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Restituzione in termini su sentenza contumaciale e i termini di custodia cautelare (Cass. 15892/15)

16 aprile 2015, Cassazione penale

Il periodo di custodia cautelare scontato all'estero in esecuzione di un mandato di arresto europeo deve essere computato nella determinazione dei termini di fase.

La scarcerazione dell'imputato, da parte del giudice che abbia accolto la richiesta dello stesso di restituzione nel termine per proporre impugnazione avverso sentenza di condanna contumaciale, opera esclusivamente con riferimento alla detenzione che ha titolo nella esecuzione di detta sentenza, restando peraltro impregiudicata l'efficacia delle eventuali misure cautelari a carico dell'imputato al momento del passaggio in giudicato della condanna, poichè, in tal caso, il riacquisto dello "status" di imputato, conseguente alla intervenuta restituzione, comporta la sottoposizione alle correlate misure cautelari.

Il termine di durata della custodia cautelare, ripristinata per effetto della regressione del processo dalla fase esecutiva alla fase di cognizione a seguito di restituzione nel termine per impugnare non riprende a decorrere dalla data del provvedimento del giudice dell'esecuzione che ha disposto il regresso, dato che le ipotesi di regressione del processo riguardano la fase della cognizione e non comprendono anche il caso di riapertura del processo, già definito, per constatate irregolarità nella formazione del titolo esecutivo, accertate a seguito di incidente di esecuzione.

Il riacquisto della qualità di imputato da parte di chi si sia visto accogliere la richiesta di restituzione nel termine ex art. 175 c.p.p., determina la decorrenza del termine di fase coincidente con la data dell'arresto dell'imputato nel procedimento estradizionale e non da quella di adozione del provvedimento restitutorio.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

(ud. 16/12/2014) 16-04-2015, n. 15892

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SIOTTO Maria Cristina - Presidente -

Dott. VECCHIO Massimo - Consigliere -

Dott. SANDRINI Enrico Giusepp - Consigliere -

Dott. CASA Filippo - rel. Consigliere -

Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

K.T.B.M. N. IL (OMISSIS);

avverso l'ordinanza n. 791/2014 TRIB. LIBERTA' di BOLOGNA, del 04/08/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CASA FILIPPO;

sentite le conclusioni del PG Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
1. Con ordinanza resa in data 4.8.2014 ex art. 310 c.p.p., il Tribunale del riesame di Bologna rigettava l'appello proposto nell'interesse di K.T.B.M. avverso il provvedimento con il quale il 17.7.2014 la Corte di Assise di Appello di Bologna aveva rigettato l'istanza difensiva di declaratoria di perdita d'efficacia della misura cautelare per essere decorso il termine di fase di cui all'art. 303 c.p.p., comma 1, lett. e), n. 3,.

1.1. Premetteva il Tribunale:

- che, con sentenza del 2.5.2005, la Corte di Assise di Bologna aveva condannato il latitante K.T.B.M., unitamente ai connazionali B.A.F. e S.R., alla pena di sedici anni di reclusione per il delitto di omicidio preterintenzionale (oltre che per il reato contravvenzionale di porto ingiustificato di un coltello);

- che con sentenza del 18.10.2006, la Corte di Assise di Appello di Bologna aveva confermato la prima decisione, dichiarando la pena di sedici anni di reclusione condonata nella misura di tre anni in applicazione della L. n. 241 del 2006;

- che la sentenza era divenuta irrevocabile nei confronti del K. in data 10.3.2007;

- che in data 18.7.2007 il P.M., a norma della L. n. 69 del 2005, art. 28, comma 1, lett. h), aveva emesso mandato di arresto europeo sulla base dell'ordine di esecuzione n. 266/07 della pena residua di tredici anni di cui sopra, emesso dalla Procura della Repubblica bolognese il 4.6.2007;

- che, in esecuzione del citato mandato, in data 10.10.2012 il K. era stato tratto in arresto in Svezia e, quindi, come da provvedimento di messa a disposizione emesso il 12.11.2012 dall'Autorità giudiziaria svedese, era stato estradato in Italia il 7.12.2012;

