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Sequestri presso giornalisti: va tutelata libertà di stampa (Cass. 9989/18)

5 marzo 2018, Cassazione penale

Ai fini della legittimità di un provvedimento di ricerca della prova nei confronti di un giornalista in relazione agli atti e documenti relativi alla sua attività professionale, sono necessarie non solo l'indispensabilità della rivelazione della fonte informativa del medesimo ai fini della prova del reato per cui si procede, e l'impossibilità di accertare altrimenti la veridicità della notizia in possesso del perquisito, ma occorre anche che il vincolo sia apposto esclusivamente su quanto è strettamente necessario per l'accertamento dello specifico fatto oggetto di indagine.

Ed infatti, la necessità di limitare l'acquisizione dei dati nella disponibilità di un giornalista in relazione all'esercizio della sua attività professionale agli atti e documenti immediatamente rilevanti come fonti di prova in relazione allo specifico fatto per cui si procede si spiega per l'esigenza costituzionale e convenzionale di evitare uno "sproporzionato" - e quindi "ingiusto" - sacrificio dell'interesse pubblico ad evitare pregiudizi per la futura attività del giornalista e del giornale, e, più in generale, per la libertà di stampa, attingendo notizie "riservate" e non strettamente indispensabili ai fini del procedimento penale.

Il rispetto del "criterio di proporzionalità" è ancorato all'esigenza di evitare "potenziali limitazioni che alla libertà di stampa potrebbero derivare da iniziative immotivatamente invasive".

La giurisprudenza della Corte EDU, in relazione ad ispezioni e perquisizioni, si manifesta molto attenta alla tutela di ogni segreto professionale, e non solo di quello del giornalista. 

 

Cassazione penale

Sez. VI, sentenza (ud. 19/01/2018) 05-03-2018, n. 9989

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente -

Dott. AGLIASTRO Mirella - Consigliere -

Dott. DI STEFANO Pierluigi - Consigliere -

Dott. DE AMICIS Gaetano - Consigliere -

Dott. CORBO Antonio - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1. L.M., nato a (OMISSIS);

2. B.F., nata a (OMISSIS);

3. C.F., nato a (OMISSIS);

4. V.R., nata a (OMISSIS);

avverso l'ordinanza in data 31/07/2017 del Tribunale di Napoli;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Antonio Corbo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dr. Loy Maria Francesca, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

udito, per i ricorrenti, l'avvocato CM, che ha chiesto l'accoglimento dei ri c..

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza emessa in data 31 luglio 2017, il Tribunale di Napoli ha respinto le richieste di riesame presentate da L.M., B.F., C.F. e V.R., quali terzi interessati, avverso i decreti di sequestro probatorio emessi dalla Procura di Napoli il 30 giugno ed il 5 luglio 2017, in relazione a cose nella disponibilità dei medesimi e ritenute pertinenti al reato di rivelazione di segreto di ufficio, denunciato dai difensori di R.A., con riferimento a notizie reputate diffamatorie per quest'ultimo.

Per come evidenziato nell'ordinanza impugnata, il Pubblico ministero procedente aveva emesso nei confronti di L.M. e C.F. ordine di esibizione con riferimento: -) ai files ed ai documenti cartacei riferibili agli atti del procedimento penale n. 6585/13 RG.N.R. - PM Napoli; -) agli atti relativi al libro "(OMISSIS): le carte inedite del caso Consip e il familismo renziano"; -) ai telefoni cellulari nella disponibilità dei medesimi e di V.R. dal dicembre 2016 in poi. Sempre secondo quanto rappresenta l'ordinanza impugnata, il Pubblico ministero procedente aveva disposto che, in caso di mancata o incompleta ottemperanza all'ordine di esibizione, si procedesse a perquisizione domiciliare presso le abitazioni riferibili a L.M. e presso la sede del giornale "Il fatto quotidiano", con autorizzazione ad accedere agli strumenti informatici con l'ausilio di consulenti tecnici, ed al sequestro di quanto oggetto di ricerca.

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l'ordinanza indicata in epigrafe l'avvocato Caterina Malavenda, quale difensore di fiducia di L.M., B.F., C.F. e V.R., articolando cinque motivi, preceduti da un'ampia premessa.

3. Nella premessa, si indicano la ritenute finalità delle operazioni di ricerca, le modalità di svolgimento di tali attività, e le cose sequestrate. A tal fine, si dedica una distinta esposizione alle attività svolte nei confronti di L.M., della convivente di questi, B.F., e della ex-moglie, V.R., rispetto a quelle svolte nei confronti di C.F..

3.1. Con riguardo alle attività svolte nei confronti di L.M., di B.F. e di V.R., si rappresenta, innanzitutto, che il decreto di esibizione e di eventuale perquisizione e sequestro non faceva riferimento all'abitazione di quest'ultima, ex-moglie di L., ed aveva lo scopo, non esplicitamente dichiarato, di individuare la fonte delle notizie ricevute da quest'ultimo in relazione agli atti del procedimento penale n. 6585/13 RG.N.R. PM Napoli, e delle quali il medesimo, giornalista professionista, aveva parlato sia nei suoi articoli pubblicati su "(OMISSIS)", sia nel libro "(OMISSIS): le carte indebite del caso Consip e il familismo renziano". Si precisa, poi, che il (OMISSIS), data di pubblicazione del libro in questione, gli atti citati nello stesso erano tutti ostensibili, salvo il file audio relativo alla conversazione telefonica intercorsa tra Re.Ma. e Re.Ti. il 2 marzo 2017, nonchè il relativo brogliaccio.

Si segnala, inoltre, che, siccome il provvedimento di esibizione, perquisizione e sequestro aveva lo scopo di individuare la fonte delle notizie ricevute dal giornalista, era necessario chiedere a quest'ultimo se avesse intenzione di rivelare la sua fonte e, quindi, di opporre il segreto professionale, così da consentirgli di "paralizzare", a norma degli artt. 200 e 256 c.p.p., le operazioni fino all'eventuale intervento del Giudice, su richiesta della Procura. Si osserva, inoltre, che si è proceduto alla perquisizione presso l'abitazione di L. e presso la postazione di lavoro del medesimo nonostante la sua impossibilità ad essere presente in quei luoghi al momento della notifica del provvedimento, e, quindi, ad ottemperare spontaneamente all'ordine dell'autorità giudiziaria.

