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Ricognizione riconoscimento fotografico (Assise Milano, aprile 2009)

28 aprile 2009, Corte di Assise di Miano

Le ricerche psicologiche hanno dimostrato che nel corso del riconoscimento fotografico il testimone è chiamato a cercare di formare nella sua memoria, unendo i frammenti particolari del volto della persona vista, una immagine unitaria, onde poterla raffrontare alle fotografie che man mano gli vengono mostrate. Questa fase è generalmente carica delle aspettative dell'interrogante e dello stesso teste ad operare un riconoscimento positivo: la persona chiamata ad effettuare il riconoscimento è generalmente mossa dal desiderio di assolvere bene il proprio dovere civico e di venire incontro alle aspettative delle autorità di polizia.

 

Corte di Assise di Milano

sentenza 28 aprile - 25 giugno 2009

 

Fatto

FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1. - Il dibattimento.

Con decreto di data 7 aprile 2008 J. M., nato in Marocco il (Omissis), alias M. M., nato in Marocco il (Omissis), veniva tratto a giudizio davanti a questa Corte di Assise per rispondere del delitto p. e p. dagli artt. 110 e 575 c. p. perché, in concorso con altra persona allo stato non identificata, cagionava la morte di E. R. L., aggredendolo e procurandogli ferite lacero-contuse alla fronte con forte perdita di sostanza ematica e segni di sospetto strangolamento. Reato commesso in Milano il 6/7/2007.

Il dibattimento, svoltosi in presenza dell'imputato in stato di custodia cautelare in carcere, ha avuto inizio il 5 giugno 2008 ed è proseguito nelle udienze del 12 dicembre 2008 e del 1° aprile 2009. In data odierna il P. M., il patrono della parte civile R. D. M. A., madre della vittima, e il difensore dell'imputato hanno formulato ed illustrato le loro rispettive conclusioni, quali risultano dal relativo verbale. Dopodichè, concessa per ultimo la parola all'imputato, la Corte si è ritirata in camera di consiglio per deliberare.

L'attività istruttoria è consistita nell'esame dei testi e dei consulenti indicati dalle parti e nell'acquisizione al fascicolo per il dibattimento dei documenti offerti dalle stesse, che hanno rinunciato alla loro formale lettura, compresi i brogliacci delle intercettazioni telefoniche effettuate nel corso delle indagini, acquisti al fascicolo per il dibattimento su richiesta del difensore dell'imputato e con il consenso delle altre parti.

-2. Le indagini.

Poco dopo le ore 3 del 6 luglio 2007 personale della Squadra Volante della Questura di Milano interveniva in Largo Giambellino - angolo Via dei Tulipani, dove era stata segnalata la presenza a terra di una persona aggredita e ferita. Si trattava di un cittadino dell'Ecuador, E. R. L., nato a San Salvador il (Omissis), il quale decedeva durante i primi soccorsi ricevuti. Nei pressi del cadavere venivano rinvenuti e sequestrati alcuni oggetti di proprietà della vittima: un ciclomotore, un casco, due telefoni cellulari, uno dei quali intriso di sangue. Si rinvia al riguardo al fascicolo dei rilievi fotografici effettuati dalla polizia scientifica.

La polizia identificava subito un amico del deceduto, F. E. G. G., che, presente casualmente sul posto, aveva provveduto a prestare i primi possibili soccorsi al ferito, e un testimone oculare di una parte della vicenda, A. M., che notate dalla finestra della propria abitazione le manovre di soccorso poste in essere da F. E. G. G., si era precipitato in strada raggiungendo la vittima ed il soccorritore.

Nel corso dell'attività di indagine la polizia si portava nuovamente sul luogo dell'omicidio, frequentato per lo più da extracomunitari e da giovani dediti al consumo di sostanze stupefacenti, al fine di rintracciare altri eventuali testimoni. Quello stesso giorno, verso le ore 18, veniva notato in Largo Giambellino, seduto su una panchina in compagnia di un'altra persona, E. K., risultata poi estranea al fatto, un giovane nordafricano, le cui caratteristiche fisiche e l'abbigliamento corrispondevano alle descrizioni fornite da F. E. G. G.. Veniva quindi preparato un album fotografico che veniva fatto esaminare dal teste: questi riconosceva senza ombra di dubbio, nella persona effigiata nella foto n. 3, l'uomo che si trovava nei pressi dell'assassino e della vittima e che - a suo dire - svolgeva il ruolo di palo. Di tale persona, che aveva dichiarato di chiamarsi M. M. e che si identifica per l'attuale imputato, in Italia senza fissa dimora, veniva disposto il fermo a norma dell'art. 384 c. p. p. Il successivo 9 luglio il fermo veniva convalidato e veniva emessa ordinanza di custodia cautelare per il delitto di omicidio volontario.

-3. La testimonianza di F. E. G. G..

F. E. G. G. , nato in Ecuador il (Omissis) e residente a Milano, in Via T., n. , conosceva la vittima dal febbraio 2007, quando entrambi si trovavano ancora nel loro Paese di origine, e successivamente in Italia erano diventati amici: ... quando sono arrivato qua in Italia lui mi aspettava all'aeroporto di Linate e poi fino a lì siamo diventati amici ...

Si erano incontrati spesso, due volte anche in quei giardinetti dove poi sarebbe stato commesso l'omicidio: ... una volta alle quattro del pomeriggio e non mi ricordo bene il giorno, e poi una seconda volta alla sera che lui portava della birra, è arrivato lì, mi ha chiamato e mi ha detto "Sono qua fuori sotto il condominio, venite qui", sono arrivato con lui e poi siamo andati lì a quel giardino, abbiamo finito la birra, siamo andati a prenderne un'altra e siamo stati lì fino più o meno alle cinque.

Ricordava poi il teste come avesse trascorso il pomeriggio e la sera del 6 luglio 2007. Era stato quasi sempre in compagnia di un suo amico, tale C. R., che abita nei pressi di Corsico: dopo aver giocato a pallone si erano incontrati nuovamente verso le ore 20 dove lavorava C. R. ed erano stati insieme sino a mezzanotte: dalle undici alle dodici, non me lo ricordo bene; forse anche più tardi. Aveva bevuto cinque o sei birre. Aveva poi detto all'amico di avere fame, e poiché C. R. aveva solo dei biscotti, era uscito da casa per andare a trovare qualche cosa da mangiare: ... gli ho detto "Adesso vado a prendere qualche panino, un kebab, non lo so" gli ho detto e lui mi ha detto "Ma adesso è tutto chiuso", e io gli ho detto "Va beh, io voglio andare", lui mi ha dato dieci euro e mi ha detto "Portane anche uno a me".

