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Sentenza inventata, condanna per falso materiale (Cass. 45369/19)

7 novembre 2019, Cassazione penale

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La formazione della copia di un atto inesistente non integra il reato di falsità materiale, salvo che la copia assuma l’apparenza di un atto originale: costituisce falso punibile la formazione della copia di una sentenza inesistente, quando la stessa assuma l’apparenza di una riproduzione di atto originale, ex se non soggetto a circolazione, in riferimento alle circostanze del concreto contesto.

 

Corte di Cassazione

sez. V Penale, sentenza 17 ottobre – 7 novembre 2019, n. 45369
Presidente Sabeone – Relatore Tudino

Ritenuto in fatto

1.Con la sentenza impugnata, emessa il 19 ottobre 2017, la Corte d’appello di Brescia ha, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Bergamo che aveva affermato la responsabilità penale di M.C.R. per il delitto di falso materiale in atto pubblico e falso ideologico commesso dal privato in riferimento alla formazione di una falsa sentenza, apparentemente emessa in favore di B.L. , qualificato il fatto ai sensi degli artt. 478 e 482 c.p., rideterminando la pena.
2.Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, per mezzo del difensore, avv. SE, articolando tre motivi.

2.1. Con il primo motivo, deduce nullità dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari per essere stata la relata apposta sul certificato di residenza dell’imputato, con omissione di qualsivoglia indicazione relativa alla consegna dell’atto, mentre la questione è stata tempestivamente proposta nel giudizio di primo grado e ribadita nell’atto d’appello.

2.2. Con il secondo motivo, deduce erronea applicazione della legge penale e della legge processuale in riferimento all’inesistenza dell’atto che si assume falso, consistente nella mera creazione ex novo di una sentenza civile relativa ad una causa mai instaurata, trasmessa alla parte a mezzo fax e priva di attestazione di conformità, con conseguente esclusione del reato di cui all’art. 478 c.p..

2.3. Il terzo motivo censura il vizio di motivazione in relazione ai rapporti correnti tra l’imputato - avvocato - e la persona offesa - nipote della compagna di questi - che escludono la finalizzazione del falso all’inganno a terzi, riconducendone la causale a mere ragioni di opportunità familiare, con conseguente eccessiva determinazione della provvisionale in favore della parte civile.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile, mentre i fatti vanno correttamente qualificati ai sensi degli artt. 476 e 482 c.p..

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il ricorrente postula nullità della notifica dell’avviso di cui all’art. 415-bis c.p.p. per essere stata la relata apposta sul certificato di residenza dell’imputato, omettendo di rilevare come dagli atti risulti ritualmente consegnato l’avviso stesso, unitamente al predetto certificato funzionale all’esatta determinazione del domicilio del destinatario - mentre la dichiarazione del pubblico ufficiale è stata apposta sull’ultimo (il quarto) dei fogli di cui si componeva l’atto.

In tema di notificazioni, invero, la relata va compilata in calce all’atto da notificare e alla copia notificata, ma può anche essere redatta in un foglio separato o in un atto in cui la polizia giudiziaria attesti l’espletamento di altre attività delegate dal pubblico ministero, sempre che non sussistano dubbi sul documento cui essa si riferisce e che sia assicurata la completezza dell’atto notificato (Sez. 3, n. 197 del 06/11/2012 - dep. 2013, Zanotti, Rv. 254151, N. 6791 del 2000 Rv. 216710).

Donde l’attestazione delle attività compiute dal pubblico ufficiale su di un foglio, pur intrinsecamente estraneo all’atto, ma al medesimo allegato e con il primo consegnato al destinatario, non comporta invalidità della notificazione.

2.Sono, del pari, inammissibili gli ulteriori motivi.

2.1. Va, innanzitutto, rilevato come la qualificazione giuridica attribuita ai fatti nella sentenza impugnata non sia corretta.

La Corte territoriale ha ritenuto che la trasmissione alla apparente parte attrice vittoriosa di una sentenza inesistente, integralmente creata nel corpo motivazionale e corredata dalla riproduzione della firma del giudice e del cancelliere, integrasse il diverso reato di cui agli artt. 478 e 482 c.p. che punisce, invece, il falso in copia autenticata.

