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Sextortion: è estorsione o violenza sessuale? (Cass. 34128/06)

12 ottobre 2006, Cassazione penale

La minaccia di far circolare foto intime per ottenere favori sessuali non ottenuti integra il reato di tentata violenza sessuale e non di tentata estorsione, sia perché nell'estorsione  è comunque essenziale una dimensione patrimoniale che manca nel caso di specie, sia perchè gli atti imposti alla vittima avevano una caratterizzazione sessuale che è specifica della violenza sessuale, con conseguente applicabilità del principio di specialità.

La fattispecie di molestia di cui all'art. 660 c.p. , avendo contenuto generico, per il richiamato principio di specialità cede il campo alla fattispecie di cui all'art. 609 bis c.p. ogni qual volta la condotta abbia uno specifico profilo sessuale.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

(ud. 23/05/2006) 12-10-2006, n. 34128

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MAIO Guido - Presidente

Dott. GRASSI Aldo - Consigliere

Dott. ONORATO Pierluigi - est. Consigliere

Dott. TERESI Alfredo - Consigliere

Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.P., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza resa il 7.4.2004 dalla corte d'appello di Napoli;

Vista la sentenza denunciata e il ricorso;

Udita la relazione svolta in udienza dal Consigliere Dott. Pierluigi Onorato;

Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Di Donato Angelo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Osserva:

Svolgimento del processo

1 - Con sentenza del 7.4.2004 la corte di appello di Napoli ha integralmente confermato quella resa col rito abbreviato in data 9.11.2001 dal g.u.p. del tribunale di (OMISSIS) che aveva condannato V.P. alla pena (sospesa) di un anno e nove mesi di reclusione, siccome colpevole del reato di cui agli artt. 56 c.p. e art. 609 bis c.p., per aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere D.N.G. a compiere atti sessuali sulla propria persona al cospetto di una telecamera, minacciandola altrimenti di effettuare un fotomontaggio della sua figura in pose oscene e di diffonderlo in riviste pornografiche (in (OMISSIS)).

In particolare, la donna, di professione insegnante, dopo essere stata ripetutamele molestata con messaggi telefonici che richiedevano prestazioni sessuali, aveva ricevuto una missiva anonima che le imponeva di registrare una videocassetta che la riprendesse in pose oscene e mentre si masturbava e quindi, di depositare la videocassetta in luogo e con modalità analiticamente precisate. Se non avesse ottemperato, l'anonimo mittente avrebbe effettuato un fotomontaggio pornografico del suo corpo con una foto in suo possesso e l'avrebbe pubblicato in riviste pornografiche da mandare ai genitori dei suoi alunni.

La D.N. depositava la videocassetta (contenente però un film di foto) nel luogo prestabilito, mentre la polizia - evidentemente preavvisata - effettuava un appostamento, che però restava senza esito. La donna però aveva anche montato su un balcone prospiciente il luogo del deposito una telecamera amatoriale, che riusciva a riprendere la figura di un uomo che ritirava il video tape.

Durante il giudizio abbreviato, il giudice ritenendo di non potere decidere allo stato degli atti, disponeva la proiezione in aula della videoregistrazione, nonchè la perizia grafica sulla missiva anonima.

Tanto premesso, entrambi i giudici di merito hanno ritenuto provata la responsabilità del V., soprattutto in base alle conclusioni del perito, che aveva indicato nell'imputato l'autore della missiva anonima, superando così i margini di incertezza del consulente del P.M., che precedentemente aveva concluso soltanto con un giudizio probabilistico.

Seconda fonte di prova erano le dichiarazioni della D.N., che ripetutamente aveva riconosciuto il V. nelle immagini impresse sul video tape: benchè queste non fossero nitide, aveva riconosciuto l'imputato, da lei frequentato in passato e ben conosciuto, soprattutto per il tipo di occhiali e per l'autovettura usati nell'occasione.

La corte territoriale ha anche ritenuto corretta la qualificazione giuridica del fatto ed escluso l'invocata attenuante della minore gravità. 2 - Contro la sentenza d'appello il V. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi a sostegno.

In particolare, denuncia:

2.1 erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità di motivazione in ordine alla idoneità della condotta a violare la libera autodeterminazione sessuale della persona offesa;

2.2 - mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine al giudizio di responsabilità. Sostiene che la perizia per se stessa non può considerarsi prova decisiva e che la pessima qualità della videoregistrazione ne impediva la utilizzabilità probatoria: tanto vero che sia il g.i.p. sia il tribunale del riesame avevano negato la misura cautelare richiesta dal P.M.;

2.3 - erronea applicazione di legge e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla qualificazione del fatto, che più correttamente poteva essere rubricato come ingiuria o come molestie;

2.4 - ancora erronea applicazione di legge e manifesta illogicità della motivazione in ordine al diniego dell'attenuante di cui all'ultimo comma dell'art. 609 bis c.p..

Motivi della decisione

3 Vanno anzitutto respinti il primo e il terzo motivo di ricorso (nn. 2.1 e 2.3), atteso che il fatto contestato a V. è stato dai giudici di merito correttamente qualificato sotto il profilo giuridico come tentativo di violenza sessuale.

