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Riparazione per ingiusta detenzione estradizionale e termine biennale (Cass. 14869/20)

13 maggio 2020, Cassazione penale

Il termine biennale per la proposizione della domanda di riparazione di ingiusta detenzione estradizionale passiva inizia a decorrere, nel caso misura coercitiva adottata nell'ambito di procedimento di estradizione passiva dalla sentenza sfavorevole all'estradizione o dal provvedimento assolutorio adottato dall'autorità straniera?

Il procedimento, di natura camerale (secondo le forme previste dall'art. 127 cod. proc. pen.), disciplinato dall'art. 646 cod. proc. pen.:

a) si svolge nel necessario contraddittorio con Ministero dell'economia e delle finanze;

b) è dominato dal principio dispositivo proprio del processo civile e dalla ripartizione fra le parti (privata e pubblica) dell'onere della prova per la parte privata, dei fatti costitutivi del diritto vantato e, per la parte pubblica, dei fatti impeditivi il sorgere del diritto, costituiti dal dolo o dalla colpa grave caratterizzante il comportamento della parte privata quale causa ovvero concausa dell'emissione del provvedimento restrittivo della sua libertà personale; i poteri officiosi del giudice non gli consentono di surrogare all'inerzia ed agli oneri di prospettazione, di allegazione o di impulso probatorio del richiedente;

c) è definito con ordinanza quale che sia il contenuto della decisione (in rito ovvero nel merito), ricorribile per cassazione.

Corte di Cassazione

sezione I penale

 sentenza n. 14869  

Presidente: IASILLO ADRIANO
Relatore: VANNUCCI MARCO
udienza 26 febbraio 2020  deposito motivazioni 13 maggio 2020

 

sul ricorso proposto da: BA nato a KHOLMSK( RUSSIA) il 09/07/1960 avverso l'ordinanza del 09/04/2019 della CORTE APPELLO di ROM

Audita la relazione svolta dal Consigliere MARCO VANNUCCI; Letta la requisitoria depositata dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott. Giovanni Di Leo, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso in ragione della sua manifesta infondatezza.

RITENUTO IN FATtO

1. Con ordinanza emessa il 9 aprile 2019 la Corte di appello di Roma, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha dichiarato il "non luogo a provvedere" sulla istanza di AB volta a ottenere la revoca dell'ordinanza con cui, il 13 marzo 2014, la stessa Corte di appello dichiarò inammissibile la domanda di riparazione per l'ingiusta detenzione da lei subita in procedimento di estradizione passiva per l'esecuzione di mandato di arresto internazionale emesso dall'autorità giudiziaria di Minsk (Bielorussia). ò

1.1 La motivazione-rsione è nel senso che: nel periodo indicato nella domanda la ricorrente venne ristretta in carcere in esecuzione del sopra indicato mandato internazionale di arresto nell'ambito di procedimento di estradizione passiva; la medesima sorte era toccata ad AP, all'epoca convivente more uxorio con la ricorrente; la sentenza dichiarativa della sussistenza delle condizioni per concedere l'estradizione di B e P venne annullata senza rinvio dalla Corte di cassazione (sentenza del 19 giugno 2006) a fronte del pericolo di violazione dei diritti umani nello Stato richiedente l'estradizione; il procedimento penale pendente in Minsk, nel cui ambito vennero emessi i due mandati di arresto internazionale in Italia eseguiti, venne definito con decreto di archiviazione del 15 novembre 2011; a seguito di tale evento, tali persone presentarono rispettivamente alla Corte di appello di Roma, con distinti atti, due domande di riparazione per ingiusta detenzione che vennero dichiarate inammissibili, con distinte ordinanze, sul rilievo della loro tardività (esse vennero presentate oltre il termine di due anni decorrente dal giorno di emissione della sentenza della Corte di cassazione del 19 giugno 2006, sopra indicata); i ricorsi per cassazione presentati da tali persone contro dette ordinanze ebbero esiti fra loro contraddittori; con sentenza del 21 aprile 2015 la Corte di cassazione annullò l'ordinanza di inammissibilità della domanda presentata da P sul rilievo che il termine biennale di proposizione della domanda di riparazione per ingiusta detenzione cautelare subita nel corso di procedimento di estradizione passiva decorre dal giorno di emissione del provvedimento assolutorio emesso dall'autorità giudiziaria straniera e che tale termine non era decorso al momento della presentazione della domanda da parte di tale ricorrente; l'annullamento venne disposto con rinvio alla Corte di appello di Roma per l'esame del merito della domanda; a definizione del giudizio di rinvio la Corte di appello di Roma accertò il diritto di P alla riparazione da ingiusta detenzione cautelare; con sentenza emessa il 15 aprile 2016 la Corte di cassazione rigettò invece il ricorso di B sul rilievo della correttezza in diritto della decorrenza del termine biennale, dovendosi valutare l'ingiustizia della detenzione verificando se risulti ex post accertata l'insussistenza di specifiche condizioni di applicabilità delle misure coercitive individuate dall'ad. 714, comma 3, cod. proc. pen. per una sentenza favorevole all'estradizione (anche perché La ricorrente non aveva affrontato in alcun modo la questione relativa ai presupposti per la riparazione, e cioè se chi la detenzione ha subito abbia dato o concorso a dare causa alla detenzione con dolo ovvero colpa grave); il contrasto nell'interpretazione della norma di legge relativa alla decorrenza del termine per la proposizione della domanda riparatoria, riscontrabile nelle due sentenze della Corte di cassazione, non è privo di correttivi, alla luce del precetto recato dall'ad. 618, comma 1, cd. proc. pen.; al di fuori della norma da ultimo citata "non può esservi spazio per un tardivo intervento del giudice di merito, "vedendosi incontrovertibilmente in tema di interpretazione del diritto...la cui omogeneità è nel nostro sistema rimessa esclusivamente alla corte Suprema, ai sensi dell'ad. 65 dell'Ordinamento Giudiziario"; la richiesta è dunque improcedibile.

