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Ragionevole dubbio tra merito e legittimità (Cass. 18313/20)

16 giugno 2020, Cassazione penale

La regola della colpevolezza "oltre ogni ragionevole dubbio" in sede di legittimità non può essere tradotto nella invocazione di una diversa valutazione delle fonti di prova, ovvero di un’attività di valutazione del merito della responsabilità esclusa dal perimetro della giurisdizione di legittimità, potendo invece essere invocata solo ove precipiti in una illogicità manifesta e decisiva del tessuto motivazionale, dato che oggetto del giudizio di cassazione non è la valutazione (di merito) delle prove, ma la tenuta logica della sentenza di condanna.

Non ogni "dubbio" sulla ricostruzione probatoria fatta propria dalla Corte di merito si traduce infatti in una "illogicità manifesta", essendo necessario che sia rilevato un vizio che incrini, in modo severo, la tenuta della motivazione, evidenziando una frattura logica non solo "manifesta", ma anche "decisiva", in quanto essenziale per la tenuta del ragionamento giustificativo della condanna.

Si ritiene cioè che il parametro di valutazione indicato nell’art. 533 c.p.p., che richiede che la condanna sia pronunciata se è fugato ogni "dubbio ragionevole" opera in modo diverso nella fase di merito e in quella di legittimità: solo innanzi alla giurisdizione di merito tale parametro può essere invocato per ottenere una valutazione alternativa delle prove sulla base delle allegazioni difensive; diversamente in sede di legittimità tale regola rileva solo nella misura in cui la sua inosservanza si traduca in una manifesta illogicità del tessuto motivazionale.

Può essere sottoposta al giudizio di cassazione solo la tenuta logica della motivazione, ma non la capacità dimostrativa delle prove, ove le stesse siano state legittimamente assunte; l’apprezzamento della capacità dimostrativa delle singole prove, come anche dei complessi indiziari è attività tipica ed esclusiva della giurisdizione di merito e non può essere in alcun modo devoluta alla giurisdizione di legittimità se non nei limitati casi in cui si deduca, e si alleghi, un travisamento. Diversamente, in sede di legittimità la violazione delle regole di valutazione delle prove e, segnatamente, del criterio indicato dall’art. 533 c.p.p. è invocabile solo quando precipiti in una illogicità manifesta del percorso argomentativo.

La "regola b.a.r.d." (acronimo anglosassone: "beyond any reasonable doubt") in sede di legittimità rileva solo se la sua violazione "precipita" in una illogicità manifesta e decisiva del tessuto motivazionale, l’unico ad essere sottoposto al vaglio di un organo giurisdizionale che non ha alcun potere di valutazione autonoma delle fonti di prova. La nuova o diversa valutazione delle prove può, invece, essere invocata nei gradi di merito, quando il rispetto del criterio dell’"oltre ogni ragionevole dubbio" non incontra il limite funzionale che caratterizza il giudizio di cassazione.

Il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest’ultima:

a) sia "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia "manifestamente illogica", perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;

c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

 

Corte di Cassazione

sez. II Penale

sentenza 9 gennaio – 16 giugno 2020, n. 18313
Presidente Verga – Relatore Recchione

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Catanzaro confermava la condanna del ricorrente per il reato di rapina aggravata dall’uso delle armi.
Si contestava al C. di avere aggredito la vittima sparandogli alcuni colpi di arma da fuoco nelle gambe, di avergli legato mani e gambe per immobilizzarlo e di essersi impossessato della somma di Euro 100 e di un portamonete di proprietà della vittima.
2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva:
2.1. violazione di legge e vizio di motivazione: la sentenza impugnata avrebbe confermato la valutazione di attendibilità delle dichiarazioni ricognitive della vittima senza valutare a l’intero contenuto della testimonianza che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, esprimerebbe un riconoscimento incerto fondato sulla valorizzazioni di elementi fisiognomici non caratterizzanti (peluria fulva, altezza, tono di voce) e sarebbe complessivamente inattendibile a causa del suo tenore perplesso (l’offeso dichiarava che non voleva condannare un innocente); la mancata considerazione di tali elementi della progressione dichiarativa integrerebbe un travisamento della prova per omissione.
Inoltre la sentenza sarebbe viziata nella parte in cui non assegnava rilievo decisivo all’esito negativo dell’esame "Stub";
2.2. violazione di legge e vizio di motivazione: sarebbe stata violata la regola di valutazione de "l’aldi là di ogni ragionevole dubbio" dato che non emergerebbe il confronto con le prove contrarie e segnatamente, con i:assaggi incerti della testimonianza dell’offeso, con l’esito dell’esame "stub" e con le testimonianze dei vicini di casa;
2.3. violazione di legge: non era stata dichiarata la prescrizione del reato di lesioni e di porto di arma nonostante in relazione agli stessi il termine di prescrizione fosse decorso prima della pronuncia della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