Si rappresenta, a questo punto, che, presso l'abitazione di L., sono stati sequestrati: -) il contratto stipulato il 16 maggio 2017 tra l'Editoriale Il Fatto s.p.a. ed il giornalista in ordine alle quote di spettanza per la pubblicazione del libro "(OMISSIS)", da ritenersi non pertinente alle indagini; -) una pen drive senza numero seriale; -) una cartella di colore rosso contenente pagine della bozza stampata del libro "(OMISSIS)", da ritenersi non pertinente alle indagini; -) una cartella di colore turchese contenente pagine della bozza stampata del libro "(OMISSIS)", con correzioni a penna, da ritenersi non pertinente alle indagini; -) un computer, di cui veniva acquisita copia, e che, come dichiarato dalla convivente di L., B.F., anch'ella giornalista, e presente alla perquisizione, è di proprietà ed uso esclusivo di quest'ultima. Si aggiunge che presso l'abitazione di V.R., ex-coniuge di L., è stato sequestrato un cellulare della donna. Si evidenzia, ancora, che presso la postazione di lavoro di L., all'interno della redazione del giornale "(OMISSIS)", sono stati sequestrati: -) un hard disk smontato da un PC desk top in uso al giornalista; -) un CD rom privo di indicazioni e con custodia recante la scritta "(OMISSIS)", da ritenersi, in ragione di tale indicazione, non pertinente alle indagini; -) un CD rom riportante la scritta "(OMISSIS)", da ritenersi, in ragione di tale indicazione, non pertinente alle indagini; -) un CD rom riportante la scritta "(OMISSIS)", da ritenersi, in ragione di tale indicazione, non pertinente alle indagini; -) un CD rom riportante la scritta LG; -) un DVD rom riportante la scritta "Di Tutto un pò 2"; -) i DVD rom riportanti la scritta "(OMISSIS) e recenti (OMISSIS)", "(OMISSIS) e recenti (OMISSIS)", "(OMISSIS) e recenti (OMISSIS)", "(OMISSIS) e recenti (OMISSIS)", "(OMISSIS)", "(OMISSIS)", e "(OMISSIS)", da ritenersi, in ragione delle indicazioni appena citate, non pertinenti alle indagini.

3.2. Per quanto attiene specificamente agli atti compiuti nei confronti di C.F., anch'egli giornalista professionista, ed incaricato della realizzazione grafica del volume "(OMISSIS)", si segnala innanzitutto che l'attività di ricerca è stata posta in essere sulla base di un distinto provvedimento, emesso sulla base di un messaggio di posta elettronica, avente come allegato il file in formato pdf del libro specificato. Si rappresenta, poi, che, presso la postazione di C. ubicata all'interno della sede del giornale "(OMISSIS)", sono stati sequestrati il computer ed i telefoni cellulari in uso al medesimo C., nonostante questi avesse esibito agli operanti tutti i documenti pertinenti al volume "(OMISSIS)" esistenti sul computer in sua disponibilità, costituiti da alcuni files e da qualche mail. Si rileva, quindi, che, operando in tal modo, sono state violate le stesse prescrizioni contenute nel provvedimento del Pubblico ministero procedente, poichè C. aveva fornito la massima cooperazione possibile, ed è stato inoltre violato il diritto del giornalista a tutelare le sue fonti informative.

4. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'art. 11 c.p.p.., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo alla incompetenza della Procura di Napoli.

Si deduce, innanzitutto, che la denuncia presentata dai difensori di R.A. ha ad oggetto la violazione del segreto di ufficio mediante la diffusione di notizie a contenuto anche diffamatorio per il denunciante, a mezzo del libro "(OMISSIS)", e che, in virtù dell'accordo intercorso tra la Procura di Napoli e la Procura di Roma, la prima è competente ad indagare solo con riferimento a quanto divulgato nel precisato volume. Si rileva, quindi, che per la violazione del segreto di ufficio che si assume commessa mediante gli articoli pubblicati sul giornale "(OMISSIS)", stampato a Roma, anche per effetto dell'accordo investigativo di cui si è detto, è competente la sola Procura di Roma.

Si osserva, inoltre, che la Procura di Napoli era incompetente ad indagare sul reato ipotizzato, sia pure nei confronti di ignoti, in quanto la Procura di Roma aveva ed ha in corso investigazioni su un magistrato della Procura di Napoli, il dott. W.J., quale fonte di L.M. in relazione agli atti di indagine compiuti dall'Autorità giudiziaria inquirente partenopea su R.A., per il tramite della giornalista S.F., anch'ella indagata a Roma per il reato di cui all'art. 326 c.p.. Si aggiunge che l'esistenza delle ragioni di connessione emerge già dagli atti depositati e dalla scelta dell'Autorità giudiziaria napoletana di sequestrare il cellulare di V.R.: da un lato, come si evince da una nota della polizia giudiziaria, il telefono in questione risulta aver contattato un'utenza (OMISSIS), ente per il quale lavora S.F., ossia la persona che, secondo la Procura di Roma, costituisce il tramite tra il dott. W. e L. in relazione alle notizie sull'inchiesta Consip; dall'altro, poi, il decreto di perquisizione e sequestro rappresenta testualmente che " L.M., a proposito dell'invito a comparire emesso dalla Procura della Repubblica di Roma nei confronti del PM di Napoli dott. W. H.J. e della giornalista F. S. per il reato di cui all'art. 326 c.p., in cui si ipotizza che siano essi le fonti di una delle violazioni del segreto, avrebbe "ufficialmente comunicato che non intende comunicare alla A.G. le sue fonti".

5. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 247 e 253 c.p.p., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo alla insussistenza del fumus commissi delicti in ordine al reato di violazione di segreto d'ufficio a carico di ignoti.

Si deduce che al momento della pubblicazione del libro, avvenuta in data 18 maggio 2017, nessun atto era ormai coperto da segreto: anche la conversazione tra R.T. e Re.Ma. del 2 marzo 2017 era stata divulgata il 16 maggio 2017, attraverso la pubblicazione di un articolo del giornale "(OMISSIS)", che si stampa in Roma; inoltre, le informative dei Carabinieri in relazione al procedimento penale n. 6585/13 RG.N.R. - PM Napoli erano state depositate nel procedimento a carico di R.A. pendente davanti alla Procura di Roma già nel mese di marzo 2017. Si aggiunge che le notizie cui si riferisce il decreto erano state riprese da più testate giornalistiche anche prima della pubblicazione di scritti di L.M.. Si rileva, quindi, che il provvedimento impugnato non ha tenuto conto delle censure formulate in proposito dai ricorrenti in sede di riesame.

6. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 256, 200 e 191 c.p.p., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo alla violazione delle disposizioni a tutela del segreto professionale del giornalista.

