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Sequestro di persona quando è a scopo di estorsione? (Cass. 14673/19)

3 aprile 2019, Cassazione penale

Il delitto di sequestro di persona ai fini di estorsione si distingue da quello di sequestro di persona per la diversità dell’elemento psicologico, essendo quest’ultimo reato caratterizzato dal dolo generico, mentre il primo da quello specifico, ravvisabile nell’intento di ottenere un profitto, come prezzo della liberazione.

 

Corte di Cassazione

sez. V Penale, sentenza 6 marzo – 3 aprile 2019, n. 14673
Presidente Zaza – Relatore Tudino

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza impugnata, emessa l’11 gennaio 2018, la Corte d’Appello di Bari ha confermato la decisione del Tribunale in sede del 29 maggio 2006, con la quale X.E.Y. era stato condannato alla pena di giustizia per i reati di sequestro di persona di connazionali clandestini a scopo di estorsione in concorso, trattenendoli e vigilandoli all’interno di un casolare rurale, nonché sottoponendoli a violenza al fine di soddisfare le richieste di denaro rivolte ai familiari.

2. Ricorre avverso tale pronuncia l’imputato, per mezzo del difensore Avv. MB, affidando le proprie censure a cinque motivi.

2.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge ai sensi degli artt. 630, 192 e 533 c.p.p. e carenza assoluta di motivazione in riferimento all’affermazione di responsabilità, apoditticamente sostenuta mediante il mero richiamo all’informativa di reato, neppure esplicitata nei contenuti dimostrativi, ed al ritenuto stato di flagranza, omettendo, invece, di considerare le dichiarazioni rese in incidente probatorio dalle persone offese, che avevano dichiarato di essere state accolte in un clima di cordialità, di non avere avuto esigenza di allontanarsi, posto che gli ospiti soddisfacevano ogni esigenza, e di essere in attesa del permesso di soggiorno. È stata, altresì, valorizzata, a carico del ricorrente, l’esistenza di "una organizzazione finalizzata al trasferimento di clandestini dai luoghi di partenza sino all’Italia dietro pagamento di una somma di denaro", sebbene al medesimo non sia stata contestata alcuna condotta di partecipazione e difetti la descrizione di un contributo causale riferibile allo X., con mera supposizione della previsione del pagamento di un riscatto.

2.2. Con il secondo motivo, deduce analoga censura in riferimento alla mancata qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 605 c.p. in assenza di prova della condotta estorsiva, mentre sul relativo motivo d’appello la corte ha reso una motivazione meramente apparente.

2.3. Con il terzo motivo, censura la decisione in relazione alla mancata concessione all’imputato dell’attenuante di cui all’art. 311 c.p. nella lettura offerta dalla sentenza 68/2012 della Corte Costituzionale, che richiama alla valutazione delle specifiche circostanze dell’azione.

2.4. Con il quarto motivo, lamenta violazione dell’art. 603 c.p., in conseguenza della revoca del decreto di latitanza emesso a carico dello X. che, senza colpa, era rimasto assente nel processo per essere stato scarcerato nella verosimile prospettiva della definizione del procedimento mediante applicazione di pena concordata per il reato di sequestro di persona, con conseguente diritto alla rinnovazione dell’istruzione invece ingiustificatamente negata.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.

2. Sono fondate le censure formulate nel primo motivo di ricorso.

2.1. Le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito come elemento fondante del delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione sia "la "mercificazione della persona umana": la persona è strumentalizzata in tutte le sue dimensioni, anche affettive e patrimoniali, rispetto al fine dell’agente; è, in altre parole, resa merce di scambio contro un prezzo, come risulta dalla stretta correlazione posta tra il fine del sequestro, che è il profitto ingiusto, e il suo titolo, cioè, appunto, il prezzo della liberazione" (Sez. U, n. 962 del 17/12/2003 - dep. 20/01/2004, Huang Yunwen, Rv. 226489).
Nella delineata prospettiva, il sequestro di persona a scopo di estorsione, postula la strumentalizzazione della persona umana in tutte le sue dimensioni, anche affettive e patrimoniali, rispetto al fine dell’agente, e la sua liberazione potrà dirsi attuata quando sia fisicamente libera da interventi coattivi "sul corpo" che impediscano o limitino tutte quelle espressioni che costituiscono il contenuto della libertà personale, che comprende tutte le sue possibili estrinsecazioni (Sez. 3, n. 8048 del 24/06/1997, PM,Breshani, Rv. 209224).

