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Riti diversi, stesso giudice: e le prove? (Cass. 42124/19)

15 ottobre 2019, Cassazione penale

E' legittima la trattazione cumulativa del rito abbreviato condizionato e di quello non condizionato richiesti da imputati in un medesimo processo, purchè il giudice selezioni per ciascun imputato le prove utilizzabili in base alle regole proprie del rito dallo stesso prescelto.

In caso di trattazione, in uno stesso procedimento, di posizioni giudicate mediante rito abbreviato condizionato e di posizioni giudicate mediante rito abbreviato incondizionato, il regime di assunzione e utilizzazione delle prove deve seguire le regole specifiche previste per ciascun rito, non potendo la disciplina del simultaneus processus modificare la disciplina imposta per legge per ogni singolo rapporto processuale. Ne consegue che la parte giudicata con rito abbreviato incondizionato non ha diritto nè a partecipare all'assunzione delle prove ammesse in via integrativa nel rito abbreviato condizionato nè ad utilizzare i risultati delle stesse.

 I principi enunciati in relazione al rapporto fra rito abbreviato condizionato e rito abbreviato incondizionato valgono evidentemente anche in relazione al rapporto fra riti abbreviati richiesti da più imputati e celebrati simultaneamente, ma diversamente condizionati (ad esempio, l'uno all'assunzione della testimonianza di un soggetto, l'altro all'assunzione della testimonianza di un diverso soggetto). In tal caso, infatti, ciascun imputato potrà partecipare all'assunzione delle prove ammesse in via integrativa su sua richiesta e utilizzarne i risultati, ma non avrà diritto a partecipare all'assunzione delle prove richiesta da altri nè all'utilizzazione dei risultati delle stesse.

 


CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Sent., (data ud. 16/05/2019) 15/10/2019, n. 42124

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta - Presidente -

Dott. DI STASI Antonella - Consigliere -

Dott. CORBETTA Stefano - Consigliere -

Dott. REYNAUD Gianni F. - Consigliere -

Dott. ANDRONIO Alessandro - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Z.R., nato a (OMISSIS);

M.G., nato a (OMISSIS);

S.F., nato a (OMISSIS);

F.P., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza della Corte d'appello di Cagliari del 30 maggio 2018;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Alessandro M. Andronio;

udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dr. Canevelli Paolo, che ha concluso per: il rigetto del ricorso di Z.; l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata nei confronti di F., limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rigetto del ricorso nel resto; l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata nei confronti di M. e S., limitatamente alla mancata qualificazione dei reati (con esclusione del capo 23) ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, con rigetto dei ricorsi nel resto;

uditi gli avv.ti GM, per S., ROper F., RFper Z..

Svolgimento del processo

1. - Con sentenza del 19 settembre 2017 emessa all'esito di giudizio abbreviato, il Gup del Tribunale di Oristano ha - per quanto qui rileva - condannato Z.R.: per il delitto di cui agli artt. 56 e 110 c.p., art. 629 c.p., comma 2 e art. 628 c.p., comma 1 e comma 3, n. 3 bis), (capo 3 dell'imputazione), perchè, in concorso con L.P. Samuel e altra persona rimasta non identificata, mediante minaccia, compiva atti idonei, diretti in modo non equivoco a costringere M.G. a saldare il debito di Euro 4.500,00, che aveva contratto con L. per l'acquisto della partita di droga di cui al precedente capo 2), così agendo al fine di procurarsi l'ingiusto profitto, con danno alla persona offesa, non riuscendo tuttavia nell'intento per cause non dipendenti dalla sua volontà (resistenza della persona offesa), ponendo in essere una condotta consistita nell'aver detto a M. che se non avesse pagato il debito si sarebbe portato via uno dei suoi figli, che si trovavano in quel momento in casa con lui, mentre il terzo uomo faceva capire a M. che aveva con sè un'arma, con l'aggravante di aver commesso il fatto insieme a più persone riunite e all'interno dell'abitazione di M.; per il delitto di cui all'art. 110 c.p. e art. 628 c.p., comma 1 e comma 3, n. 3 bis), (capo 4), perchè, in concorso con L. e altra persona rimasta non identificata, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, approfittando dello stato di soggezione in cui si trovava M. a causa delle violenze e delle minacce, descritte nel capo 3), da loro commesse nei suoi confronti, si impossessavano del televisore che lui teneva in casa, con l'aggravante di avere commesso il fatto insieme a più persone riunite e all'interno dell'abitazione di M..

Il giudice di primo ha altresì condannato M.G.: per il capo 2 dell'imputazione (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4), perchè deteneva, ai fini di spaccio circa un chilo di marijuana; per il capo 7 (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1), perchè deteneva ai fini di spaccio un quantitativo imprecisato di cocaina del valore di circa Euro 2.000,00; per il capo 10 (art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4), perchè, in concorso con S.F., cedeva tre o quattro dosi di hashish e marijuana a Sa.An.; per il capo 11 (art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1), perchè, in concorso con S.F., cedeva un quantitativo imprecisato di cocaina a P.M.; per il capo 14 (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4), perchè cedeva un quantitativo imprecisato di dosi di hashish a G.I.; per i capi 16, 17, 19 (art. 81 c.p., comma 2, art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 4), perchè in concorso con S.F., in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, cedeva un quantitativo imprecisato di dosi di cocaina, hashish e marijuana a A.I., C.M., Pi.Ka.; per il capo 18 (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4), perchè cedeva un quantitativo imprecisato di dosi di marijuana a O.G.; per il capo 20 (art. 81 c.p., comma 2, D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 4), perchè in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, cedeva un quantitativo imprecisato di dosi di cocaina, hashish e marijuana a Sa.Gi.; per il capo 23 (art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 4 e 6), perchè in concorso con S. e Lo. (per il quale si procede separatamente), cedeva circa un etto di hashish e marijuana a Me.Al..

Il Gup ha condannato anche S.F., oltre che per i già richiamati reati di cui ai capi 10, 11, 16, 17, 19, 23, anche: per il capo 9, (artt. 110 e 424 c.p.), perchè, in concorso con La.Gi. (per il quale si procede separatamente) e con un minorenne, allo scopo di danneggiare, appiccavano il fuoco all'auto di proprietà di M.G., facendo sorgere il pericolo d'incendio; per il capo 12 (art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1), perchè, in concorso con Co.Mi. (per il quale si procede separatamente), cedeva un quantitativo imprecisato di cocaina a P.M.; per il capo 13 (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4), perchè cedeva uno spinello a F.A.; per il capo 15 (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4), perchè cedeva una dose di hashish a G.I.; per il capo 21 (art. 81 c.p., comma 2 e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1), perchè, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, cedeva più dosi di cocaina a Sa.Gi.; per il capo 22, (art. 81 c.p., comma 2, e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1), perchè, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, cedeva un quantitativo imprecisato di dosi di cocaina a Sp.Ed..