- che, in accoglimento di istanza difensiva, il K., con ordinanza emessa dalla Corte di Assise di Appello di Bologna il 19.6.2013, era stato rimesso in termini, ai sensi dell'art. 175 c.p.p., per la proposizione di atto di appello avverso la sentenza di primo grado del 2.5.2005;

- che, con istanza presentata l'11.7.2014, il difensore del K. aveva chiesto l'immediata liberazione dell'imputato per la perdita di efficacia della misura cautelare, essendo spirato alla data del 9.4.2014 (al più, del 7.6.2014, ove si fossero computati gli 88 giorni impiegati per il deposito della motivazione della prima sentenza) il termine di fase di cui all'art. 303 c.p.p., comma 1, lett. c), n. 3), pari a un anno e sei mesi, decorrente dalla data dell'arresto in Svezia di esso K. (10.10.2012), atteso che, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 33 L. n. 69/2005 (sentenza Corte cost. n. 143 del 16.5.2008), la custodia cautelare all'estero doveva essere computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303 c.p.p., commi 1, 2, e 3. - che, con l'ordinanza reiettiva della predetta istanza, resa in data 17.7.2014, la Corte di Assise di Appello di Bologna aveva osservato:

da un lato, che l'art. 722 c.p.p., precisa che la custodia cautelare all'estero in conseguenza di domanda di estradizione va computata ai soli effetti della durata complessiva della custodia stessa, nella specie corrispondente a sei anni; dall'altro, che il termine di fase precedente il giudizio di appello doveva considerarsi iniziato alla data dell'ordinanza di restituzione in termini, dal momento che la carcerazione già subita dal K. fino a quel momento a seguito dell'arresto per estradizione trovava titolo nell'ordine di esecuzione della sentenza di condanna allora definitiva;

- che nell'appello proposto avverso detta ordinanza, la difesa del K. aveva riproposto gli stessi argomenti svolti a sostegno della rigettata istanza, criticando la subordinata affermazione della Corte secondo cui il dies a quo del termine di fase del giudizio di appello si sarebbe dovuto individuare nella data di emissione dell'ordinanza di restituzione in termini (19.6.2013): a tale riguardo, assumeva la difesa che il periodo di detenzione decorso dal 10.10.2012 (arresto in Svezia) al 19.6.2013 (restituzione in termini) si sarebbe dovuto imputare a custodia cautelare per il principio di fungibilità tra la stessa e la pena, la prima decorrendo dalla effettiva privazione della libertà del soggetto; d'altro canto, far decorrere il termine di fase dall'ordinanza di rimessione in termini sarebbe arbitrario, perchè farebbe dipendere quella decorrenza dalla sollecitudine o dall'inerzia dell'Autorità giudiziaria chiamata a decidere.

1.1.1. Tutto ciò premesso, il Tribunale di Bologna perveniva a conferma dell'impugnata ordinanza, anche se sulla base di argomenti del tutto diversi da quelli svolti dal Giudice a quo.

In particolare, il Tribunale condivideva la prospettazione difensiva sia con riferimento al computo della custodia cautelare all'estero agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303 c.p.p., commi 1, 2 e 3, (un anno e sei mesi), sia con riferimento al dies a quo della decorrenza del termine, coincidente con la data dell'arresto del K. in Svezia (posto che, come affermato dalla Corte cost. con la sentenza n. 143 del 2008, i "tempi della consegna" dovevano essere ricondotti all'interno dei "tempi del processo"), e non con quella, indicata dalla Corte di merito, dell'emissione dell'ordinanza di restituzione in termini, secondo una inaccoglibile interpretazione estensiva dell'art. 303 c.p.p., comma 2.