1. I primi due motivi di ricorso sono inammissibili.
1.1. È inammissibile il primo motivo che si risolve nella richiesta di una rivalutazione della credibilità delle dichiarazioni ricognitive della vittima, ovvero di una attività esclusa dal perimetro che circoscrive la competenza del giudice di legittimità.

Il collegio in materia di vizio di motivazione ribadisce che il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest’ultima: a) sia "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Rv. 251516); segnatamente: non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).

Nel caso in esame, contrariamente a quanto dedotto, le dichiarazioni ricognitive della persona offesa venivano valutata con accuratezza: si rilevava che il riconoscimento era stato confermato in dibattimento, che le caratteristiche fisiognomiche indicate come caratteristiche dal dichiarante erano individualizzanti e che l’identificazione veniva confermata anche dal riconoscimento della voce (pag. 3 della sentenza impugnata); le dichiarazioni contestate trovavano inoltre conferma nelle altre emergenze processuali (referto medico e verbale di perquisizione) e non trovavano efficacia smentita negli argomenti proposti dalla difesa.
La motivazione offerta dalla Corte territoriale è priva di vizi logici manifesti e decisivi e si presenta coerente sia con le indicazioni ermeneutiche offerte dalla Corte di legittimità che con le emergenze processuali: si sottrae pertanto ad ogni censura in questa sede.

1.2 Anche il secondo motivo con cui si contesta la violazione della regola di valtazione dell’”al di là di ni ragionevole dubbio è inammissibile.

1.2.1. L’importazione nel nostro codice della regola di valutazione dell’"oltre ogni ragionevole dubbio" (regola b.a.r.d., acronimo dell’inglese "beyond any reasonable doubt") è stata effettuata con le c.d. riforma del giusto processo (L. n. 46 del 2006), orientata a rafforzare la struttura accusatoria del rito anche attraverso l’importazione di alcuni elementi del processo anglossassone e, segnatamente di quello nordamericano. Nel processo statunitense la esortazione a giudicare "oltre ogni ragionevole dubbio" fa, infatti, parte delle instructions che il giudice deve impartire alla giuria, che decide con verdetto immotivato: si tratta pertanto di una raccomandazione che, in quell’ordinamento non ha alcun controllabile precipitato nella motivazione.

Dopo l’importazione della formula nel tessuto codicistico italiano la dottrina prevalente ha collegato il criterio alla presunzione di non colpevolezza contenuta nell’art. 27, comma 2 della Carta fondamentale, trovando autorevole conferma nella giurisprudenza delle Sezioni unite (Cass. Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017 - dep. 14/04/2017, Patalano, Rv. 269786; Cass. Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 - dep. 03/04/2018, P.G. in proc. Troise, Rv. 272430).

La dottrina ha ritenuto altresì che il criterio valutativo in questione segni il superamento del principio del principio del "libero convincimento del giudice" e, quindi, della necessità che la condanna sia fondata sulla valorizzazione delle prove assunte in contraddittorio le quali, per rispettare il canone valutativo, devono avere un capacità dimostrativa sufficiente a neutralizzare la valenza antagonista delle tesi alternative.

Condividendo tale apprezzabile tentativo di positivizzazione della formula b.a.r.d. il collegio ritiene che il criterio in questione non possa tradursi nella valorizzazione di uno "stato psicologico" del giudicante, invero soggettivo ed imperscrutabile, ma sia indicativo della necessità che il giudice effettui un serrato confronto con gli elementi emersi nel corso della progressione processuale e, nei casi in cui decida su un’impugnazione a struttura devolutiva, anche con gli argomenti di critica proposti dall’appellante oltre che con le ragioni poste a sostegno della prima decisione.