2. Per la cassazione di tale ordinanza B ha proposto ricorso (atto sottoscritto dal difensore, avvocato MCC) con cui deduce l'erroneità in diritto della decisione relativa all'incidente di esecuzione proposto da essa ricorrente in quanto: nel caso di specie sussisteva contrasto di giudicati fra le decisioni relative, rispettivamente, alla domanda riparatorice di P e a quella di essa ricorrente (aventi identico contenuto) dal (..) identica situazione in fatto è stata "definita in maniera differente"; il richiamo al precetto recato dall'ad. 618, comma 1, cod. proc. pen., contenuto nell'ordinanza impugnata, costituisce un fuor d'opera, posto che esso "non trova ambito di applicazione nel caso concreto"; al momento della decisione sul ricorso di essa ricorrente non era infatti sussistente alcun contrasto interno alla giurisprudenza della Corte quanto alla decorrenza del termine di cui all'ad. 315, comma 1, cod. proc. pen. nel caso di detenzione subita nell'ambito di procedimento di estradizione passiva; l'unica sentenza sul punto esistente in quel momento era quella emessa dalla Corte di cassazione sul ricorso di P; è stata la successiva sentenza resa dal giudice di legittimità sul ricorso di essa B a determinare contrasto interno alla giurisprudenza di legittimità; la richiesta di revoca "avrebbe consentito un'interpretazione estensiva dell'ad. 673 c.p.p., considerando che l'ordinanza è per sua natura un provvedimento dinamico che non soggiace alle regole dell'irrevocabilità"; inoltre, la Corte di appello "avrebbe dovuto prendere atto che nel nostro ordinamento non sussiste alcuna norma di tutela per sanare l'abnormità giuridica che si è verificata nel caso in questione".

3. Il Procuratore generale ha depositato memoria con cui ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso in ragione della sua manifesta infondatezza, in quanto: al giudice di merito è stato chiesto di revocare "una ordinanza ritualmente impugnata, a suo tempo, per cassazione e confermata, sussistendo pertanto un giudicato esecutivo, in assenza di una qualsivoglia diversità del fatto"; non vi è possibilità di rimediare all'ipotizzato errore di diritto costituito dall'interpretazione di legge offerta dalla sentenza della Corte di cassazione che a suo tempo confermò la decisione di merito di inammissibilità, per tardività della relativa proposizione, della domanda riparatoria proposta dalla ricorrente, "né allo stato il ricorso può essere qualificato come ricorso straordinario per errore di fatto, non denunziato in questi termini.