Con la stessa sentenza di primo grado F.P. è stato condannato: per il capo 6, (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1), perchè cedeva a M.G. un quantitativo imprecisato di cocaina del valore di circa Euro 2.000,00; per il capo 8 (artt. 81 cpv., 56 e 629 c.p.), perchè, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, mediante minaccia e violenza, compiva atti idonei, diretti in modo non equivoco a costringere M.G. a saldare il debito di Euro 2.000,00 che aveva contratto con lui per l'acquisto della partita di droga, così agendo al fine di procurarsi l'ingiusto profitto della predetta somma, con danno per la persona offesa, non riuscendo tuttavia nell'intento per cause indipendenti dalla sua volontà (resistenza della persona offesa), inviandogli diversi sms in cui gli diceva che se non gli avesse restituito i soldi che gli doveva gli avrebbe fatto del male e minacciandolo di morte; per il capo 37 (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4), perchè deteneva a fini di spaccio un quantitativo imprecisato di marijuana.

Con sentenza del 30 maggio 2018, la Corte d'appello di Cagliari ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, riducendo, per quel che qui rileva, la pena inflitta a S. a quattro anni, nove mesi e venti giorni di reclusione e 13.646,00 di multa, e confermando nel resto.

2. - Avverso la sentenza d'appello, ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, l'imputato Z.R., chiedendone l'annullamento.

2.1. - Con un primo motivo di doglianza, il ricorrente censura l'inosservanza dell'art. 63 c.p.p., comma 2, per avere la Corte d'Appello ignorato elementi dai quali era evidente che le dichiarazioni accusatorie di M.G. non potevano essere utilizzate, in quanto questo doveva, sin dall'inizio, essere sentito in qualità di persona sottoposta alle indagini e non potendo in ogni caso le stesse essere qualificate quali dichiarazioni spontanee.

In particolare, il giudice territoriale avrebbe errato nel ritenere che "nel giudizio abbreviato sono utilizzabili le dichiarazioni spontanee rese dall'indagato, anche quando abbiano un contenuto autoindiziante, come nel caso in esame, in cui le dichiarazioni rese il 22.12.2015 da M. ai Carabinieri - all'appuntato Za. -siano del tutto spontanee, perchè si trattò di denuncia con la quale lo stesso M. riferì ciò che era avvenuto la sera precedente e ne espose i fatti". Secondo la prospettazione difensiva, poichè la "denuncia orale" del M. delle 11.35 era stata preceduta dall'audizione informale dello stesso in cui si era autoaccusato dell'acquisto di una partita di stupefacente per l'importo di Euro 4.500, il M. aveva già effettuato dichiarazioni di reità a suo carico; e da ciò deriverebbe l'assoluta inutilizzabilità delle dichiarazioni rese ai sensi dell'art. 63 c.p.p., comma 2.

2.2. - Con un secondo motivo, la difesa censura l'inosservanza dell'art. 526 c.p.p., comma 1-bis, per aver la Corte d'appello posto a fondamento della sentenza di condanna le dichiarazioni rese in fase d'indagine dalla persona offesa imputata in procedimento connesso - nonostante questo per libera scelta, nel giudizio abbreviato condizionato, si fosse sottratto all'esame da parte del difensore del ricorrente. A parere della difesa, la disposizione richiamata si deve ritenere applicabile non soltanto nel rito ordinario, ma anche nei riti alternativi, quale il rito abbreviato condizionato all'esame del dichiarante, come nel caso di specie, in cui l'intero impianto accusatorio a carico dell'imputato Z. si fonda sulle dichiarazioni rese in sede di indagini da parte del M. e la cui eventuale inutilizzabilità determinerebbe il venir meno della prova della colpevolezza del ricorrente.

2.3. - In terzo luogo, il ricorrente lamenta il vizio motivazionale nella parte in cui la Corte d'appello di Cagliari, ha ritenuto, trattandosi di giudizio abbreviato, del tutto irrilevante ai fini della valutazione della sua attendibilità che la persona offesa - imputata in procedimento connesso - si sia avvalsa della facoltà di non rispondere. Secondo le prospettazioni difensive questo non sarebbe un fatto del tutto neutro, specie in virtù della circostanza che la personalità del M. era stata più volte definita "peculiare, opportunista" e pronta a ricorrere in modo strumentale alle forze dell'ordine.

2.4 - Con un quarto e un quinto motivo di ricorso, la difesa censura l'inosservanza dell'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, per non avere la Corte d'appello preso atto dell'assenza dei requisiti richiesti per l'utilizzabilità nei confronti del ricorrente delle dichiarazioni di M., nonchè la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, quanto alla ritenuta credibilità soggettiva del dichiarante, alla sua attendibilità intrinseca e all'esistenza di riscontri estrinseci individualizzanti. Il giudice di appello avrebbe erroneamente evinto la credibilità soggettiva del M. dalla circostanza che la denuncia dello stesso fosse preceduta dalla richiesta di aiuto fatta per telefono all'appuntato Za., richiesta successivamente annullata a seguito della segnalazione di cessato pericolo dello stesso; per la difesa, questa sarebbe in realtà la dimostrazione che M. non aveva nessuna intenzione che le forze dell'ordine intervenissero. La sentenza avrebbe valorizzato, poi, la circostanza che per spiegare il movente dell'aggressione, M. aveva ammesso la commissione di un grave reato l'acquisto di un rilevante quantitativo di marijuana -, in tal modo aggravando la propria situazione già compromessa all'esito della perquisizione domiciliare subita meno di un mese prima; ma questo comportamento, secondo le prospettazioni difensive, non determinerebbe affatto un rafforzamento della credibilità del dichiarante, essendo invece espressione di una personalità incline a fare un uso strumentale del ricorso alle forze dell'ordine per i suoi scopi personali.