Sono uscito da Via dei Tulipani ... a trovare la Via Lorenteggio, poi sono andato dritto fino a Piazza Frattini ... ho fatto ... un mezzo giro dove c'è una chiesa ... poi ... mi sono ricordato che lì non aveva nessuna vendita di kebab, sono tornato indietro, ho preso la via dove deve andare la 95 ... e mi sono ricordato che sull'angolo ... c'era una vendita di kebab...

Sono arrivato lì, poi era chiuso, ho fatto un piccolo giro solo di testa, ho attraversato la strada, ho preso la Via Giambellino, poi più avanti c'era un bar che era aperto, sono entrato ... e non aveva niente, solo delle ... brioches.

Era quindi entrato in un giardino: lì sono entrato diciamo quindici/venti metri e ho visto due persone: uno solo si guardava questa parte ... un altro era ... a cavalcioni sopra un'altra persona, che tratteneva a terra con un ginocchio premuto sul petto ed aveva le mani protese in avanti ed aveva un cappellino in testa che gli nascondeva in parte il viso. Vicino un uomo in piedi, che guardava in alto. F. E. G. G. aveva mosso alcuni passi verso di loro; la persona che stava ferma in piedi si era girata verso di lui, lo aveva guardato e, rivolto all'altra persona lì vicino, aveva pronunciato qualche parola incomprensibile. La persona in ginocchio si era alzata, aveva avvolto intorno al polso sinistro quello che poteva essere un filo, o un laccio o una cordicella, aveva messo la mano nella tasca dei pantaloni e si era allontanata verso la fine del giardino facendo perdere le proprie tracce, mentre l'altra persona, quella rimasta in piedi, era fuggita in direzione opposta, verso di lui. Il teste si trovava a non più di quindici metri di distanza dal luogo, illuminato da grossi lampioni, dove si stava commettendo un omicidio, ed aveva avuto modo di vedere in volto la persona che era in piedi, cioè quella diversa dall'esecutore materiale del delitto, la quale era fuggita allorché si era accorta della sua presenza. F. E. G. G. si era quindi avvicinato ed aveva visto a terra un uomo con il volto coperto di sangue, che aveva riconosciuto per il suo amico L.: quando ho visto che era lui mi sono spaven... prima di tutto gli ho parlato in spagnolo ... Gli ho detto "L., L., cosa ti è successo?", io lo volevo alzare ... mi sono girato dietro di lui e gli ho nesso le mani qui e lo volevo alzare, e gli ho detto "C'è tua moglie", perché volevo che lui mi rispondesse, "C'è tua moglie", lui non mi ha detto niente. Aveva quindi tentato di prestargli i primi soccorsi: gli aveva sollevato il capo per agevolarne la respirazione ed gli aveva effettuato alcuni massaggi cardiaci, come gli avevano insegnato nel suo Paese.

Era sopraggiunto un uomo che chiedeva che cosa fosse successo: e io gli ho detto che era un mio amico e che l'avevano picchiato ... E lui mi ha detto "Chiama la polizia" e io gli ho detto che la volevo chiamare ma non ero capace in quel momento, non lo so, mi tremava tutto ... e gli ho detto se lui poteva chiamare, lui ha fatto la chiamata e io gli ho detto se poteva restare lì perché io abito diciamo venticinque/trenta metri lì dove c'è quel giardino e volevo chiamare la mia ragazza che lei è amica della moglie di L.. Quando io sono andato ho sentito ... diciamo stavo arrivando al condominio, ho sentito il rumore dell'ambulanza, sono tornato indietro e quando io volevo tornare di nuovo dov'era L. mi hanno detto che non potevo più avvicinarmi ...

Il teste ricordava poi di aver ricevuto una telefonata da L. mentre stava uscendo da casa di C. R.: quanto ero sulla scala e stavo uscendo da quel palazzo lì. Quella sera gli avevano telefonato la fidanzata del suo amico, che non lo vedeva arrivare a casa e, prima, anche C. R.: mi ha chiamato C. R. perché io non arrivavo ... prima di arrivare a casa dove lui lavorava mi ha chiamato lui e mi ha detto parolacce, "perché non sei già ... non sei arrivato?", poi sono arrivato dove è lui, erano diciamo le dieci/dieci e mezza quando mi ha chiamato la mia ragazza ...

Non sapeva il teste se L. quella sera si fosse incontrato con qualche amico: la fidanzata gli aveva riferito che si era incontrato con un signore che si chiama C. R. anche, che non era però la persona della quale aveva parlato, ma un altro C. R., C. R..

Il teste non ricordava con precisione quando avesse visto per l'ultima volta il suo amico L.: forse quindici giorni prima della sua uccisione, l'aveva visto a casa di lui, noi eravamo con un altro amico di cui che si chiama J. C. ...

Ricordava il teste, rispondendo alle domande del difensore dell'imputato, di aver smarrito un mazzo di chiavi e il cellulare, che teneva nella tasca posteriore dei pantaloni: lo aveva detto alla polizia, ma nulla gli era stato in seguito restituito.

Non aveva avuto il teste rapporti in Italia con cittadini del Marocco. Riferiva che L. non aveva tanta simpatia e stima per i marocchini.

Ricordava infine che quella notte il tragico incontro era stato del tutto casuale.

-4. La ricognizione di persona.

Il 2 novembre 2007 si procedeva con incidente probatorio a ricognizione di persona, ex artt. 213 e 214 c. p. p., nei confronti dell'attuale imputato, identificato ancora per M. M., per accertare se fosse la persona indicata da F. E. G. G. nelle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria. Questi, dopo aver precisato di avere in precedenza effettuato il riconoscimento fotografico dell'indagato, riconosceva con sicurezza nell'imputato la persona che era in piedi, accanto al morto, la sera dei fatti.

5. - Le altre testimonianze.

A. M. è l'uomo che quella notte aveva assistito al tentativo di rianimazione posto in essere da F. E. G. G..

Si trovava a casa sua a dormire: alle tre meno un quarto mi sono svegliato, sono andato al bagno e siccome era luglio, così, non avevo più sonno e mi sono affacciato alla finestra ... E ho visto giù ... c'erano due ragazzi, sotto di me c'è il parco, uno di questi era sdraiato e c'era l'altro, non so, era l'amico forse, e continuava a fargli il massaggio cardiaco ... erano cinque minuti e ho detto ... però c'erano delle lattine di birra intorno ... Pensavo che fosse ubriaco e che l'amico cercava di rianimarlo così, però ho visto che continuava e ho detto "Mah, insomma, se vede che non riesce ad animarlo chiama l'ambulanza", allora ho preso il telefonino, sono sceso e gli ho detto "posso essere utile a qualcosa?", e infatti ... poi lì invece ho visto che era tutto sporco di sangue questo ragazzo e rantolava, ho detto "Ma dai, ma chiama, cavoli, non continuare a fargli ... chiama l'ambulanza, no?", e questo ragazzo qui però non parlava l'italiano, "Eh, ma io non lo so ...", allora siccome sono sceso giù con il telefonino ho chiamato io l'ambulanza ... Il ragazzo gli aveva detto che aveva scarico il telefonino.