4. Il Ministero dell'economia e delle finanze, regolarmente intimato, non si è costituito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

L'ordinanza impugnata, nonostante la, non felice, formula del non liquet, afferma, in buona sostanza, che al giudice dell'esecuzione la legge processuale non attribuisce il potere di incidere, mediante emissione di provvedimento di segno contrario, sul giudicato formatosi quanto alla dichiarazione di inammissibilità (emessa in applicazione dell'art. 315, comma 1, cod. proc. pen.) di domanda di riparazione per, dedotta, ingiusta (alla luce del successivo decreto di archiviazione delle accuse mosse in via cautelare emesso da autorità giudiziaria di altro Stato) detenzione cautelare subita nell'ambito di procedimento di estradizione passiva per l'esecuzione di mandato di arresto internazionale emesso da autorità giudiziaria straniera, quale conseguenza di altro giudicato formatosi (alla luce di divergente interpretazione delle norme processuali relative al presupposto di ammissibilità) su domanda, dai contenuti analoghi, proposta da altra persona arrestata in esecuzione del medesimo provvedimento giurisdizionale quale concorrente nel reato previsto dalla legge dello Stato richiedente l'estradizione: di qui, l'affermazione della inammissibilità dell'istanza introduttiva dell'incidente di esecuzione proposta dalla ricorrente.

Premesso che, alla luce delle argomentazioni rinvenibili in Corte cost., sent. n. 231 del 2004, la giurisprudenza di legittimità è da tempo orientata nel senso che l'arresto a fini estradizionali può dar luogo al diritto alla riparazione per ingiusta detenzione subita previsto dall'art. 314 cod. proc. pen. quando la procedura di estradizione passiva si concluda senza l'adozione di una sentenza irrevocabile favorevole all'estradizione (in questo senso, cfr., per tutte: S.U., n. 6624 del 27 ottobre 2011, dep. 2012, Marinaj, Rv. 251691), non assumendo, invece, alcun rilievo la mancanza di una delle pronunce liberatorie rispettivamente previste dall'art. 314, commi 1 e 3, cod. proc. pen., alla luce del precetto recato dall'art. 714, comma 2, cod. proc. pen., escludente l'applicazione delle disposizioni contenute nei precedenti artt. 273 e 280 (in questo senso, cfr.: Sez. 4, n. 52813 del 19 settembre 2018, Maroci, Rv. 275197), si osserva che, nel caso di specie, risulta dall'ordinanza impugnata che:

a) la ricorrente venne assoggettata a misura coercitiva cautelare nell'ambito di procedimento di estradizione per l'esecuzione di mandato di arresto internazionale emesso da autorità giudiziaria della Bielorussia per la commissione, in concorso con P, di reato di truffa;

b) analoga misura venne applicata a P nell'ambito di, connesso, procedimento di sua estradizione per l'esecuzione di mandato di arresto internazionale emesso da autorità giudiziaria della Bielorussia per la commissione, in concorso con la ricorrente, di reato di truffa;

c) con sentenza n. 32623 del 19 giugno 2006 questa Corte annullò senza rinvio la sentenza con cui la Corte di appello di Roma ebbe a dichiarare la sussistenza delle condizioni per l'estradizione della ricorrente in Bielorussia, affermando che tali condizioni non sussistevano in considerazione del pericolo di violazione dì diritti fondamentali della persona da parte dello Stato richiedente;

d) analoga decisione di segno negativo alla richiesta estradizione, venne assunta dalla Corte (sentenza del pari emessa il 19 giugno 2006) quanto a P;

e) con decreto emesso il 15 novembre 2011 l'autorità giudiziaria della Bielorussia dispose l'archiviazione del procedimento penale relativo alle accuse mosse alla ricorrente e a P per la commissione del reato indicato nel mandato di arresto internazionale;

f) con sentenza n. 46429 del 4 novembre 2015 (la data "15.4.2016", indicata nell'ordinanza impugnata, è conseguenza di errore di trascrizione) questa Corte dichiarò inammissibile il ricorso di B per la cassazione dell'ordinanza con cui la Corte di appello di Roma ebbe a dichiarare inammissibile la domanda di riparazione per l'ingiusta detenzione da essa subita nell'ambito del menzionato procedimento di estradizione passiva; e ciò fece condividendo l'interpretazione del giudice di merito, secondo cui il termine biennale per la proposizione di tale domanda previsto, a pena di inammissibilità, dall'art. 315, comma 1, cod. proc. pen. inizia a decorrere, nel caso misura coercitiva adottata nell'ambito di procedimento di estradizione passiva, dal momento dall'accertata insussistenza di una delle specifiche condizioni di applicabilità delle misure coercitive individuate dall'art. 714, comma 3, cod. proc. pen. per una sentenza favorevole all'estradizione, da individuarsi nel giorno 19 giugno 2006, di emissione della sentenza negatoria dei presupposti per l'estradizione delle ricorrente verso la Bielorussia, con la conseguenza che tale termine era da tempo trascorso al momento della presentazione della domanda volta ad ottenere riparazione per ingiusta detenzione (8 novembre 2013);

