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Revoca patente: sospensione cautelare conta (Cass. 126/20)

7 gennaio 2020, Cassazione penale

Il triennio di divieto di conseguire la patente di guida in caso di revoca (triennio secco) va conteggiato dall’accertamento del reato da intendersi quale accertamento del fatto-reato da parte degli agenti operanti: il periodo di inflitta sospensione provvisoria va scomputato dal triennio di durata ex lege della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente. Contrariamente opinando si farebbero gravare sul soggetto sanzionato gli aspetti che dipendono dall’organizzazione dell’amministrazione della giustizia, cioè la durata delle indagini preliminari e del processo penale; costui patirebbe la sanzione della sospensione per tutti gli anni di durata del provvedimento provvisorio per poi patire ulteriori tre anni di revoca.

La sospensione disposta dal prefetto è una misura cautelare, che interviene nell’immediatezza del fatto, senza le garanzie dell’accertamento in sede penale, e dunque è destinata a essere assorbita nella sospensione disposta dal giudice penale, con detrazione del periodo di tempo già scontato: ciò vale anche tra la sospensione disposta dalla Prefettura e la revoca disposta dal giudice penale. Il tempo di inibizione collegato alla revoca può infatti essere inteso come la durata massima della sospensione: il cumulo di queste sanzioni non può eccedere il risultato sostanziale di quella più grave, ossia della revoca. Nello specifico, ove vi sia stato l’effettivo ritiro della patente in seguito alla sospensione disposta dal prefetto, il termine finale dell’inibizione collegata alla revoca deve essere ridotto dell’esatto numero di giorni in cui il ricorrente è rimasto privo della facoltà di guidare.

Nelle ipotesi di reato per le quali è prevista "la sanzione amministrativa accessoria della sospensione o della revoca della patente di guida", l’agente o l’organo accertatore della violazione ritira immediatamente la patente e la trasmette alla prefettura dopodiché il prefetto "dispone la sospensione provvisoria della validità della patente di guida " (art. 223 C.d.S., comma 1) e quando la revoca della patente di guida è disposta a seguito della violazione di cui all’art. 186, "non è possibile conseguire una nuova patente di guida prima di tre anni a decorrere dalla data di accertamento del reato" (art. 219 C.d.S., comma 3 ter).

L’art. 219, comma 3 ter,del Codice della strada  indica il termine triennale, una volta decorso il quale è consentito al soggetto di conseguire una nuova patente di guida (essendovi stata l’ablazione del titolo di guida in precedenza conseguito, in forza della revoca), ed è il prefetto competente per territorio che, quale organo dell’esecuzione della sanzione amministrativa accessoria (irrogata dal giudice penale), si occupa della fase di modulazione del triennio, decidendo se esso è decorso o meno e conseguentemente ammettendo o meno il soggetto al nuovo esame di guida (art. 224 C.d.S., comma 2).

La revoca della patente, inflitta dal giudice penale costituisce una sanzione amministrativa accessoria a una sanzione penale e concretamente applicata dall’autorità amministrativa entro 15 giorni dalla comunicazione della sentenza o del decreto di condanna irrevocabili; ne consegue che il provvedimento di "revoca" della patente non viene materialmente in esistenza prima che il giudice penale lo pronunci e il suo procedimento di applicazione da parte della competente autorità amministrativa non può iniziare prima che la sentenza penale sia passata in giudicato.

La durata dell’inibizione, pari a tre anni in base all’art. 219 C.d.S., comma 3 ter, è collegata espressamente alla data di accertamento del reato che copoincide come il passaggio in giudicato della sentenza penale. 

Vanno distinti per natura, finalità ed effetti diversi, il provvedimento di revoca della patente da quello prefettizio, cautelare, di "sospensione provvisoria" della patente.