Condivideva, infine, il Tribunale la conclusione, peraltro rinvenibile in giurisprudenza, secondo cui l'accoglimento della richiesta di restituzione nel termine per l'impugnazione della sentenza contumaciale comportava la scarcerazione del richiedente con riferimento alla pena posta in esecuzione sulla base della menzionata sentenza, ma restava salva l'esecuzione della misura cautelare a suo tempo emessa, che riprendeva vigore per effetto del riacquisto della qualità di imputato ("Il passaggio in giudicato della sentenza di condanna non determina l'interruzione automatica della custodia cautelare in corso, la quale prosegue fino a trasformarsi in detenzione espiativa della pena al momento in cui viene disposta l'esecuzione di quest'ultima, con la conseguenza che, qualora per qualsiasi ragione il titolo espiativo venga successivamente caducato, tale trasformazione non si verifica e la detenzione deve ritenersi mantenuta in forza dell'originario titolo cautelare ed il relativo periodo deve essere computato ai fini del calcolo dei termini massimi della custodia cautelare" - Sez. 6^, n. 34531 del 21/9/2011, P.G. in proc. Baratta, Rv. 250842).

Se quanto premesso era vero, era altrettanto vero, secondo il Collegio:

- che il K. era rimasto latitante e nei suoi confronti non risultava essere mai stata eseguita alcuna misura cautelare (neppure quella originariamente emessa per il delitto di omicidio doloso inizialmente addebitato all'imputato);

- che il P.M., una volta divenuta irrevocabile la sentenza di condanna, con il citato mandato di arresto europeo aveva dato direttamente esecuzione alla pena e non alla misura della custodia cautelare in carcere;

- che, nel caso di specie, non veniva, dunque, in rilievo la questione della sorte della custodia cautelare carceraria a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di condanna a pena detentiva, nel senso, indicato dalle disposizioni di cui all'art. 656 c.p.p., comma 9, lett. b) e all'art. 657 c.p.p., comma 1, della sua prosecuzione ininterrotta fino alla confluenza e alla trasformazione, anche retroattiva, in detenzione espiativa;

- che solo in tale ultimo caso - cioè di effettiva esecuzione della misura cautelare precedente all'esecuzione della pena - caducato per qualsiasi ragione il titolo di espiazione, il protrarsi dello stato detentivo avrebbe conservato il suo titolo custodiale e il relativo periodo sarebbe stato computato ai fini del calcolo dei termini massimi della custodia cautelare;

- che, nel caso del K., invece, non essendo stata data esecuzione ad alcuna misura cautelare e avendo interessato la detenzione del reo la sola fase esecutiva del procedimento, non poteva individuarsi alcuna misura cautelare che fosse rivissuta e, di conseguenza, nessun termine di fase poteva considerarsi mai decorso.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il K., per il tramite del difensore di fiducia, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 303 c.p.p., comma 1, lett. c), art. 722 c.p.p., L. n. 69 del 2005, art. 33 e art. 297 c.p.p., comma 1.

A voler aderire al ragionamento del Tribunale, il K. non avrebbe dovuto trovarsi in vinculis in assenza di un titolo legittimante la privazione della libertà, mentre, al contrario, egli era stato sottoposto a regime detentivo a far data dal 10.10.2012 e lo era tuttora.

Posto che, finalmente, in data 5.8.2014, il Procuratore Generale di Bologna aveva notificato all'imputato l'ordinanza cautelare genetica emessa dal G.I.P. il 31.10.2003, doveva paradossalmente ritenersi che, fino a quella data, il termine cautelare di fase non avesse mai avuto inizio.

Tale asserto non poteva essere condiviso.

Ai fini della decorrenza del termine di fase per il giudizio di appello, doveva individuarsi nel giorno dell'arresto in Svezia il dies a quo, a prescindere dalla mancata notifica del titolo custodiale originario; altrimenti opinando, anche in violazione dell'art. 297 c.p.p., comma 1, si sarebbe ritenuta tamquam non esset la privazione della libertà personale dell'imputato, privazione della quale, peraltro, la stessa Corte di Assise di Appello, con ordinanza del 19.6.2013, aveva ravvisato la necessità della permanenza.

Ribadiva, la difesa ricorrente, l'arbitrarietà della eventuale decorrenza del termine di fase dall'ordinanza di restituzione in termini, dipendente dalla maggiore o minore solerzia dell'organo decidente.

Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato nei termini di cui in motivazione.

2. Il ragionamento seguito dal Tribunale di Bologna si è sviluppato da premesse teoricamente corrette per poi approdare, tuttavia, a conclusioni contraddittorie.