Si deduce innanzitutto che L.M., B.F. e C.F. sono tre giornalisti professionisti e che la mancata esplicitazione nel decreto dello scopo della ricerca - l'identificazione delle fonti informative di L.M. - ha impedito alle medesime persone di opporre il segreto professionale del giornalista. Si osserva che il pubblico ministero, quando ricerca elementi relativi all'individuazione della fonte della notizia di un giornalista, prima di procedere al sequestro di documenti presso di questi, deve chiedere allo stesso se intende fornire l'informazione e, in caso di diniego, deve rivolgersi al giudice, unico soggetto processuale che può imporre al precisato professionista di rispondere; il pubblico ministero, invero, può procedere autonomamente, senza investire il giudice, solo se ha motivo di dubitare dell'esistenza di un segreto, ma non se deve comparare l'interesse alla persistenza del segreto e l'interesse all'accertamento dei fatti. Si aggiunge che il segreto professionale del giornalista ha riguardo non solo alla diretta indicazione del nome della fonte, bensì, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, anche "a qualsiasi ulteriore indicazione che possa portare ad identificare quest'ultima". Si rileva, ancora, che, come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, occorre rispettare il criterio di proporzionalità tra il contenuto del provvedimento ablativo nei confronti del giornalista e le esigenze di accertamento dei fatti.

Si deduce, in secondo luogo, che non può valorizzarsi, per escludere l'opposizione del segreto da parte di L., la condotta tenuta dallo stesso mentre era in Calabria, allorchè, in concomitanza con le operazioni svolte a Roma, ed informato del decreto di esibizione, perquisizione e sequestro, consegnò spontaneamente il proprio cellulare: quella condotta evidenzia esclusivamente che, con riferimento all'apparecchio spontaneamente consegnato ed alla sua memoria, non vi erano fonti da tutelare. Si rappresenta, inoltre, che non vi sono elementi da cui desumere che C. fosse depositario di elementi utili ad individuare le fonti di L., e che, quindi, i loro rapporti dovessero essere approfonditi sulla base di accertamenti altamente invasivi.

Si deduce, in terzo luogo, che l'ordine di esibizione era estremamente ampio e non consentiva un'adeguata collaborazione da parte delle persone interessate dal provvedimento. Si osserva, in particolare, che il sequestro del computer di B.F. è stato effettuato sebbene la stessa avesse messo a disposizione degli inquirenti il contenuto dell'apparecchio, e dopo aver precisato che si trattava di strumento personale, non utilizzato da L..

Si deduce, infine, che il Tribunale non ha fornito alcuna risposta alle censure formulate in proposito in sede di riesame.

7. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 247 e 253 c.p.p., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo al difetto di motivazione del provvedimento di sequestro nei confronti di V.R. ed al difetto di pertinenzialità di quanto sequestrato.

Si deduce che l'utenza cellulare sequestrata è stata individuata sulla base di un codice IMEI solo parziale; l'apparecchio, inoltre, non solo è di proprietà di una persona non più legata da anni con il giornalista la cui fonte informativa si vuole conoscere, ma era detenuto nell'abitazione della donna, quindi in un luogo del tutto estraneo al professionista. Si aggiunge che l'utenza, tra l'altro esibita da V.R. prima dell'effettuazione del sequestro, assume rilievo, secondo quanto emerge dagli atti di indagine, siccome mezzo per contattare la giornalista S.F., ossia una persona già indagata dalla Procura di Roma come intermediaria tra L. ed il dott. W. per la violazione del segreto di ufficio da parte di quest'ultimo, con conseguente incompetenza della Procura di Napoli anche a norma dell'art. 11 c.p.p.. Si osserva, quindi, che il vincolo di pertinenzialità tra l'apparecchio nella disponibilità di V.R. e l'indagine della Procura di Napoli, se non è determinato dall'ipotesi investigativa formulata dalla Procura di Roma, non è in alcun modo rinvenibile dagli atti del procedimento.

Si rileva, più in generale, che, se si fosse circoscritta correttamente l'ipotesi di reato alla divulgazione della telefonata tra Re.Ti. e Re.Ma., il difetto del vincolo di pertinenzialità sarebbe immediatamente emerso con riferimento a tutti i provvedimenti di vincolo, e non solo con riguardo a quello relativo a V.R..

8. Con il quinto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), avendo riguardo al provvedimento di sequestro nei confronti di C.F..

Si deduce che l'estensione delle operazioni di perquisizione nei confronti di C.F. è stata determinata dalla circostanza, appresa nel corso della perquisizione a carico di L., dell'invio da parte di C. allo stampatore della bozza del libro. Si osserva che, però, la disponibilità del file in formato pdf relativo al volume non sottintende logicamente la disponibilità degli atti usati dall'autore della pubblicazione, e che nessuna specifica indicazione in ordine alla disponibilità di tali atti è fornita nel decreto di perquisizione e sequestro. Si aggiunge che il conseguente difetto di motivazione, sebbene dedotto, non è stato esaminato dal Tribunale del riesame.

Motivi della decisione
1. I ricorsi sono fondati nei limiti e per le ragioni di seguito precisati.

2. Le questioni in tema di incompetenza del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, prospettate con il primo motivo, sono infondate.

Deve infatti ritenersi che, in riferimento all'attività ed agli atti del pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari, non è possibile far valere l'incompetenza davanti al giudice.

In questo senso convergono, in particolare, le indicazioni desumibili tanto dalla disciplina in tema di provvedimenti sulla giurisdizione e sulla competenza, quanto dalle regole concernenti l'organizzazione delle attribuzioni degli uffici del pubblico ministero.

2.1. La giurisprudenza del primo decennio successivo all'entrata in vigore del codice di procedura penale, nel ritenere non configurabili "conflitti" nel corso delle indagini preliminari anche quando due diversi pubblici ministeri appartenenti ad uffici distinti svolgono investigazioni su un medesimo fatto di reato, pur se vi sia un intervento incidentale del Giudice delle indagini preliminari, ad esempio perchè chiamato a provvedere su una richiesta di proroga delle indagini o di archiviazione, ha più volte osservato che, nel vigente ordinamento processuale, un "conflitto" è ipotizzabile solo tra organi giurisdizionali, e che "la possibilità di porre rimedio alla duplicazione di indagini per il medesimo fatto nei confronti dello stesso imputato trova l'unico possibile rimedio, secondo il vigente sistema processuale, negli istituti di cui agli artt. 54, 54-bis e 54-ter c.p.p., che disciplinano gli eventuali contrasti tra pubblici ministeri nella fase procedimentale delle indagini preliminari e si rivelano perciò del tutto estranei alla procedura giurisdizionale dei conflitti" (così, esattamente, Sez. 1, n. 472 del 27/01/1998, Acampora, Rv. n. 210007; nello stesso senso, tra le altre, Sez. 1, n. 1555 del 06/04/1994, Di Mattina, Rv. 197658).

