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Rifiuto di consegnare all'altro genitore il minore: è sottrazione? (Cass. 8076/12)

1 marzo 2012, Cassazione penale

Il rifiuto di consegna con trattenimento per poche ore della piccola non ha avuto un rilievo tale da integrare il reato di sottrazione di persona incapace.

L'art. 574 c.p. è posto a tutela dell'esercizio della potestà dei genitori o di analoghe situazioni soggettive previste nell'interesse della persona incapace, ed è violato ogniqualvolta l'agente, contro la volontà dell'avente diritto, operi una sottrazione o eserciti una ritenzione di quella persona. In linea generale tale violazione può dirsi consumata qualunque sia il periodo di tempo in cui la sottrazione o la ritenzione si protraggano, dato che la condotta corrispondente a quella della norma penale si manifesta immediatamente come lesiva della volontà e quindi del potere-dovere del titolare.

Quando ci sono più soggetti titolari della potestà dei genitori o di analoghe situazioni soggettive, e la condotta vietata dalla norma venga addebitata a uno di questi a danno di altri, è compito dell'interprete stabilire la linea di demarcazione tra quella che deve essere intesa come una manifestazione dell'esercizio della propria potestà e il comportamento che si configuri come diretto a contrastare il diritto dell'altro, dovendosi considerare, a questo fine, la gerarchia che la stessa legge pone tra le potestà, con prevalenza di una volontà sull'altra, nonchè, ove sussista, il regolamento che il giudice ha determinato con gli eventuali provvedimenti di affidamento. Sempre peraltro nella considerazione che nella specie si tratta di situazioni potestative e cioè non dettate nell'interesse esclusivo del loro titolare, ma per il soddisfacimento di quello della persona incapace.

Quando più siano i titolari della potestà genitoriale, il reato non si configura come istantaneo, ma sia necessario che l'impedimento dell'esercizio dell'altrui potestà si protragga per un periodo di tempo rilevante e ciò perchè la sottrazione o la ritenzione non possono ritenersi immediatamente lesive dell'interesse dell'incapace, in quanto per altro verso sono esse stesse un esercizio di una potestà sul minore, sebbene recessiva rispetto a quella di altro titolare.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

sent.  (ud. 28/02/2012) 01-03-2012, n. 8076

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AGRO' Antonio S. - Presidente

Dott. SERPICO Francesco - Consigliere

Dott. MILO Nicola - Consigliere

Dott. CORTESE Arturo - Consigliere

Dott. CONTI Giovanni - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.I.M.;

contro la sentenza 2 febbraio 2011 della Corte d'Appello di Bologna;

Udita la relazione del Presidente Antonio Stefano Agrò;

Udito il P.G. Dott. D'Angelo Giovanni che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perchè il fatto non costituisce reato;

Udito per la ricorrente l'avvocato PiA.

Svolgimento del processo

1. In riforma della sentenza del Tribunale di Parma, la Corte d'Appello di Bologna, pronunciando sull'impugnazione della parte civile, riteneva F.I.M. responsabile ai fini civili di due episodi di sottrazione della nipote minore B.E., non avendo consentito il (OMISSIS) al padre separato B.P.P. di vedere la figlia minore E. e di prelevarla dall'abitazione della moglie separata.

A differenza del Tribunale, la Corte d'Appello ha ritenuto che la ritenzione della minorenne per due interi pomeriggi costituisse una durata certamente apprezzabile ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 574 c.p..

2. Ricorre la F. la quale osserva che la sottrazione non era avvenuta per un periodo di tempo rilevante siccome richiesto dalla giurisprudenza di legittimità e siccome correttamente ritenuto in primo grado. Si trattava di un paio d'ore per due pomeriggi, per modo che non erano state in alcun modo compromesse nè la funzione educativa nè le altre manifestazioni inerenti alla potestà del genitore.

D'altra parte solo un episodio era stato accertato e cioè quello del (OMISSIS) ed esso era derivato dalla paura della ricorrente, all'epoca dei fatti settantacinquenne, di incontrare il genero, uso ad ingiuriarla e a minacciarla. Del resto la F. in questa occasione non s'era rifiutata, ma s'era limitata ad invitare il B. ad attendere l'arrivo delle forze dell'ordine, in un clima di forte conflittualità esistente tra i genitori della piccola E..

Quanto al (OMISSIS) il mancato incontro si doveva al ritardo del padre, a seguito del quale la nonna, certa che il B. non si sarebbe fatto vedere, era uscita con la nipote dall'abitazione.