Nella struttura della norma incriminatrice citata, l’autenticazione del pubblico ufficiale, e cioè la falsa attestazione di conformità, costituisce un elemento integrativo della fattispecie (Sez. 5, n. 3023 del 23/11/1979 - dep. 1980, Caprani, Rv. 144545; Sez. 6, n. 5342 del 10/02/1984, Di Muro, Rv. 164706), che punisce la formazione ed il rilascio in forma legale della pretesa copia di un atto inesistente; onde, se la copia è semplice, essa non può costituire l’oggetto materiale della fattispecie di cui all’art. 478 c.p., che contempla, fra l’altro, due ipotesi di falsità in copia autentica (da intendersi, a sua volta, quale atto derivativo e complesso, costituito dalla riproduzione fedele e completa di una dichiarazione contenuta in un documento originale e da una dichiarazione di conformità all’originale resa da un pubblico ufficiale), e segnatamente:

a) la formazione della copia autentica di un atto inesistente (simulazione di copia di atto inesistente);

b) la formazione della copia autentica di un atto diverso da quello esistente (rilascio di copia diversa dall’originale).

Presupposto per l’applicazione di tale fattispecie, che si riferisce alla particolare ipotesi della formazione di una copia autentica, è, dunque, l’inesistenza assoluta di un originale (che non deve essere mai esistito) ovvero l’esistenza di un originale che viene "copiato" in modo difforme.

La falsità dell’atto di autenticazione, infatti, è sempre preceduta, nello schema normativo delineato dall’art. 478 cit., da un’altra falsità che si consuma attraverso la formazione della falsa copia: falsità, questa, la cui natura, come osservato dalla dottrina, è materiale non solo quando viene simulato un atto inesistente, ma anche nell’ipotesi in cui si forma una copia difforme dall’originale, perché il documento copia, prima dell’autenticazione, non è rappresentativo di alcun atto del su suo confezionatore, che possa dirsi ideologicamente falso.

Donde l’erronea qualificazione giuridica attribuita dalla Corte territoriale alla fattispecie in disamina, in cui è stata trasmessa, a mezzo posta elettronica, una mera copia di sentenza, non corredata da attestazioni di conformità; dunque si discute del falso dell’atto trasmesso, e non già di una - inesistente - dichiarazione di conformità della sentenza all’originale.

Il fatto in disamina trova, dunque, la sua corretta qualificazione giuridica ai sensi degli artt. 482 e 476 c.p., in linea con l’originaria imputazione.

2.2. Sulla rilevanza penale del falso in copia si sono appena pronunciate le Sezioni Unite di questa Corte (n. 35814 del 28 marzo 2019, dep. 7 agosto 2019) statuendo come "La formazione della copia di un atto inesistente non integra il reato di falsità materiale, salvo che la copia assuma l’apparenza di un atto originale".
Siffatto principio di diritto, per il quale è irrilevante la preesistenza ovvero la integrale creazione dell’atto utilizzato in copia, valorizza quel filone esegetico che si incentra "sulle ipotesi in cui la copia di un documento si presenti o venga esibita con caratteristiche tali, di qualsiasi guisa, da voler sembrare un originale, ed averne l’apparenza, ovvero la sua formazione sia idonea e sufficiente a documentare nei confronti dei terzi l’esistenza di un originale conforme: in tal caso la contraffazione si ritiene sanzionabile ex artt. 476 o 477 c.p., secondo la natura del documento che mediante la copia viene in realtà falsamente formato o attestato esistente (cfr., in motivazione, Sez. 5, n. 7385 del 14/12/2007, dep. 2008, Favia, Rv. 239112; v., inoltre, Sez. 5, n. 9366 del 22/05/1998, Celestini, Rv. 211443)".