Inoltre, a parere della difesa, non emergerebbe da nessuna intercettazione ambientale disposta a carico di M., alcun riferimento all'accadimento in cui sarebbe coinvolto Z., mentre sarebbe contraddittorio e erroneo il ragionamento secondo cui la responsabilità del ricorrente emerge in maniera incontrastata dal legame di amicizia che lo lega a L., creditore del denaro dovuto da M., non sussistendo alcun elemento individualizzante, neppure nelle dichiarazioni di Sc. che aveva indicato in alcuni desulesi gli autori delle richieste estorsive nei confronti di M..

3. - Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, l'imputato M.G., chiedendone l'annullamento.

3.1. - Con un primo motivo di ricorso, la difesa censura l'erronea applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

Si sostiene che il giudice di appello avrebbe erroneamente valutato il quadro probatorio, in quanto non vi sarebbe alcuna prova certa sulla detenzione delle sostanze stupefacenti come indicate nei capi di imputazione 2 e 7, dal momento che l'unico elemento a sostegno di tale accusa sarebbe rinvenibile dalle intercettazioni ambientali da cui emerge che M. aveva un debito con L. e F. di Euro 2.000 e da quello gli inquirenti avrebbero tratto la quantità di sostanza stupefacente detenuta dal ricorrente; dunque, sarebbe stato opportuno provvedere ad una rimodulazione della pena in misura più favorevole al reo.

3.2. - In secondo luogo, si lamenta la mancata qualificazione dei fatti ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, in quanto la condotta posta in essere dallo stesso M. avrebbe una minima offensività penale desumibile sia dal dato qualitativo, sia dal dato quantitativo della droga oggetto di spaccio, sia dal fatto che si tratterebbe di un'attività marginale, senza alcuna professionalità.

3.3. - Con un terzo motivo, il ricorrente censura la violazione dell'art. 62 bis c.p.. Il giudice non avrebbe tenuto conto gli elementi previsti dalla legge ai fini dell'applicazione delle attenuanti generiche e non avrebbe adeguatamente motivato in ordine alla mancata concessione delle stesse.

4. - Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, anche l'imputato S.F..

4.1. - In primo luogo, si deducono vizi della motivazione con riferimento al capo 9 dell'imputazione, nella parte in cui i giudici di merito hanno ritenuto che le dichiarazioni accusatorie del coimputato M.G. fossero attendibili e confermate dalle intercettazioni telefoniche, e che non vi fosse alcun indizio in merito alla responsabilità di altre persone. Sarebbe manifestamente illogico il ragionamento della Corte d'appello, laddove si afferma che il M.G. aveva appreso da tale V.L. che La.Gi. gli aveva confidato di essere l'autore unitamente a S. e Ma.Va. del danneggiamento della sua autovettura e che la responsabilità del ricorrente fosse stata comprovata nonostante il suddetto V.L. non fosse stato sentito dai carabinieri - per confermare le dichiarazioni attribuitegli dal M. - perchè all'epoca delle indagini si trovava all'estero. Parimenti, sarebbe manifestamente illogica l'affermazione secondo cui i contatti telefonici tra S., Ma. e La., intercettati appena qualche minuto prima del danneggiamento, confermavano il fatto che costoro fossero insieme; in particolare, sarebbe apodittico ritenere che delle persone si telefonino mentre si trovano insieme; così come emergerebbe una contraddittorietà nella parte in cui il giudice di secondo grado, nell'affermare la responsabilità di S., ha ritenuto che non vi fosse alcun indizio in merito alla responsabilità di altre persone, in conseguenza del fatto che qualche giorno prima, lo stesso M., aveva subito un altro episodio di danneggiamento alla tapparella della sua abitazione, con la medesima sostanza infiammabile che era stata adoperata per danneggiare l'autovettura e che nella parte motiva della sentenza impugnata emergesse chiaramente che la responsabilità di tale episodio fosse riconducibile a F.P., che già lo aveva minacciato.

4.2. - Con un secondo motivo, il ricorrente lamenta vizi della sentenza nella parte in cui - con riferimento al capo 10 dell'imputazione - avrebbe motivato l'aumento di pena per la continuazione in modo manifestamente illogico, oltre che contraddittorio rispetto a quello operato, con riferimento al capo 23, dal primo giudice. La Corte d'appello, dopo aver riconosciuto che il Gup era incorso in errore, confondendo, al momento degli aumenti di pena per la continuazione, il capo 10 (relativo ad hashish), col capo 20 (relativo a cocaina e non contestato al S., bensì al solo M.), avrebbe errato nel rideterminare tale aumento nella misura di mesi due ed Euro 200,00, in quanto, malgrado il capo 10 dell'imputazione si riferisse alla cessione di appena tre o quattro dosi di hashish e marijuana, avrebbe applicato lo stesso aumento di pena, di mesi due, inflitto per il ben più grave reato di cui al capo 23, affermando di non potere applicare l'aumento inferiore - di 10 giorni stabilito per i capi 13 e 15, perchè in questi casi le cessioni erano ben più modeste.

4.3. - Con un terzo motivo di doglianza, il ricorrente lamenta vizi della motivazione della sentenza nella parte in cui esclude che i capi 11 e 12 si riferiscano ad un unico reato. Si tratterebbe, in particolare, della stessa sostanza stupefacente, in favore della medesima persona, nello stesso luogo e nello stesso spazio temporale; e la difesa osserva che anche il Gup aveva accomunato i due capi di imputazione in un unico reato, senza, tuttavia, trarne le corrette conseguenze in sede di determinazione della pena.

4.4. - Con un quarto motivo, la difesa censura vizi della motivazione in relazione al capo 23 dell'imputazione, nella parte in cui la Corte di merito ritiene che il concorrente nel reato, Sc.Da., non risultasse sottoposto ad indagini quando venne sentito, con conseguente utilizzabilità delle sue dichiarazioni. La difesa sostiene che, dalla motivazione della sentenza di primo grado, emerge che le sommarie informazioni rese da Sc. in data 29.8.2016 e i contatti telefonici registrati nel corso dell'attività di intercettazione della sua utenza (RIT 50/16), comproverebbero i rapporti esistenti tra questo, Me., S. e M., confermando il fatto che Sc., quando rese le sommarie informazioni, risultava già sottoposto ad indagini in virtù di precedenti intercettazioni telefoniche.