È arrivata l'ambulanza e la Polizia, però gli ho detto all'ambulanza "Guardate, sbrigatevi perché questo ragazzo qui rantola" ... "E cos'é successo?", "non lo so - ho detto - io adesso qui sarò un cinque minuti, dieci, ho chiamato così perché ho visto che è tutto sporco di sangue ... insomma non so cos'é successo, non lo so" ... quella notte c'era un silenzio, c'erano solo questi due ragazzi qui.

La zona era bene illuminata: ma io siccome sono al quinto piano vedevo sì e no, cioè vedevo abbastanza bene, però insomma, non era proprio chiaro chiaro ...

Però, quando era sceso in strada, la scena era chiaramente visibile. Al momento dell'arrivo dell'ambulanza, il giovane era ancora vivo: qualche secondo dopo è morto, infatti ho visto che l'ha tirato via e che fa "È morto".

Il ragazzo era sempre rimasto lì, cioè lui mio ha detto di andare a chiamare, di andare ad avvertire che c'erano degli amici, ho detto "Ma cavoli, non mi conoscono, vado lì alle tre di notte a dire ... vai tu, no?, Vai tu che sto qua io", però non mi ricordo che lui sia andato.

L'assistente della Polizia di Stato A. L. riferiva dell'intervento effettuato quella notte: ... era intorno alle due ... le tre... comunque di notte, siamo stati chiamati da personale del 118 che riferiva che c'era una persona aggredita in strada, in Largo Gelsomini, giù di là. Quando siamo arrivati c'era già l'ambulanza sul posto che stava prestando le cure mediche ad una persona che era stesa per terra, dopo pochi minuti ... era presente il medico che stava cercando di rianimare la persona, e dopo pochi minuti il medico ci ha detto che la persona era deceduta.

Sul posto c'era anche un'altra persona sudamericana, credo che fosse forse proprio della stessa nazione della persona che era deceduta, che ci ha riferito quello che aveva visto lui finché non è arrivato un cittadino italiano che gli cadetto "Se ha bisogno chiamiamo il 118 per i soccorsi".

Il teste confermava le dichiarazioni rese da F. E. G. G. e da A. M..

Su accordo delle parti veniva acquisita al fascicolo per il dibattimento l'annotazione, redatta dal teste, relativa alla prima attività d'indagine effettuata in Largo Giambellino di fronte al n. 118.

Questi riferiva inoltre sulle indagini svolte e ricordava che sul posto era intervenuto il personale della Gabinetto regionale di Polizia scientifica di Milano, che aveva proceduto alle riprese fotografiche della scena del crimine e del cadavere. Il relativo fascicolo e quello, ad esso allegato, dei rilievi fotografici effettuati nel corso dell'autopsia, venivano del pari acquisiti dalla Corte. Rinviando espressamente alla documentazione fotografica in atti, si precisa che al momento dell'intervento della Polizia il corpo della vittima giaceva supino: la parte superiore del corpo era su un'aiuola, la parte inferiore sul marciapiede; il capo era rivolto verso il parco, i piedi in direzione di Via dei Tulipani. Nei pressi un casco di colore nero, cinque lattine di birra, un paio di occhiali da vista e un mazzo di chiavi; sotto la mano destra un mazzo di chiavi e un telefono cellulare. Sulla strada, a breve distanza dal marciapiede, uno scooter, chiuso con il blocchetto, di proprietà della vittima.

Veniva richiesto l'intervento di un medico legale. Alle ore 4,30 la dr.ssa C. C. dell'Istituto di Medicina legale dell'Università di Milano evidenziava ferite lacero-contuse sulla fronte ed alcune tracce di probabile strangolamento al collo con forte perdita di sostanza ematica.

Dell'attività investiga svolta riferiva pure l'ispettore di polizia C. N., il quale ricordava anzitutto che il teste F. E. G. G. si era mostrato molto collaborativo, molto dispiaciuto per essere intervenuto in ritardo: se fosse arrivato qualche minuto prima, forse avrebbe salvato la vita del suo amico.

Il teste confermava altresì le dichiarazioni rese da A. M..

Veniva quindi chiamata a deporre S. B. L. A., la fidanzata di L., con il quale conviveva da sei anni. La teste ricordava di averlo visto per l'ultima volta quel giorno stesso lì al mattino, prima che lei uscisse da casa per recarsi al Consolato del suo Paese per il rinnovo del passaporto. L. non aveva nemici. Gli aveva telefonato verso le ore 15,40 e lui le aveva risposto che era lì ad un Phone Center ... che stava inviando un curriculum. Non sapeva se fosse da solo. Poi nessun altro contatto: io l'ho chiamato, l'ho chiamato tutto il pomeriggio perché ero un po' triste ... avevo voglia di ... essendo un pomeriggio d'estate avevo voglia di un gelato, l'ho chiamato ... visto che lui non stava lavorando magari andavamo a prenderci un gelato ... poi però lui non rispondeva. Finalmente era riuscita a parlare telefonicamente con lui: l'ho sentito ... verso mezzanotte, le undici e mezza, le dodici forse, perché ho cominciato a preoccuparmi che non mi rispondeva alle chiamate e quando l'ho chiamato mi ha detto "no no, adesso sto andando a casa" ... mi ha detto che stava arrivando a casa. Mi ha detto di portargli giù il coprimoto e io gli ho detto "ma perché il coprimoto a quest'ora? Farai un rumore molto ...", che poteva fare rumore, che non era ora di fare quella cosa lì, e mi ha detto "Va beh, allora torno più tardi" ... poi alla fine era tardi, avevo sonno ... L. non era più tornato.

C. C. le aveva successivamente riferito di essersi trovato in compagnia di L., in via Palmanova ..., quando gli aveva telefonato, e subito dopo è partito, è partito che stava andando a casa.

Negli ultimi tempi L. non lavorava. La teste tuttavia non aveva notato alcun cambiamento di umore: no, normale, tutto normale.