In termini del tutto coerenti con questa impostazione, altra pronuncia ha espressamente escluso che, con riferimento al sequestro probatorio, possa farsi valere l'incompetenza del pubblico ministero che ha disposto o convalidato tale attività di ricerca della prova, in quanto nella fase delle indagini preliminari la competenza costituisce un mero criterio di organizzazione del lavoro (Sez. 3, n. 2791 del 29/10/1998, Lotetuso, Rv. 212499). Questa decisione, in particolare, ha osservato: "(...) nella fase delle indagini preliminari la "competenza" costituisce un mero criterio di organizzazione del lavoro investigativo, che assume rilievo giuridico solo nei rapporti tra gli uffici del pubblico ministero (artt. 54, 54 bis e 54 ter c.p.p.). Nei confronti delle altre parti processuali essa assume rilevanza solo nella successiva fase in cui è promossa l'azione penale, allorchè la richiesta di rinvio a giudizio deve essere inoltrata dal pubblico ministero che siede presso il giudice competente per materia e per territorio a conoscere del reato. Vero è che, secondo l'art. 51 c.p.p., comma 3, tutte le funzioni esercitate dal pubblico ministero, e quindi anche quelle investigative svolte nella fase preliminare al processo, sono attribuite all'ufficio del pubblico ministero presso il giudice competente. Ma è anche vero che: a) in caso di conflitto negativo o positivo tra uffici del pubblico ministero, restano validi gli atti compiuti dal pubblico ministero dichiarato "incompetente" (art. 54, comma 3 e l'art. 54 bis c.p.p., comma 4); b) ai sensi dell'art. 22 c.p.p., l'ordinanza con cui il giudice delle indagini preliminari dichiara la propria incompetenza produce effetti limitatamente al provvedimento richiesto, sicchè il pubblico ministero presso lo stesso giudice può proseguire liberamente le sue indagini (v. Cass. sez. I, n. 406 del 13.3.1990, c.c. 19.2.1990 Facchineri, rv. 183662); c) secondo il dettato normativo dell'art. 25 c.p.p., le decisioni della corte di cassazione sulla competenza hanno efficacia vincolante solo nella fase del processo, lasciando quindi liberi gli organi inquirenti nella fase preprocessuale. Tutto ciò indica chiaramente che nella fase preprocessuale del procedimento non può venire propriamente in rilievo una questione di competenza del pubblico ministero.".

2.2. Le conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza indicata sulla non rilevabilità, davanti al giudice, di questioni di competenza concernenti l'attività e gli atti compiuti dal pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari, ad avviso del Collegio, debbono essere confermate anche in considerazione dell'attuale sistema normativo; le stesse, anzi, trovano ulteriore conforto nella disciplina recata dall'art. 54-quater c.p.p., introdotto dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479, art. 12, e, quindi, successivamente alla formazione dell'orientamento giurisprudenziale sopra riportato.

In effetti, la disposizione di cui all'art. 54-quater c.p.p., adottata per consentire una verifica, su richiesta di soggetti esterni all'organizzazione degli uffici del pubblico ministero, relativamente alla legittimazione ad indagare della Procura della Repubblica in concreto procedente, ha previsto un rimedio tutto interno alla struttura organizzativa dell'Autorità requirente, tanto da indurre alcuni Autori, proprio in ragione di tale assetto normativo, a formulare espresse critiche alla scelta del legislatore di non attribuire alcun potere di controllo in materia ad un giudice.

C'è di più. L'art. 54-quater c.p.p. non solo rimette al procuratore generale presso la corte d'appello o presso la corte di cassazione, e non al giudice, la decisione sulla legittimazione dello specifico ufficio di Procura ad indagare. La disposizione appena citata stabilisce espressamente, al comma 4, l'utilizzabilità, "nei casi e nei modi previsto dalla legge", degli "atti di indagine preliminare compiuti prima della trasmissione degli atti (disposta dal procuratore della Repubblica fino a quel momento procedente) o della comunicazione del decreto" con il quale il procuratore generale (presso la corte d'appello o presso la corte di cassazione) individua l'ufficio cui spetta di procedere; in questo modo, essa esclude qualunque rilevanza delle questioni di "competenza" o di "legittimazione" ai fini della validità degli atti compiuti dal pubblico ministero in epoca precedente alla decisione in ordine alle stesse.

2.3. Per completezza, ed in considerazione delle argomentazioni esposte nel ricorso, va evidenziato che le conclusioni raggiunte restano ferme anche in caso di "accordi" o "protocolli" operativi intercorsi tra più uffici di Procura.

Tali accordi, infatti, non espressamente previsti dal legislatore, possono costituire una forma di coordinamento investigativo tra più uffici del pubblico ministero, a norma dell'art. 371 c.p.p., allo scopo di assicurare un più efficace svolgimento delle indagini, ed anche, eventualmente, di prevenire e risolvere consensualmente "contrasti", ma non assumono alcun significato ai fini della rilevabilità della "incompetenza" di una Procura della Repubblica, o della validità degli atti compiuti dalla stessa. In questo senso depongono una pluralità di indici normativi. Non solo la disciplina sui contrasti tra pubblici ministeri o sulla richiesta di trasmissione degli atti a un diverso pubblico ministero formulata da indagati, persone offese e loro difensori (artt. 54, 54-bis, 54-ter e 54-quater c.p.p.) non opera alcun riferimento al coordinamento investigativo come criterio rilevante per l'individuazione, in via autoritativa, dell'ufficio cui spetta di procedere. Soprattutto, la conseguenza procedimentale espressamente prevista per l'ipotesi in cui non risulta effettivo il coordinamento delle indagini, e sempre che le investigazioni si riferiscano alle specifiche fattispecie di reato indicate dal legislatore, è quella della avocazione, istituto la cui operatività è rimessa alle esclusive determinazioni del procuratore generale presso la corte d'appello, a norma dell'art. 372 c.p.p., comma 1-bis, (o, nei casi di cui all'art. 371-bis c.p.p., del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo), rispetto al quale resta del tutto estraneo il giudice, e che, di per sè, non incide sulla validità ed efficacia degli atti già compiuti.

3. Le questioni in tema di sussistenza del fumus commissi delicti, prospettate con il secondo motivo, sono anch'esse infondate.

3.1. Secondo l'insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, in sede di riesame del sequestro probatorio il Tribunale è chiamato a verificare l'astratta configurabilità del reato ipotizzato, valutando il fumus commissi delicti in relazione alla congruità degli elementi rappresentati, non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla concreta fondatezza dell'accusa, bensì con esclusivo riferimento alla idoneità degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, a rendere utile l'espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti esperibili senza la sottrazione del bene all'indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell'autorità giudiziaria (così, tra le tantissime, Sez. 2, n. 25329 del 05/05/2016, Bulgarella, Rv. 267007, nonchè Sez. U, n. 23 del 20/11/1996, dep. 1997, Bassi, Rv. 206657).