Si lamenta che la Corte d'appello avrebbe fondato il giudizio di colpevolezza nei confronti di S. sulla base delle dichiarazioni rese da Sc., quando lo stesso era sottoposto ad indagini - come si evince dal fatto che l'informativa menzionata dal Gup in primo grado e la richiesta di intercettazioni fossero successive di ben quattro mesi all'iscrizione di Sc. nel registro degli indagati - in quanto, trattandosi di dichiarazioni rese da persona sottoposta ad indagini, sarebbero inutilizzabili erga omnes, ai sensi dell'art. 63 c.p.p., comma 2.

4.5. - Infine, il ricorrente deduce vizi della motivazione della sentenza, anche nella parte in cui è stata ritenuta l'insussistenza della fattispecie di minore gravità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. Non si sarebbe considerato che S. si era limitato ad una mera attività di ausilio di M., cedendo talvolta dosi esigue di stupefacente e non investendo considerevoli somme di denaro per l'acquisto delle sostanze.

5. - Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, l'imputato F.P..

5.1. - Con un primo motivo, la difesa censura la violazione degli artt. 405, 521 e 522 c.p.p., in ordine alla mancata correlazione tra i fatti contestati al capo 6 dell'imputazione e i fatti ritenuti in sentenza, nonchè per la violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, in ordine all'insussistenza dell'elemento oggettivo del reato. Vi sarebbe stato un macroscopico errore nella correlazione tra imputazione e sentenza, in quanto ci sarebbe stata una mutazione sostanziale della condotta contestata formalmente al ricorrente, dal momento che si è passati da un'imputazione per cessione di cocaina ad una condanna per il fatto di aver messo a disposizione del M., la somma necessaria per acquistare la droga. Inoltre, avrebbe errato il giudice territoriale nel non indicare l'elemento oggettivo del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, in quanto non emergerebbe alcuna circostanza da cui desumere l'esistenza della cessione della cocaina da F. a M., o che abbia dimostrato l'esistenza dell'accordo tra il cedente e l'acquirente.

5.2. - In secondo luogo, il ricorrente censura la carenza e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla stessa fattispecie, in quanto, mancando la prova che il F. abbia ceduto la cocaina al M., mancherebbero sia l'elemento oggettivo che quello soggettivo del reato.

5.3. - Con un terzo motivo, la difesa lamenta la violazione degli artt. 56 e 629 c.p., per l'omesso accertamento dell'elemento oggettivo del reato (capo 8) e dell'evento conseguenza della minaccia, in quanto la Corte territoriale si sarebbe contraddetta perchè, pur ritenendo M. un soggetto che attingeva alla propria capacità criminale per fare fronte e replicare alle minacce, rimanendo dietro la finestra della propria abitazione armato con un fucile da sub, avrebbe estrapolato la frase minacciosa pronunciata da F. e indicata nel capo di imputazione da una serie di messaggi scambiati tra i due.

5.4. - Il ricorrente censura, poi, l'illegittimità della sentenza in relazione agli artt. 56, 629 e 393 c.p., e vizi della motivazione in ordine all'omesso accertamento della sussistenza di un preteso diritto di credito da parte del ricorrente e all'omesso accertamento dell'elemento psicologico del reato. Secondo la difesa, la Corte d'appello, in considerazione del fatto che il M. con la querela del 5.4.2016 aveva ricollegato le richieste di denaro del F. ad un prestito per pagare un avvocato, avrebbe dovuto accertare se realmente sussisteva un diritto di credito da parte del ricorrente che potesse legittimare la sua pretesa; avrebbe dovuto accertare, altresì, l'elemento psicologico del reato contestato al ricorrente.

5.5. - Con un quinto motivo, la difesa censura la carenza, contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione in relazione al capo 37. La Corte d'appello sarebbe incorsa in un triplice errore: non avrebbe considerato che il capo d'imputazione è totalmente generico in quanto non viene specificato il dato quantitativo e qualitativo dello stupefacente oggetto della detenzione ai fini di spaccio; nè avrebbe considerato che, nonostante il F. fosse da tempo sottoposto a pedinamenti ed intercettazioni, lo stupefacente non era stato sequestrato; in terzo luogo, mancherebbe la prova della capacità drogante della sostanza stupefacente in oggetto. Inoltre, il giudice territoriale avrebbe dato un'interpretazione del tutto soggettiva al contenuto delle intercettazioni telefoniche, riferendo la parola "verdura" e la parola "cassetta" alla marijuana, nonostante il loro contenuto generico fosse suscettibile di alternative interpretazioni.

5.6. - In sesto luogo, la difesa deduce la violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e la manifesta illogicità e contraddittorietà della sentenza in quanto la Corte d'appello avrebbe erroneamente negato la riqualificazione dei reati in virtù di riconosciute spiccate capacità criminali del ricorrente e del suo inserimento in contesti delinquenziali. A parere della difesa, tale criterio di valutazione sarebbe erroneo, dal momento che al ricorrente sarebbero contestate una cessione di cocaina dal valore di Euro 2.000,00 e una ulteriore cessione di sostanza stupefacente di cui non viene specificato il dato quantitativo e qualitativo.

5.7. - Con un settimo motivo, si censurano la violazione degli artt. 133, 202 e 203 c.p. e il vizio di motivazione della sentenza nella parte in cui ha confermato la condanna alla misura di sicurezza della libertà vigilata, sul presupposto che il F. sia un soggetto pericoloso dedito all'attività di narcotraffico, "con un curriculum criminale in cui spiccano ben tre condanne per minacce". A parere della difesa, i precedenti risultanti dal certificato del casellario penale sarebbero del tutto eterogenei e mancherebbe un corretto esame della pericolosità sociale e della condotta di vita del ricorrente.

Motivi della decisione

6. - E' opportuno premettere che, nelle more di questo giudizio, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 40 depositata in data 8 marzo 2019, ha dichiarato la illegittimità costituzionale del cit. D.P.R., art. 73, comma 1, per violazione dei principi di uguaglianza, proporzionalità, ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. e di rieducazione della pena di cui all'art. 27 Cost., nella parte in cui prevede un minimo edittale di otto anni di reclusione, anzichè di sei anni, limite quest'ultimo già rinvenibile nell'ordinamento e ritenuto più adeguato ai fatti "di confine" nel sistema punitivo dei reati connessi al traffico degli stupefacenti.