La teste dichiarava che il fidanzato manteneva buoni rapporti di amicizia con F. E. G. G., con il quale si incontrava almeno una volta alla settimana: ... erano amici perché veniva a casa spesso, mangiavano, il mio ragazzo cucinava e mangiavamo insieme ogni tanto, sì, sì, erano amici .... Aggiungeva: ... la fidanzata di F. E. G. G., M. R. C., che era la mia amica, e mi ha detto che si erano visti quella sera lì soltanto, verso le sette, che lui era passato da lì e si erano messi a chiacchierare. La ragazza abita in Via dei Tulipani, proprio in quella via che lui è morto: li aveva visti dal settimo piano mentre erano intenti a conversare.

La teste riferiva di non aver avuto più contatti con F. E. G. G.: Perché io oltre il mio dolore gli dicevo "se non ti avesse conosciuto non sarebbe mai venuto qua in questa via a cercarti e non gli sarebbe mai successo niente", e quindi lui sentiva come se io dessi la colpa a lui. Pensava infatti la teste che il suo fidanzato si fosse recato quella notte in quella via proprio per cercare F. E. G. G.: sì, soltanto lui abita lì che lui conosceva prima, c'era F. E. G. G. e la sua ragazza, basta, non penso che poteva venire per qualcun altro lì. F. E. G. G. le aveva però riposto che lui non c'entrava niente. Le aveva poi detto di aver visto L. molto dopo le sette di sera, quando lui era già morto a terra.

Avevano F. E. G. G. e L. qualche amico in comune: J. C. O. ed un altro di nome G..

La teste guardava l'imputato e dichiarava di non averlo visto mai, di non sapere il suo nome e di non aver mai sentito parlare di lui: L. non intratteneva rapporti con i marocchini.

A. M. R., la compagna di F. E. G. G., ricordava di aver conosciuto L. nel 2001 tramite la sua fidanzata S.. Lo aveva incontrato per l'ultima volta il 24 giugno, in occasione della festa di compleanno di S..

La teste aggiungeva che il 5 luglio le era sembrato di averlo visto intorno alle ore sedici: infatti ho detto a S.: "Mi è sembrato di vederlo, la cosa strana è stata - le dico - che di L. S. quando lui veniva sotto casa lui mi faceva la videochiamata, io era sempre sul balcone e ci mettevamo a scherzare, dice cose stupide al telefono". Quel giorno lì l'Ho salutato, lui non si è tolto il casco come al L. S. e praticamente non mi ha salutata, e questo gliel'ho riferito... No, lui non mi ha risposto al saluto, quindi mi è sembrato strano perché di L. S. lui si toglieva il casco e mi salutava, quel giorno lì non mi ha salutata.

Aggiungeva: sì, mi è sembrato che fosse lui.

La teste dichiarava che anche il pomeriggio di quel giorno il suo compagno e L. si erano incontrati a quell'ora: li aveva visti dal balcone del suo appartamento, al settimo piano di Via T., n. ; contrariamente al L. S., L. si era trattenuto solo per pochi minuti. Aveva chiesto spiegazioni di tale comportamento al proprio convivente: questi le aveva risposto che non era L., ma un nostro amico C. R., che abitava nel palazzo di fronte. In verità non aveva potuto vedere il volto di quella persona, perché era coperto da un casco integrale da motociclista. Indossava un paio di jeans blu e portava delle scarpe da tennis. Lo scooter sul quale si trovava era di colore nero con delle strisce rosse sulla parte anteriore e ricordava che aveva un bauletto nella parte posteriore.

Nei giorni successivi al fatto aveva avuto modo di parlare di quello che era successo con il proprio compagno: io trattavo di fargli delle domande perché volevo capire e tutto, lui ogni volta che gli parlavo piangeva e diceva: "No, no, non so dirti nulla, ho già detto tutto a non so dirti nulla", quindi ci rimanevo male perché dicevo: "non ha confidenza in me, quindi non si fida di me", non mi diceva niente.

La teste ricordava che dopo l'omicidio i rapporti con S. si erano deteriorati: ... sinceramente non so cosa è cambiato, anche da parte mia volevo starle vicina ma purtroppo lavoravo e non potevo andare da lei praticamente, le volte che sono andata andava magari il mattino, stavo lì un po' con lei e non stavo come prima insomma, perché andavo in chiesa e tutto. Poi le ultime volte che ci siamo visti praticamente lei mi rinfacciava delle cose e tutto ... E poi a questo punto ho detto: "È meglio evitare per non discutere", perché le voglio bene, le ho voluto bene e volevo che rimanesse tutto com'era prima. Praticamente mi rinfacciava che lei mio aveva dato la mano ... mi difendeva con la sua sorella quando mi faceva venire a casa perché erano gelose e tutto, no? E lei mi ha sempre difeso, mi ha voluto insomma bene come una sorella. Poi quando è successo questo fatto, che io non le sono stata vicina come voleva, allora si è sentita male e ha cominciato a telefonarmi, a dirmi perché non andava da lei e perché non stavo vicino a lei.

La teste guardava l'imputato e dichiarava di non averlo mai visto e di non sapere chi fosse. Nessuna somiglianza ravvisava tra lui e C. R. e precisava che i due non si potevano confondere a causa delle diverse fattezze fisiche.

Era poi la volta di C. W. C. M., la persona che aveva visto L. poche ore prima della morte. Lo aveva incontrato al termine del lavoro in un parchetto in via Boves, nei pressi di casa sua [del teste], distante dal luogo del delitto. Avevano bevuto insieme alcune birre ed avevano parlato a lungo: L. gli aveva detto che prima di incontrarlo era stato con alcuni amici, in particolare con una persona con la quale aveva lavorato qualche tempo prima. Non gli aveva riferito però il nome, di guisa che il teste non poteva dire se si trattasse o meno di J. C., che conosceva. L. se ne era poi andato con il proprio ciclomotore, per fare ritorno a casa, verso l'una e mezza di quella notte, dopo che gli aveva telefonato S. B. L. A..

Il teste dichiarava infine di non conoscere F. E. G. G. e di non aver mai visto l'imputato.

R. D. C. A. dichiarava che L. non aveva nemici, gli volevano tutti bene, perché era generoso e sempre disponibile. Sapeva che il suo amico aveva trascorso le ore precedenti la morte in compagnia di C.. Non conosceva F. E. G. G..

Tali circostanze venivano confermate da J. L. D., che conosceva L., perché abitava nella sua stessa casa. Conosceva anche F. E. G. G., che era stato da lei ospitato al momento del suo arrivo dall'Ecuador: i due si incontravano, tante volte alla sera lui lo andava a trovare e si parlavano spesso al cellulare ...