h) con sentenza n. 22058 del 21 aprile 2015 questa Corte, in accoglimento del ricorso presentato da P per la cassazione di ordinanza della Corte di appello di Roma di segno analogo a quella adottata sulla domanda delta ricorrente, annullò tale ordinanza, con rinvio alla Corte di appello di Roma per nuovo esame della domanda per la riparazione da ingiusta detenzione a suo tempo presentata da P, in quanto, dal coordinamento fra il precetto contenuto nell'art. 714, comma 2, cod. proc. pen. e quelli rispettivamente recati dai precedenti artt. 314 e 315 (contenuti nel titolo I del libro IV del codice, riguardanti le misure coercitive), nel caso di detenzione subita nel corso di procedimento di estradizione passiva il termine biennale previsto dall'art. 315, comma 1, per proporre la domanda di riparazione non può che decorrere, analogamente a quanto previsto per i procedimenti sorti nell'ambito della giurisdizione italiana, dal provvedimento assolutorio adottato dall'autorità straniera e non già dalla sentenza dell'autorità giudiziaria italiana "che ha annullato il provvedimento applicativo della misura cautelare"; non consentendo la disposizione da ultimo citata di ancorare la decorrenza del termine biennale se non al provvedimento che ha posto fine al procedimento penale instaurato a carico dell'istante e nel cui ambito venne adottata la misura coercitiva a norma dell'art. 714 del codice;

i) a definizione del giudizio di rinvio la Corte di appello di Roma accertò il diritto di P alla riparazione.

La Corte di appello di Roma, espressamente dalla ricorrente adita in funzione di giudice dell'esecuzione, ha come detto escluso, con l'ordinanza impugnata, l'ammissibilità della istanza di revoca dell'ordinanza dichiarativa dell'inammissibilità della domanda a suo tempo dalla stessa ricorrente presentata per ottenere riparazione da ingiusta detenzione subita nell'ambito del procedimento di estradizione passiva sopra menzionato sul rilievo che il contrasto nell'interpretazione della norma relativa alla decorrenza del termine biennale previsto dall'art. 315, comma 1, cod. proc. pen., ravvisabile nelle sopra indicate sentenze di legittimità (quella emessa il 21 aprile 2015 sul ricorso di P; quella emessa il 4 novembre 2015 sul ricorso di B), si risolve solo con l'intervento delle sezioni unite della Corte di cassazione in applicazione dell'art.618 cod. proc. pen.

Tale motivazione è manifestamente erronea in diritto: la disposizione di legge processuale da ultimo indicata è applicabile solo all'interno del giudizio di legittimità in funzione dell'esame di questione di diritto sottoposta all'esame della Corte di cassazione da ricorso per la cassazione di provvedimento giudiziale e non entra, dunque, in giuoco dopo che il giudizio è stato definito con sentenza, come nel caso di specie. L'affermazione elude le questioni poste dalla ricorrente, rispettivamente relative, per quanto è dato comprendere dal ricorso: all'affermato "contrasto tra giudicati" determinatosi dalle sopra indicate interpretazioni, di segno divergente, della medesima norma di legge (art. 135, comma 1, cod. proc.) rispettivamente offerte dalle due sentenze di legittimità sopra richiamate; alla "interpretazione estensiva dell'art. 673 c.p.p., considerando che l'ordinanza è un provvedimento dinamico che non soggiace alle regole dell'irrevocabilità".

Il procedimento per la decisione sulla domanda giudiziale di riparazione da ingiusta detenzione cautelare si svolge secondo le regole processuali proprie del procedimento relativo alla decisione sulla domanda di riparazione dell'errore giudiziario nei limiti della relativa compatibilità con le disposizioni contenute negli artt. 314 e 315 cod. proc. pen. (art. 315, comma 3, cod. proc.).

