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Richiesta estradizionale non tradotta (Cass. 18306/04)

20 aprile 2004, Cassazione penale

La mancata traduzione in lingua italiana non e' prevista da alcuna norma a pena di nullita'; peraltro la lingua puo' essere, ai sensi dell'art. 23 della Convenzione europea di estradizione sottoscritta a Parigi il 13.12.1957 (L. 30 gennaio 1963, n. 300), quella ufficiale del Consiglio d'Europa, ossia quella inglese come nel caso.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE VI PENALE

(ud. 12/03/2004) 20-04-2004, n. 18306

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio

Dott. FULGENZI Renato - Presidente -

Dott. ROMANO Francesco - Consigliere -

Dott. AMBROSINI Giangiulio - Consigliere -

Dott. SERPICO Francesco - Consigliere -

Dott. DI CASOLA Carla - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

difensore, avv. ALA, di MZ nato a Belgrado (Serbia) il **.1972;

avverso la sentenza 17.12.2003 della Corte d'appello di Milano;

Visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

Udita la relazione del Consigliere Dott. Giangiulio Ambrosini;

Udito il parere del Sostituto Procuratore Generale, in persona del P.G. Dott. Antonio Gialanella, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito il difensore del ricorrente, avv. A, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso;

Svolgimento del processo

La Corte d'appello di Milano con sentenza 17.12.2003 dichiarava esistenti le condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione proposta dalla Comunita' degli Stati di Serbia e Montenegro di estradizione del cittadino serbo ZM, colpito da ordine di cattura del Tribunale distrettuale di Belgrado perche' indiziato del reato di omicidio.

La sentenza richiama la Convenzione europea di estradizione 13.12.1957 sussistendo il requisito della doppia incriminabilita' e non trattandosi di reato politico (l'omicidio era avvenuto nel corso di un litigio in una festa d'appartamento). Respinge inoltre le eccezioni difensive circa la tardiva presentazione della domanda e la mancata produzione di atti relativi all'identificazione nell'estradando dell'autore dell'attivita' illecita contestata, rilevando a quest'ultimo proposito che non vi e' problema di identificazione di MZ come destinatario del provvedimento restrittivo della liberta', mentre il problema della sua identificazione quale sospetto autore del reato non concerne l'autorita' giudiziaria italiana.

Ricorre la difesa dell'estradando per violazione di legge e difetto di motivazione in particolare con riguardo alla carenza dei requisiti di identificazione previsti dall'art. 700 c.p.p., comma 2, lett. c) e alla mancata esibizione della domanda di estradizione e dei relativi documenti in originale o in copia autentica e della traduzione nella lingua del paese richiesto, in luogo di quella inglese.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso non ha pregio ed appare comunque ripetitivo di una questione proposta dalla difesa nella procedura di estradizione, cui la Corte d'appello ha dato adeguata e compiuta risposta.

Non vi e', infatti, problema circa la identificazione dell'estradando MZ e, conseguentemente, a nulla rileva che l'autorita' richiedente non abbia fornito i dati segnaletici e in particolare le impronte delle linee papillari. Al contrario la questione concerne la riferibilita' del fatto-reato per cui e' richiesta la estradizione al M; ma cio' attiene al merito della vicenda processuale in relazione alla quale il giudice italiano non puo' interloquire.

Altrettanto e' a dirsi per il secondo motivo.

Pur ammesso che gli atti trasmessi dall'autorita' serba richiedente non siano stati tradotti - come richiesto dall'art. 201 del D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271 (art. 201 disp. att. c.p.p.) - la mancata traduzione in lingua italiana non e' prevista da alcuna norma a pena di nullita', come piu' volte si e' espressa la giurisprudenza di questa Corte. Peraltro la lingua puo' essere, ai sensi dell'art. 23 della Convenzione europea di estradizione sottoscritta a Parigi il 13.12.1957 (L. 30 gennaio 1963, n. 300), quella ufficiale del Consiglio d'Europa, ossia quella inglese come nel caso.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento;

manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 203 del D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271 (art. 203 disp. att. c.p.p.).

Cosi' deciso in Roma, il 12 marzo 2004.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2004