La teste ignorava quando si fossero visti per l'ultima volta: ... al mattino stava con altri amici, poi ha incontrato ... Cesar.

R. D. M. A. è la madre della vittima. Aveva visto il figlio qualche giorno prima della morte, essendo andato a trovarla a Casale Monferrato: ... era stato con me tre giorni, era arrivato domenica sera a casa con suo fratello e si è fermato lì lunedì, martedì fino a mercoledì che è partito verso le cinque ... eravamo stati insieme perché poi non è che ci vedevamo tutte le settimane ... poi ha telefonato "mamma sono arrivato", il giovedì non l'ho sentito ... [L'omicidio era avvenuto nelle prime ore di venerdì].

La donna aveva chiesto a tutti notizie sui motivi dell'uccisione del figlio, ma nessuno sapeva.

-6. Le consulenze.

Nella relazione scritta acquisita dalla Corte, redatta dai consulenti tecnici nominati dal P. M., prof. C. G. e dr.ssa L. S. dell'Istituto di Medicina legale dell'Università di Milano, si legge che la morte di E. R. L. era da attribuirsi ad un'azione costrittiva sugli organi cervicali attuata esternamente mediante l'utilizzo di un laccio. Si tratta di una modalità omicidiaria che, conosciuta con il termine di strangolamento, rientra nelle forme di lesività asfittica di tipo meccanico.

Sulla modalità dell'azione i consulenti non escludevano che l'aggressore fosse davanti ed al di sopra della vittima supina a terra, con il laccio teso tra le mani a comprimere la porzione anteriore del collo: così confermando le dichiarazioni di F. E. G. G., teste oculare dell'omicidio. Le conclusioni cui erano pervenuti i consulenti, al termine di una indagine precisa e corretta, non sono state oggetto di alcun rilievo critico da parte dei difensori delle parti private.

In dibattimento la dr.ssa L. S. confermava le conclusioni esposte nella relazione collegiale e precisava che lo strumento impiegato per uccidere era un laccio, da intendersi non come un foulard o qualcosa di morbido, neppure qualcosa a sezione tonda, ma un laccio, come una cintura di cuoio non particolarmente spessa, di una certa altezza, pari a circa due centimetri e mezzo. Si trattava di uno strangolamento atipico, che si può realizzare con la persona a terra e l'aggressore davanti che trattiene un laccio ... un qualunque tipo di strumento atto a comprimere la struttura del collo, ai lati.

La consulente aggiungeva che sul cadavere erano stati trovati altri segni di lesività traumatico-contusiva,la più evidente delle quali era una ferita lacero-contusa alla base del naso, e toccando si sentiva che le ossa del naso erano fratturate, c'era un'ecchimosi a livello frontale, alcuni segni agli arti superiori sempre di tipo ecchimotici, alla bocca si vedevano sia dei segni di ecchimosi e sia dei segni di ferite, molto probabilmente prodotte dai denti della persona, nel senso che le labbra si interpongono tra il dente ed una qualche superficie dura, non so dire se questa superficie possa essere stata un pungo piuttosto che non il pavimento, chiaramente una persona che cade a terra riceve un colpo a tutto il volto.

I consulenti avevano inoltre riscontrato sul cadavere alcune piccole escoriazioni nella zona toraco-addominale: il che confermava la circostanza che la vittima fosse stata trattenuta a terra con un ginocchio sul petto.

La morte poteva essere sopraggiunta entro cinque/dieci minuti dall'aggressione.

Il dr. R. G., in servizio presso il Gabinetto regionale di Polizia scientifica di Milano, nominato consulente tecnico dal P. M., riferiva in dibattimento sulle indagini biologiche effettuate e sull'attività svolta per l'esaltazione delle impronte latenti, confermando i risultati della sua relazione tecnica acquisita dalla Corte.

Le indagini effettuate sui reperti rinvenuti in sede di sopralluogo e sulle campionature ematiche e di saliva avevano permesso di ottenere un profilo genetico identico a quello della vittima e di un altro individuo ignoto: risultava in particolare che la vittima e la persona sconosciuta avevano bevuto la birra contenuta in due delle cinque lattine repertate. Sulle mani dell'imputato erano state riscontrate tracce biologiche della sua persona. Su un bracciale di metallo dell'imputato era stato estrapolato un profilo genetico misto, compatibile con l'ipotesi di commistione tra sostanza biologica dell'imputato stesso e di almeno un secondo individuo ignoto; analoghi gli esiti degli accertamenti effettuati sui suoi indumenti. Sullo scooter erano state trovate tracce di sangue appartenente alla vittima.

Infine, sugli indumenti di F. E. G. G. era stato possibile estrapolare solo un profilo genetico coincidente con quello della vittima, mentre le analisi del DNA effettuate sulla campionatura di presunta sostanza biologica effettuata sulla maglietta del predetto avevano dato esito negativo, nel senso che non era stato possibile estrapolare alcun profilo genetico utile per eventuali comparazioni.

Nessun rilievo critico da parte dei difensori sull'attività svolta dal consulente e sui risultati cui lo stesso era pervenuto.

-7. (Segue): l'alibi.

E. K., cittadino marocchino detenuto per spaccio di sostanze stupefacenti, sottoposto a fermo di polizia giudiziaria quello stesso 6 luglio 2007, in quanto sospettato di omicidio unitamente all'attuale imputato, e poi scagionato, ricordava, con qualche difficoltà, che nel momento dell'arresto era insieme a lui: praticamente eravamo lì in giardino e ci hanno arrestato insieme. E il giorno prima ho dormito con lui in quella casa abbandonata ... che si trova in zona Giambellino dove passa praticamente l'autobus 95, sotto il ponte. In quella casa vivevano solo loro due e mai avevano ospitato altre persone.

Non ricordava però l'ora in cui era andato a dormire. Rammentava poi che con loro, nel bar dove si erano incontrati prima di andare a dormire, c'era pure un connazionale di nome M.: sì eravamo tutti e tre in questo bar e abbiamo bevuto un po' insieme, sì ... Eravamo là a scherzare e a chiacchierare fra di noi, solo chiacchiere normali per scherzare e basta.

Non ricordava né il nome del bar né la via ove si trovava il locale: forse era verso Lorenteggio.

Poi ricordava: ... lo chiamano Bar M. praticamente questo bar, Bar di M., gestito da italiani. Abbiamo iniziato a bere verso le undici, credo verso l'una abbiamo finito ... ad un certo punto siano usciti dal bar, noi siamo andati a dormire e M. è andata a dormire a casa sua, e basta.

