giudice pronuncia sentenza di condanna solo se è possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e plausibilità, impone all'imputato che, deducendo il vizio di motivazione della decisione impugnata, intenda prospettare, in sede di legittimità, attraverso una diversa ricostruzione dei fatti, l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza, di fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali (Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014 - dep. 08/05/2014, C e altro, Rv. 26040901).

2.2. Nè appare condivisibile l'affermazione del ricorrente secondo cui la corte territoriale nell'evidenziare che l'imputato non aveva fornito una spiegazione persuasiva in ordine agli elementi a suo carico aveva del tutto illegittimamente operato una inversione dell'onere della prova.

2.3. La Suprema Corte ha avuto modo di precisare che al giudice non è precluso valutare la condotta processuale dell'imputato, coniugandola con ogni altra circostanza sintomatica, con la conseguenza che egli, nella formazione del suo libero convincimento, ben può considerare, in concorso di altre circostanze, la portata significativa del silenzio su circostanze potenzialmente idonee a scagionarlo (Sez. 2, n. 22651 del 21/04/2010 Rv. 247426).

Peraltro in molte decisioni la stessa Corte Europea pare essersi anche preoccupata di definire i limiti del diritto al silenzio. Più precisamente, lo ius tacendi, pur essendo al centro della nozione di processo equo, non è espressione di un diritto assoluto. Una condanna, come si è visto, non può fondarsi esclusivamente o essenzialmente sul silenzio dell'imputato, ma non è esclusa la configurabilità di situazioni in cui la mancata risposta può indirettamente nuocere all'imputato.

Difatti, secondo la Corte di Strasburgo, qualora lo svolgimento del processo abbia evidenziato un quadro probatorio sfavorevole all'imputato, che già dimostri sufficientemente la colpevolezza, tale comunque da esigergli concretamente di dare spiegazioni in chiave difensiva, l'esercizio della facoltà di non rispondere ben potrà costituire un elemento apprezzabile come "riscontro" a suo carico (vedi Corte e.d.u., 8 febbraio 1996, Murray c. Regno Unito; Corte e.d.u., 6 giugno 2000, Averill c. Regno Unito).

2.4. Correttamente, quindi, i giudici di merito hanno ritenuto l'imputato responsabile del reato di rapina essendo lo stesso stato trovato poco tempo dopo l'occorso in compagnia del coimputato, proprietario del mezzo pacificamente impiegato per la rapina, senza che il predetto abbia spiegato in modo logico e plausibile le ragioni del perchè si trovava con il predetto a bordo del mezzo suindicato.

Da ciò discende la manifesta infondatezza di tutte le censure mosse.

3. Per le considerazioni esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè al pagamento alla Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dai ricorsi, si determina equitativamente in duemila Euro ciascuno.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2019