Non vi è dubbio che le pene irrogate dal Gup per le fattispecie di cui al richiamato comma 1 non siano tecnicamente illegali, perchè non superiori ai massimi edittali. Nondimeno, qualora la pena sia determinata in una misura che si discosta dai nuovi limiti minimi edittali, deve ritenersi ragionevolmente ipotizzabile l'irrogazione di una sanzione ad essa inferiore proprio sulla base di tali limiti; con la conseguenza che va richiamato l'orientamento - affermato dalla più recente giurisprudenza di questa Corte - secondo cui, in presenza di un mutamento della cornice edittale, deve farsi luogo ad annullamento della sentenza in punto di determinazione della pena, qualora dalla motivazione emerga con sufficiente chiarezza che il giudice ha utilizzato i parametri edittali antecedenti a tale mutamento e la motivazione stessa non possa, dunque, essere ritenuta adeguata quanto ai nuovi parametri (ex plurimis, sez. 4, 21 ottobre 2014, n. 47020, rv. 260672; sez. 4, 16 ottobre 2014, n. 47750, rv. 260671). Deve altresì richiamarsi il principio secondo cui, in tema di successione di leggi nel tempo, la Corte di cassazione può, anche d'ufficio, ritenere applicabile il nuovo e più favorevole trattamento sanzionatorio per l'imputato, addirittura in presenza di un ricorso inammissibile, disponendo, ai sensi dell'art. 609 c.p.p., l'annullamento sul punto della sentenza impugnata pronunciata prima delle modifiche normative in melius (Sez. un., 26 giugno 2015, n. 46653).

7. - Ne deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente alla determinazione della pena, nei confronti di M., S. e F., con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Cagliari, perchè proceda a nuovo giudizio sul punto, facendo applicazione dei principi sopra enunciati.

8. - Il ricorso presentato nell'interesse di Z.R. è infondato.

8.1. - Il primo motivo - con cui il ricorrente censura l'inosservanza dell'art. 63 c.p.p., comma 2, per avere la Corte d'Appello ignorato elementi dai quali era evidente che le dichiarazioni di M.G. non potevano essere utilizzate in quanto lo stesso doveva, sin dall'inizio, essere sentito in qualità di persona sottoposta alle indagini, e non potendo in ogni caso le stesse essere qualificate quali dichiarazioni spontanee - è infondato.

Preliminarmente è opportuno richiamare la giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui nel giudizio abbreviato sono utilizzabili a fini di prova le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini alla polizia giudiziaria, perchè l'art. 350 c.p.p., comma 7, ne limita l'inutilizzabilità esclusivamente al dibattimento (ex plurimis, Sez. 5, n. 13917 del 16/02/2017, Rv. 269598; Sez. 5, n. 44829 del 12/06/2014, Rv. 262192; Sez. 5, n. 18064 del 19/01/2010, Avietti, Rv. 246865). Inoltre, il carattere autoindiziante delle dichiarazioni non preclude la loro utilizzabilità nel giudizio abbreviato (ex plurimis, Sez. 1, n. 48915 del 2 dicembre 2003) Nel caso di specie, dunque, avendo gli imputati scelto il rito abbreviato, la censura relativa all'inutilizzabilità delle dichiarazioni spontanee rese da M., in quanto si trattava di persona sottoposta alle indagini, è infondata. Nè emergono dagli atti concreti elementi da cui desumere il carattere di non spontaneità delle dichiarazioni accusatorie di questo, come ben evidenziato dai giudici di merito.

8.2. - Il secondo motivo di ricorso, con cui l'imputato censura l'inosservanza dell'art. 526 c.p.p., comma 1 bis, per avere la Corte d'appello posto a fondamento della sentenza di condanna le dichiarazioni rese in fase d'indagine dalla persona offesa - imputata in procedimento connesso - nonostante questo per libera scelta, nel giudizio abbreviato condizionato, si fosse sottratto all'esame da parte del difensore del ricorrente, è del pari infondato.

8.2.1. - Deve richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in caso di trattazione, in uno stesso procedimento, di posizioni giudicate mediante rito abbreviato condizionato e di posizioni giudicate mediante rito abbreviato incondizionato, il regime di assunzione e utilizzazione delle prove deve seguire le regole specifiche previste per ciascun rito, non potendo la disciplina del simultaneus processus modificare la disciplina imposta per legge per ogni singolo rapporto processuale. Ne consegue che la parte giudicata con rito abbreviato incondizionato non ha diritto nè a partecipare all'assunzione delle prove ammesse in via integrativa nel rito abbreviato condizionato nè ad utilizzare i risultati delle stesse (Sez. 3, n. 4983 del 14/11/2007, dep. 31/01/2008, Rv. 238800 - 01).

Dunque, è legittima la trattazione cumulativa del rito abbreviato condizionato e di quello non condizionato richiesti da imputati in un medesimo processo, purchè il giudice selezioni per ciascun imputato le prove utilizzabili in base alle regole proprie del rito dallo stesso prescelto (Sez. 4, n. 7284 del 18/11/2008, dep. 19/02/2009, Rv. 242858 - 01). I principi enunciati in relazione al rapporto fra rito abbreviato condizionato e rito abbreviato incondizionato valgono evidentemente anche in relazione al rapporto fra riti abbreviati richiesti da più imputati e celebrati simultaneamente, ma diversamente condizionati (ad esempio, l'uno all'assunzione della testimonianza di un soggetto, l'altro all'assunzione della testimonianza di un diverso soggetto). In tal caso, infatti, ciascun imputato potrà partecipare all'assunzione delle prove ammesse in via integrativa su sua richiesta e utilizzarne i risultati, ma non avrà diritto a partecipare all'assunzione delle prove richiesta da altri nè all'utilizzazione dei risultati delle stesse.

8.2.2. - Tali considerazioni si attagliano pienamente il caso di specie, in cui, sebbene sia vero che M. abbia deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere, va evidenziato precisare che l'istanza di condizionare il rito abbreviato all'esame di M. è provenuta dall'imputato L. (giudicato in separato procedimento) e non dall'imputato Z., che ha, invece, presentato istanza di condizionare l'abbreviato all'esame di L.. Dunque, le vicende relative all'esame di M., il quale si è avvalso della facoltà di non rispondere, non hanno alcuna influenza sulla posizione di Z., perchè nei suoi confronti assumono rilievo le sole dichiarazioni accusatorie rese da M. in sede di indagini preliminari.

8.3. - Il terzo motivo, con cui il ricorrente lamenta il vizio motivazionale nella parte in cui la Corte d'appello di Cagliari, ha ritenuto del tutto irrilevante, ai fini della valutazione della sua attendibilità, che M. si sia avvalso della facoltà di non rispondere, è del pari infondato.