3. La F. ha successivamente presentato memoria nella quale, ribadite le precedenti considerazioni, rileva come la ricorrente non fosse destinataria del provvedimento di affidamento della minore emesso dal giudice nei confronti dei genitori separati, come ella non avesse in alcun modo sottratto la minore ma semmai, quale nonna, esercitato per un brevissimo lasso di tempo una ritenzione giustificata in ragione dei rapporti conflittuali esistenti con il genero a sua volta denunciato, come infine in sede di merito non sia stato effettuato il doveroso controllo di attendibilità delle dichiarazioni del B..

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato.

L'art. 574 c.p. è posto a tutela dell'esercizio della potestà dei genitori o di analoghe situazioni soggettive previste nell'interesse della persona incapace, ed è violato ogniqualvolta l'agente, contro la volontà dell'avente diritto, operi una sottrazione o eserciti una ritenzione di quella persona. In linea generale tale violazione può dirsi consumata qualunque sia il periodo di tempo in cui la sottrazione o la ritenzione si protraggano, dato che la condotta corrispondente a quella della norma penale si manifesta immediatamente come lesiva della volontà e quindi del potere-dovere del titolare.

2. La situazione risulta tuttavia più complessa nel caso in cui, essendo più soggetti titolari della potestà dei genitori o di analoghe situazioni soggettive, la condotta vietata dalla norma venga addebitata a uno di questi a danno di altri.

In questa evenienza è compito dell'interprete stabilire la linea di demarcazione tra quella che deve essere intesa come una manifestazione dell'esercizio della propria potestà e il comportamento che si configuri come diretto a contrastare il diritto dell'altro, dovendosi considerare, a questo fine, la gerarchia che la stessa legge pone tra le potestà, con prevalenza di una volontà sull'altra, nonchè, ove sussista, il regolamento che il giudice ha determinato con gli eventuali provvedimenti di affidamento. Sempre peraltro nella considerazione che nella specie si tratta di situazioni potestative e cioè non dettate nell'interesse esclusivo del loro titolare, ma per il soddisfacimento di quello della persona incapace.

Così, proprio per il contemperamento tra tali situazioni contrapposte, la giurisprudenza ritiene che, nell'evenienza descritta, il reato non si configura come istantaneo, ma sia necessario che l'impedimento dell'esercizio dell'altrui potestà si protragga per un periodo di tempo rilevante (cfr. Cass. Sez. 3, 8 luglio 2008, Rv.241637) e ciò perchè la sottrazione o la ritenzione non possono ritenersi immediatamente lesive dell'interesse dell'incapace, in quanto per altro verso sono esse stesse un esercizio di una potestà sul minore, sebbene recessiva rispetto a quella di altro titolare.

3. Nella specie si verteva nella descritta situazione di conflitto di potestà e perchè la F. esercitava la vigilanza sulla minore su mandato della madre e perchè, in quanto nonna della piccola E., vantava essa stessa una potestà sulla bambina, ancorchè subordinata a quella dei genitori.

Ora la Corte d'Appello, sia pure con reticenza, riconosce che la ricorrente non può assimilarsi a un terzo ai fini del reato di sottrazione e che quindi il suo rifiuto di consegna non configura di per sè la violazione dell'art. 574 c.p.. Aggiunge tuttavia la stessa Corte che l'omessa consegna della piccola al padre si è protratta per un periodo tale "da impedire al padre la svolgimento della potestà genitoriale (non da ultimo con le implicazioni affettive ad essa conseguenti) nei rari spazi che gli venivano riconosciuti quale ex marito dell'altro genitore".

E' questo un apprezzamento che si contrappone frontalmente a quello del Tribunale di Parma, il quale, dal canto suo, aveva invece sottolineato che un trattenimento della bimba, per poche ore in due pomeriggi, non era immotivato o motivato in relazione a un disconoscimento del diritto del padre, ma traeva origine dal desiderio di non avere un contatto diretto con il genero, con cui la F. si trovava in rapporti particolarmente tesi.

4. Non è compito del giudice di legittimità formulare esso stesso una terza valutazione. Deve tuttavia rilevarsi che mentre la stima sulla rilevanza del tempo fatta della Corte d'Appello ha riguardo soltanto all'interesse del padre, quella del Tribunale non prescinde dalla necessaria considerazione del minore, la cui serenità era posta in pericolo dall'eventualità di spiacevoli scenate che entrambe le sentenze di merito danno per avvenute in precedenti occasioni. E in questo senso deve allora concludersi, in linea con la sentenza del primo giudice, che nella situazione descritta il rifiuto di consegna con trattenimento per poche ore della piccola non ha avuto un rilievo tale da integrare il reato di sottrazione di persona incapace.

P.Q.M.
La Corte di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2012.