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Registrazione delle indagini difensive esclude il reato (Cass. 30353716)

15 maggio 2016, Cassazione penale

Integra il reato di falsita' ideologica in atto pubblico  la condotta del difensore che documenta e poi utilizza processualmente le informazioni delle persone in grado di riferire circostanze utili alla attivita' investigativa, verbalizzate in modo incompleto o non fedele, in quanto l'atto ha la stessa natura e gli stessi effetti processuali del corrispondente verbale redatto dal pubblico ministero: se però unitamente al verbale delle dichiarazioni rese viene depositato anche il supporto informatico contenente la videoregistrazione dell'esame della donna, l'allegazione al verbale riassuntivo della documentazione videoregistrata dei suddetti fatti non puo' integrare la condotta di "immutatio veri" cui fa riferimento l'art. 479 c.p..

L'allegazione al verbale riassuntivo assertivamente falso della documentazione videoregistrata esclude la sussistenza dell'elemento soggettivo, giacche', se e' vero che e' sufficiente il dolo generico (non essendo richiesto l'animus nocendi ne' l'animus decipiendi), tale dolo deve consistere nella rappresentazione e nella volonta' dell'immutatio veri, che pare arduo configurare nel caso in cui sia lo stesso soggetto agente a fornire tutti gli elementi attestanti i fatti caduti sotto la sua percezione.

 

Corte di Cassazione

Sezione V penale

sentenza 30353/2016

ud. 23/03/2016 dep. 15-07-2016

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello - Presidente -

Dott. SAVANI Piero - Consigliere -

Dott. MORELLI Francesca - Consigliere -

Dott. CATENA Rossella - Consigliere -

Dott. MICCOLI Grazia - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

J.M.O., N. IL (OMISSIS);

nei confronti di:

M.P., N. IL (OMISSIS);

inoltre:

M.P., N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 3676/2013 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 21/01/2015;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/03/2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MICCOLI GRAZIA;

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, Dott. BIRRITTERI Luigi, ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile per le statuizioni in favore della parte civile. Ha chiesto altresi' il rigetto del ricorso dell'imputato.

Per l'imputato ricorrente, l'avv. DG ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 21 gennaio 2015 la Corte d'appello di Bologna, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, emessa dal Tribunale di Parma in data 5 dicembre 2012, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di M.P. in ordine alla contravvenzione ex art. 734 bis c.p. ascrittagli al capo e), per essere il reato estinto per prescrizione gia' alla data della sentenza appellata. Per l'effetto di tale decisione ha rideterminato la pena inflitta in anni tre e mesi due di reclusione e ha revocato le statuizioni civili in favore di J.M.O..

La Corte territoriale ha poi confermato nel resto la sentenza di primo grado, con la quale il suddetto imputato era stato riconosciuto responsabile di falso in atto pubblico (capo f), di piu' fatti di favoreggiamento personale (capi a e b) e di millantato credito (capo d).

Le condotte ascritte all'imputato riguardano la sua attivita' di difensore di tale L.P.F., all'epoca dei fatti indagato in un procedimento avente ad oggetto vari delitti.

2. Con atto sottoscritto dai suoi difensori ha proposto ricorso l'imputato, deducendo quanto segue.

2.1. Con il primo motivo viene denunziata violazione di legge in relazione al piu' grave reato di falso ideologico di cui al capo f).

All'imputato e' stato contestato di avere, nell'ambito delle indagini difensive svolte ai sensi dell'art. 391 bis c.p.p., e segg., riportato a verbale dichiarazioni che una teste non aveva fatto.

La diversita' del contenuto delle dichiarazioni effettivamente rese dalla teste era emersa, secondo quanto rilevato dai giudici di merito, dal confronto tra la video - registrazione dell'atto istruttorio e il verbale redatto dall'avvocato.

Sostiene quindi il ricorrente che non si sarebbe realizzata la condotta di falso ideologico, perche' l'imputato aveva depositato anche la riproduzione fonografica dell'esame della teste, che deve ritenersi parte integrante del verbale riassuntivo e comunque i suoi contenuti prevalgono su quelli dello stesso verbale.

In tale prospettiva, le inconsistenti difformita' tra verbale e registrazione perdono ogni astratta potenzialita' di immutatio veri per la puntuale allegazione, da parte dell'imputato, della ripresa audiovisiva dell'atto di indagine difensiva.