 

Corte di Cassazione

sez. IV Penale, sentenza 10 dicembre 2019 – 7 gennaio 2020, n. 126
Presidente Bricchetti – Relatore Tanga

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza in data 06/04/2017 il Tribunale di Padova dichiarava G.S.C. responsabile dei reati di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. C), commi 2 bis e 2 sexies (capo a), art. 187 C.d.S., commi 1, 1 bis e 1 quater (capo b), per avere guidato in stato di ebbrezza (tasso alcolemico pari a 1,55 g/L) e in stato di alterazione da sostanze stupefacenti (tipo cocaina) provocando un incidente stradale in orario notturno, fatto commesso il (omissis) , e lo condannava alla pena di anni 1 di arresto ed Euro 3.000 di ammenda per il capo a) e di anni 1 di arresto ed Euro 3.000 di ammenda per il capo b), con applicazione della sanzione amministrativa della revoca della patente di guida.

1.1. Con la sentenza n. 956/18 del giorno 15/03/2018, la Corte di Appello di Venezia, adita dall’imputato, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riconosciuto il concorso formale ex art. 81 c.p., comma 1, riduceva la pena complessiva ad anni 1 e mesi 6 di arresto e Euro 4.500,00 di ammenda, confermando nel resto.

2. Avverso tale sentenza d’appello propone ricorso per cassazione G.S.C. , a mezzo del proprio difensore, esponendo (in sintesi giusta il disposto di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1):

I) Questione di legittimità costituzionale dell’art. 224 C.d.S., in relazione all’art. 186 C.d.S., comma 2 bis, e art. 187 C.d.S., comma 1 bis, per violazione dell’art. 3 Cost., nonché del principio di ragionevolezza della legge. Deduce che la sospensione provvisoria disposta dal prefetto e quella definitiva disposta dal giudice incidono sull’autore della violazione per il medesimo fatto, per il quale il codice della strada prevede, come sanzione amministrativa accessoria, una sola sospensione della patente di guida per un periodo che va da un minimo a un massimo, anche se l’applicazione, prima di essere definitiva, può essere provvisoria e anche se all’applicazione provvisoria e a quella definitiva procedono distinte autorità; ne consegue che è il prefetto, organo di esecuzione delle sanzioni amministrative accessorie, a dover provvedere alla detrazione, obbligatoria, del periodo di sospensione eventualmente presofferto, e senza che vi sia bisogno di esplicita dichiarazione al riguardo da parte dell’autorità giudiziaria procedente. Sostiene che tale modalità non viene però attuata nei confronti di coloro ai quali viene irrogata la pena accessoria della revoca della patente, operando quindi una disparità di trattamento rispetto a tutti gli altri casi previsti dagli artt. 186 e 187 C.d.S., nei quali in occasione della sentenza di definizione del procedimento penale viene in ogni caso detratto il periodo di sospensione della patente presofferto in sede cautelare; tale ingiustificato trattamento, che comporta per alcuni la possibilità di detrarre a quanto statuito in sentenza il periodo presofferto di sospensione del documento di guida e, invece, per altri l’obbligo di sommare il predetto periodo di sospensione cautelare a quello determinato dalla revoca della patente, viola palesemente il principio di uguaglianza nonché quello di ragionevolezza che esige che le disposizioni normative contenute in atti aventi valore di legge siano congruenti o adeguate rispetto al fine perseguito dal legislatore. Afferma che, nel caso di specie, quindi, disapplicando i suddetti principi, il ricorrente sarà costretto a vedersi privato del documento di guida per la durata di anni cinque (3 anni per il periodo di revoca della patente e 2 anni scontati in fase cautelare ai sensi degli artt. 186 e 187 C.d.S.), ove, invece, ex art. 186, comma 2 bis, secondo periodo, la pena accessoria prevista per il caso de quo è sempre e comunque solo la revoca della patente (e non quella della sospensione cautelare).

II) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), e art. 187 C.d.S.. Deduce che la Corte d’Appello ha ritenuto sussistente l’ipotesi più grave disciplinata dall’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), a fronte di un accertamento alcolemico eseguito a troppa distanza dall’evento e per questo inattendibile. Afferma che l’esame del sangue effettuato alle ore 1:39 del 27 dicembre, circa due ore dopo l’incidente, si ritiene del tutto inattendibile in quanto non fornisce la prova che la misura rilevata fosse effettivamente corrispondente a quella esistente al momento in cui l’imputato si trovava alla guida, ossia due ore prima. Sostiene che il decorso di un intervallo temporale di alcune ore tra la condotta di guida incriminata e l’esecuzione del test alcolemico rende necessario, ai fini della sussunzione del fatto in una delle due ipotesi di rilievo penale, verificare la presenza di altri elementi indiziari e sono proprio i suddetti elementi indiziari che mancano completamente nel caso di specie.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è manifestamente infondato e, perciò, inammissibile.

4. In ordine alla questione di illegittimità costituzionale rappresentata con il motivo sub I) -peraltro genericamente formulata con riguardo alla rilevanza della questione nel processo penale, essendo in sostanza imperniata su ciò che accade, in sede amministrativa, dopo il passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna- mette conto, preliminarmente, evidenziare che la revoca della patente, inflitta dal giudice penale a norma del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 222, comma 2, costituisce una sanzione amministrativa accessoria a una sanzione penale e concretamente applicata, a norma del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 224, comma 2, dall’autorità amministrativa entro 15 giorni dalla comunicazione della sentenza o del decreto di condanna irrevocabili; ne consegue che il provvedimento di "revoca" della patente non viene materialmente in esistenza prima che il giudice penale lo pronunci (altro essendo, per natura, finalità ed effetti diversi, il provvedimento prefettizio, cautelare, di "sospensione provvisoria" della patente) e il suo procedimento di applicazione da parte della competente autorità amministrativa non può iniziare prima che la sentenza penale sia passata in giudicato (cfr. anche Cass. Civ. Sez. 2, Sentenza n. 13508 del 20/05/2019, Rv. 654046).

Inoltre, l’elaborazione giurisprudenziale del Giudice delle Leggi ha definito e arricchito la nozione legislativa di rilevanza della questione incidentale di legittimità costituzionale, racchiusa nell’espressione adoperata dalla L. n. 87 del 1953, art. 23, comma 2, ("qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione").

La rilevanza, dunque, "esprime il rapporto che dovrebbe correre fra la soluzione della questione e la definizione del giudizio in corso" (sentenza Corte Cost. n. 13/1965); "un legame di carattere obiettivo tra il giudizio di costituzionalità e quello principale, commisurato all’interesse dell’ordinamento di prevenire ogni possibilità che il giudice applichi nel processo principale una norma anticostituzionale" (sentenza Corte Cost. n. 1012/1988); una relazione per cui la questione si pone "come presupposto necessario del giudizio a quo e con incidenza sulle norme cui il giudice è direttamente chiamato a dare applicazione" (sentenza Corte Cost. n. 45/1972); un "effettivo e concreto rapporto di strumentalità fra la risoluzione della questione di legittimità costituzionale e la definizione del giudizio principale" (ordinanza Corte Cost. n. 282/1998). Pertanto, il necessario "nesso di pregiudizialità fra la risoluzione della questione di legittimità costituzionale e la decisione del caso concreto" (sentenza Corte Cost. n. 77/1983) o la pretesa dedotta nel processo principale (sentenza Corte Cost. n. 420/1991) implica, da un lato, che la rilevanza inerisca solo al giudizio a quo (sentenza Corte Cost. n. 343/1993) e, dunque, a questioni aventi ad oggetto norme "applicabili dal rimettente" -in proposito, la sentenza Corte Cost. n. 10/1979 ha significativamente affermato che "rilevanza della questione e applicabilità della legge nel giudizio di merito costituiscono termini inscindibili"-e, dall’altro, che un’eventuale sentenza di accoglimento sia in grado di spiegare un’influenza sul processo principale (sentenze Corte Cost. nn. 92/2013 e 111/1977), provocando un cambiamento del quadro normativo assunto dal giudice a quo (sentenza Corte Cost. n. 390/1996).