Per quanto qui interessa, il procedimento, di natura camerale (secondo le forme previste dall'art. 127 cod. proc. pen.), disciplinato dall'art. 646 cod. proc. pen.:

a) si svolge nel necessario contraddittorio con Ministero dell'economia e delle finanze (art. 646, comma 2, cod. proc. pen.), in quanto soggetto astrattamente avente interesse a contrastare la domanda avente per oggetto il pagamento di somma di danaro e, comunque, destinatario dell'eventuale decisione di condanna pronunciata in accoglimento della domanda di chi deduca di avere diritto alla riparazione in discorso (la mancata instaurazione del contraddittorio con tale parte pubblica necessaria non determina però inefficacia assoluta nei suoi confronti della decisione sulla domanda, ma solo nullità di ordine generale prevista dall'art. 127, comma 5, cod. proc. pen., a regime intermedio (art. 180 cod. proc. pen.) in quanto rientrante nell'ambito di applicabilità del successivo art. 178, lett. c): essa è dunque rilevabile d'ufficio e deve essere eccepita prima della conclusione del procedimento in camera di consiglio, se la parte pubblica è presente, ovvero per la prima volta con il ricorso per cassazione contro l'ordinanza definitiva del procedimento: cfr., per tutte: Sez. U., n.35760 del 9 luglio 2003, Min. economia in proc. Azgejui, Rv.225471; Sez. 3, n. 19181 del 21 marzo 2018, Ministero Economia Finanze e altro, Rv. 272876);

b) è dominato dal principio dispositivo proprio del processo civile e dalla ripartizione fra le parti (privata e pubblica) dell'onere della prova (art. 2697 cod. civ.) per la parte privata, dei fatti costitutivi del diritto vantato e, per la parte pubblica, dei fatti impeditivi il sorgere del diritto, costituiti dal dolo o dalla colpa grave caratterizzante il comportamento della parte privata quale causa ovvero concausa dell'emissione del provvedimento restrittivo della sua libertà personale; e ciò ancorché la domanda riparatoria si origini da rapporto obbligatorio di diritto pubblico, per ciò comportante il rafforzamento dei poteri officiosi del giudice quanto al compimento di atti di istruzione, senza potersi tuttavia surrogare all'inerzia ed agli oneri di prospettazione, di allegazione o di impulso probatorio del richiedente (in questo senso, cfr., per tutte: Sez. 4 , n. 18828 del 28 marzo 2019, Di Zillo, Rv. 276261; Sez. 4, n. 18848 del 21 febbraio 2012, Ferrante, Rv. 253555; Sez. 4, n. 23630 del 2 aprile 2004, Cerminara, Rv. 229074);

c) è definito con ordinanza quale che sia il contenuto della decisione (in rito ovvero nel merito), ricorribile per cassazione (art. 646, comma 3; cod. proc. pen.).