Sotto concorrente aspetto, poi, e' evidente quanto la circostanza rilevi in tema di elemento psicologico del ritenuto falso ideologico; secondo le conclusioni raggiunte in sede di merito, l'imputato avrebbe maliziosamente alterato le risposte della persona informata sui fatti, diligentemente fornendo pero' la prova del misfatto (addirittura optando per la non prescritta riproduzione audiovisiva dell'atto), quando avrebbe potuto - nel pieno rispetto delle norme di rito - limitarsi a depositare una trascrizione "integrale" - ma contenutisticamente alterata - dell'atto, ovvero depositare una preconfezionata dichiarazione scritta della dichiarante.

2.2. Con il secondo motivo viene denunziata sempre violazione di legge in relazione alla "alterazione" delle dichiarazioni ricevute.

Facendo specifico riferimento alle difformita' enunciate nel capo di imputazione tra il verbale redatto in forma riassuntiva e le dichiarazioni envincibili dalla riproduzione audiovisiva, i deducenti evidenziano che non vi sono sostanziali diversita' tra quanto verbalizzato dall'imputato e quanto dichiarato dalla persona esaminata.

2.3. Con il terzo motivo si denunzia violazione di legge in relazione ai ritenuti fatti di favoreggiamento.

Per cio' che riguarda il capo a (nel quale e' contestato all'imputato di aver informato la moglie del L. che erano in corso intercettazioni telefoniche anche nei confronti di coindagati e aveva invitato la donna ad avvertire questi ultimi, perche' si astenessero da ogni conversazione; aveva inoltre avvisato altro legale perche' facesse altrettanto), la difesa aveva rilevato come all'imputato non fosse addebitato di aver personalmente avvisato altri soggetti coindagati nel medesimo procedimento che vi erano intercettazioni telefoniche in corso, bensi' di aver intimato alla moglie del proprio assistito di avvisare i suddetti perche' si astenessero da ogni conversazione a mezzo del telefono. Si configurerebbe, semmai, solo un'istigazione a commettere reato di favoreggiamento, che non poteva peraltro ritenersi prontamente eseguita sul solo rilievo dell'effettiva cessazione delle conversazioni di utilita' investigativa, per l'ovvia ragione che cio' - secondo l'id quod plerunque accidit - rappresenterebbe soltanto la scontata conseguenza dell'allarme suscitato dal gia' avvenuto arresto del principale indagato.

La sentenza impugnata non dedicherebbe attenzione allo specifico rilievo, insistendo invece sulla natura di reato di pericolo del favoreggiamento, per la quale non si richiede che le investigazioni dell'autorita' vengano in effetti sviate (il che pero' costituisce altra e diversa questione, riguardante appunto la prospettiva del favoreggiamento, non quella della induzione), ovvero sulla "prova logica" rappresentata dalla cessazione delle conversazioni (il che in effetti riguarderebbe la stessa induzione sotto l'aspetto del suo accoglimento, ma - come appena osservato - la circostanza si risolve in singolo e non preciso indizio in tal senso).

Parimenti non risulterebbe affrontata (sempre sull'inadeguato presupposto della citata prova logica) la sussistenza in concreto di un mero tentativo di favoreggiamento, non certo ostacolata dalla fattispecie "di pericolo". Mentre l'addebito di aver fornito informazioni ed atti processuali ad un collega, cosi' "permettendo" allo stesso di informare il proprio assistito che vi erano intercettazioni in corso, non sembra riconducibile pure alla fattispecie dell'istigazione, l'accaduto riguardando semmai l'autonomo utilizzo, da parte del secondo difensore, di quanto conosciuto in virtu' dell'ordinaria circolazione di notizie e materiale di rilievo processuale tra professionisti impegnati nel medesimo procedimento.

Vengono altresi' denunziati vizi motivazionali sempre in relazione ai fatti di favoreggiamento.

Si deduce come la sentenza, pur illustrate puntualmente le censure difensive relative - tra l'altro - ai favoreggiamenti posti in essere inducendo al falso il coindagato F. ovvero il La., non abbia dato alcun conto della circostanza che il primo avesse addirittura preannunciato (tramite il proprio legale) l'intenzione di avvalersi della facolta' di non rispondere in sede di indagini difensive; nonche' che il secondo aveva ostinatamente ribadito, anche in dibattimento, di non aver mai pagato per le prestazioni sessuali, escludendo - dunque - ogni indebita "sollecitazione" del prevenuto ad esprimersi in tal senso.