2.1. E', in primo luogo, esatta l'affermazione di principio secondo la quale il periodo di custodia cautelare scontato all'estero in esecuzione di un mandato di arresto europeo deve essere computato nella determinazione dei termini di fase.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 253/2004, ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell'art. 722 c.p.p., nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all'estero, in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato italiano, sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303 c.p.p., commi 1, 2 e 3.

Invero, rientrando la detenzione all'estero tra i motivi di legittimo impedimento a comparire per essere stata equiparata alla custodia cautelare in Italia, è irragionevole giustificare, per la detenzione all'estero, una disciplina diversa da quella prevista dall'art. 303 c.p.p. e art. 304 c.p.p., comma 6, per la durata dei termini massimi della custodia cautelare in Italia.

Va, poi, ricordato che la medesima Corte, con la sentenza n. 143/2008, ha dichiarato la illegittimità costituzionale anche della L. n. 69 del 2005, art. 33, nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all'estero, in esecuzione del M.A.E., sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303 c.p.p..

Sulla base di tali presupposti, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il periodo di custodia cautelare scontato all'estero in esecuzione di un mandato di arresto europeo deve essere computato nella determinazione dei termini di fase (Sez. 5^, n. 28446 del 23/6/2011, Brahimaj, Rv. 251101; Sez. 1^, n. 21056 del 17/3/2010, Rosenow Velasquez, Rv. 247646; Sez. 2^, n. 35139 del 2/7/2008, Sorroche Fernandez, Rv. 241116).

E ciò addirittura nella ipotesi in cui il soggetto detenuto all'estero sia al contempo sottoposto ad espiazione di una pena detentiva e non sia stato posto nella disponibilità della giurisdizione italiana (parzialmente contro ASN 201024583-RV 247815, per la quale dal periodo di custodia cautelare sofferto all'estero va "sottratto" l'arco temporale durante il quale lo Stato estero non ha fatto luogo alla materiale consegna del soggetto).

2.2. E', in secondo luogo, corretta l'adesione al principio giurisprudenziale secondo il quale la scarcerazione dell'imputato, da parte del giudice che abbia accolto la richiesta dello stesso di restituzione nel termine per proporre impugnazione avverso sentenza di condanna contumaciale, opera esclusivamente con riferimento alla detenzione che ha titolo nella esecuzione di detta sentenza, restando peraltro impregiudicata l'efficacia delle eventuali misure cautelari a carico dell'imputato al momento del passaggio in giudicato della condanna, poichè, in tal caso, il riacquisto dello "status" di imputato, conseguente alla intervenuta restituzione, comporta la sottoposizione alle correlate misure cautelari (Sez. 1^, n. 12903 del 24/3/2009, Ervis Sinani, Rv. 243500; Sez. 1^, n. 6266 del 28/1/2009, Gambino, Rv. 241965).

2.3. In sintonia con la giurisprudenza maggioritaria, cui aderisce il Collegio, è, infine, l'affermazione per cui il termine di durata della custodia cautelare, ripristinata per effetto della regressione del processo dalla fase esecutiva alla fase di cognizione a seguito di restituzione nel termine per impugnare non riprende a decorrere dalla data del provvedimento del giudice dell'esecuzione che ha disposto il regresso.

A quest'ultimo riguardo, è stato condivisibilmente precisato che tra i casi di regressione del processo ricadenti sotto la previsione del suddetto articolo non possa ritenersi compreso anche quello della regressione dalla fase esecutiva alla fase compresa tra le sentenze di primo e di secondo grado. Questa interpretazione estensiva della norma non può, invero, essere accolta, poichè l'espressione "o per altra causa" contenuta nell'art. 303 c.p.p., comma 2 comprende ogni possibile ipotesi di regressione del processo nell'ambito della fase della cognizione - per la quale, peraltro, sono dettate le norme che regolano i termini della custodia cautelare - ma non comprende anche il caso di riapertura del processo, già definito, per constatate irregolarità nella formazione del titolo esecutivo, accertate a seguito di incidente di esecuzione (Sez. 1^, n. 33121 del 14/7/2011, Gremì, Rv. 250671).