4.1. Ebbene, nella specie il processo può essere definito in base all’interpretazione, resa da questo Giudice di legittimità, delle norme dedotte in ricorso.

4.2. In vero, la durata dell’inibizione, pari a tre anni in base all’art. 219 C.d.S., comma 3 ter, è collegata espressamente alla data di accertamento del reato. La formula scelta dal legislatore non sembra riferibile agli uffici dell’amministrazione, che si occupano della ricostruzione dei fatti ma rimettono poi necessariamente ogni valutazione al giudice penale. L’accertamento rilevante è quindi solo quello che rende non più contestabile la qualificazione dei fatti come reato. Conseguentemente, occorre fare riferimento al passaggio in giudicato della sentenza. Questa soluzione sembra coerente con le esigenze implicite nel sistema della vigilanza sull’uso della patente di guida, in quanto assicura l’effettività della sanzione amministrativa, evitando contemporaneamente un utilizzo opportunistico delle impugnazioni davanti al giudice penale; la sottrazione della patente deve quindi operare come una limitazione effettiva della facoltà di guida, ma non oltre il tetto stabilito dal legislatore.

4.3. In proposito, occorre osservare la situazione che si presenta quando la patente venga sospesa sia dal giudice penale sia dal prefetto (v. artt. 222 e 223 C.d.S.): la sospensione disposta dal prefetto è una misura cautelare, che interviene nell’immediatezza del fatto, senza le garanzie dell’accertamento in sede penale, e dunque è destinata a essere assorbita nella sospensione disposta dal giudice penale, con detrazione del periodo di tempo già scontato (v. ex multis Sez. 4, n. 48845 del 24 novembre 2015). La medesima regola non può che valere anche per il coordinamento tra la sospensione disposta dalla Prefettura e la revoca disposta dal giudice penale. Il tempo di inibizione collegato alla revoca può infatti essere inteso come la durata massima della sospensione. Pertanto, il cumulo di queste sanzioni non può eccedere il risultato sostanziale di quella più grave, ossia della revoca. Nello specifico, ove vi sia stato l’effettivo ritiro della patente in seguito alla sospensione disposta dal prefetto, il termine finale dell’inibizione collegata alla revoca deve essere ridotto dell’esatto numero di giorni in cui il ricorrente è rimasto privo della facoltà di guidare (cfr. T.A.R. Lombardia, Sez. I, Brescia, del 2 febbraio 2016, n. 117).

4.4. In altri termini, occorre tener conto che nelle ipotesi di reato per le quali è prevista "la sanzione amministrativa accessoria della sospensione o della revoca della patente di guida", l’agente o l’organo accertatore della violazione ritira immediatamente la patente e la trasmette alla prefettura dopodiché il prefetto "dispone la sospensione provvisoria della validità della patente di guida " (art. 223 C.d.S., comma 1) e quando la revoca della patente di guida è disposta a seguito della violazione di cui all’art. 186, "non è possibile conseguire una nuova patente di guida prima di tre anni a decorrere dalla data di accertamento del reato" (art. 219 C.d.S., comma 3 ter). Quindi è l’art. 219, comma 3 ter, che indica il termine triennale, una volta decorso il quale è consentito al soggetto di conseguire una nuova patente di guida (essendovi stata l’ablazione del titolo di guida in precedenza conseguito, in forza della revoca), ed è il prefetto competente per territorio che, quale organo dell’esecuzione della sanzione amministrativa accessoria (irrogata dal giudice penale), si occupa della fase di modulazione del triennio, decidendo se esso è decorso o meno e conseguentemente ammettendo o meno il soggetto al nuovo esame di guida (art. 224 C.d.S., comma 2).

4.5. Il fatto che il ricorrente abbia cagionato un incidente stradale in stato di ebbrezza alcolica al di sopra del limite indicato dall’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), ha fatto scattare l’obbligatoria applicazione della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente da parte del giudice penale che ha pronunciato sentenza; a ciò deve far seguito la fase esecutiva avanti al prefetto quale organo dell’esecuzione.