Quanto ai fatti oggetto dell'imputazione sub capo b), gia' nell'imputazione si registra - secondo i deducenti - l'indebita commistione tra situazioni del tutto diverse, leggendosi che l'imputato avrebbe consegnato atti giudiziari a vari soggetti indagati nel medesimo procedimento, alcuni dei quali difesi da altri professionisti, nonche' indotto gli stessi indagati ed alcune persone informate sui fatti a rendere false dichiarazioni, "invitandoli ad affermare falsamente che non vi erano dazioni di denaro o altra utilita' quale corrispettivo delle prestazioni sessuali organizzate dal L.".

La sentenza impugnata non avrebbe distinto affatto le differenti condotte, pur necessarie di autonoma trattazione e diversificate conclusioni.

Segnalano infine i difensori deducenti l'ulteriore confusione tra esercizio (magari deplorevole) del mandato difensivo e favoreggiamento personale, laddove viene censurata una conversazione telefonica tra l'imputato e la moglie del suo assistito, durante la quale erano state fatte delle raccomandazioni alla donna in ordine alle dichiarazioni da rendere.

2.4. Con il quarto motivo si denunzia violazione di legge in relazione al reato di millantato credito (capo d).

Si sostiene che nel caso specifico la "millanteria non qualificata" non sarebbe in diretta relazione causale con l'ottenimento dell'utilita', piu' semplicemente rappresentando soltanto un argomento a favore della presunta "autorevolezza" del richiedente.

2.5. Con il quinto motivo si denunzia violazione di legge in relazione alla contravvenzione di divulgazione delle generalita' e dell'immagine di persona offesa da atti di violenza sessuale di cui al capo e).

Si sostiene che mancherebbero gli elementi costitutivi della fattispecie di cui all'art. 734 bis c.p., non essendo state divulgate le generalita' o l'immagine della persona offesa, bensi' solo piu' o meno significativi particolari della vicenda giudiziaria, e cio' a ragione, limitandosi altrimenti ulteriormente il diritto di cronaca.

2.6. Con il sesto motivo si denunziano violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio.

La sentenza impugnata non avrebbe motivato sulla doglianza proposta con l'atto di appello relativamente al diniego delle circostanze attenuanti generiche.

2.7. Con il settimo ed ultimo motivo si eccepisce l'erronea declaratoria di contumacia dell'imputato, che era impedito a comparire avendo subito un intervento al cuore e quindi era in stato di infermita' psico-fisica.

3. Con atto sottoscritto dal suo difensore ha proposto ricorso anche la parte civile J.M.O., denunziando con un unico motivo violazione di legge in relazione alla declaratoria di prescrizione del reato di cui all'art. 734 bis c.p..

La Corte territoriale, erroneamente applicando la legge penale, avrebbe omesso di conteggiare nel computo del tempo necessario a prescrivere, i periodi in cui, nel corso del dibattimento di primo grado, il termine di prescrizione era rimasto sospeso ex art. 159 c.p..

All'udienza dibattimentale del 7 febbraio 2012, il difensore dell'imputato aveva presentato una richiesta di rinvio per impedimento assoluto a comparire, accompagnandola con apposita certificazione medica comprovante un suo recente intervento chirurgico. Il giudice di primo grado, valutato l'impedimento come legittimo, aveva rinviato il processo alla successiva udienza del 10 aprile 2012, con conseguente sospensione del termine prescrizionale per 60 giorni.

All'udienza del 21 settembre 2012 il difensore dell'imputato aveva fatto pervenire alla cancelleria del dibattimento dichiarazione di adesione all'astensione proclamata, anche per quel giorno, dall'unione camere penali; anche in questo caso il giudice di primo grado aveva rinviato il processo alla successiva udienza del 25 ottobre 2012; in questo caso il termine prescrizionale quindi era rimasto sospeso per 34 giorni.

Sostiene altresi' la ricorrente che il termine prescrizionale e' rimasto sospeso anche per tutta la durata del termine per il deposito della motivazione indicato dal giudice di primo grado (90 giorni dalla data di lettura del dispositivo, cioe' il 5 dicembre 2012).

Motivi della decisione


Il ricorso della parte civile e' fondato e quello dell'imputato va accolto nei termini qui di seguito indicati.

1. Ha errato la Corte territoriale nel dichiarare la prescrizione del reato di cui all'art. 734 bis c.p. (contestato al capo E) senza tener conto dei periodi di sospensione (ex art. 159 c.p.) dei termini verificatisi nel dibattimento di primo grado, pari a complessivi 97 giorni.