Per chiarezza, poi, sembra utile precisare che il reato ipotizzato nella vicenda in esame, quello di cui all'art. 326 cod. pen., ha ad oggetto la condotta del pubblico ufficiale che mette terze persone al corrente della notizia che deve restare segreta e non, invece, la condotta di chi, appresa tale notizia, la divulghi. Di conseguenza, la condotta di divulgazione di una notizia coperta da segreto d'ufficio, posta in essere da un soggetto privo della qualità soggettiva di pubblico agente, non integra la fattispecie di cui all'art. 326 c.p., ma, piuttosto, costituisce un indizio della già avvenuta commissione di tale delitto da parte di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio.

3.2. I ricorrenti, premesso che l'ipotizzata rivelazione di segreto di ufficio per la quale si procede attiene a notizie divulgate con il libro "(OMISSIS): le carte inedite del caso Consip e il familismo renziano", pubblicato il 18 maggio 2017, rappresentano, in particolare, che: -) le notizie in questione erano state già riprese da diverse testate giornalistiche; -) le informative dei Carabinieri in relazione al procedimento penale n. 6585/13 R.G.N.R. pendente presso la Procura di Napoli erano state già depositate nel procedimento penale a carico di R.A. davanti alla Procura di Roma, e non erano più coperte da segreto investigativo, già dal mese di marzo 2017; -) la conversazione tra Re.Ti. e Re.Ma. del 2 marzo 2017 era stata resa nota al pubblico il 16 maggio 2017, mediante un articolo del giornale "(OMISSIS)", stampato a Roma.

La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ha adottato il provvedimento di perquisizione e sequestro poi impugnato davanti al tribunale del riesame ritenendo "sussistere il fumus commissi delicti relativamente al reato di cui all'art. 326 c.p., ascrivibile ad un pubblico ufficiale allo stato non identificato che, avvalendosi illegittimamente di notizie non comunicabili in quanto coperte dal segreto investigativo, riferibili ad atti depositati presso l'AG di Napoli (da cui discende la competenza per territorio in capo a questa Procura), le abbia indebitamente propalate all'esterno".

L'ordinanza impugnata osserva che "seri indizi" in ordine al reato ipotizzato ricorrono "quanto meno con riferimento alla rivelazione dei contenuti della conversazione telefonica del 2 marzo 2017 tra Re. Matteo e Re.Ti. (...) il cui contenuto (...) non era stato reso ostensibile alla data della pubblicazione del libro sopra indicato, avvenuta in data 18.5.2017".

3.3. Alla luce dei principi giuridici e degli elementi indicati nel provvedimento impugnato, nell'originario decreto di perquisizione e sequestro e nei ricorsi, corretta sul punto deve ritenersi la decisione del Tribunale del riesame di Napoli.

In effetti, non può dirsi manifestamente illogica l'affermazione della sussistenza del fumus commissi delicti in ordine all'ipotesi di reato formulata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. Invero, la circostanza - non controversa - della pubblicazione, mediante il libro "(OMISSIS)", di una notizia ancora coperta da segreto, pur se divulgata da testate giornalistiche due giorni prima della diffusione del volume, rende non irragionevole la conclusione in ordine alla configurabilità, nei limiti necessari per l'adozione di un provvedimento di sequestro probatorio, di una condotta di illecita rivelazione dell'informazione medesima da parte di un pubblico agente, sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 326 c.p., e suscettibile di approfondimento.

4. Infondate, ancora, sono le censure relative al mancato avvertimento della facoltà di opporre il segreto professionale prima dell'effettuazione del sequestro, prospettate con il terzo motivo.

4.1. L'art. 256 c.p.p., comma 1, prevede che coloro i quali possono far valere il segreto professionale o di ufficio a norma degli artt. 200 e 201 c.p.p., hanno l'obbligo di "consegnare immediatamente" all'autorità giudiziaria gli atti, documenti, informazioni e programmi informatici dalla stessa richiesti, "salvo che dichiarino per iscritto che si tratti di segreto di Stato ovvero di segreto inerente al loro ufficio o professione".

La disposizione, quindi, da un punto di vista letterale, non fa alcun cenno all'obbligo dell'autorità procedente di informare i soggetti indicati dagli artt. 200 e 201 c.p.p. della facoltà di avvalersi del segreto professionale o di ufficio, ma si limita a prevedere che dette persone possono avvalersi di tale prerogativa. La medesima statuizione, inoltre, pone un vincolo procedimentale per l'opposizione del segreto, chiedendo una dichiarazione "per iscritto", del tutto inusuale per l'esercizio di una facoltà di cui debba darsi formale avviso all'interessato.

Sembra perciò ragionevole ritenere che l'esecuzione di una perquisizione e sequestro nei confronti di una delle persone indicate dagli artt. 200 e 201 c.p.p., non debba essere preceduta dall'avvertimento della facoltà di opporre il segreto professionale o di ufficio, e possa perciò essere eseguita nelle forme ordinarie, senza ulteriori limitazioni, fino alla opposizione "per iscritto" del limite.

Nè tale conclusione può trovare diversa soluzione in relazione al giornalista professionista rispetto agli altri titolari di segreto professionale o di ufficio: l'art. 256 c.p.p., comma 1, prevede l'applicabilità della disciplina da esso delineata con riferimento a tutte le "persone indicate negli artt. 200 e 201", senza operare alcun distinguo; i giornalisti professionisti iscritti all'albo professionale, in quanto espressamente citati dall'art. 200 c.p.p., rientrano senza dubbio tra quelle "persone".

4.2. Nel senso della non necessità del preventivo avvertimento da parte dell'autorità che procede si è già più volte orientata la giurisprudenza con riferimento al segreto di Stato e al segreto professionale in generale.

Secondo diverse decisioni, infatti, in assenza di formale opposizione del segreto d'ufficio o professionale alla richiesta di esibizione di documentazione ai sensi dell'art. 256 c.p.p., comma 1, nulla impedisce all'autorità giudiziaria procedente di emanare un normale decreto di sequestro della documentazione in questione sulla base della norma generale di cui all'art. 253 c.p.p., comma 1, e non dell'art. 256 c.p.p., comma 2, la cui operatività è espressamente fondata nel presupposto cui vi sia stata una formale opposizione del segreto, della cui fondatezza l'autorità giudiziaria procedente abbia motivo di dubitare (così Sez. 2, n. 41786 del 06/10/2015, Miccichè, Rv. 264777, e Sez. 2, n. 144 del 22/01/1997, Veronese, Rv. 208469). Del resto, anche con riferimento all'assunzione di una testimonianza, si ritiene che l'eventuale esistenza del segreto professionale in ordine a quanto conosciuto dal testimone per ragione del proprio ministero, ufficio o professione non può essere rilevata direttamente dal giudice, ma deve essere eccepita dallo stesso soggetto chiamato a deporre, nell'ipotesi in cui egli venga a trovarsi in una delle situazioni individuate dall'art. 200 c.p.p. (così Sez. 6, n. 9866 del 11/02/2009, Belluomo, Rv. 242701).