Tanto chiarito, il collegio rileva che il mancato rispetto di tale regola di valutazione (come anche di quella indicata nell’art. 192 c.p.p.) non può essere tradotto nella invocazione di una diversa valutazione delle fonti di prova, ovvero di un’attività di valutazione del merito della responsabilità esclusa dal perimetro della giurisdizione di legittimità. La violazione di tale regola può invece essere invocata solo ove precipiti in una illogicità manifesta e decisiva del tessuto motivazionale, dato che oggetto del giudizio di cassazione non è la valutazione (di merito) delle prove, ma la tenuta logica della sentenza di condanna.
Non ogni "dubbio" sulla ricostruzione probatoria fatta propria dalla Corte di merito si traduce infatti in una "illogicità manifesta", essendo necessario che sia rilevato un vizio che incrini, in modo severo, la tenuta della motivazione, evidenziando una frattura logica non solo "manifesta", ma anche "decisiva", in quanto essenziale per la tenuta del ragionamento giustificativo della condanna.
Si ritiene cioè che il parametro di valutazione indicato nell’art. 533 c.p.p., che richiede che la condanna sia pronunciata se è fugato ogni "dubbio ragionevole" opera in modo diverso nella fase di merito e in quella di legittimità: solo innanzi alla giurisdizione di merito tale parametro può essere invocato per ottenere una valutazione alternativa delle prove sulla base delle allegazioni difensive; diversamente in sede di legittimità tale regola rileva solo nella misura in cui la sua inosservanza si traduca in una manifesta illogicità del tessuto motivazionale. Infatti può essere sottoposta al giudizio di cassazione solo la tenuta logica della motivazione, ma non la capacità dimostrativa delle prove, ove le stesse siano state legittimamente assunte; l’apprezzamento della capacità dimostrativa delle singole prove, come anche dei complessi indiziari è attività tipica ed esclusiva della giurisdizione di merito e non può essere in alcun modo devoluta alla giurisdizione di legittimità se non nei limitati casi in cui si deduca, e si alleghi, un travisamento. Diversamente, in sede di legittimità la violazione delle regole di valutazione delle prove e, segnatamente, del criterio indicato dall’art. 533 c.p.p. è invocabile solo quando precipiti in una illogicità manifesta del percorso argomentativo.
In sintesi: la "regola b.a.r.d." (acronimo anglosassone: "beyond any reasonable doubt") in sede di legittimità rileva solo se la sua violazione "precipita" in una illogicità manifesta e decisiva del tessuto motivazionale, l’unico ad essere sottoposto al vaglio di un organo giurisdizionale che non ha alcun potere di valutazione autonoma delle fonti di prova. La nuova o diversa valutazione delle prove può, invece, essere invocata nei gradi di merito, quando il rispetto del criterio dell’"oltre ogni ragionevole dubbio" non incontra il limite funzionale che caratterizza il giudizio di cassazione (Cass. Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017 - dep. 09/06/2017, D’Urso e altri, Rv. 270108).

1.2.2. Nel caso in esame la violazione della regola di valutazione si risolve in una generica contestazione della omessa valutazione delle tesi antagoniste proposte dalla difesa che, invero non trova riscontro nel corpo motivazionale offerto dalle due sentenze conformi di merito che, contrariamente a quanto dedotto prendono in esame gli argomenti difensivi e li superano con motivazione esente da vizi logici, la Corte territoriale infatti esclude la rilevanza dell’esito negativo dello Stub rilevando che i reperti devono essere raccolti tempestivamente per essere attendibili, del pari veniva ritenuta inefficace a destrutturare l’ipotesi accusatoria la tesi difensiva fondata sui tempi di percorrenza dello spazio tra l’abitazione del ricorrente ed il luogo del delitto, infine venivano ritenuti inattendibili i testimoni a discarico (pagg. 3, 4 della sentenza impugnata).

3. Il terzo motivo di ricorso è fondato, in quanto nonostante fosse decorso il termine di prescrizione prima della sentenza impugnata per i reati lesioni e porto di arma la estinzione non veniva dichiarata.
Il collegio ribadisce che l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare l’estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata nè eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 - dep. 25/03/2016, Ricci, Rv. 266818).
Nel caso in esame il decorso dei termini di prescrizione veniva regolarmente eccepito sicché la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla affermazione di responsabilità per i reati descritti nei capi b) e c) e deve essere eliminata la relativa pena di anni due di reclusione ed Euro 800 di multa.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai capi b) e c) perché estinti per intervenuta prescrizione ed elimina la relativa pena di anni due di reclusione ed Euro 800 di multa. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo Presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1), lett. a).