E' sufficiente richiamare, sul punto, quanto affermato sub 8.2., in relazione all'irrilevanza sulla posizione di Z. della scelta di M. di avvalersi della facoltà di non rispondere; scelta che non può incidere - in un rito abbreviato che Z. non ha condizionato all'audizione di M. - sulla valutazione dell'attendibilità dello stesso.

8.4. - Il quarto e il quinto motivo di ricorso - con cui la difesa censura l'inosservanza dell'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, per non avere la Corte d'appello preso atto dell'assenza dei requisiti richiesti per l'utilizzabilità nei confronti del ricorrente delle dichiarazioni del M., nonchè la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nella parte in cui il giudice di secondo grado ha affermato che la deposizione del M. avrebbe superato il vaglio di credibilità e attendibilità intrinseca, anche per l'esistenza di riscontri estrinseci individualizzanti - sono, del pari, privi di fondamento. Dalla semplice lettura della sentenza impugnata, emerge che la Corte di appello, in totale continuità con il giudice di primo grado, ha correttamente motivato in ordine all'attendibilità di M..

Infatti, quanto alla credibilità soggettiva ha affermato che "deve essere condivisa l'osservazione del Gup, secondo cui la peculiare personalità del dichiarante, certamente opportunista e pronto a ricorrere in modo strumentale alle Forze dell'ordine senza peraltro recedere dalle sue iniziative illecite, non implica di per sè, in modo automatico, la sua inaffidabilità. Nel caso in esame, infatti, la genuinità delle sue dichiarazioni sul conto di L. e Z. e l'assenza di intenti calunniosi è dimostrata da due elementi obiettivi di straordinario rilievo: da un lato, la sua denuncia fu preceduta di poche ore dalla richiesta di aiuto fatta per telefono all'app. Za. nella tarda serata del 21 dicembre. E' vero che egli revocò subito dopo quella richiesta asserendo che, nel frattempo, tutto era stato risolto. Ma ciò non è in alcun modo indice di inaffidabilità e di strumentalità della sua richiesta, anzitutto perchè Za. gli aveva comunque prospettato la possibilità di far intervenire presso la sua abitazione una pattuglia del Pronto intervento e M., quando comunicò all'appuntato che la situazione si era risolta, non sapeva se, intanto, quella pattuglia si fosse attivata, se potesse comunque giungere presso la sua abitazione e raccogliere nell'immediato le sue dichiarazioni o se avesse colto per strada qualcosa di importante. (...). Dall'altro lato, per spiegare il motivo dell'aggressione in casa, M. ammise la commissione di un grave reato l'acquisto di un rilevante quantitativo di marijuana - in tal modo aggravando in misura rilevante la propria situazione già compromessa all'esito della perquisizione domiciliare subita meno di un mese prima. Gli elementi appena evidenziati hanno carattere obiettivo e assorbente rispetto agli aspetti della personalità di M. che potrebbero far propendere per un deficit della sua credibilità soggettiva". Sul piano della credibilità soggettiva, la Corte di merito conferisce giusto rilievo alla circostanza che presso di lui stessero di frequente i due figli minori, anch'essi come destinatari delle intemperanze e delle minacce dei tre aggressori. Quanto all'attendibilità intrinseca vi è, poi, la circostanza che le sue prime comunicazioni all'app. Za. avvennero via sms e diedero atto della sua momentanea impossibilità di parlare, mentre il cessato allarme fu dato con una normale telefonata. E ciò è del tutto coerente con lo sviluppo dell'azione criminosa poi descritta da M. in modo lineare e dettagliato. Le dichiarazioni di M. sul conto di Z. trovano, infine, conferma in una serie di robusti riscontri individualizzanti, quale lo strettissimo rapporto di amicizia e assidua frequentazione tra Z. e L.; mentre Z. è stato individuato come uno dei due soggetti che parteciparono con L. all'incursione domestica del 21.12.2015 (punti 49.2, 49.3, 49.4, 49.5, pp.78-84, sentenza di appello).

9. - Il ricorso presentato nell'interesse di M. è infondato. La sentenza impugnata deve essere, tuttavia, annullata nei suoi confronti, limitatamente al trattamento sanzionatorio, come già evidenziato sub 7.

9.1. - Il primo motivo, con cui il ricorrente censura la violazione e l'erronea applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 con specifico riferimento alla prova certa sulla detenzione delle sostanze stupefacenti come indicate nei capi di imputazione 2 e 7, e il secondo motivo, con cui M. lamenta la mancata riconducibilità delle fattispecie a lui addebitate nell'alveo delle condotte di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, sono inammissibili, perchè diretti ad ottenere da questa Corte una rivalutazione del merito della sentenza impugnata; rivalutazione preclusa in sede di legittimità.

In ogni caso, la Corte territoriale ha correttamente affermato che, quanto ai capi 2 e 7, la lieve entità dei fatti deve essere esclusa in ragione della obiettiva rilevanza delle due operazioni: da un lato l'acquisto di ben 1 kg di marijuana; dall'altro l'acquisto di cocaina per la somma non modesta di 2.000 Euro. Quanto agli altri nove reati, sebbene i fatti attengano a quantitativi assai modesti di sostanze stupefacenti, la Corte di merito evidenzia che essi si inseriscono in un'attività continuativa e sostanzialmente professionale di spaccio, che costituiva all'epoca pressochè l'unica fonte di reddito di M., con una rete assai fitta sia di collaboratori che di clienti. Si tratta perciò di "modalità incompatibili con l'inquadramento dei fatti nella previsione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5" (v. punto 50.3, pp. 87-88 della sentenza di appello).

9.2. - Il terzo motivo, con cui il ricorrente censura il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., è del pari inammissibile.

La difesa si limita ad opporre generiche asserzioni alla corretta e coerente motivazione della Corte d'appello, la quale si basa su elementi negativi di valutazione, quali i precedenti penali, anche specifici, la professionalità dell'attività di spaccio e la spregiudicata personalità del soggetto, quale emerge dagli atti.

10. - Il ricorso presentato nell'interesse di S.F. è solo parzialmente fondato.