4.6. Ciò posto, mette conto – ancora - osservare che la revoca della patente non ha natura sanzionatorio/repressiva; a tal proposito giova richiamare la condivisibile pronuncia di questa stessa Sezione (Sez. 4, n. 42346 del 16/05/2017 Cc. - dep. 15/09/2017 - Rv. 270819) in forza della quale (con riferimento al quarto periodo dell’art. 222 C.d.S., comma 2, introdotto dalla novella del 2016, ma pur sempre con riferimento alla sanzione amministrativa della revoca della patente) "È manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 222 C.d.S., comma 2, quarto periodo, in relazione agli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui prevede l’obbligo della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, poiché tale sanzione non ha natura "sostanzialmente ò penale", secondo l’interpretazione dell’art. 7 CEDU adottata dalla Corte di Strasburgo, atteso che la previsione di una sanzione amministrativa irrogata all’esito di un giudizio penale non elude le garanzie proprie del processo penale, nè pone un problema di estensione dell’applicazione del divieto del "ne bis in idem", non essendo l’imputato sottoposto ad un procedimento amministrativo e ad un procedimento penale per il medesimo fatto. (In motivazione la Corte ha precisato che l’obbligatorietà della sanzione amministrativa rientra nell’esercizio ragionevole della discrezionalità del legislatore nazionale, trattandosi di sanzione con chiara finalità preventiva e non repressiva)".

4.7. Dalle considerazioni che precedono può dedursi l’analoga natura che caratterizza la sospensione provvisoria della patente di guida e la revoca della patente di guida. In entrambi i casi si tratta di sanzioni adottate a fini di prevenzione generale cioè al fine di impedire al soggetto la reiterazione di condotte analoghe a quelle già poste in essere e a tutela dell’incolumità pubblica generale a fronte di condotte idonee a suscitare un particolare allarme sociale. Questo costituisce un argomento che porta ad assimilare la valenza delle due sanzioni e che non impedisce di ritenere che la revoca costituisca la sanzione definitiva in progressione rispetto a quella applicata in via provvisoria (mediante la sospensione provvisoria prefettizia) al soggetto che ha cagionato l’incidente guidando in stato di ebbrezza alcolica. La revoca costituisce l’effetto peggiorativo (sul titolo di guida) della causazione di un incidente stradale da parte di chi guida in stato di ebbrezza e non pare ragionevole consentire il cumulo fra i due periodi. A ciò consegue la condivisibilità della prospettazione in forza della quale il triennio di revoca (triennio secco) va conteggiato dall’accertamento del reato da intendersi quale accertamento del fatto-reato da parte degli agenti operanti. In tal modo il periodo di inflitta sospensione provvisoria va scomputato dal triennio di durata ex lege della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente. Contrariamente opinando si farebbero gravare sul soggetto sanzionato gli aspetti che dipendono dall’organizzazione dell’amministrazione della giustizia, cioè la durata delle indagini preliminari e del processo penale; costui patirebbe la sanzione della sospensione per tutti gli anni di durata del provvedimento provvisorio per poi patire ulteriori tre anni di revoca.

4.8. Che si debba attendere l’irrevocabilità della sentenza penale di condanna per poter dare inizio alla fase di competenza del prefetto, deriva dal fatto che solo in quel momento il prefetto diviene competente quale organo dell’esecuzione della sanzione amministrativa accessoria (la cui statuizione è divenuta definitiva) e quindi va interpellato dal soggetto che è interessato a intraprendere un nuovo esame di guida. Prima del giudicato, la sanzione amministrativa accessoria non si è stabilizzata come dictum e quindi la figura esecutiva del prefetto non può ancora entrare in gioco ma ciò non significa che il triennio debba essere calcolato solo dal giudicato essendo diversi gli ambiti.