Ne consegue che certamente alla data del 5 dicembre 2012 (ovvero alla data della sentenza di primo grado) non era decorso il termine prescrizionale, giacche' a quello massimo di anni cinque dalla data di commissione del reato ((OMISSIS)) bisogna sommare quello di 97 giorni sopra indicato.

La sentenza va quindi annullata in relazione alla statuizione di declaratoria di prescrizione prima della sentenza di primo grado della contravvenzione di cui all'art. 734 bis c.p. e alla conseguente revoca di condanna dell'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile J.M.O..

Va inoltre disposto il rinvio al giudice civile competente per valore (essendo nelle more prescrittosi il reato) perche' proceda a nuovo esame in relazione alle statuizioni revocate erroneamente dalla Corte di Appello, dovendo evidenziarsi in ordine alla configurabilita' della fattispecie contestata (cosi' rispondendo alle censure dell'imputato) che la condotta penalmente rilevante consiste nel portare a conoscenza di un numero indeterminato di persone le generalita' o l'immagine della vittima, senza il suo consenso, attraverso delle modalita' che comunque consentano di poter risalire alla persona offesa dei reati indicati dalla norma (Sez. 3, n. 2887 del 12/12/2013, M. e altro, Rv. 258753).

2. La sentenza va pure annullata senza rinvio in relazione al reato di falsita' ideologica ascritto al capo F).

Fondato, infatti, si rivela il primo motivo di ricorso proposto nell'interesse dell'imputato.

Premesso che certamente integra il reato di falsita' ideologica in atto pubblico (art. 479 c.p.) la condotta del difensore che documenta e poi utilizza processualmente le informazioni delle persone in grado di riferire circostanze utili alla attivita' investigativa, verbalizzate in modo incompleto o non fedele, in quanto l'atto ha la stessa natura e gli stessi effetti processuali del corrispondente verbale redatto dal pubblico ministero (Sez. U, n. 32009 del 27/06/2006 - dep. 28/09/2006, Schera, Rv. 234214), nel caso in esame non si sono realizzati gli elementi costitutivi del reato.

Pacifico infatti e' che il M. abbia depositato insieme al verbale delle dichiarazioni a lui rese da P.M. anche il supporto informatico contenente la videoregistrazione dell'esame della donna, acquisito nell'ambito delle indagini svolte ai sensi dell'art. 391 bis c.p.p., e s.s..

E' allora evidente come non possa sostenersi che il M. abbia fornito una parziale ovvero diversa rappresentazione dei fatti caduti sotto la sua diretta percezione, considerato che l'allegazione al verbale riassuntivo della documentazione videoregistrata dei suddetti fatti non puo' integrare la condotta di "immutatio veri" cui fa riferimento l'art. 479 c.p..

Certamente, poi, tale circostanza esclude anche la sussistenza dell'elemento soggettivo, giacche', se e' vero che e' sufficiente il dolo generico (non essendo richiesto l'animus nocendi ne' l'animus decipiendi: ex multis, Sez. 5, n. 6182 del 03/11/2010, Conforti e altro, Rv. 249701; Sez. 5, n. 29764 del 03/06/2010, Zago, Rv. 248264; Sez. 5, n. 15255 del 15/03/2005, Scarciglia ed altro, Rv. 232138), tale dolo deve consistere nella rappresentazione e nella volonta' dell'immutatio veri, che pare arduo configurare nel caso in cui sia lo stesso soggetto agente a fornire tutti gli elementi attestanti i fatti caduti sotto la sua percezione.

Insomma, ben puo' sostenersi che le difformita' tra quanto verbalizzato in forma riassuntiva dal M. e quanto attestato dalla videoregistrazione dell'esame acquisito siano state frutto di una leggerezza ovvero di errata interpretazione delle dichiarazioni della donna esaminata.

3. Tutti gli altri reati ascritti al M. (commessi tra (OMISSIS)) sono estinti per intervenuta prescrizione, che va dichiarata non essendo manifestamente infondati i motivi di ricorso (Sez. Un. n. 32 del 22 novembre 2000, De Luca, rv 217266).

P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all'art. 734 bis c.p. con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di falso in atto pubblico perche' il fatto non sussiste e quanto agli altri reati perche' estinti per prescrizione.

Cosi' deciso in Roma, il 23 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2016