Questa corte ha già precisato che "'è configurabile il tentativo di violenza sessuale di cui all'art. 609 bis c.p. quando, pur in mancanza di contatto fisico tra imputato e persona offesa, la condotta tenuta denoti il requisito soggettivo dell'intenzione di raggiungere l 'appaiamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo della idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale" (Cass, Sez. 3^, n. 21577 del 24.4.2001, Schiraldi, rv. 218833; e altre successive).

Alla luce di questo principio va ravvisato il tentativo di violenza sessuale nel caso di specie, giacchè non v'è dubbio che il V. tendesse, con atti univoci, a coartare la libertà di autodeterminazione sessuale della donna (costringendola a masturbarsi) al fine di appagare un proprio istinto sessuale (costringendo la stessa donna a registrare visivamente le pose oscene e gli atti di automasturbazione e a trasmettergli la relativa videocassetta).

Nè può mettersi in dubbio che gli atti compiuti dal V. fossero idonei al raggiungimento dello scopo, sol che si consideri la pesantezza della minaccia prospettata (far circolare in pubblico un fotomontaggio ugualmente osceno, che screditasse la persona soprattutto presso i genitori dei suoi alunni), tale da poter convincere la donna a sottostare al delittuoso disegno. Lo scopo non è stato raggiunto soltanto perchè la donna ha avvisato la polizia e ha consegnato una videocassetta che conteneva un film di Totò invece che la videoregistrazione oscena richiesta.

Non sembra invece ricorrere il tentato delitto di estorsione, sia perchè alla fattispecie di cui all'art. 629 c.p. è comunque essenziale una dimensione patrimoniale che manca nel caso di specie, sia perchè gli atti imposti alla vittima avevano una caratterizzazione sessuale che è specifica della fattispecie di cui all'art. 609 bis c.p.. In quest'ultimo senso l'art. 609 bis diventa applicabile in virtù del principio di specialità di cui all'art. 15 c.p..

Infine, il fatto non può essere inquadrato nella contravvenzione di molestia di cui all'art. 660 c.p.. Com'è noto, il legislatore del 1996, nel riconfigurare il delitto di violenza sessuale attraverso l'art. 609 bis c.p., con la unificazione delle fattispecie di congiunzione carnale (di cui all'abrogato art. 519 c.p. ) e di atti di libidine (di cui all'abrogato art. 521 c.p. ), rifiutò di individuare una "soglia" inferiore di punibilità attraverso la previsione di una diversa contravvenzione per molestia sessuale, limitandosi a introdurre una circostanza attenuante speciale per i casi "di minore gravità".

Ne deriva che la fattispecie di molestia di cui all'art. 660 c.p. , avendo contenuto generico, per il richiamato principio di specialità cede il campo alla fattispecie di cui all'art. 609 bis c.p. ogni qual volta la condotta abbia - come nel presente caso - uno specifico profilo sessuale.

Analogo discorso va fatto per il reato di ingiuria, di cui all'art. 594 c.p., perchè, più che una generica offesa all'onore della donna, nel fatto contestato ricorre una specifica offesa (o un tentativo di offesa) alla sua libertà di autodeterminazione.

4 Patimenti infondato è il quarto motivo (n. 2.4) che censura il diniego della citata attenuante speciale di cui all'art. 609 bis. u.c..

Al riguardo va precisalo che, anche nel delitto tentato, la maggiore o minore gravità del fatto va valutata in relazione al delitto consumato che il colpevole tendeva a realizzare. Alla stregua di questo principio, è incensurabile la motivazione con cui i giudici di merito hanno negato la minore gravità del fatto, valorizzando correttamente l'intensità del dolo, la oggettiva gravità della masturbazione richiesta, la lesività di una condotta che attraverso la "cristallizzazione" di filmati osceni determinava una assoluta soggezione della donna alle pretese dell'imputato.

5 - Infine il giudizio di personale responsabilità del V. è sorretto da una motivazione puntuale e plausibile, che si sottrae a ogni censura (motivo n. 2.2).

Secondo la sentenza impugnata l'elemento decisivo che "inchioda" il V. alle sue responsabilità è la perizia grafica disposta dal giudice di primo grado, che ha attribuito al medesimo la paternità della missiva anonima inviata a D.N.G..

Questa perizia infatti è stata condotta con tale meticolosità e con tale rigore scientifico da fugare le perplessità espresse dal consulente tecnico del P.M., che pure aveva concluso con un giudizio probabilistico a carico del V..

Ma non vanno neppure sottovalutati altri elementi probatori convergenti, quali le dichiarazioni testimoniali della donna, che, conoscendo e frequentando da tempo l'imputato, l'aveva potuto riconoscere nel menzionato videotape attraverso il tipo di occhiali e il modello di autovettura usati.

6 - Il ricorso va pertanto rigettato. Consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente alle spese processuali. Considerato il contenuto dell'impugnazione, non si ritiene di comminare anche la sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.
la corte suprema di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2006.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2006