Era la prima volta che riferiva questa circostanza, che aveva taciuto anche alla polizia dopo il fermo.

Era poi la volta del cittadino marocchino T. Z., alias J. A., detenuto per altra causa, il quale riferiva di aver conosciuto l'imputato nel 2007, allorché erano entrambi detenuti nel Carcere di San Vittore.

Il teste ricordava che, nonostante si trovasse agli arresti domiciliari in Largo C. D. n., nelle prime ore del 6 luglio 2007 era uscito da casa per acquistare della cannabis in Viale Giambellino: insomma era evaso per un'oretta e mezza.

Così proseguiva nel racconto: Mentre stavo andando in Viale Giambellino ... dove c'è il capolinea dell'ATM ... stavo andando con il motorino e sentivo le urla, mi sono rigirato e vedevo un gruppo di sudamericani e c'è una ragazza che ... uno la tira dell'altra mano, l'altro la tira dall'altra, poi ho visto bene e ho detto: "Forse ci sono anche miei connazionali", ma non ho visto nessuno, ho preso e me ne sono andato per la mia strada ... mi sono fermato ... neanche un minuto ... c'erano tanti ragazzi con i cappellini ... tutti vestiti strani, tutti ragazzi sudamericani ... o filippini... se vedo qualcuno riesco a conoscerlo ... Quando sono tornato a casa ... erano le tre e un quarto o tre e mezzo.

Aveva collegato l'episodio all'omicidio, perché l'omicidio era avvenuto proprio in quel luogo dove aveva assistito, per brevissimo tempo, a quella lite scoppiata tra sudamericani a causa di una ragazza.

A. O., cittadino marocchino, ha dichiarato di conoscere l'imputato da almeno otto mesi prima del suo arresto: ... l'ho conosciuto così, vicino ad un giardino vicino a casa mia, a Giambellino, è un giardino Lì dove ci sono tutti i paesani lì, quando facciamo la spesa, uno conosce l'altro, siamo conosciuti là.

Lo aveva incontrato nella mattinata del 5 luglio, quando gli aveva chiesto il favore di inviare nel suo Paese una somma di denaro, essendo lui privo di carta d'identità, e poi lo aveva rivisto la sera in un bar in via Lorenteggio che è all'angolo di via Tolstoj, un bar di cinesi comunque, S., si chiama S. ...perché ... quella donna lì si chiama S., quella che è la sera ... è cinese.

Il teste così proseguiva: ... e poi è venuto il pomeriggio con il suo amico ... come si chiama ... E. K.. Sono arrivati al bar di S. ... poi lì abbiamo passato la serata e come quel bar chiude sempre tardi fino alle due, così siamo rimasti fino alle due e poi siamo usciti a parlare ... fino a quasi ... le due e mezza e basta, a quel punto lì basta ... a parlare fino a casa mia ... in via Bruzzesi sono pochi passi ... poi loro sona andati, lui e il suo amico e basta... mi hanno detto che vanno a dormire ... come loro dormono in baracca lì abbandonata, hanno detto che vanno a dormire ... a Giambellino su, perché entrano lì, sono tanti, non sono solo loro. Sono tanti che entrano lì a dormire.

-8. La versione dell'imputato.

J. M., dopo aver fornito le sue vere generalità e aver spiegato di aver detto alla polizia al momento del fermo e ribadito in sede di convalida di chiamarsi M. M. per timore di essere espulso dall'Italia, dichiarava anzitutto di abitare a Milano in una baracca nella zona del Giambellino. Riferiva quindi come aveva trascorso la giornata del 5 luglio 2007: a mezzogiorno siamo andati a mangiare da un egiziano, un ristorante egiziano alla zona di Giambellino ... lè è la mia zona, la baracca è lì vicino. Verso le ore 21 sono andato a mangiare da solo in questo ristorante egiziano, dopodichè sono andato a piedi al Bar di M., lì ove ho incontrato M. e E. K. ... e poi eravamo lì a chiacchierare, una chiacchierata fra amici fino alle due di notte. M. deve chiudere il bar, M. è andato a casa sua e noi siamo andati anche noi a casa nostra. Basta, solo questo. Erano arrivati nella baracca le due e qualcosa, le tre ... Non avevo l'orologio, però precisamente mi ricordo verso le due e mezza ... Sì, presumo verso le due e mezza. Non ricordava l'imputato il percorso che aveva fatto, in compagnia di E. K., per raggiungere la baracca.

Il P. M. contestava all'imputato che nel corso dell'interrogatorio reso nella fase delle indagini aveva detto di aver trascorso il pomeriggio e la serata nel bar S..

L'imputato rispondeva: Sì, io prima ero al bar di S., prima di quell'orario lì. Sono andato di là per cercare i miei amici, ma quando ho trovato che lì al bar di S. non ci sono questi amici, sono andato da una parte...

Dopo una serie di contestazioni e risposte confuse, l'imputato precisava che il bar S. non era il bar dell'egiziano ... Quello bar di S. non è ... per sera è bere, l'altro è mangiare, ristorante. ... Sì, da solo sono andato al bar di S., dopodichè sono tornato all'altro bar, al bar di M., l'altro bar si chiama bar di M. ... Sono vicini ...

Il patrono della parte civile contestava all'imputato che in sede di convalida del fermo, il 9 luglio 2007, aveva detto: "La notte tra il 5 e il 6 luglio ero da solo, prima sono andato a mangiare dall'egiziano e verso le due, due e trenta sono andato a casa".

L'imputato rispondeva: Io non ... ecco, non so, a quell'epoca lì non mi ricordavo niente, ero proprio bloccato ... Non lo so, a quell'epoca era la prima volta che mi arrestano, la prima volta che vedo le manette e non sapevo che cosa ho detto, non mi ricordo attualmente.

L'imputato aggiungeva che quella notte aveva dormito nella baracca con E. K. e il fratello di M.. Il patrono della parte civile gli faceva allora notare che E. K. aveva detto, in sede di esame, che nella baracca c'erano solo loro due. L'imputato rispondeva: Lè è buio, sapevo solo io entrato ... lì non avevamo né luce e né niente, poi non puoi sapere che dorme ... e ribadiva che il fratello di M. per compagnia veniva ogni tanto da noi. La mattina dopo erano usciti per primi da quella baracca, costituita da un unico ambiente. Il fratello di M. aveva una coperta, o un lenzuolo, sul viso: era possibile che E. K. non lo avesse notato.

All'udienza odierna la difesa dell'imputato, constatata l'irreperibilità di H. O., fratello di A. O., ha rinunciato al suo esame, con il consenso delle altre parti.