10.1. - Il primo motivo, con cui il ricorrente censura vizi della motivazione circa la valutazione delle dichiarazioni accusatorie del coimputato M. con riferimento al capo 9 dell'imputazione, è inammissibile, perchè consiste nella mera riproposizione di doglianze già esaminate e motivatamente disattese dai giudici di primo e secondo grado, con conforme valutazione. Deve in ogni caso rilevarsi che la Corte territoriale ha correttamente motivato in ordine alla piena responsabilità del ricorrente, con riferimento al reato di danneggiamento di cui al capo 9, affermando che "non vi è ragione per ritenere M. inattendibile quanto alla ricezione della confidenza circa l'esecuzione del danneggiamento notturno ad opera dello stesso La., insieme a S. e a Ma.Va., atteso che egli ne parlò spontaneamente ai carabinieri (...), indicò dei precisi elementi riscontrabili e dunque sintomatici della sua attendibilità (...) le dichiarazioni di M. trovano poi puntuali riscontri individualizzanti in quelle di Fo.St.: costui, solo qualche minuto prima del danneggiamento, vide per le strade di (OMISSIS), S. insieme a La. e a Ma. (...), in definitiva, gli elementi acquisiti dimostrano in modo univoco la piena responsabilità di S., mentre la ricostruzione alternativa secondo cui il danneggiamento sarebbe stato opera di altre persone ostili a M. è rimasta a livello di ipotesi, non essendo stato acquisito alcun indizio al riguardo" (punto 52.1, sentenza appello, pp. 92-93-94). Nè la difesa è stata in grado di opporre a tali affermazioni elementi che ne pongano in discussione la tenuta logica.

10.2. - Il secondo motivo - con cui il ricorrente lamenta la manifesta inadeguatezza, contraddittorietà ed illogicità della sentenza nella parte in cui, con riferimento al capo 10 dell'imputazione, ha motivato l'aumento di pena per la continuazione in modo manifestamente illogico, oltre che contraddittorio rispetto a quello operato, con riferimento al capo 23 dell'imputazione, dal primo giudice - è fondato. Effettivamente, dal tenore della sentenza impugnata non emerge quali siano stati i criteri di valutazione applicati dalla Corte di merito nel computare gli aumenti di pena in relazione alla diversa gravità dei reati-satellite. La censura è, in ogni caso, assorbita dall'annullamento della sentenza in punto di pena, che riguarda in via diretta le fattispecie di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, ai sensi di quanto osservato ai punti 6. e 7., ma si riverbera anche sui reati-satellite.

10.3. - Il terzo motivo, con cui il ricorrente lamenta la manifesta inadeguatezza, contraddittorietà ed illogicità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che i capi 11 e 12 dell'imputazione, non si riferissero ad un unico reato, è manifestamente infondato. La Corte d'appello ha correttamente affermato trattarsi di una duplice contestazione perchè le imputazioni tengono conto in modo puntuale delle dichiarazioni dell'acquirente P., il quale distingue le cessioni operate nei suoi confronti da S. insieme a M. da quelle operate da S. col concorso, invece, di Co..

10.4. - Il quarto motivo - con cui la difesa censura la manifesta contraddittorietà ed illogicità della motivazione della sentenza, a seguito di un travisamento della prova, nella parte in cui, in relazione al capo 23, ha erroneamente ritenuto che il concorrente nel reato, Sc.Da., non risultasse sottoposto ad indagini quando venne sentito e, pertanto, ha ritenuto che le sue dichiarazioni fossero utilizzabili - è anch'esso manifestamente infondato. La prospettazione difensiva, reiterata con il ricorso per cassazione, è puntualmente smentita dalla Corte d'appello, la quale ritiene che le dichiarazioni di Sc.Da. siano "correttamente utilizzabili nei confronti di terzi nella sentenza, perchè non risulta che egli fosse già sottoposto alle indagini quando le rese. Anzi, non fu nemmeno destinatario dell'informativa finale dei carabinieri di Oristano e dunque l'inutilizzabilità delle dichiarazioni di Sc. concerne soltanto le affermazioni autoindizianti rese in quel contesto" (punto 52.3, p. 95, sentenza d'appello).

10.5. - Il quinto motivo, con cui si censura la ritenuta l'insussistenza dell'ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, è del pari manifestamente infondato.

La Corte d'appello cagliaritana ha adeguatamente motivato in merito alla non configurabilità della fattispecie del richiamato comma 5, affermando che "l'attività di S. nell'ambito del narcotraffico era incessante, riguardava varie tipologie di sostanze stupefacenti (sia leggere, che pesanti), e che egli sviluppò nel tempo una serie di collaborazioni, anche in parallelo, per meglio gestire l'attività illecita (con M.G., con F.P., con Co.Mi., con Lo.Gi.), che era in grado di rifornire nello stesso contesto temporale numerosi clienti"; elementi che assumono rilievo ostativo, anche a fronte della condizioni di tossicodipendenza dell'imputato.

11. - Il ricorso presentato nell'interesse di F. è infondato. La sentenza impugnata deve essere, tuttavia, annullata nei suoi confronti, limitatamente al trattamento sanzionatorio, come già evidenziato sub 7.

11.1. - Il primo motivo di ricorso, con cui la difesa censura la violazione degli artt. 405, 521 e 522 c.p.p., in ordine alla mancata correlazione tra i fatti contestati al capo 6 dell'imputazione ed i fatti ritenuti in sentenza, nonchè per la violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 in ordine all'insussistenza dell'elemento oggettivo del reato, è infondato.

La Corte territoriale ha adeguatamente motivato sul primo profilo, affermando che la ricostruzione del ruolo di F. come soggetto che fornì il denaro necessario per l'acquisizione della partita di cocaina "non concreta, nella sostanza, una reale mutazione del fatto contestato come cessione della sostanza stupefacente a M.: infatti, proprio grazie a quel denaro M. riuscì ad acquisire quella droga che, altrimenti, avrebbe potuto essere acquistata direttamente da F.". Quanto, poi, all'elemento oggettivo del reato i giudici di merito correttamente evidenziano che, dalle intercettazioni ambientali, emergono in modo chiarissimo i dialoghi intercorrenti tra F. e M., privi di espressioni allusive o criptiche, che dimostrano che: F. fornì il denaro per l'operazione, che essa aveva ad oggetto cocaina, che la vendita della droga sarebbe stata curata da M. e da S., i quali fissarono anche il prezzo, così da assicurare un discreto guadagno sia per loro che per F.; che costui discusse per almeno due volte, sia con M. e S. insieme, che col solo M., delle modalità di spaccio e del prezzo; che l'acquisto della cocaina si concluse già nella serata del 27 febbraio, perchè da quel momento l'abitazione di M. fu meta di un fitto viavai di acquirenti, diversamente dai giorni precedenti, quando invece egli era stato costretto a negarsi; che lo stesso M., nel parlare con un interlocutore sconosciuto, il 2 marzo rivelò di avere da pochi giorni a disposizione della cocaina da vendere (punto 51.2., sentenza di appello).