Anzi, sia pure per evidenziarne l'avvenuta applicazione da parte del tribunale del riesame che aveva annullato il provvedimento di vincolo, il principio relativo al potere dell'autorità giudiziaria procedente di emanare un normale decreto di sequestro della documentazione sulla base della norma generale di cui all'art. 253 c.p.p., comma 1, è stato richiamato anche con riferimento ad attività di ricerca della prova poste in essere nei confronti di un giornalista (cfr. Sez. 1, n. 25755 del 16/02/2007, Pomarici, mass. per altro).

4.3. Attese, da un lato, la non necessità del preventivo avvertimento al giornalista, prima che si proceda a perquisizione e sequestro, della facoltà di opporre il segreto e, dall'altro, la mancata opposizione in concreto dello stesso, diventa irrilevante, in questa sede, l'esame dell'ulteriore questione in ordine all'autorità giudiziaria competente a decidere se e in che limiti sia superabile il limite del segreto giornalistico, e, precisamente, se tale decisione spetti comunque al pubblico ministero o debba essere rimessa immediatamente al giudice.

5. Fondate, invece, sono le questioni, formulate in altre parti del terzo motivo, nonchè nel quarto e nel quinto motivo, che attengono alla pertinenzialità del sequestro relativo ai computer, ai supporti informatici e ai dati in essi contenuti, nonchè ai documenti cartacei sottoposti a vincolo rispetto alla notizia di reato ipotizzata, sia pure per motivi diversi.

6. La consolidata giurisprudenza italiana e sovranazionale, in tema di perquisizione e sequestro nei confronti dei giornalisti, ha evidenziato specificità relative ai presupposti che legittimano l'adozione di tali provvedimenti ed ai limiti concernenti i risultati perseguibili in ragione dell'attività professionale svolta dagli appartenenti a tale categoria di professionisti, siccome destinatari di una disciplina particolare in tema di segreto.

6.1. Secondo la giurisprudenza di legittimità, l'attività svolta dal giornalista, innanzitutto, impone, anche ai fini della legittimità di provvedimenti di perquisizione e sequestro, il rispetto dei limiti indicati dall'art. 200 c.p.p., comma 3, in tema di prova testimoniale, e cioè l'indispensabilità della rivelazione della fonte informativa ai fini della prova del reato per cui si procede, nonchè l'impossibilità di accertare altrimenti la veridicità della notizia in possesso del perquisito (così, specificamente, Sez. 2, n. 48587 del 09/12/2011, Massari, Rv. 252054). Di conseguenza, si è precisato che non è sufficiente "un semplice nesso di "pertinenzialità" tra le notizie ed il generico tema dell'indagine, così come occorre che tale ingerenza rappresenti la extrema ratio cui ricorrere per poter conseguire la prova necessaria per perseguire il reato" (così, ancora, Sez. 2, Massari, cit.).

Il medesimo profilo funzionale dell'attività svolta dal giornalista è stato ritenuto implicare, inoltre, la necessità di valutare con particolare rigore la "proporzione" tra il contenuto del provvedimento emesso dall'autorità giudiziaria e le esigenze di accertamento dei fatti: solo in tal modo, infatti, si può assicurare che l'attività investigativa sia condotta in modo da non compromettere il diritto del giornalista alla riservatezza della propria corrispondenza e delle proprie fonti (cfr.: Sez. 1, n. 25755 del 16/02/2007, Pomarici, Rv. 237430; Sez. 6, 40380 del 31/05/2007, Sarzanini, Rv. 237917; Sez. 2, n. 48587 del 09/12/2011, Massari, Rv. 252054; Sez. 6, n. 31735 del 15/04/2014, Minniti, Rv. 260068; Sez. 6, n. 24617 del 24/02/2015, Rizzo, Rv. 264092).

Ancor più specificamente, il rispetto del "criterio di proporzionalità" (i termini "proporzione" o "proporzionalità" sono impiegati da tutte le sentenze citate) è stato ancorato all'esigenza di evitare "potenziali limitazioni che alla libertà di stampa potrebbero derivare da iniziative immotivatamente invasive", in quanto tali idonee a determinare un sostanziale aggiramento della disciplina di cui all'art. 200 c.p.p., comma 3 e art. 256 c.p.p. (così Sez. 6, Sarzanini, cit., e Sez, 6, Minniti, cit.), e si è anche sottolineata la specifica garanzia assicurata dall'art. 10 della Convenzione EDU (per questo rilievo, concordemente, Sez. 2, Massari, cit., Sez. 6, Minniti, cit., e Sez. 6, Rizzo cit.).

Va detto, per completezza, che il principio di proporzionalità è evocato dalla giurisprudenza di legittimità non solo in relazione ai provvedimenti di sequestro probatorio nei confronti dei giornalisti, ma anche, sempre più spesso, nell'ambito della generale disciplina delle misure cautelari reali, essa pure priva di un'espressa previsione legislativa in tal senso (cfr., tra le tante, in materia di sequestro conservativo, Sez. 1, n. 2264 del 05/04/1996, Baldassar, Rv. 204819, nonchè in materia di sequestro preventivo, Sez. 3, n. 27840 del 23/03/2016, Calvisi, Rv. 267055, e Sez. 5, n. 8152 del 21/01/2010, Mangano, Rv. 246103).

6.2. La giurisprudenza della Corte EDU, a sua volta, ha da tempo rilevato che il provvedimento dell'autorità giudiziaria di esibizione e sequestro di materiale posseduto da un giornalista può costituire una violazione della libertà di espressione tutelata dalla Convenzione, perchè, comportando il rischio dell'individuazione delle fonti alle quali il professionista aveva garantito l'anonimato, pregiudica la futura attività del giornalista e del giornale la cui reputazione sarebbe lesa anche agli occhi delle future fonti (così, specificamente, Corte EDU, Grande Camera, 14/09/2010, Sanoma Uitgevers B.V. c. Paesi Bassi, ma anche Corte EDU, Sez. 4, 15 dicembre 2009, Financial Times Ltd. c. Regno Unito; cfr., inoltre, per l'evidenziazione della necessità di tutelare le medesime esigenze con riferimento all'ordine di rendere testimonianza, Corte EDU, Sez. 5, 5 ottobre 2017, Beker c. Norvegia).