L'ispettore di polizia C. N., riferendo sulle indagini svolte, ha dichiarato in data odierna: ... si parlava di un Bar S., se ricordo bene, di un Bar S. e un bar gestito da cinesi, e ho mandato una squadra a verificare punto per punto quello che era stato indicato. ... È il sovrintendente P. che ha fatto gli accertamenti. Allora, lui ha individuato il bar che era stato indicato come il bar gestito da cinesi, l'ha individuato nel bar che si chiama Bar Tigullio e che si trova in Via Lorenteggio angolo Via Tolstoj. Per quanto concerne invece il Bar S., quello che doveva essere nei pressi di Via Lorenteggio, quello non è stato individuato, pur avendo lui fatto tutte le parallele e tutte le traverse. Del bar Tigullio non era stato identificato il titolare.

Anche l'ispettore di polizia A. S. ha riferito sulle indagini svolte e, dopo aver ricordato che nel corso di esse l'attuale imputato e A. O. avevano reso dichiarazioni contrastanti, ha dichiarato nel corso dell'udienza odierna che esisteva effettivamente in Via Lorenteggio - angolo Via Tolstoj il bar Tigullio, gestito da cinesi, mentre non era stato trovato il bar S.: ... i miei colleghi che si sono occupati direttamente delle indagini non l'hanno trovato.

-9. La valutazione delle prove.

Una circostanza è certa: l'imputato non fu l'esecutore materiale dell'omicidio.

Deve ritenersi del pari processualmente provato che la persona che F. E. G. G. vide quella notte nel parco, in piedi vicino all'assassino del suo amico, e che disse poi di aver riconosciuto nell'attuale imputato, stava svolgendo la funzione di palo. Era quindi suo complice.

Altre certezze non emergono dagli atti del processo. Ed invero, da un lato, l'avvenuto riconoscimento ad opera di F. E. G. G. non costituisce prova che consenta, al di là di ogni ragionevole dubbio, di affermare la penale responsabilità di J. M. come concorrente materiale nell'omicidio di E. R. L.; dall'altro, l'alibi offerto dall'imputato appare connotato da note di incertezza tali da non consentire di affermare, con assoluta certezza, la sua estraneità al fatto.

L'esperienza giudiziaria e la ricerca psicologica hanno evidenziato che la ricognizione di persona, fondandosi essenzialmente su basi magmatiche quali la memoria - il ricordo - e l'evocazione, è forse, tra i mezzi di prova, quello che fornisce il maggior numero di errori. Molta cautela occorre quindi nella valutazione di questo particolare mezzo di prova.

Del resto, il riconoscimento di persona esprime sempre una valutazione del soggetto che è chiamato ad effettuarlo, il quale richiama alla memoria il complesso delle impressioni visive nel suo ricordo, lo pone a confronto con le sembianze della persona da riconoscere ed esprime un giudizio di corrispondenza o meno tra questa e quella vista in precedenza (così Trib. S. Maria Capua Vetere 7 gennaio 1992, Amore, in Nuovo dir., 1994, II, p. 409). Si comprende quindi come, rispetto alla figura generale della testimonianza, la ricognizione di persona comporti una ben maggiore aleatorietà per l'inevitabile presenza perturbatrice di fattori emotivi e per la sua non agevole verificabilità, in assenza di un costrutto logico narrativo. Ha rilevato al riguardo la dottrina che il soggetto chiamato ad effettuare una ricognizione di persona opera nel corto circuito delle sensazioni; gli risulta noto un viso a proposito del quale non rammenta niente; subisce inoltre forti variabili emotive. Le pure impressioni visive, poi, durano meno della memoria storicamente elaborata: si ricordano gli avvenimenti quando i visi sono già svaniti; il meccanismo con il quale vengono i volti richiamati alla memoria e le curve dell'oblio differiscono nettamente nei due casi.

Da notare tuttavia che, in questo caso, poco fu il tempo trascorso tra l'omicidio e l'individuazione fotografica e la successiva ricognizione formale.

È certo, infine, che la persona chiamata al riconoscimento sente i fattori ambientali più che se narrasse.

L'atto ricognitivo, nonostante sia dotato di grande forza impressionistica, costituisce un mezzo di prova di estrema delicatezza, che reca in sé numerose insidie. Il legislatore si è mostrato ben consapevole di questa realtà: come si legge nella Relazione al progetto preliminare del nuovo codice di procedura penale, "la marcata diffidenza verso l'attendibilità dei risultati di questo mezzo di prova e l'esigenza di assicurare nella maggiore misura possibile il rispetto di regole dirette ad evitare esiti influenzati e precostituiti" lo hanno indotto "ad accentuare una regolamentazione minuziosa delle attività preliminari della ricognizione vera e propria e dello svolgimento di questa". Le modalità del riconoscimento di persone, previste dagli artt. 213 e 214 del codice del rito penale (la c. d. lineup dell'esperienza americana), dovrebbero essere osservate in maniera scrupolosissima, per evitare che il soggetto chiamato alla ricognizione possa essere indotto ad errate identificazioni. In particolare, la dottrina di lingua inglese ha osservato al riguardo che le persone messe in fila debbono essere abbastanza omogenee al presunto colpevole in relazione al peso, altezza, età, vestiario, ecc. Inoltre, poiché i testimoni tendono a percepire la colpevolezza in base ad uno stereotipo facciale, si deve tener conto che inserire solo soggetti con il viso normale e simpatico può portare a deviare il loro giudizio su cui presenta i connotati tipici della stereotipo del criminale. Occorre inoltre considerare le differenze fisiche esistenti tra persone originarie di Paesi diversi e distanti tra loro.

Un'ulteriore considerazione. La dottrina ha dimostrato come i reati vengono generalmente consumati in condizioni del tutto particolari, cariche di stress per l'osservatore, che diminuiscono la sua possibilità di percepire correttamente ciò che sta accadendo di fronte a lui, anche perché i movimenti si svolgono rapidamente ed il testimone può percepire solo immagini frammentarie e pochi particolari. Ciò non è contraddetto dalla circostanza che le dichiarazioni di F. E. G. G. riguardanti le modalità dell'uccisione del suo amico abbiano trovato obiettive conferme nei risultati dell'autopsia.

Non ci sono dubbi che questi abbia detto il vero. Il problema consiste nello stabilire quanto attendibile possa essere il suo riconoscimento.