11.2. - Le considerazioni appena svolte valgono anche per il secondo motivo di doglianza, perchè anch'esso si riferisce alla medesima fattispecie, in relazione alla quale - come visto - i giudici di primo e secondo grado hanno analiticamente evidenziato le ragioni della sussistenza del reato, sotto il profilo sia oggettivo che soggettivo.

11.3. - Il terzo motivo di ricorso - con cui la difesa censura la violazione di legge con riferimento agli artt. 56 e 629 c.p., per l'omesso accertamento dell'elemento oggettivo del reato e dell'evento conseguenza della minaccia (capo 8) - è inammissibile.

Le generiche doglianze difensive rappresentano la mera riproposizione di rilievi già esaminati e motivatamente disattesi dalla Corte d'appello, la quale, con valutazione pienamente logica e coerente, ha adeguatamente motivato in merito alla sussistenza dell'elemento oggettivo del reato, affermando che "le minacce indirizzate a M. via sms (sintetizzate e in parte testualmente citate nel capo 8) dell'imputazione) furono assai intense e pressanti e giunsero ad alludere a un attentato dinamitardo e a invocare la morte del destinatario. Erano dunque minacce dotate di una intrinseca ed evidente capacità intimidatoria" (punto 51.4, pp. 90 sentenza appellata).

11.4. - Il quarto motivo - con cui l'imputato censura, in relazione alla stessa fattispecie, la violazione degli artt. 56, 629 e 393 c.p., e la manifesta contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine all'omesso accertamento della sussistenza di un preteso diritto di credito da parte del ricorrente e all'omesso accertamento dell'elemento psicologico - è inammissibile.

La difesa oppone, anche in questo caso, mere indimostrate asserzioni alla motivazione della sentenza, la quale risulta logicamente corretta, nella parte in cui ritiene l'origine illecita del credito vantato da F. nei confronti di M., precisando che dalle intercettazioni non emerge che F. avesse una lecita ragione di credito "e il fatto che M., nella sua denuncia dopo l'attentato del (OMISSIS), abbia ricollegato le richieste di denaro di F. al proprio debito verso i desulesi o al fatto che F. sostenesse di avergli prestato del denaro per pagare un avvocato appare una evidente menzogna per coprire l'operazione di smercio della cocaina finanziata proprio da F., operazione della quale infatti M. non ha mai parlato agli inquirenti e per la quale era rimasto esposto finanziariamente verso F.. E comunque, quand'anche la ragione del credito vantato da F. risiedesse in un "aiuto" ai desulesi per recuperare il loro credito o per la restituzione di un prestito, la qualificazione della condotta non sarebbe differente e si tratterebbe pur sempre di un tentativo di estorsione" (punto 51.4, p. 91 sentenza appellata).

11.5. - Il quinto motivo, riferito al capo 37 dell'imputazione, è inammissibile per analoghe ragioni.

La Corte territoriale ha adeguatamente motivato sul punto, affermando che, F. agiva nell'interesse di altre persone per acquisire una fornitura di marijuana, "(la "verdura", che però tale non era perchè poco prima era stata definita addirittura "ferramenta") destinata a tale Gi.. E che l'operazione fosse andata in porto emerge dalla comunicazione dell'8.3.2016 dalla quale risulta che F. aveva effettivamente recapitato la "cassetta" all'interessato.

E' dunque evidente che nessun sequestro poteva essere eseguito nei confronti di F. perchè egli, per sua ammissione, si disfece della fornitura di marijuana recapitandola all'effettivo acquirente".

Quanto, poi, alla capacità drogante della sostanza, da una conversazione intercettata emerge che la droga era di ottima qualità (punto 51.5, p. 91 della sentenza appellata). A fronte di tali analitiche argomentazioni, la difesa si limita, ancora una volta, a contrapporre una propria arbitraria lettura alternativa dei fatti.

11.6. - Il sesto motivo, con cui la difesa censura la violazione di legge con riferimento al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e vizi della motivazione in relazione al mancato riconoscimento di tale ipotesi di minore gravità, è anch'esso inammissibile. La difesa non è in grado di contestare, sul piano logico, le corrette affermazioni dei giudici di primo e secondo grado, secondo cui i reati in materia di stupefacenti addebitati a F. non possono essere riqualificati i sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, perchè in entrambi i casi vengono in gioco quantitativi non certo modesti: il capo 6 ha ad oggetto una partita di cocaina del prezzo di 2.000 Euro; il capo 37 ha ad oggetto una quantità di marijuana rapportato ad una "cassetta". Del resto la difesa non riesce a negare compiutamente che i fatti si inquadrino in un'attività criminale piuttosto estesa (punto 51.6, p. 92 sentenza appellata).

11.7. - Anche il settimo motivo di ricorso, riferito alla misura di sicurezza della libertà vigilata, sul presupposto che il F. sia un soggetto pericoloso dedito all'attività di narcotraffico, è inammissibile.

Preliminarmente, va rilevato che l'imputato si è limitato ad una censura meramente generica e non circostanziata, mentre la Corte cagliaritana ha ben motivato, affermando che "le caratteristiche del suo modo di agire, la sua propensione a ricorrere a pesanti intimidazioni per riscuotere crediti di droga e un curriculum criminale in cui spiccano ben tre condanne per minacce, rivelano la correttezza del giudizio di pericolosità sociale formulato dal Gup e dunque la piena legittimità dell'applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata" (punto 51.7, p. 92 della sentenza appellata).

12. - In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di M.G., S.F. e F.P., limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte d'appello di Cagliari. I ricorsi dei predetti imputati devono essere rigettati nel resto. Il ricorso di Z.R. deve essere rigettato, con condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata nei confronti di M.G., S.F. e F.P., limitatamente al trattamento sanzionatorio, e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte d'appello di Cagliari; rigetta nel resto i ricorsi dei predetti imputati. Rigetta il ricorso di Z.R. e lo condanna al pagamento delle spese processuali.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 16 maggio 2019.