In particolare, secondo diverse pronunce dei giudici di Strasburgo, le ispezioni e perquisizioni nel domicilio e nell'ufficio di un giornalista, ed il conseguente sequestro di supporti informatici e documenti disposti dall'Autorità giudiziaria per individuare la fonte informativa che ha chiesto l'anonimato, se si presentano come "misure sproporzionate", costituiscono una violazione della libertà dei giornalisti, protetta dall'art. 10 della CEDU, di ricevere o comunicare informazioni, anche quando la fonte abbia violato un obbligo di segretezza consegnando o trasmettendo documenti coperti da segreto (cfr.: Corte EDU, Sez. 5, 20 marzo 2012, Martin e altri c. Francia; Corte EDU, Sez. 4, 16 luglio 2013, Nagla c. Lettonia; Corte EDU, Sez. 2, 19 gennaio 2016, Gormus ed altri c. Turchia). Talvolta, la valorizzazione dell'esigenza di un "adeguato bilanciamento" tra l'interesse alla protezione delle fonti giornalistiche e l'interesse alla prevenzione e repressione dei crimini ha indotto a censurare come "insufficienti" le motivazioni dei giudici nazionali indicative della "pertinenza", ma non anche della specifica necessità degli atti di ispezione o perquisizione e sequestro (così, in particolare, Corte EDU, Sez. 5, 20 marzo 2012, Martin e altri c. Francia, nonchè Corte EDU, Sez. 4, 16 luglio 2013, Nagla c. Lettonia). In altra occasione, inoltre, l'attività di indagine in discorso è stata giudicata negativamente perchè "sproporzionata" in considerazione degli effetti intimidatori nei confronti non solo dei giornalisti direttamente interessati e dello loro fonti, ma anche della generalità dei giornalisti operanti nello Stato e dei loro informatori (v. Corte EDU, Sez. 2, 19 gennaio 2016, Górmii5 ed altri c. Turchia, relativa ad un'operazione investigativa comportante, tra l'altro, l'acquisizione dei dati memorizzati su quarantasei computer, ed effettuata per indagare sulla violazione di un segreto militare specificamente riferibile, e riferita, a pubblici dipendenti).

Può aggiungersi, peraltro, che la giurisprudenza della Corte EDU, in relazione ad ispezioni e perquisizioni, si manifesta molto attenta alla tutela di ogni segreto professionale, e non solo di quello del giornalista. In particolare, di recente, è stata ritenuta in violazione del diritto al segreto professionale ed al rispetto della vita privata l'ispezione del conto corrente di un avvocato disposta sulla base del sospetto di un reato addebitabile ad altri, la quale aveva avuto ad oggetto tutte le informazioni relative al rapporto ed alle operazioni da esso risultanti ed aveva comportato l'acquisizione e la conservazione, da parte delle autorità procedenti, dei dati richiesti (v. Corte EDU, Sez. 5, 27 aprile 2017, Sommer c. Germania).

6.3. In considerazione dei principi richiamati dalla giurisprudenza di legittimità e della Corte EDU, può concludersi che, ai fini della legittimità di un provvedimento di ricerca della prova nei confronti di un giornalista in relazione agli atti e documenti relativi alla sua attività professionale, sono necessarie non solo l'indispensabilità della rivelazione della fonte informativa del medesimo ai fini della prova del reato per cui si procede, e l'impossibilità di accertare altrimenti la veridicità della notizia in possesso del perquisito, in linea con quanto prevede l'art. 200 c.p.p., comma 3; invero, occorre anche che il vincolo sia apposto esclusivamente su quanto è strettamente necessario per l'accertamento dello specifico fatto oggetto di indagine.

Ed infatti, la necessità di limitare l'acquisizione dei dati nella disponibilità di un giornalista in relazione all'esercizio della sua attività professionale agli atti e documenti immediatamente rilevanti come fonti di prova in relazione allo specifico fatto per cui si procede si spiega per l'esigenza costituzionale e convenzionale di evitare uno "sproporzionato" - e quindi "ingiusto" - sacrificio dell'interesse pubblico ad evitare pregiudizi per la futura attività del giornalista e del giornale, e, più in generale, per la libertà di stampa, attingendo notizie "riservate" e non strettamente indispensabili ai fini del procedimento penale.

7. Va peraltro precisato che sembra corretto distinguere tra limiti relativi al sequestro e limiti relativi all'attività di perquisizione.

7.1. Sicuramente, la procedura di acquisizione di atti e documenti nei confronti di un giornalista non indagato presuppone la formulazione di una richiesta di esibizione delle cose ritenute pertinenti: se il giornalista non è sottoposto ad indagini, è coerente con le esigenze dell'esercizio della libertà di stampa ritenere che, solo in caso di rifiuto, o di atteggiamento elusivo, si potrà procedere a perquisizione.

Tuttavia, la mancata collaborazione può legittimare un'attività di ricerca ad ampio spettro ed estendersi, in particolare, anche ad interi sistemi informatici o telematici, ancorchè protetti da misure di sicurezza, così come prevede l'art. 247 c.p.p., comma 1-bis.

Ed infatti, escludere l'ammissibilità di un'efficace attività di ricerca al cospetto di un atteggiamento non collaborativo, quando sussistono i presupposti della indispensabilità della notizia ai fini della prova del reato per cui si procede, nonchè l'impossibilità di accertare altrimenti la veridicità della stessa in possesso del giornalista, significherebbe rimettere le sorti dell'indagine all'esclusiva volontà di quest'ultimo. Tanto, però, non solo attribuirebbe al giornalista una prerogativa espressamente esclusa in relazione alla testimonianza, come si evince dalla disciplina di cui all'art. 200, comma 3, ma renderebbe di fatto inutile il potere riconosciuto all'autorità giudiziaria di procedere a sequestro, secondo quanto espressamente previsto dall'art. 256 c.p.p..

Del resto, è immediatamente rilevabile la differenza tra perquisizione e sequestro: l'acquisizione degli atti e dei documenti in possesso del professionista è vicenda concettualmente e giuridicamente distinta dall'attività di ricerca sugli stessi. In proposito, in effetti, appare significativo quanto emerge dalla disciplina codicistica.

Innanzitutto, come evidenziato dalla dottrina, il legislatore, nel disciplinare l'attività di perquisizione di sistemi informatici e telematici, all'art. 247 c.p.p., comma 1-bis, riferendo la stessa a "dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato" i quali "si trovino in un sistema informatico o telematico", risulta distinguere tra i primi, costituenti la fonte di prova, rispetto ai secondi, che svolgono, invece, la funzione di "contenitori".

Inoltre, un significativo esempio dell'esigenza avvertita dal legislatore di distinguere tra attività di ricerca ed acquisizione della cosa agli atti del procedimento e del processo è fornita dalla disciplina del sequestro di corrispondenza presso coloro che forniscono servizi postali, telegrafici, telematici o di telecomunicazioni, dettata dall'art. 254 c.p.p.. In effetti, questa disposizione, per un verso, nell'individuare ciò che può essere sottoposto a sequestro, e nel ricomprendere espressamente in questo ambito anche gli "oggetti di corrispondenza (...) inoltrati per via telematica", fa riferimento alla amplissima nozione di atti "che comunque possono avere relazione con il reato"; nozione evocata, secondo autorevole dottrina, proprio perchè, nella fattispecie normativa in questione, il rapporto tra cosa e reato è valutabile solo dopo che l'autorità giudiziaria abbia avuto contezza del contenuto di quanto oggetto di apprensione. Il medesimo art. 254 c.p.p., poi, per altro verso, stabilisce che le carte e i documenti non rientranti nella corrispondenza sequestrabile sono immediatamente restituiti all'avente diritto e sono comunque inutilizzabili, presupponendo, quindi, una preventiva, e però rapidissima, disamina di quanto globalmente rinvenuto da parte dell'autorità inquirente.