Tale specifica disciplina processuale non contiene alcuna disposizione di segno analogo a quella contenuta, quanto alle decisioni assunte dal giudice dell'esecuzione, nell'art. 666, comma 2, cod. proc. pen. (per quanto qui interessa, obbligo giudiziale di dichiarare de plano l'inammissibilità di domanda «che costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi»), recante preclusione processuale all'esame di istanza basata su elementi di fatto o questioni di diritto identici a quelli dal giudice dell'esecuzione valutati in precedente ordinanza di rigetto: una preclusione, dunque, allo stato degli atti che, in quanto riferita al solo dedotto e non anche al deducibile, non opera quando vengano dedotti fatti o questioni di diritto che non hanno formato oggetto di precedente decisione di segno negativo (in questo senso, cfr., per tutte: Sez. U., n. 18288 del 21 gennaio 2010, Beschi, Rv. 246651; Sez. U. n. 40151 del 19 aprile 2018, Avignone, Rv. 273650). In conclusione, l'ordinanza definitiva (per ragioni di rito ovvero di merito) del procedimento relativo a domanda di riparazione da ingiusta detenzione ha natura sostanziale di sentenza, in quanto relativa all'accertamento (ovvero alla negazione) del diritto soggettivo attribuito dall'art. 314 cod. proc. pen. e in mancanza di disposizione del tipo di quella contenuta nel citato art. 666, comma 2: essa quindi passa in cosa giudicata (art. 648 cod. proc. pen.) quando non sia stato proposto ricorso per la sua cassazione ovvero quando tale ricorso sia stato dichiarato inammissibile ovvero rigettato, con conseguente inammissibilità di successiva domanda (in questo senso, cfr. Sez. 4, n. 24222 del 27 gennaio 2015 , Rinaldi, Rv. 263719). Quanto ai fatti successivi alla formazione del giudicato che ne consentano il suo superamento da parte del giudice dell'esecuzione, si osserva che nel caso di specie manca il presupposto di applicazione dell'art. 673 cod. proc. pen., invocato, in forma dubitativa, dalla ricorrente, dal momento che il giudicato sulla questione di diritto relativa alla domanda riparatoria a suo tempo da lei proposta si è formato dopo (per effetto della sentenza n. 46429 del 4 novembre 2015) la pronuncia di legittimità sulla domanda di Piatrou (sentenza n. 22508 del 21 aprile 2015 e successiva ordinanza di accoglimento della domanda in sede di rinvio). Per mero debito di ragione è peraltro in questa sede da ribadire che la sentenza di condanna passata in giudicato non può essere revocata neppure parzialmente, in applicazione dell'art. 673 cod. proc. pen. nell'ipotesi in cui, in assenza di innovazione legislativa ovvero di declaratoria di incostituzionalità di norma di legge, si verifichi un mutamento dell'interpretazione giurisprudenziale, anche se derivante da intervento delle sezioni unite della Corte di cassazione, di una disposizione di legge rimasta invariata, incidente sull'illiceità penale della condotta ovvero sul trattamento sanzionatorio, essendo tale mutamento privo dell'attitudine a modificare il diritto oggettivo (in questo dr, fra le molte: Sez. 7, n. 10458 del 25 gennaio 2019, Petullà, Rv. 276294; Sez. 1, n. 11076 del 15 novembre 2016, dep. 2017, Bibo, Rv. 269759; Sez. 1, n. 20476 del 24 aprile 2014, Preziosi, Rv. 259919; Sez. 1, n. 13411 del 21 febbraio 2013, Arpaia, Rv. 255364). Quanto al dedotto "contrasto di giudicati", si ribadisce che l'art. 669 cod. proc. pen. non consente al destinatario di una sentenza di condanna o di estinzione del reato per prescrizione di ottenere dal giudice dell'esecuzione la revoca di tali pronunce quando sia divenuta definitiva l'assoluzione in autonomo giudizio nei confronti del coimputato del medesimo reato (cfr.: Sez. 1, n. 39538 del 24 giugno 2013, Montisci, Rv. 256914; Sez. 1, n. 47794 del 11 dicembre 2008, Cimino, Rv. 242629). Tale principio vale anche nel caso di specie, in cui la domanda della ricorrente venne considerata inammissibile con ordinanza divenuta irrevocabile (per effetto della sopra citata sentenza di legittimità del 4 novembre 2015 ) mentre venne accolta (nel giudizio di rinvio successivo all'annullamento disposto dalla sopra citata sentenza di legittimità del 21 aprile 2015) quella di Piatrou, già detenuto per l'esecuzione di domanda di estradizione fondata sulla commissione di reato in concorso con la ricorrente. Non spetta a questa Corte indicare in questa sede se l'ordinamento processuale vigente preveda un rimedio alla situazione di fatto dedotta dalla ricorrente; essendo qui necessario solo confermare, sulla base della motivazione sopra indicata, sostitutiva di quella caratterizzante l'ordinanza impugnata (art. 619, comma 1, cod. proc. pen.), la declaratoria di inammissibilità dell'istanza, dalla ricorrente rivolta alla Corte di appello di Roma, in funzione di giudice dell'esecuzione, di revoca dell'ordinanza di inammissibilità della domanda di riparazione da ingiusta detenzione cautelare pronunciata il 13 marzo 2014 dallo stesso giudice a definizione del procedimento di cognizione a suo tempo iniziato dalla ricorrente ai sensi degli artt. 315 e 646 cod. proc. pen.: non spetta infatti al giudice dell'esecuzione intervenire sul giudicato formatosi su tale decisione di rito in applicazione nel caso concreto dell'art. 669 cod. proc. pen. ovvero del successivo art. 673. Il ricorso deve in conclusione essere rigettato; con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali anticipate da