A tal fine, è stato selezionato un criterio di riferimento oggettivo, per cui lo stesso soggetto che produce la copia deve compiere anche un’attività di contraffazione che vada ad incidere materialmente sui tratti caratterizzanti il documento in tal modo prodotto, attribuendogli una parvenza di originalità, così da farlo sembrare, per la presenza di determinati requisiti formali e sostanziali, un provvedimento originale o la copia conforme, originale, di un tale atto, ovvero una copia comunque documentativa dell’esistenza di un atto corrispondente. La volontà di sorprendere la fede pubblica, in tal modo, si realizza attraverso un comportamento ontologicamente inquadrabile nella ipotesi di falso per contraffazione poiché, almeno apparentemente, creativo di un atto originale in realtà inesistente, sì da determinarne oggettivamente, nelle intenzioni dell’agente, un’apparenza esterna di originalità.

Entro tale prospettiva, a ben vedere, è stata segnalata l’irrilevanza della circostanza di fatto legata alla materiale esistenza o meno dell’atto "originale" rispetto al quale dovrebbe operarsi il raffronto comparativo con la copia, perché l’intervento falsificatorio effettuato con la modalità della contraffazione assume come riferimento non tanto la copia in sé, quanto il falso contenuto dichiarativo o di attestazione apparentemente mostrato dalla natura della copia formata ed esibita dall’agente, laddove l’atto originale non esiste affatto ovvero, se realmente esistente, rimane inalterato e comunque estraneo alla vicenda.

Deve, pertanto, ritenersi che, ai fini della rilevanza penale del falso in fotocopia di un atto, non importa se esistente o meno, rilevi - oltre all’estrinseca idoneità del documento ad accreditarsi come corrispondente ad un originale - l’orientamento finalistico dell’agente, che quell’atto utilizzi per ingannare la fede pubblica, proponendolo come originale e conforme al reperto autentico, secondo le circostanze del concreto contesto.

3. Nel caso in esame, non vi è dubbio che la falsa sentenza, trasmessa via mail alla persona offesa, sia stata accreditata come corrispondente all’inesistente - originale, tanto in riferimento alla qualità di avvocato del mittente, che alle ulteriori, mendaci, circostanze rappresentate alla persona offesa in merito all’iscrizione della causa, al suo andamento ed all’assicurazione del suo esito, che la copia intendeva asseverare.

La sentenza è, peraltro, atto che può circolare solo in copia, restando l’originale allegato a raccolta, sicché la trasmissione della stessa, accompagnata dalla prospettazione di conformità all’originale in conseguenza della simulata celebrazione del giudizio ed in relazione alla qualità della parte, s’appalesa del tutto idonea a ledere l’affidamento pubblico.

Deve essere, pertanto, affermato il principio per cui costituisce falso punibile la formazione della copia di una sentenza inesistente, quando la stessa assuma l’apparenza di una riproduzione di atto originale, ex se non soggetto a circolazione, in riferimento alle circostanze del concreto contesto.


Donde la manifesta infondatezza delle censure svolte nel secondo motivo di ricorso, fondate sull’inesistenza dell’originale e sull’assenza del fine di trarre in inganno il destinatario, risultando il primo profilo ut supra irrilevante, ed il secondo invece inconducente, in quanto l’assenza di un fine di locupletazione lascia del tutto impregiudicata la modalità ingannatoria, che la trasmissione dell’atto falso ha inteso accreditare, in un contesto caratterizzato dalla menzogna riguardo l’intera vicenda della tutela del credito richiesta all’imputato.

4. Del tutto aspecifico è, invece, il terzo motivo che, nel prospettare vizio della motivazione, anche agli effetti civili, riguardo i rapporti correnti tra le parti e nel ritornare sull’assenza di un fine ingannatorio, immanente alla predisposizione di una sentenza a seguito del mancato esercizio del relativo diritto di azione, invece reiteratamente prospettato, non si confronta con la natura del dolo - generico - di falso, nè con la quantificazione della provvisionale, che ha tenuto conto, oltre che del danno morale, del danno da ritardo nella tutela giurisdizionale del diritto, solo asseritamente già esercitato.

5. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata con rinvio per la determinazione del trattamento sanzionatorio in ordine al reato di cui agli artt. 482 e 476 c.p..

P.Q.M.

riqualificato il fatto ai sensi degli artt. 476 e 482 c.p. annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della corte di appello di Brescia. dichiara inammissibile nel resto il ricorso.