In sintesi, si tratta di disciplina che, significativamente, in epoca precedente alle modifiche volte a regolamentare espressamente ispezioni, perquisizioni e sequestri informatici, recata dalla L. 18 marzo 2008, n. 48, aveva indotto la letteratura giuridica ad osservare: "Sulle carte chiuse, il sequestro è misura fallibile: solo dall'ispezione del contenuto risulta se interessino o no, (...) è un abuso disporre sequestri a tappeto ma, fortuita o calcolata, la scoperta utile passa agli atti".

7.2. La distinzione dell'attività di perquisizione da quella di sequestro di un sistema informatico, del resto, è stata già affermata chiaramente in giurisprudenza proprio con riferimento alle condizioni legittimanti il compimento dell'uno o, invece, dell'altro atto investigativo.

Secondo una decisione, in particolare, occorre distinguere tra l'operazione consistente nell'"acquisire in modo indiscriminato un intero archivio elettronico", sicuramente vietata, e quella di ricerca con estrazione dei soli dati rilevanti, la quale potrebbe anche comportare, "se necessario, il trasferimento fisico dell'apparecchio per poi procedere a perquisizione in luogo e con modalità più convenienti, anche per la necessaria disponibilità di personale tecnico per superare le protezioni del sistema dagli accessi di terzi" (così Sez. 6, n. 24617 del 24/02/2015, Rizzo, Rv. 264092, in motivazione, p.p. 5.2 e 5.3).

La diversa incidenza della perquisizione rispetto al sequestro sembra inoltre compatibile anche con la giurisprudenza della Corte EDU. Invero, le diverse decisioni precedentemente citate, tanto quelle in relazione alle operazioni compiute nei confronti dei giornalisti (Corte EDU, Grande Camera, 14 settembre 2010, Sanoma Uitgevers B.V. c. Paesi Bassi; Corte EDU, Sez. 5, 20 marzo 2012, Martin e altri c. Francia; Corte EDU, Sez. 4, 16 luglio 2013, Nagla c. Lettonia; Corte EDU, Sez. 2, 19 gennaio 2016, Gormis ed altri c. Turchia), quanto quella concernente l'attività riferita all'avvocato (Corte EDU, Sez. 5, 27 aprile 2017, Sommer c. Germania), per affermare la violazione dell'art. 10 CEDU, valorizzano tutte il sequestro o comunque l'acquisizione e l'utilizzabilità dei dati da parte dell'autorità procedente.

7.3. Resta solo da puntualizzare espressamente, per evitare qualunque incertezza in proposito, che, ad avviso del Collegio, almeno con riferimento al giornalista, del tutto equiparabile al sequestro è l'acquisizione in copia dei dati.

In questo senso, precise indicazioni provengono non solo dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che, come si è rilevato, valorizza il profilo dell'acquisizione del dato informativo, ma anche dalla giurisprudenza di legittimità.

E' sufficiente richiamare, per tutte, Sez. U, n. 40963 del 20/07/2017, Andreucci, Rv. 270497. Questa decisione, in particolare, ha precisato che, quando assume rilievo l'interesse alla disponibilità esclusiva del patrimonio informativo, "la mera reintegrazione nella disponibilità della cosa (sulla quale è reperibile l'informazione) non elimina il pregiudizio, conseguente al mantenimento del vincolo sugli specifici contenuti rispetto al contenitore, incidenti su diritti certamente meritevoli di tutela, quali quello alla riservatezza o al segreto", nel cui ambito è compreso "il diritto alla libertà di espressione di cui all'art. 10 CEDU, in particolare la tutela della segretezza delle fonti giornalistiche".

8. Facendo applicazione dei principi evidenziati, deve ritenersi che, nel procedimento in esame, tutti gli atti e documenti sono stati illegittimamente acquisiti al fascicolo di indagine.

8.1. Per quanto attiene agli apparati, anche telefonici, agli altri "contenitori", e ai dati informatici o telematici, non è fornita, nè risulta oggettivamente, alcuna specifica indicazione per ritenere che l'acquisizione degli stessi, in tutto o in parte, agli atti del procedimento sia strettamente necessaria per l'accertamento dello specifico fatto oggetto di indagine.

Di conseguenza, deve essere disposta la restituzione di tutti i computer, hard disk, pen drive, telefoni cellulari, CD rom e DVD rom, sequestrati o acquisiti in copia.

8.2. Per quanto attiene, poi, ai documenti cartacei (contratto stipulato per la pubblicazione del libro "(OMISSIS)", bozze stampate del medesimo volume e cartelle contenenti queste ultime), manca l'indicazione del legame di pertinenzialità dei medesimi rispetto al reato per cui si procede.

Non è sufficiente, ai fini del sequestro, affermare che si tratta di atti relativi al libro che ha divulgato al pubblico la notizia segreta presumibilmente rivelata da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio. Occorre, infatti, verificare che detti documenti abbiano uno specifico legame con la condotta di rivelazione di segreto di ufficio, in particolare perchè contenenti elementi utili per individuare la provenienza della notizia ricevuta dal giornalista.

Nessun riferimento in proposito, però, risulta dall'ordinanza impugnata, sebbene sia specifico dovere anche del giudice del riesame di un sequestro probatorio accertare l'esistenza del vincolo di pertinenzialità tra il reato ipotizzato ed i diversi beni o le diverse categorie di beni oggetto del provvedimento di sequestro (così Sez. 3, n. 12107 del 18/11/2008, dep. 2009, Forni, Rv. 243393). Ciò tanto più che, con riferimento al sequestro presso un giornalista, "non basta (...) un semplice nesso di "pertinenzialità" tra le notizie ed il generico tema dell'indagine" e che, più in generale, dell'esistenza di esigenze di carattere probatorio "venga dato conto attraverso una idonea motivazione, che non si limiti a formule di stile" (in questi termini, Sez. 2, n. 48587 del 09/12/2011, Massari, cit.).

9. In conclusione, quindi, l'accoglimento delle censure concernenti la "proporzionalità" e la "pertinenzialità" del sequestro, nei limiti sopra precisati, impone l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata e la restituzione di tutto quanto in sequestro agli aventi diritto, con esclusione della possibilità di trattenere copia dei dati acquisiti.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e dispone la restituzione di quanto in sequestro, senza trattenimento di copia dei dati acquisiti.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 626 c.p.p..

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2018