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Rassicurazioni diplomatiche in ambito MAE: nessuno spazio valutativo? (Cass,. 1844/20)

17 gennaio 2020, Cassazione penale

Nella cooperazione tra autorità giudiziarie sulla base del meccanismo del mandato di arresto europeo, fuori dalla dimensione politica tipica dell'estradizione, vengono in considerazione esclusivamente le informazioni che portino ad escludere la sussistenza del rischio. Informazioni delle quali lo Stato di esecuzione, in conformità con i principi del mutuo riconoscimento, deve (limitarsi a) prendere atto.

 

Cassazione penale

Sez. 2 Num. 1844 Anno 2020

Presidente: CERVADORO MIRELLA Relatore: MESSINI D'AGOSTINI PIERO

Data Udienza: 15/01/2020 - sentenza 17/01/2020

sul ricorso proposto da:

ORDINANZA

CM nato il **/1989 a **

avverso la sentenza del 26/11/2019 della CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Piero MESSINI D'AGOSTINI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Sante SPINACI, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 24/9/2019 la Corte di appello di Bologna dichiarava sussistenti le condizioni per l'accoglimento della richiesta di consegna di cui al mandato di arresto europeo emesso in data 8/7/2019 dalla Pretura di Mangalia (Romania) nei confronti di MC, tratto in arresto in Italia in data 1/8/2019, poi sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere.

Rilevava la Corte di appello che il mandato di arresto europeo era stato emesso per dare esecuzione alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione di cui alla sentenza irrevocabile del 22/4/2019, in relazione ai reati di guida senza patente e in stato di ebbrezza, e come, per questo secondo reato, sussistendo il requisito della doppia punibilità, non vi fossero ragioni per rifiutare la consegna.

Avverso tale sentenza presentava ricorso MC, deducendo violazione di legge e vizio motivazionale, per avere la Corte territoriale accolto la richiesta di consegna proveniente da un Paese nel quale l'interessato sarebbe stato sottoposto ad un trattamento penitenziario contrario alla dignità umana, con riferimento sia alle dimensioni e alle caratteristiche della cella in cui lo stesso sarebbe stato ospitato sia al regime detentivo generale, indicato in maniera indeterminata.
La Sesta Sezione di questa Corte, con sentenza n. 44398 del 
29/10/2019, riconosceva la fondatezza del ricorso, annullando la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna.

Il Collegio richiamava il principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, in tema di mandato di arresto europeo esecutivo, l'accertamento di un rischio concreto di trattamento inumano o degradante del regime carcerario riservato alla persona richiesta in consegna deve essere svolto, secondo quanto chiarito dalla Corte di giustizia della Unione europea, attraverso la richiesta allo Stato emittente di tutte le informazioni relative alle specifiche condizioni di detenzione previste per l'interessato.

Di tale regula iuris - osservava la sentenza rescindente - la Corte di appello di Bologna non aveva fatto corretta applicazione, omettendo, pur in presenza di una richiesta difensiva sufficientemente circostanziata, di richiedere all'autorità romena specifiche informazioni sulle caratteristiche del regime detentivo al quale sarebbe stato sottoposto il prevenuto, sui vari istituti dove sarebbe stato assegnato, sui verosimili sviluppi dell'esecuzione della pena che, nel tempo, lo avrebbe riguardato.

2. In sede di giudizio di rinvio, la Corte di appello di Bologna, richieste ed acquisite informazioni dall'amministrazione nazionale dei penitenziari romeni in ordine alle caratteristiche del regime detentivo al quale sarebbe stato sottoposto Marcel Chilu, disponeva nuovamente la consegna, non ravvisando ragioni ostative in relazione alle condizioni detentive prospettate, unica questione demandata dal giudice di legittimità alla Corte territoriale.

3. MC, a mezzo del proprio difensore, ha proposto nuovo ricorso per cassazione, deducendo manifesta illogicità della motivazione e violazione di legge, con riferimento agli artt. 2 comma 1, 16 comma 2 e 18, comma 1 lett. h),della legge 22 aprile 2005, n. 69, per avere il giudice del rinvio disposto la consegna del ricorrente, nonostante il pericolo di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti che egli potrebbe subire per effetto della carcerazione, senza avere richiesto alle autorità romene informazioni relative all'istituto penitenziario presso il quale lo stesso dovrà essere collocato.

Nella sentenza impugnata la Corte di appello si è limitata a prendere atto delle informazioni ricevute dalle autorità romena "senza svolgere però alcun giudizio critico o - ancora peggio - senza verificare se queste rispondano effettivamente alle necessità imposte dalla L. n. 69/05".

Da dette informazioni, peraltro, non si evince neppure presso quale carcere MC sarebbe collocato dopo i primi giorni di detenzione presso il carcere di Rahova in Bucarest, cosicché non è escluso che il ricorrente sia destinato ad uno degli istituti penitenziari ove le condizioni di vita, secondo varie pronunce della Corte EDU, sono in contrasto con l'art. 3 della Convenzione.

Gli stessi vizi sono stati denunziati dalla difesa in relazione al punto riguardante la possibilità di espiazione della pena in territorio italiano, considerato che MC è soggetto incensurato con residenza e lavoro stabili in Italia, come risulta dai documenti prodotti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi non consentiti o manifestamente infondati.