2.2. Il delitto di cui all’art. 630 c.p. si distingue da quello di sequestro di persona, previsto dall’art. 605 c.p., per la diversità dell’elemento psicologico, essendo quest’ultimo reato caratterizzato dal dolo generico, mentre il primo da quello specifico, ravvisabile nell’intento di ottenere un profitto, come prezzo della liberazione (Sez. 1, n. 14802 del 07/03/2012, Sulger, Rv. 252264) e, al fine della qualificazione del fatto, il giudice di merito deve esplicitare puntualmente gli indicatori della specifica direzione della volontà dell’agente e della univoca finalizzazione della condotta a fini di profitto, che si identifica in qualsiasi utilità, anche di natura non patrimoniale (Sez. 5, n. 8352 del 13/01/2016, Halilay, Rv. 266066, N. 625 del 1989, N. 8375 del 1998 Rv. 211145, N. 21579 del 2015 Rv. 263678).
In tal senso, deve essere ribadito il principio per cui il delitto di sequestro di persona postula la dimostrazione della costrizione della persona offesa in tutte quelle espressioni che costituiscono il contenuto della libertà personale, strumentalizzandola al fine di conseguire un profitto, consistente in qualsiasi utilità, anche di natura non patrimoniale, che rappresenti un vantaggio per il soggetto attivo del reato o per il terzo nel cui interesse egli abbia agito.

3. La Corte d’appello di Bari non ha fatto corretta applicazione degli enunciati principi.

3.1. La sentenza impugnata rappresenta come, all’atto dell’intervento degli operanti presso un casale sito in (omissis) , l’imputato fosse intento alla sorveglianza di due cittadini cinesi, ivi trattenuti contro la loro volontà, come risulta dalle dichiarazioni dai medesimi rese, riportate nell’informativa di reato, acquisita sull’accordo delle parti, e nei verbali dell’incidente probatorio, il cui contenuto non risulta, tuttavia, esplicato. In siffatto contesto argomentativo, la dimostrazione del dolo - specifico - risulta affidata alla mera locuzione "allo scopo di impedire la fuga dei soggetti...ed ottenere un riscatto per la loro liberazione" ed all’esistenza - risultante dalla medesima informativa - di un’organizzazione finalizzata al trasferimento dei clandestini dai luoghi di partenza fino all’Italia dietro pagamento di una somma di denaro.

Nè ulteriori elementi giustificativi, in punto di dimostrazione dell’elemento soggettivo, si rinvengono nella conforme sentenza di primo grado che, nel condannare (solo) due coimputati per il reato di cui all’art. 416 c.p., ha ricostruito il fine di profitto del delitto in disamina in termini di verosimiglianza, affidandosi a massime d’esperienza, in concreto non validate.

Di guisa che non risulta dall’apparato giustificativo della sentenza, in linea con il tenore dell’imputazione (che richiama il fine di ottenere, quale prezzo della liberazione, l’ingiusto profitto consistente nel pagamento di un riscatto), una compiuta ricostruzione del fine del sequestro, ossia l’intenzione dell’imputato di far conseguire all’organizzazione imprecisate somme di denaro attraverso la costrizione delle vittime. In latri termini, la correlazione tra detto fine e la liberazione dei sequestrati risulta meramente asserita dal giudice appello lì dove richiama l’esistenza della associazione e, in termini altrettanto aspecifici, dalla sentenza di primo grado (integrantesi con quella conforme di secondo grado: Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997 - dep. 05/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145), che, pur richiamando l’insegnamento delle Sezioni unite, non ha adeguatamente giustificato, con riferimento al caso di specie, la "mercificazione" dei sequestrati attraverso la richiesta del pagamento di un riscatto. Il che rende ragione della fondatezza della doglianza sulla mancanza di motivazione.

3.2. Siffatto deficit argomentativo s’appalesa, peraltro, rilevante non solo in punto di qualificazione giuridica, ma anche al fine della concessione dell’attenuante della lieve entità del fatto, prevista dall’art. 311 c.p. ed applicabile anche al delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione a seguito della sentenza della C. Cost. 19 marzo 2012, n. 68.
La predetta attenuante, difatti, presuppone una valutazione oggettivamente riferita al fatto nel suo complesso, sicché essa non è configurabile se il requisito della lieve entità manchi o in rapporto all’evento di per sé considerato; ovvero in rapporto a natura, specie, mezzi, modalità e circostanze della condotta; ovvero, ancora, in rapporto all’entità del danno o del pericolo conseguente al reato, avuto riguardo a tempi, luoghi e modalità della privazione della libertà personale ed all’ammontare delle somme oggetto della finalità estorsiva (Sez. 5, n. 18981 de122/02/2017, Macori, Rv. 269933, N. 4938 del 1985 Rv. 172982, N. 14724 del 1986 Rv. 174743, N. 10269 del 1988 Rv. 179494, N. 28468 del 2013 Rv. 256117, N. 28468 del 2013 Rv. 256118, N. 5973 del 2015 Rv. 262270); indicatori che devono trovare esplicita enunciazione nella motivazione.
4. In accoglimento delle censure articolate nel primo motivo, che assorbono - senza precluderle - le ulteriori doglianze, la sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata con rinvio affinché la corte d’appello proceda, nel rispetto dei principi enunciati, a nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello di Bari.