Correttamente, dunque, è stato affermato dal Giudice a quo che, atteso il riacquisto della qualità di imputato da parte del K. a seguito dell'accoglimento della sua richiesta di restituzione nel termine ex art. 175 c.p.p., la decorrenza del termine di fase sarebbe dovuta coincidere con la data dell'arresto dell'imputato in Svezia (10.10.2012) e non da quella di adozione del provvedimento restitutorio, indicata dalla Corte di merito.

2.4. Pur muovendo da premesse giuridiche corrette, il Tribunale non è, tuttavia, pervenuto alla coerente conclusione della intervenuta consumazione del termine di fase di un anno e sei mesi al momento della presentazione dell'istanza (11.7.2014), ma, al contrario, è giunto a sostenere che, nel caso di specie, non essendo stata data esecuzione ad alcuna misura cautelare (il K. era latitante) e avendo interessato la detenzione del reo la sola fase esecutiva del procedimento, non poteva individuarsi alcuna misura cautelare che fosse rivissuta e, di conseguenza, nessun termine di fase poteva considerarsi mai decorso.

Tale conclusione si pone in rapporto di aperta contraddizione con ciascuna delle premesse su esposte e appare manifestamente illogica.

Se, a seguito di restituzione nel termine per impugnare, il processo a carico del K. - già definito con sentenza irrevocabile di condanna - è regredito dalla fase esecutiva alla fase di cognizione con il riacquisto in capo al condannato della qualità di "imputato", e, se, per effetto della disposta regressione, previa revoca dell'ordine di esecuzione della sentenza e scarcerazione del condannato limitatamente a tale titolo esecutivo, viene "ripristinata" la custodia cautelare con nuova decorrenza dei relativi termini di fase, ciò che rileva, ai fini della legittimazione della privazione della libertà nei confronti dell'imputato, è che "esista", a monte, un provvedimento applicativo di misura cautelare, mai revocato, ancorchè non eseguito (si veda, sul punto, la già citata Sez. 1^, n. 12903 del 24/3/2009, Ervis Sinani, Rv. 243500).

Tale provvedimento, nel caso di specie, va identificato con l'ordinanza emessa dal G.I.P. di Bologna il 31.10.2003, che non risulta mai revocata e che, pertanto, ha ripreso vigore, anche sotto il profilo della sua esecuzione materiale, a partire dal 10.10.2012, data in cui il K. venne arrestato all'estero in forza di mandato europeo (posto che, a mente dell'art. 297 c.p.p., comma 1, "gli effetti della custodia cautelare decorrono dal momento della cattura, dell'arresto o del fermo").

Per converso, seguendo il ragionamento del Tribunale, dovrebbe pervenirsi alla paradossale e manifestamente illogica conclusione che, quanto meno a partire dalla data del provvedimento di restituzione in termini (19.6.2013) emesso dalla Corte di Assise di Appello di Bologna, l'imputato - scarcerato in relazione al titolo esecutivo - è stato sottoposto a privazione della libertà sine titulo.

Viceversa, il termine di fase di cui all'art. 303 c.p.p., comma 1, lett. c), n. 3), pari a un anno e sei mesi, decorrente dalla menzionata data dell'arresto in Svezia del K. (10.10.2012), deve considerarsi spirato alla data del 9.4.2014, prorogata al 7.6.2014 per il computo degli ottantotto giorni impiegati per il deposito della sentenza di primo grado.

3. Per le esposte considerazioni, va disposto l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata, nonchè dell'ordinanza della Corte di Assise di Appello di Bologna 17.7.2014 e va, conseguentemente, dichiarata la perdita di efficacia della custodia cautelare in carcere con immediata liberazione del ricorrente se non detenuto per altra causa.

La cancelleria provvedere alle comunicazioni di rito al Procuratore Generale in sede per gli incombenti di competenza.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata, nonchè l'ordinanza della Corte di Assise di Appello di Bologna 17.7.2014 e dichiara la perdita di efficacia della custodia cautelare in carcere; ordina l'immediata liberazione del ricorrente se non detenuto per altra causa.

Manda la cancelleria per la comunicazione al Procuratore Generale in sede perchè dia i provvedimenti occorrenti.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2015