Le ricerche psicologiche hanno dimostrato che nel corso del riconoscimento fotografico il testimone è chiamato a cercare di formare nella sua memoria, unendo i frammenti particolari del volto della persona vista, una immagine unitaria, onde poterla raffrontare alle fotografie che man mano gli vengono mostrate. Questa fase è generalmente carica delle aspettative dell'interrogante e dello stesso teste ad operare un riconoscimento positivo: la persona chiamata ad effettuare il riconoscimento è generalmente mossa dal desiderio di assolvere bene il proprio dovere civico e di venire incontro alle aspettative delle autorità di polizia.

Si deve inoltre considerare che, una volta individuato l'autore di un omicidio sulla base della visione di alcune fotografie, il testimone raramente sarò portato a rivedere successivamente, davanti al giudice, la propria dichiarazione, anche perché non raffronterà più il soggetto identificato con il soggetto presente sulla scena del delitto, ma con il soggetto precedentemente riconosciuto: il che può condurre ad una percezione alterata sino ad arrivare ad una errata identificazione.

Certezze non provengono neppure dall'alibi prospettato dall'imputato, nel senso che dalla valutazione complessiva delle dichiarazioni rese dai testi introdotti dalla difesa, in parte contraddittorie, insicure, fondate su elementi inesistenti (il bar S.), talora fantasiose e irrilevanti, non emerge la prova inoppugnabile che J. M. fosse altrove allorché veniva ucciso E. R. L.; ma neppure la prova certa della falsità dell'alibi. E ciè è importante, perché l'alibi, solo ove se ne dimostri la falsità, può essere posto in correlazione con le altre circostanze di prova e valutato, come indizio a carico dell'imputato, nel contesto delle complessive risultanze probatorie (giurisprudenza costante: v., per tutte, Cass., 8 maggio 1980, Geraci, in Cass. pen. Mass. ann., 1981, p. 1842; Cass. 4 febbraio 2004, Gallazzi, in CED Cass n. 228386; Cass. 15 dicembre 2005, Solimando, in Cass. pen., 2006, p. 2574).

Da rilevare ancora come nessun elemento utile di giudizio possa essere tratto dai brogliacci delle intercettazioni telefoniche acquisiti dalla Corte.

Le prove d'accusa, dotate di una non insuperabile capacità dimostrativa, al pari delle prove della difesa, non pienamente convincenti, hanno fatto sì che il complice dell'ignoto assassino rimanesse un'ombra in quella notte d'estate, che l'accusa dice essersi trovata in quel parco vicino alla vittima e all'esecutore materiale del delitto, e che la difesa colloca invece in incerti locali di periferia, aperti sino ad ora tarda.

A parte i testi della difesa, nessuno conosceva J. M., nessuna relazione è emerso che avesse avuto con la vittima o con i suoi parenti ed amici, nessuno ha fornito il benché minimo elemento che potesse essere valorizzato per la ricerca di un movente, anche se - come è noto - la causale dell'omicidio conserva pur sempre un margine di ambiguità e si colloca in un rapporto di sussidiarietà probatoria rispetto agli altri elementi di valutazione. Insomma, il buio più assoluto.

Subordinando la pronuncia della sentenza di condanna al presupposto che l'imputato risulti colpevole "al di là di ogni ragionevole dubbio", l'art. 533, comma 1, c. p. p. introduce nell'ordinamento giuridico, come è stato osservato, una regola-cardine del sistema giudiziario americano: la c. d. beyond any reasonable doubt rule (bard rule). Celebre, al riguardo, la famosa sentenza in re Winship, 397 U. S. 358 (1970), sulla quale ampiamente ha scritto autorevole dottrina italiana.

Trattasi di un criterio valutativo di grande rilievo, già desumibile da una corretta interpretazione dei canoni di valutazione probatoria indicati dall'art. 530, comma 2, c. p. p. (si vedano sul punto, tra le prime interpretazioni della giurisprudenza di merito, ad esempio, alcune pronunce di questa stessa Corte: Ass. Milano 11 luglio 2002, Cammarata, in Riv. ir. dir. proc. pen., 2003, p. 664; Ass. Milano 9 maggio 2005, ivi, 2005, p. 820), pur dovendosi riconoscere all'art. 5 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, che ha modificato l'art. 533 c. p. p., un opportuno sforzo chiarificatore.

Come osservato dalla dottrina, il canone valutativo indicato ha una duplice proiezione funzionale; in negativo, ribadisce che la colpevolezza dell'imputato può essere affermata anche in presenza di dubbi, purché non ragionevoli, possibili, immaginari o puramente scettici; in positivo, ha la funzione di indicare il grado di probabilità della colpevolezza necessario per la pronuncia della sentenza di condanna. L'imputato può essere condannato se le prove acquisite innalzino il verdetto di colpevolezza a quote elevatissime di probabilità assoluta, confinanti con la certezza, sia essa processuale (come si legge in alcune sentenze di legittimità), sia essa induttiva, pratica, umanamente ottenibile (come si legge in dottrina).

Il legislatore impone dunque al giudice l'osservanza di un criterio giuridico di decisione, che è più rigoroso rispetto al criterio razionale basato sulla mera preponderanza probabilistica dell'ipotesi d'accusa.

10.-10. Conclusioni.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, J. M. deve essere assolto dal reato ascrittogli a norma dell'art. 530, comma 2. c. p. p., per non aver commesso il fatto, essendo insufficienti le prove emerse a suo carico. Ne consegue la sua immediata scarcerazione, se non detenuto per altra causa.

A norma dell'art. 240 c. p., deve essere disposta la confisca di quanto in sequestro, ad eccezione del ciclomotore e di quanto indicato nel verbale di sequestro redatto il 6 luglio 2007, alle ore 7,30, a carico di E. R. L., cose delle quali va ordinato il dissequestro con conseguente restituzione agli eredi dello stesso E. R. L..

P.Q.M.

P.Q.M.

Visto l'art. 530, comma 2, c. p. p.,

ASSOLVE

J. M., alias M. M., dal delitto ascrittogli, per non aver commesso il fatto e ne ordina l'immediata scarcerazione se non detenuto per altra causa.

Visto l'art. 240 c. p.,

ORDINA

la confisca di quanto in sequestro, ad eccezione del ciclomotore e di quanto indicato nel verbale di sequestro redatto in data 6 luglio 2007 alle ore 7,30 a carico di E. R. L., cose della quali va disposto il dissequestro con conseguente restituzione agli eredi dello stesso E. R. L..

Visto l'art. 544, comma 3, c. p. p.,

FISSA

in giorni sessanta il termine per il deposito della sentenza..

Così deciso in Milano, il 28 aprile 2009.

IL PRESIDENTE ESTENSORE

Dr. Luigi Domenico CERQUA

 Corte assise  Milano,  25 giugno 2009,