2. In primo luogo va osservato che correttamente la Corte di appello ha osservato che l'unica questione oggetto del giudizio di rinvio era quella inerente alla dedotta sussistenza del pericolo di un trattamento inumano e degradante.

Con il primo ricorso per cassazione, infatti, il profilo riguardante l'espiazione della pena in Italia non era stato proposto.

Condivide il Collegio il principio da ultimo statuito dalla Suprema Corte, secondo il quale «deve ritenersi preclusa la possibilità di dedurre, all'esito del giudizio di rinvio, una questione non già devoluta alla Corte di Cassazione con il ricorso che ha determinato l'annullamento con rinvio» (Sez. 5, n. 29358 del 22/03/2019, Miah, Rv. 276207).

3. La sentenza impugnata, poi, ha dato atto delle ampie informazioni ricevute dalle autorità romene, con le quali sono stati indicati il percorso individuale del ricorrente, l'istituto penitenziario ove inizialmente sarà collocato e quello di verosimile destinazione, vicino al suo domicilio.

Sono state poi fornite una serie di garanzie: in sintesi, il regime carcerario, dopo una fase iniziale di orientamento di ventuno giorni, sarà di carattere "semiaperto", con un tempo trascorso in cella limitato al riposo notturno, all'igiene personale, ai pasti, e con la garanzia di areazione, illuminazione e climatizzazione adeguate, nonché con accesso all'acqua corrente ed ai servizi sanitari, in condizioni d'igiene e pulizia; tale regime prevede che le porte delle celle siano aperte tutta la giornata e che i detenuti possano accedere a postazioni telefoniche ed informatiche, all'acquisto di generi di necessità e possano ricevere visite, nonché lavorare e svolgere attività educative, sportive, terapeutiche, con accesso agli spazi aperti; dopo l'espiazione della quinta parte della pena, il detenuto potrà accedere al regime cosiddetto "aperto", che garantisce spazi di autonomia e libertà ancora maggiori; la circostanza che lo spazio a disposizione del detenuto sia temporaneamente inferiore al limite di 3 mq. non è di per sé ostativa, poiché la detenzione non è di lunga durata e si inscrive nell'ambito di un regime che, in ossequio agli standards convenzionali, rispetta le esigenze personali individuali e consente l'uscita di cella per tutto il giorno, nonché la fruizione di servizi con il connesso svolgimento di adeguate attività rieducative.

Sulla base delle risultanze offerte da tale quadro informativo, ufficialmente comunicato, ed al quale le autorità dello Stato di esecuzione non possono negare fede, la valutazione effettuata dalla Corte distrettuale si sottrae alle censure del ricorrente, che ha poi obliterato i recenti sviluppi sulla questione in esame.

Infatti, le competenti autorità romene hanno presentato in data 25 gennaio 2018 al Segretariato del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, competente per la esecuzione delle sentenze della Corte EDU, l'Action Plan in relazione alla sentenza pilota della Corte EDU (Rezmives ed altri c. Romania) del 25 aprile 2017, che aveva condannato la Romania per le carenze strutturali delle condizioni di detenzione, ritenute in violazione dell'art. 3 CEDU, chiedendo la introduzione di "misure generali per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario e delle pessime condizioni di detenzione".

Nel predetto documento ufficiale, le autorità romene hanno elencato una serie di misure volte a contrastare le problematiche riscontrate dalla Corte EDU, attraverso l'introduzione di rimedi amministrativi e legislativi, sia preventivi (riduzione del ricorso alla carcerazione preventiva, costruzione di nuovi istituti carcerari, ammodernamento delle strutture esistenti) sia compensativi (possibilità di beneficiare di giorni di liberazione anticipata in caso di detenzione in condizioni non appropriate).

Lo stesso Comitato dei Ministri, competente per il controllo sulla esecuzione delle sentenze della Corte EDU, nella riunione n. 310 del marzo 2018, ha esaminato il suddetto Piano, dando atto dei consistenti, anche se non definitivi, progressi effettuati dallo Stato rumeno per porre rimedio ai problemi strutturali delle condizioni carcerarie, evidenziati dalla Corte europea.

In questo rinnovato contesto, che testimonia un consistente progresso dello Stato rumeno nel percorso di ottemperanza alle indicazioni provenienti dalla Corte EDU, vanno dunque valutate le informazioni fornite in relazione al caso in esame, dovendosi altresì ribadire che «nella cooperazione tra autorità giudiziarie sulla base del meccanismo del mandato di arresto europeo, fuori dalla dimensione politica tipica dell'estradizione, vengono in considerazione esclusivamente le informazioni che portino ad escludere la sussistenza del rischio. Informazioni delle quali lo Stato di esecuzione, in conformità con i principi del mutuo riconoscimento, deve (limitarsi a) prendere atto» (così Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, Barbu; in senso conforme v. Sez. 2, n. 3679 del 24/01/2017, Ilie, Rv. 269211 nonché, da ultimo, Sez. 6, n. 52541 del 09/11/2018, Moisa, in motivazione).

4. All'inammissibilità dell'impugnazione proposta segue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di C 2.000, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22 comma 5 della legge n. 69 del 2005.

Così deciso il 15 gennaio 2020.