4.9. Conclusivamente, la questione di legittimità costituzionale eccepita dal ricorrente è manifestamente infondata.

4.10. Per completezza, preme ribadire che non sussiste alcun obbligo a carico del giudice di trasmettere gli atti al prefetto per l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria in parola, potendo a ciò provvedere anche il pubblico ministero e potendo il medesimo prefetto, anche su sollecitazione dell’interessato, richiedere l’invio degli atti (cfr. anche Sez. 4, n. 3474 del 12/12/2007 Ud. - dep. 23/01/2008 - Rv. 239026).

5. In ordine alla doglianza sub II), mette conto solo evidenziare che, con riferimento al profilo della responsabilità del ricorrente in relazione alla fattispecie di reato ritenuta dalla Corte territoriale, è stata offerta una puntuale motivazione, del tutto coerente rispetto al risultato accertato a seguito del prelievo ematico, in base al quale si era registrato, sulla persona del ricorrente, un valore del tasso alcolemico pari a 1,55 g/l. A tal proposito, non è superfluo ricordare che, secondo consolidato orientamento di questa Corte, in tema di guida in stato di ebbrezza, in presenza di un accertamento strumentale del tasso alcolemico conforme alla previsione normativa, grava sull’imputato l’onere di dare dimostrazione di circostanze in grado di privare quell’accertamento di valenza dimostrativa della sussistenza del reato, fermo restando che non integra circostanza utile a tal fine il solo intervallo temporale intercórrente tra l’ultimo atto di guida e l’espletamento dell’accertamento. Si ricava da tale principio che gli esiti dell’accertamento strumentale devono essere contestati mediante idonee allegazioni - qui del tutto mancanti - e che l’intervallo di tempo tra l’azione della guida e l’effettuazione del prelievo non può essere addotto quale unico elemento di significazione della inattendibilità del risultato (cfr. Sez. 4, n. 24919 del 19/02/2019). Inoltre, la Corte del merito ha diffusamente e logicamente -e, quindi, ineccepibilmente in questa sede di legittimità- esposto le ragioni del proprio convincimento affermando, tra l’altro, che "nello specifico, vi sono diversi elementi sintomatici di uno stato di alterazione in atto al momento della guida, rappresentati sia dalle modalità peculiari dell’incidente (l’imputato ha invaso la corsia opposta causando un frontale) sia dall’aspetto che aveva l’imputato subito dopo l’incidente (era confuso, barcollava) e ancora poi al Pronto Soccorso (aveva gli occhi arrossati ed era confuso). Tali elementi sintomatici non possono trovare altre spiegazioni, come vorrebbe la difesa, ed in particolare un colpo di sonno appare poco credibile posto che l’incidente è avvenuto alle ore 23.30 circa mentre l’ipotesi di un guasto tecnico è rimasta completamente priva di riscontro. Dal verbale di Pronto Soccorso poi risulta un esame emocromo alle ore 1.39 del (omissis) , circa due ore dopo l’incidente, con positività all’etanolo e, dal prelievo delle ore 3.00, risulta la positività all’alcol e alla cocaina, sia dall’esame del sangue che delle urine. Non sono stati forniti invece da parte dell’imputato elementi che consentano di ritenere che vi sia stata una ingerenza di sostanze dopo l’incidente (poco plausibile peraltro tenuto conto che il tempo è stato trascorso in Ospedale), mentre la curva, a distanza di alcune ore, non avrebbe potuto che trovarsi ormai nella fase discendente. Anche per quanto riguarda la positività a cocaina e benzoilectonina, si deve osservare come l’esame del sangue e quello delle urine, che hanno dato risultati conformi, unitamente agli elementi sintomatici descritti (tra cui in particolare lo stato confusionale), consentono di ritenere l’attualità dello stato di alterazione da sostanze al momento della guida e non già la risalenza nel tempo degli effetti, ad alcuni giorni prima, come sostenuto dalla difesa".

5.1. Di qui l’infondatezza manifesta del motivo in scrutinio.

6. Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di Euro 2.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

Dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla Cassa delle ammende.